Capitolo 10

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Allontano il vassoio di plastica da me e mi porto le mani sullo stomaco. <<Non posso credere di aver mangiato così tanto alle tre del mattino.>> Bevo un sorso di Coca Cola nella speranza che mi stimoli la digestione e guardo Sebastiano, seduto davanti a me, intento a divorare il suo terzo Crispy Mcbacon. <<Spero solo di non pentirmene, visto che domani mattina lavoro.>>
<<Stamattina>>, borbotta lui, senza neanche guardarmi. Sembra che stia amoreggiando con quel dannato panino, si lecca le dita sporche di salsa con una tale passione.
Lo guardo, confusa. <<Cosa?>>
Inghiottisce, innaffiando il cibo con un sorso di birra. <<Stamattina lavori.>>
<<E quindi?>> Finisco la mia Coca Cola, guardando con desiderio il suo bicchiere traboccante di schiumosa birra fresca. Sto ancora smaltendo la sbornia, perciò Sebastiano mi ha praticamente impedito di prendere una bevanda alcolica, e probabilmente ha fatto bene, anche se con lui non lo ammetterò mai.
Finalmente alza lo sguardo su di me, mentre mastica l'ultimo pezzo del suo panino. <<Dio mio, si vede che sei ubriaca! Sei meno reattiva di mia nonna dopo il sonnellino pomeridiano davanti a Uomini e Donne.>> Afferra un fazzolettino di carta e si pulisce la bocca con cura. <<Intendo dire che non lavorerai domani mattina, ma stamattina, visto che sono le tre.>>
Incrocio le braccia al petto, lanciandogli un'occhiatina sprezzante. <<Io sarò anche poco reattiva, ma tu sei un precisino del cavolo.>>
Lui scrolla le spalle, poi si alza in piedi e si stiracchia con le braccia sopra la testa. <<Vado a prendermi un gelato, tu lo vuoi?>>
Sono letteralmente incredula. Ha mangiato tre panini carichi di ogni ben di Dio, una porzione maxi di patatine fritte condite con il ketchup e la maionese e ora vuole anche il dolce. E sono le tre del mattino!
<<Come fai ad avere spazio per il gelato?>>
Sorride, ammiccante. <<Ehi, sono un ancora un ragazzino, devo crescere.>> Mi da un buffetto sul naso e poi si muove verso la fila davanti alle casse.
Mi sento terribilmente stupida. Ora che la sbornia sta passando, non riesco davvero a capacitarmi di essermi ubriacata. Insomma, so che non c'è nulla di male nel bere un po' di più, una volta ogni tanto, ma io detesto l'alcool. Quando guardo mio padre e lo vedo ridotto uno straccio, mi viene voglia di eliminare ogni alcolico presente sulla terra. Dico davvero, vorrei che non esistesse, che fosse troppo caro perché lui se lo possa permettere.
L'alcool non risolve nulla, lo so, ma mi sono sentita veramente disperata. La signora del banco di fiori, al cimitero, mi ha augurato una buona giornata. E' stata solo una frase di circostanza, un modo affabile di guadagnarsi la simpatia di una cliente, ma mi sono sentita... desolata, dispersa. Ho iniziato a pensare a quando risaliva l'ultima buona giornata che avevo avuto e niente, non me lo ricordavo.
Ho guidato per ore nella speranza di respirare un po' d'ossigeno e poi ho visto l'insegna di quel pub. Ho iniziato a bere con il desiderio che qualcuno - che mio padre - se ne accorgesse, così magari mi avrebbe dato un po' di attenzioni, mi avrebbe sgridata, schiaffeggiata se l'avesse ritenuto opportuno, ma poi mi sono ricordata che mio padre probabilmente in quel momento stava bevendo più di me e che magari non ricorda più neanche di che colore siano i miei occhi, e allora ho continuato a bere di più, sperando succedesse la stessa cosa anche a me. Mi sono ubriacata nella speranza di dimenticare gli occhi di mia madre, la sua voce, il suo profumo, il bene che continuo a volerle. Ma non ha funzionato.
Sebastiano torna a sedersi accanto a me e mi porge una coppa di gelato con cioccolato e panna. <<Dio mio, ma vuoi vedermi scoppiare?>>
Ghigna, lanciandomi un'occhiatina al petto fasciato da una maglia nera leggermente scollata. <<Magari è la volta buona che lo riempi, il reggiseno.>>
Spalanco la bocca e lo colpisco con una manata sulla testa. <<Maiale!>>
Lui ride, rischiando anche di soffocare con un po' di gelato andatogli di traverso. <<Allora... >> Aspetta di inghiottire e poi continua a parlare: <<Che cosa vuoi fare adesso?>>
Lo guardo confusa, dubitando seriamente della sua sanità mentale. <<Voglio andare a dormire.>>
Storce le labbra in una smorfietta contrariata. <<Ma sono le tre e un quarto. Chi è che va a dormire alle tre e un quarto del mattino?>>
Sorrido, ironica. <<Dunque, vediamo... le persone normali che rincasano alle tre e un quarto del mattino e che hanno la sveglia tre ore dopo?>>
<<Appunto, hai detto "persone normali".>> Mi indica con un cenno del capo, trattenendo a stento una risata. <<Tu non è che ci stai tanto con la testa.>>
<<Mi spieghi che cavolo vuoi?>> Gli lancio un'occhiataccia, mentre assaggio distrattamente il gelato che mi ha ordinato poco fa. <<Cioè, voglio dire, hai insistito tu per portarmi qui. Io meno ti vedo e meglio sto, credimi.>>
Mi guarda con sufficienza. <<Ti ho portato qui perché eri ubriaca, io avevo fame e poi non avevo niente di meglio da fare.>>
<<Bugiardo.>> Stavolta sono io a ghignare. <<Hai detto che dovevi dormire dalla tua ragazza>>, gli dico, risultando accidentalmente sarcastica.
Sebastiano sorride, sghembo. <<Diletta non è la mia ragazza, ma sono veramente onorato per la tua scenata di gelosia, piccola, ti ringrazio.>> Inclina la testa di lato, osservandomi con attenzione. E' fastidiosamente divertito. <<Davvero, cominciavo a credere che il mio fascino indiscusso non avesse effetto su di te.>>
Sgrano gli occhi e per poco non mi va di traverso il gelato. <<Io non sono affatto gelosa!>>, sbotto, guardandolo scandalizzata. <<Etu dovresti davvero farti un bagno d'umiltà. D'indiscusso, perquanto mi riguarda, hai solo il riflesso del vomito che mi provochiogni volta che ti vedo.>>
Mi alzo in piedi, pronta ad andarmene, ma la sua mano stretta intorno al mio polso mi trattiene proprio lì dove sono. <<Non sei convincente, ma se vuoi fingerò di crederci.>> Mi indica la sedia alle mie spalle. <<Siediti, al momento hai più alcool che sangue, non puoi ancora guidare.>>
Sbuffoe faccio come mi dice. Non perché io segua i suoi ordini, ma perché nonmi sognerei mai di guidare ubriaca, non dopo l'incidente che hacoinvolto mia madre e mia sorella.
Mi schiarisco la voce e prendo a fissarlo per un tempo infinitamente lungo. <<Se quella non è la tua ragazza, allora perché mi hai detto che lo era?>>
<<Perchéeri ubriaca e non mi andava di definire la situazione. Io e Diletta civediamo così, una volta ogni tanto, senza impegno.>> Immerge una patatina fritta nel gelato e poi se la infila in bocca. <<Voglio dire, era troppo complicato da spiegare.>>
Corrugo la fronte, estremamente perplessa dalle sue parole. <<Era troppo complicato spiegare che ogni tanto fate sesso?>> Lui annuisce e immerge un'altra patatina nel gelato. <<E finiscila, sei disgustoso.>>
<<L'hai mai provato?>> Tiene la patatina incriminata tra le labbra, quasi come se fosse una sigaretta.
Mi si rivolta lo stomaco all'istante. <<No, e mai lo proverò.>>
Lui fa spallucce e prende un'altra manciata di patatine. <<Peccato, non sai che ti perdi.>> Mi sorride strafottente, muovendo su e giù le sopracciglia, dandomi l'impressione che si riferisca a qualcos'altro.
<<Allora... questa Diletta è la ragazza che era con te al supermercato?>>, gli domando dopo un po', osservandomi le unghie per apparire totalmente indifferente.
Sebastiano scoppia a ridere, finendo l'ultimo sorso della sua birra. <<E tu non saresti gelosa?>>
<<Non sono gelosa, sono semplicemente curiosa.>> Gonfio le guance, offesa. <<Visto che devo aspettare che tu finisca di strafogarti per tornare a casa, provo almeno a fare un po' di conversazione.>>
Annuisce, continuando a fissarmi con quel suo sguardo irriverente. <<Certo, certo, ti credo.>> Si sporge sul tavolo, avvicinandosi a me. Una zaffata del suo profumo frizzante m'invade l'olfatto. <<Vuoi fare conversazione? Bene, allora parliamo del fatto che hai provato a baciarmi.>>
Mi tiro indietro, cercando di mantenere un tono di voce normale. <<Baciarti? Tu vaneggi, ero ubriaca, non ricordo nulla.>> Invece lo ricordo eccome...
<<Bè, però è successo.>> Sorride, sghembo. <<Andiamo, ubriacona, ti riporto a casa.>>
Mialzo in piedi, afferro la borsa e colpisco il petto di Sebastiano conuna gomitata, fingendo di non averlo fatto di proposito. <<Oh, scusami, non ti avevo visto.>>
<<Cavolo, quanto siamo suscettibili.>>
Inizio a camminare davanti a lui e per puro caso vedo il suo riflesso nella vetrina del fast food: mi sta fissando il sedere.
<<Vedi qualcosa che ti piace?>>, lo provoco, voltandomi verso di lui con le braccia incrociate.
Lui alza le spalle. <<Mah, forse, in mancanza d'altro posso anche accontentarmi.>>
Ghigno, avvicinandomi a lui. <<Tu accontentati pure.>> Lo guardo dall'alto in basso. <<Io ho gusti più elevati.>>
Riescoa togliergli quel suo sorrisetto strafottente dalle labbra, ma Dio solosa quanto ho mentito. Sebastiano è letale per una come me, devosmetterla di lasciarmi distrarre dalla sua compagnia. Devo smetterla dipensare a lui, alla consistenza delle sue labbra, al profumo che sitrascina dietro. Devo smetterla di vederlo, prima di finire in unastrada senza uscita.
Non posso permettermelo.



Arriviamo a casa circa una ventina di minuti dopo.
Il quartiere è tranquillo, non c'è anima viva. Le luci negli appartamenti sono quasi tutte spente. Da qualche parte un cane ulula e le strade deserte ne riproducono l'eco.
Camminiamo in silenzio fino al nostro portone, dopodiché Sebastiano mi porge le chiavi della macchina. <<Tieniti libera per domani pomeriggio.>>
Lo guardo, corrugando la fronte. <<Scordatelo.>>
<<Devi riaccompagnarmi a prendere la moto, sei in debito con me.>>
Alzo gli occhi al cielo, frugandomi nelle tasche alla ricerca di una sigaretta. <<Domani lavoro, finisco alle diciotto.>>
Annuisce. <<Ci vediamo alle diciotto.>>
<<Ma non hai nessun altro a cui chiederlo?>>
<<Certo, ma adoro romperti le scatole.>> Mi strappa la sigaretta dalle labbra, sorridendo. Fa un tiro, soffia fuori il fumo e me la restituisce. <<Vedilo come un bacio indiretto.>>
Ghigno e la getto a terra, spegnendola con la scarpa. Poi mi avvicino a lui, arrivando ad un palmo dal suo viso. <<Neanche morta.>>
<<Ammettilo che mi vuoi baciare.>>
<<Buonanotte, Seb.>> Spalanco il portone e raggiungo la porta di casa mia in un secondo.
Sono ancora leggermente brilla, preferisco che Maria resti a dormire a casa della signora Giovanna. Non appena entro in salone, scorgo la figura di mio padre sul divano. C'è puzza di alcool e vomito. Mi guardo intorno e mi rendo conto che proviene da lui. Mi avvicino cautamente e controllo che stia respirando, dopodiché vado in bagno a farmi una doccia.
Risi sotto il getto dell'acqua. Mi sto preoccupando inutilmente. Sebastiano ha una relazione con quella Diletta, che paragonata a me è una specie di divinità greca. E' insensato farsi paranoie, cercando espedienti per tenerlo lontano da me, perché lui ci sta già lontano da me, e di sua spontanea volontà.
Domani lo accompagnerò a riprendere la sua moto e poi basta, non dovrò più averci a che fare. Voglio dire, magari lo incontrerò nel cortile o in casa della signora Giovanna qualche volta, ma nulla di più. Non ci saranno cene in fast food né caffè nei bar, non ci saranno chiacchierate in piena notte né sigarette rubate. E sono felice così, davvero.
Mi asciugo i capelli e poi mi metto un po' sul letto a studiare, ma la mia mente continua a tornare su Sebastiano e sull'appuntamento di domani pomeriggio. Insomma, so che non è un vero e proprio appuntamento, ma come dovrei chiamarlo?
Mi alzo in piedi e apro la finestra. Sarà tutto l'alcool che ho ingerito, ma stasera sento tanto caldo, nonostante ci siano non più di quindici gradi. Mi accomodo su una sedia e appoggio la testa sul davanzale di marmo. La luna ghigna dall'alto, mi prende in giro per i miei pensieri assurdi, e chissà poi perché quando si è confusi, tristi o semplicemente soli si guarda il cielo.
Mi viene in mente quella canzone di Vasco Rossi che fa: se c'è qualcosa che non ti va, dillo alla luna! Può darsi che ti porti fortuna, dirlo alla luna!
E allora io provo a dirtelo cosa c'è che non va, luna. Vorrei poter riavvolgere il tempo, cambiare il passato, vivere il presente, sognare il futuro.
Continua a guardarmi, può darsi che mi porti fortuna.

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