Capitolo 12.

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-So che mi odi.- mormorò Ernest. La sua voce proruppe dalla penombra, facendo sussultare Nate.

-Dopo quello che ti è successo non ci penseresti due volte a uccidermi se dovessero comandartelo. Mi sembra normale diffidare delle persone come te.-
Nate dubitava ancora di lui nonostante lo compatisse per i suoi tragici trascorsi.
Gli pareva essere passata un'eternità da quando si era risvegliato in quella stanza fatiscente, ma in realtà era passata solo qualche ora.

-Ucciderò solo coloro che non saranno più in grado di reggersi in piedi.- riprese a parlargli Ernest.

Nate trasalì. -E se anche quelli volessero vivere? E se avessero ancora un po' di speranza dentro di loro? Gli uccideresti solo perché sono zoppi e molto deboli?-

Ernest lo guardò di sottecchi, e ridacchiò con aria sarcastica. -Credi davvero che qui esista la speranza? Ti sei guardato intorno? Se tu parli così è perché non l'hai ancora persa totalmente, e sai perché? Perché sei qui da poco tempo.
Presto ti accorgerai che morire è cento volte meglio che restare a respirare quest'aria intrisa di sofferenza.-

Nathan fu colpito da una fitta allo stomaco. Sapeva che Ernest aveva ragione. Un giorno anche lui sarebbe arrivato al punto di non riconoscere più alcun valore alla vita, a tal punto di desiderare di farla finita.

-Se devo essere frustato, che sia per una buona ragione, cazzo!-Ernest comincio ad alterarsi.

-Dunque toglierai la vita per pietà? Per porre fine alle sofferenze di qualsiasi persona?-

-Esatto, vedo che mi hai capito. Ci sono certi detenuti che se ne vanno in giro con le costole rotte, altri ancora con dei tagli lunghi e profondi nei piedi, per non parlare delle numerose malattie che circolano qui dentro. Credo che la morte per loro sia da considerarsi un regalo.-

-Qui dentro stanno male anche le persone che non soffrono fisicamente.-

Ernest soffocò la stessa risatina sarcastica di prima. -Se dovessi basarmi su un malessere psicologico allora la prima persona da uccidere sarei io.-

Nathan lo guardò perplesso. -Dici così per via della perdita di tuo fratello?-

Ernest si alzò, e digrignando i denti cercò di contenere il dolore che lo percuoteva. -Se ti dicessi come è successo mi capiresti.-

-Ti ascolto.- gli disse Nate convinto di non avere molte alternative.

Ernest respirò profondamente. -Qualcuno ha venduto alle SS un'informazione qualche mese fa che accusava mio fratello minore di omosessualità; per questo venne catturato. Avevano intenzione di internarlo in questo campo, invece hanno deciso di ucciderlo a sangue freddo. Mio padre e mio fratello maggiore non hanno fatto niente per impedirlo, anzi, sembravano essersi tolti un peso. Era come se l'abominio dell'omosessualità avesse gettato del fango nel buon nome della nostra famiglia e loro avessero cercato di ripulirlo attraverso l'uccisione di mio fratello. Ma io, Nathan... io non ci dormo la notte. La sua perdita mi ha segnato.-

Nate lo guardò con occhi colmi di compassione. Aveva provato a resistergli, a continuare ad odiarlo per ciò che era. Ma l'autenticità di Ernest lo aveva fatto riflettere.
Un soldato del regime dovrebbe odiare un omosessuale, ma Ernest non era così.
Un detenuto dovrebbe odiare il soldato che lo opprime, ma Ernest stava davvero opprimendo Nathan? Meritava di essere odiato perché indossava una divisa da SS?

-E che mi dici di te? Non hai fatto niente per aiutare...come si chiamava?- chiese Nathan, pensando che Ernest avesse nuovamente omesso una parte della storia.

-Il suo nome era Henry, e non ho potuto fare niente per lui. Mio padre ha fatto sì che non avvenisse in mia presenza. Ero all'addestramento delle nuove reclute. Ho il sospetto che sia stato mio padre stesso a ucciderlo. Mi conosce e sapeva che avrei cercato di impedirlo. Quando sono arrivato... era troppo tardi.-

Nate, interdetto, si limitò a guardarlo, quasi volesse contemplare il suo dolore attraverso i suoi occhi cerulei che, lucidi, erano in grado di brillare anche nell'ombra.

-Ma ti dirò di più Nathan: Quell'informazione era sbagliata. Hanno condannato il fratello sbagliato. Ero io quello che avrebbero dovuto uccidere. Io sono omosessuale. Henry è morto per colpa mia.-

Nate sgranò gli occhi, e in un momento tutto fu chiaro, il suo tono confidenziale, i suoi occhi così comprensivi, le sue ferite.
Ernest era come lui, solo che aveva la divisa sbagliata, o forse era solo più fortunato.

-Perché mi stai dicendo questo? Lo sai che potrei dirlo a chiunque e per te sarebbe finita?- Nate si scompose mettendo in dubbio la sua stessa fedeltà.

-Prima di farlo chiediti che cosa ci guadagneresti. Di sicuro non la libertà, ne un pezzo di pane in più. In questa guerra è meglio farsi degli amici piuttosto che dei nemici. Ma fa' come vuoi, io ho già perso mio fratello, non ho nient'altro da perdere.-

Prima che Nathan potesse ribattere, Ernest, che intanto si era spostato lentamente, si gettò con un tonfo in un'altro angolo della stanza, nascondendosi dietro una grossa tavola di legno poggiata al muro.

-Perché ti nascondi?- Nate era perplesso.

-Perché fra non molto ti verranno a prendere, Nathan. E io non voglio farmi vedere da nessuno, altrimenti riferirebbero ciò che è successo a mio padre.-

-Ma... come fai a sapere che mi stanno venendo a prendere?-

-Se ti hanno gettato qui dentro è per aspettare che tu riprendessi conoscenza, di certo non per lasciarti senza fare niente. Loro non si dimenticano di chi ha delle braccia forti come le tue, e come ho già detto, tu gli sei utile, per questo so che ti verranno a prendere, e a quel punto dovrai riprendere il lavoro.-

Nate annuì, non ci aveva pensato. Credeva che l'avrebbero lasciato lì a marcire per giorni, quale piacere gli avrebbero fatto: privarlo delle fatiche del lavoro per giorni! Nate si sentì stupido ad averlo creduto anche solo per un attimo.

Ernest dimostrò di avere ragione quando, dopo pochi minuti, due SS irruppero nella stanza, afferrarono Nate con forza e lo costrinsero a camminare verso l'uscita da cui proveniva una luce accecante, difficile da sopportare una volta abituati gli occhi al buio.

Ernest rimase lì, al freddo, completamente solo, accovacciato in un angolo sporco e umido, ad attendere l'oscurità della sera che lo avrebbe preservato da sguardi indiscreti. Nel profondo del suo cuore lacero Ernest sperò di non rivedere mai più Nathan, spaventato dall'aspetto che la fatica gli avrebbe attribuito. Ma sapeva che incrociare ancora il suo sguardo sarebbe stato inevitabile prima o poi. Si chiese, se mai l'avesse rivisto, se sarebbe stato capace di riconoscerlo, e se eventualmente sarebbe stato lui a porre fine alle sue sofferenze.

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