Capitolo 8 - Conseguenze

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Chloe squarciò la realtà di fronte a sé, tirando i fili del Sihir tra le dita per strappare i bordi oscuri di un vortice, poi un altro e un altro ancora. Le occorreva quasi un'ora per viaggiare da Jiyu a Sayfa sfruttando le Gallerie, e non era importante che avesse ridotto di venti volte le tempistiche dei mezzi di trasporto: cinquantatre minuti erano comunque troppi.

E lei era già in ritardo. Quando Chen-Yi l'aveva chiamata, Chloe sapeva che il solo viaggio di andata e ritorno da Jiyu l'avrebbe costretta a raggiungere Irene a concerto già iniziato, e questo senza considerare il tempo che avrebbe dovuto trascorrere lì. Aveva pregato gli Dei in un Giudizio rapido, ma Edoi e Hun non potevano aiutarla: erano gli uomini a scegliere il loro destino, e quei condannati avevano scelto di fuggire e combattere.

Era valsa loro qualcosa, quell'ora e mezza di vita che avevano guadagnato? O avevano solo protratto la loro sofferenza per una flebile speranza che era morta insieme a loro, in cambio di una fine dolorosa? Domande inutili. Saperlo non avrebbe reso più sopportabile il tempo che Chloe aveva perso, né gliel'avrebbe restituito. Causa ed effetto: non c'era uno scopo, un motivo, solo conseguenze. Le cose accadevano e lei poteva solo tessere i fili che la vita le metteva a disposizione.

Superò un portale dietro l'altro muovendosi per inerzia, ignorando i muscoli indolenziti che la supplicavano di fermarsi. Le dita avevano cominciato a formicolare, come addormentate, segno che il suo corpo non sarebbe riuscito ad assimilare Sihir ancora a lungo - ma era la sua mente a preoccuparla di più.

Maelstrom l'aveva quasi inghiottita. Chloe manteneva la lucidità a fatica, disegnando l'immagine di Irene nella sua fantasia, stringendo quel pensiero per non cedere all'oblio che la chiamava. Aveva esagerato; i sintomi del suo malessere avevano cominciato a manifestarsi ancor prima che partisse da Jiyu, e ora la sua mente era annebbiata, sconnessa.

Quanto tempo era passato? Era la giusta direzione? Non lo sapeva. Poteva solo correre, aprire un altro vortice e correre ancora, fingendo di non sapere che era già troppo tardi.

Il concerto era finito. Il teatro si era svuotato e solo alcuni degli spettatori erano rimasti a chiacchierare tra loro appena oltre l'ingresso. Irene si separò dal gruppo che la circondava per venirle incontro e poi la trascinò dietro le quinte, dove nessuno le avrebbe disturbate. Era delusa e afflitta: oscillava tra rabbia e preoccupazione, e a far vincere l'una o l'altra cosa sarebbero state le parole di Chloe.

E lei era stanca. Stanca e confusa, faticava a mettere a fuoco il viso di Irene e l'ambiente ombroso che le circondava. Ma doveva parlare; doveva scusarsi, doveva spiegare, doveva sciogliere il groviglio che le circostanze avevano annodato.

In che modo? Quello continuava a sfuggirle di mente, ma ci aveva pensato. Ci aveva pensato, doveva solo ricordare.

«Mi sono addormentata» disse.

Irene sbattè le palpebre, schioccando la lingua contro il palato. «Ti sei addormentata

"Svenuta! Dovevi dire svenuta" si rimproverò, cercando di raccogliere il filo dei suoi pensieri che continuava a srotolarsi senza controllo. "Correggiti. Devi fingerti malata, così sembrerai un'idiota. No, è troppo tardi: cos'è che ti hanno insegnato? Non contraddirti. Segui il flusso."

«Ieri non ho dormito, sono rimasta in piedi tutta la notte. Ero così stanca... Volevo solo riposare mezz'ora, ma la sveglia non ha suonato» Chloe si umettò le labbra, prendendo fiato. Che stava dicendo? Non era quello che aveva pensato. Era sciocco, ridicolo, e la sua voce tremava, esitante. Sembrava una bugia. Beh, era una bugia, era tutto una bugia.

«La prima ad alzarti, dicevi. Non te lo saresti persa per niente al mondo, eh?» La voce di Irene tremava quanto le sue labbra. Dolore, così tanto dolore che Chloe non riusciva a guardarla, le aveva divorato lo stomaco e ora rosicchiava le ginocchia per farla cadere. «Ero così in ansia che non sono riuscita a mangiare, ho avuto un attacco di panico prima di cominciare e tu non c'eri. Mi hai lasciata da sola, e mentre io ero chiusa in bagno a piangere, temendo che ti fosse successo chissà cosa, tu dormivi

«Non l'ho scelto io» borbottò Chloe, lo sguardo basso. «Non l'avevo previsto, è successo. È successo e basta, non potevo farci niente. Mi dispiace.»

Risposta sbagliata. Irene arricciò il naso, gli occhi lucidi e carichi di livore sotto le sopracciglia aggrottate. Strinse le piccole dita in pugni tremanti mentre polvere di un rosso brillante si sollevava dalla sua pelle. Il piatto della bilancia era crollato sul lato peggiore.

«Tutto qui? Sul serio?» Irene liberò uno sbuffo ilare, nervoso. «Come puoi presentarti qui come se avessi fatto un po' tardi ad un'uscita qualunque? Aspettavo questo giorno da mesi, è l'occasione che sogno da una vita intera! Hai idea di cosa significasse per me? Era troppo chiedere che la mia fidanzata fosse presente?» Lacrime scivolarono lungo le guance, ma Irene non abbassò lo sguardo. Sollevò il capo, il corpo rigido, la polvere rossa che aleggiava tutt'intorno, insinuandosi tra i capelli. «Non ti sei neppure degnata di trovare una scusa decente! Ti sei addormentata? E quando mai è successo? Lo so io cos'è successo, te ne sei dimenticata, come ti dimentichi qualsiasi altra cosa, perché di quello che è importante per me non te ne frega niente!»

Chloe serrò le labbra, ricacciando indietro la verità che spingeva per uscire, graffiandole la gola. Avrebbe voluto essere con Irene, per sostenerla e festeggiarla. Non aveva fatto altro che pensarci, contando i secondi, torcendosi le viscere e mordendosi le guance fino a sanguinare.

Era una persona orribile perché aveva abbandonato la sua fidanzata in un giorno così importante, o lo era perché avrebbe preferito restare al suo fianco invece che aiutare l'Ordine a punire quei criminali? Un'altra domanda inutile. Avrebbe sbagliato in ogni caso.

Perché le cose non potevano risolversi in modo semplice, per una volta? Aveva spinto il suo corpo al limite per raggiungerla il prima possibile, perché doveva sopportare tanto rancore?

Ingiusto. Era così ingiusto. Perché doveva essere lei la sola a pagarne il prezzo?

«E di quello che è importante per me, a te è mai fregato qualcosa? Il mondo non gira attorno a te, Irene! Smettila di comportarti come se tutto ti fosse dovuto!» urlò Chloe. «Ti sei resa conto di quanto tempo ti portino via le prove e gli eventi a cui partecipi? Ti sei mai chiesta cosa significhi starti dietro? Rincorrerti per ogni cosa, sottostare ai tuoi ritmi ed essere sempre e solo al secondo posto.»

No, no, cosa stava dicendo? Non era vero! Irene non conosceva la verità, non era colpa sua, non lo era mai stata. Non meritava quel veleno che le aveva sputato addosso. Chloe doveva offrirle le sue scuse, perché le rovesciava addosso la sua rabbia?

«Sei sempre stata al primo posto! Ho fatto di tutto pur di trovare il tempo di stare con te» gridò Irene, la voce che raschiava la gola. «Non mi importava se dovevo saltare il pranzo o dormire un'ora in meno, perché tu ne valevi la pena. L'unica cosa che chiedevo è che fossi disposta a fare lo stesso per me, ma sei brava solo a parole! Continui a dire che mi ami, che faresti qualsiasi cosa per me, ma dove sei quando ho bisogno di te?»

"Lasciala parlare, lascia che si sfoghi" le suggerì una voce nella sua mente, così distante che a malapena riusciva a sentirla nel caos dei suoi pensieri. "Ha ragione ad essere arrabbiata, non sa cos'è successo davvero, non sa quant'è difficile per te. Esagera perché tu hai esagerato per prima, perché l'hai ferita, l'hai delusa, e la colpa è solo tua."

Ma ogni volta che provava ad afferrare quella voce, subito svaniva. I pensieri sfuggivano dalle sue dita schizzando in ogni dove, spinti dal fuoco che eruttava nel suo stomaco. Lava che ribolliva lungo le vene e infiammava le sue parole, lanciandole all'attacco. Solo quello importava; sfogare la sua frustrazione contro qualcosa, qualsiasi cosa, pur di non affondare. Liberarsi del fardello di colpe troppo pesante per lei, che faticava a restare in piedi, che stringeva gli occhi per mettere a fuoco l'immagine di Irene, che non riusciva più a ragionare.

«È colpa tua!»

Smettila.

«Pretendi troppo da me.»

Ti prego, smettila.

«Perché non guardi ai tuoi errori?»

Stai solo peggiorando le cose.

«Pensavo che tu potessi capirmi!»

Perché non riesco a fermarmi?

La testa. Pulsava così tanto, pensare era come spingere un piccone nelle tempie. Cosa stava dicendo? Non riusciva più a capirlo. Parlava, parlava e basta, riversando su Irene colpe che non aveva, accuse in cui neppure Chloe credeva, insulti vuoti rivestiti di un odio fasullo per rinfacciare sbagli che avevano già sepolto. La gente all'esterno non le aveva sentite o le aveva ignorate? Aveva importanza?

«Dovremmo lasciarci.»

La voce di Irene riportò la quiete, spegnendo ogni suono. Restavano solo i suoi singhiozzi, i suoi respiri irregolari mentre le gambe tremavano e il petto era scosso da sussulti. Aveva urlato fino a non avere più voce e pianto fino a non avere più lacrime.

Chloe sobbalzò, sbattendo le palpebre come se si fosse appena svegliata. Un attimo di lucidità. Un attimo in cui riusciva a pensare.

Perché aveva fatto così male a qualcuno che amava così tanto?

Non voleva questo. Non voleva ferirla, non voleva deviare le sue colpe, non voleva compassione; voleva Irene, solo Irene, voleva farla sorridere e dirle che andava tutto bene.

Non era ancora finita. Doveva seguire quella voce e passare oltre, fin quando la rabbia non si fosse spenta in entrambe. Doveva riposare, scacciare la stanchezza e la confusione, e allora avrebbero potuto parlarne di nuovo, a mente lucida e senza rancore, e sarebbero tornate a... cosa?

Irene aveva ragione. Chloe non c'era mai: era lei che non l'aveva messa al primo posto. Avrebbe voluto, ma ci aveva provato e aveva fallito. Aveva fatto il possibile. Aveva stretto le corde di Chloe e Kiyoko attorno ai polsi e aveva continuato a camminare anche se tiravano così tanto da spezzarla. Aveva fatto del suo meglio, ma non era abbastanza. Lo sarebbe mai stato?

Non contraddirti, segui il flusso; puoi solo tessere i fili che la vita ti mette a disposizione.

Irene l'amava, ma anche lei era stanca. Stanca e confusa. Oscillava tra le incertezze che Chloe aveva creato, e rideva solo in quei brevi istanti in cui riusciva a metterle da parte. Viveva nell'idillio che i primi mesi le avevano regalato, aspettando, sperando, pregando che tornassero indietro.

Ti prometto che da oggi sarò più presente, aveva detto Chloe. Quanto tempo era passato? Un mese? Due? Non era cambiato niente. Non poteva cambiare niente, non sapeva come fare.

Ora lo vedeva. Aveva sbagliato tutto. Si era gettata nel vuoto troppo in fretta e non aveva modo di risalire. E avrebbe trascinato Irene nel baratro con lei, se non l'avesse lasciata andare.

Chloe la vide voltare le spalle al suo silenzio e correre via, ma non la fermò. La seguì con lo sguardo, mentre il suo cuore scandiva il tempo come una campana. Quattro rintocchi, come per la morte. Poi Irene svoltò e sparì alla sua vista.



Eh già, Chloe al concerto non c'è mai arrivata... D'altronde si sa che la vita è sempre bravissima a metterti i bastoni tra le ruote, sembra davvero che lo faccia apposta!

Forse sarebbe riuscita a uscirsene in modo quantomeno decente, se non fosse che usare Maelstrom così a lungo l'ha sfibrata mentalmente e non è lucida. Chloe è arrabbiata per la situazione, non con Irene, ma sappiamo bene che quando l'ira ci controlla assaltiamo tutto e tutti, e questo è il risultato.

Dall'altro lato, Irene ha ragione a essere così delusa, e questo litigio è un po' la goccia che fa traboccare il vaso e che la spinge a dire basta, decisione da cui Chloe non prova nemmeno a fermarla.

Anche qui mi viene naturale fare un confronto tra Chloe e Brycen: quando Chloe conosce lui, ha già un approccio diverso ai suoi doveri e ha strutturato la sua vita in modo più stabile; dall'altro lato, Brycen è persino troppo condiscendente - e la combinazione tra le cose è il motivo per cui la loro storia è andata avanti e quella tra Irene e Chloe, invece, no.

Però mi mette comunque addosso un sacco di tristezza ç___ç

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