Capitolo 19. Primo passo.

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-Scappare? Ma è impossibile!- Nate era sgomento.

-Lo so, sarà difficile, devo pensare a tutto nei minimi dettagli.- Ernest cercò di tranquillizzare Nate.

-Molti altri ci hanno provato e sono morti!- 

-Quelli che ci hanno provato lo hanno fatto senza un piano, erano solo disperati.-

-Sono morti folgorati Ernest. Non ci si può nemmeno avvicinare a quella rete.- 

-Io troverò un modo.- affermò Ernest sicuro di sé. - Fuggiremo in Svizzera, dove non c'è la guerra, lì dovremmo essere al sicuro.-

Nate sbuffò, sapeva che la Svizzera non era vicina, gli parve che Ernest stesse fantasticando.

I due passarono parecchio tempo quella notte ad escogitare un piano di fuga, ma ogni idea era da escludere.  La baracca era circondata da filo spinato, e il lager da un'ampia e poderosa rete elettrificata. Per non parlare delle vedette. E anche una volta fuori, si presentava il problema dei cani da traccia, che li avrebbero sicuramente fatti trovare.

Nate si arrese e capii di essere finito in un luogo dove l'unico modo per uscire era la morte, o, come molti detenuti erano soliti dire, dal camino.
Ernest al contrario era fiducioso, conosceva il sistema del luogo e pur sapendo che era quasi impossibile da aggirare, era sicuro che avrebbe trovato un punto debole su cui fare leva.

-Va' ora, ci ritroviamo domani sera. Io nel frattempo penserò a qualcosa.-

-D'accordo.- Nate abbracciò forte Ernest, e lo baciò. Nonostante credesse che l'impresa in cui stavano per gettarsi fosse impossibile, voleva credere in lui. 

Ernest era consapevole che non c'era molto tempo. Nate avrebbe potuto essere scelto come paziente da un giorno all'altro. A Ernest non importava nulla di questa fantomatica cura, sapeva solo che Nate gli andava bene così com'era e che non aveva bisogno di correzioni.
Inoltre, giorno dopo giorno, Ernest si detestava sempre di più per via delle cose che era costretto a fare quotidianamente. Quel luogo lo avrebbe presto fatto uscire fuori di testa.

Molte volte, nel silenzio della notte, steso nel suo letto senza riuscire a prendere sonno, Ernest si alzava e apriva la finestra per ascoltare attentamente il canto della natura e per osservare un paesaggio che al chiaro di luna era dotato di un amenità rasserenante. La finestra si affacciava dalla parte opposta del lager, dove gli alberi erano ancora alti e verdi, dove gli uccelli cinguettavano  e spiccavano il volo tutti insieme a formare un grande stormo quando il fumo delle ciminiere e l'odore di morte che portava con sé si sollevavano a imputridire l'aria.
Nonostante tutto, vedere quel lato del mondo dava un senso di tranquillità a Ernest. Tante volte aveva desiderato di andare verso quella direzione, verso dove il fumo nero non si poteva più vedere né sentire. E altrettante volte, pur non seriamente, aveva pensato a come sarebbe potuto arrivarci.

Ora però, non si trattava più solo di un pensiero astratto. Ernest voleva davvero evadere insieme a Nate.
Si distese sulla sua branda e cominciò a pensare ad una soluzione.

Scartò fin da subito la possibilità di portarlo nello stabile dove lui, suo padre e suo fratello erano soliti recarsi quando non erano in turno. Non tutte le SS attorno al Lager avevano una casa, ma il padre di Ernest era un individuo assai importante, nasconderlo nella casa del nemico era un'idea senz'altro astuta ma allo stesso tempo troppo rischiosa, senza contare la moglie del fratello che abitava lì e il tragitto che avrebbero dovuto affrontare per arrivarci. Come avrebbe fatto a sottrarre Nate dagli occhi indiscreti?

Ernest però non abbandonò l'idea di nascondere il fuggitivo in un luogo in cui le SS non avrebbero mai sospettato, che fosse anche facile da raggiungere senza eccessivi rischi.
Pensò subito al casolare. Quello dove lui e Nate si erano incontrati per la prima volta.

Ernest si tiro sú di scatto e esclamò sottovoce -Sí, è perfetto!-
Ma si lasciò ricadere accorgendosi che c'erano altri dettagli a cui pensare. 

Erano stati diversi i tentativi di fuga da parte dei detenuti. Nessuno era sopravvissuto. Le recinzioni apparivano invalicabili, lo scopo di tali barricate non era tanto quello tenere fuori possibili invasori provenienti dall'esterno, ma quello di  assicurare la permanenza dei detenuti al suo interno. 

Ernest rifletté a lungo e senza sosta fino al sorgere del sole. Doveva pensare ad ogni cosa, ad ogni minimo dettaglio, un solo errore gli avrebbe fatti scoprire. 
Alla fine riuscì ad elaborare un piano di fuga complesso e rischioso, che continuò a ripetere nella sua mente per tutto il giorno. Non voleva mettere nulla per iscritto, sarebbe stato imprudente. 
Quella stessa notte, Ernest e Nate avrebbero compiuto il primo passo verso la fuga.

Nate aveva aspettato l'arrivo della sera con impazienza. Aveva passato una giornata tremenda, era stato costretto a lavorare in condizioni più che disumane a causa della prima neve della stagione che era caduta copiosamente riversandosi su tutta la superficie del campo, infastidendo e facendo intirizzire i detenuti. 
Ora, disteso nella sua cuccetta ancora un po' intorpidito, Nate non riusciva, o meglio, non voleva prendere sonno nella speranza che Ernest si sarebbe fatto vivo. Non gli aveva lasciato nessun tipo di provvista quel giorno, perciò era preoccupato che gli fosse successo qualcosa.
Nate però tirò un sospiro di sollievo quando vide il segnale di Ernest, allora silenziosamente si allontanò e andò verso l'uscita. 

Ernest lo abbracciò e lo trascinò lentamente nel solito giaciglio che li teneva coperti. 
Nate lo osservò, aveva con sé dei vestiti e delle provviste.

-Menomale sei ancora qui.- affermò Ernest con tono sollevato, anche lui lieto di vedere che Nate non era caduto nelle mani dei malfidati medici.
-Levati i vestiti e mettiti questi. Nel frattempo io ti spiego.- gli porse una delle sue divise.

-Spiegare cosa? Sei riuscito a escogitare qualcosa?- domandò Nate ansioso.

-Sì. Non sarà per nulla facile però, ti avverto.-

-Certo, ne sono consapevole.- annuì Nate mentre si infilava i pantaloni della divisa, che gli stavano un po' larghi.

-Il buio ci aiuta, ma nel caso in cui qualcuno dovesse vederci, con la mia divisa addosso non darai nell'occhio. -

-Andiamo verso il casolare. Il mio piano è quello di tenerti lì nascosto per almeno 3 giorni.-

Nate lo guardò attonito. -Cosa? Perchè il casolare? Non capisco.-  corrugò la fronte, e cercò negli occhi profondi di Ernest la risposta. 

-Perché è abbandonato, e il maltempo lo ha già reso quasi inaccessibile, se ti cercheranno, lo faranno fuori dal campo, non dentro. Tre giorni dovrebbero essere sufficienti per far allontanare abbastanza le squadre di ricerca, e a quel punto... ce ne andremo davvero.- Ernest avvicinò una mano verso il capo di Nate e la passò dolcemente tra i suoi capelli. 

Nate afferrò il polso del soldato e lo ritrasse. -E tu che farai in questi tre giorni?-

-Ti porterò delle provviste quando potrò, ma soprattutto farò in modo che si convincano che sei fuori dal campo. A proposito di ciò, dammi i tuoi vestiti.-
Ernest sembrava così risoluto, la sua voce infondeva sicurezza. Nate lasciò il polso di Ernest, che continuò ad accarezzarlo dolcemente, quasi volesse dire "devi fidarti di me, andrà tutto bene".

-Forza. Andiamo ora. Sono in turno qui adesso perciò dobbiamo sbrigarci, devo tornare qui il più velocemente possibile.-
Ernest indicò il cancelletto esterno che permetteva l'accesso in Ka-Be, sistemato tra il muro della stessa e la rete di filo spinato che circondava la baracca. Tirò fuori un piccolo mazzo di chiavi e lo aprì. 

Proseguirono uno di fianco all'altro a passo spedito e in silenzio, verso il casolare.
Una volta fuori dalle zone delle baracche il pericolo di essere visti diminuì. 

Entrare nel casolare non fu facile. Il freddo e l'umidità avevano arrugginito e bloccato la serratura del portoncino di ingresso. I due dovettero arrampicarsi in un cumulo di materiali di ogni tipo che erano stati buttati a fianco al casolare per poi accedere dal tetto forato. 

-Hai tutto quello che ti serve, devi solo essere paziente. Io verrò non appena ne avrò l'occasione, d'accordo?.- 

-D'accordo.- disse Nathan con voce tremula, non nascondendo lo spavento e il timore per ciò che stavano facendo.

-Ormai non possiamo più tirarci indietro. Se dovessimo restare nel Lager tu morirai, lo sai, non è vero?-

-Lo so.- Nate abbassò lo sguardo.

Ernest gli posò la mano sotto il mento e lo tirò sù, bisbigliò -Ho bisogno di guardarti negli occhi ancora una volta.-  Lo baciò e si voltò per andarsene.

Nate, con lo sguardo fisso su Ernest, lo guardò allontanarsi e uscire dal casolare. Con gli occhi lucidi lo salutò con un cenno del capo.

La paura di essere scoperto lo pervadeva. Il timore di perdere Ernest come aveva perso la sua famiglia e il suo amico Gilb lo divorava. 
C'erano stati dei giorni in cui Nate aveva desiderato di morire, giorni in cui per lui la vita valeva meno del piccolo pezzo di pane stantio che gli veniva dato ogni giorno. Ora più che mai però, sapeva che da morto non avrebbe potuto più amare le persone che avevano bisogno del suo affetto così come lui aveva bisogno del loro. 
In quel luogo angusto e impregnato di inquietudine, dove la sua vita era appesa a un filo, si accorse di quanto fosse bello esistere.

Si accasciò al muro e si lasciò cadere in un sonno tormentato, sperando che nessuno l'avrebbe mai trovato lì dentro, e chiedendosi, una volta terminati i 3 giorni, quale sarebbe stato il prossimo passo.

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Buonasera ! Se credevate che il titolo della storia fosse senza senso vi sbagliavate eheh 👀

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