La collera

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James uscì dallo Stoddard con la promessa di rivedere il fratello più spesso.

La serata era stata piacevole anche se Benedict aveva percepito la sua irrequietezza per la situazione difficile in cui si trovava. Di certo non voleva pesargli, sperava di risolvere da solo la questione con la moglie.

Guidò verso la villa, immerso in mille pensieri.

La famiglia Emory era originaria dell'Oxfordshire e lui aveva vissuto in una villetta immersa nella campagna inglese, placida e rigogliosa. 

La sua adolescenza era stata serena fino al giorno in cui i suoi genitori, in viaggio in città, perirono in un incidente stradale a causa della nebbia. 

Aveva quattordici anni e Benedict dieci di più. Senza esitazione, Ben si prese carico di quel ragazzino piagnucoloso e insicuro che era. Fu un periodo oscuro e confuso per lui, che perse la lucidità. Ben fu costretto a vendere la casa e a trasferirsi a Londra, iscrivendolo nello stesso college in cui aveva ottenuto una cattedra.

Accanto a suo fratello maturò, trovando il sostegno di cui aveva bisogno. Quella situazione difficile, li unì, creando un legame speciale che li accompagnò per sempre.

Giunti in città, Ben si scoprì innamorato di Gabe, quel dottore simpatico e maturo dalla chioma rossa.

James, all'inizio, faticò ad accettare la sua omosessualità, ma si rese conto del sorriso sereno che illuminava il volto di suo fratello e comprese che non c'entrava nulla il fatto che si fosse dichiarato gay; in realtà, era solo geloso di perderlo.

Gabriel, che avvertì l'inquietudine che lo attanagliava, si sentì responsabile e lo accolse con affetto fraterno.

Quello fu un periodo tranquillo, dove prese sicurezza in sé stesso e si laureò in legge, mentre Ben già insegnava giurisprudenza a Oxford. 

Fu in quei mesi che iniziò a frequentare Margot.

Perso nei ricordi del passato, era arrivato alla villa senza accorgersene, vide le luci ancora accese.

Scorse l'auto blu della moglie con la fiancata sfregiata e sussultò.

In un attimo si precipitò dentro con il cuore in gola.

Buttò le chiavi sul tavolino in ingresso, la casa era avvolta nella penombra, solo al piano superiore la luce del corridoio era accesa. Cercò di salire la rampa di scale, ma incontrò il suocero che scendeva scarmigliato e furente.

"Dov'eri, imbecille?" Lo aggredì Wallace con la mascella stretta dalla rabbia.

"È successo qualcosa a Margot?" chiese con la mano aggrappata alla balaustra.

"Ha avuto un incidente, l'hanno dimessa un'ora fa. Dovresti tenere il cellulare acceso."

Il giovane lo estrasse dalla tasca, e tentò di giustificarsi.

"Le avevo mandato un messaggio che ero allo Stoddard con Benedict. Non ha risposto e io non ho più guardato." Era rammaricato e fissò intimidito il vecchio suocero.

Henry scese gli ultimi due gradini e si avvicinò.

"Fammi il piacere di stare zitto! Ti abbiamo chiamato, è pur sempre tua moglie e dovevi esserci." Sibilò facendo pochi passi in più.

James si sentì colpevole e cercò di essere gentile per sciogliere la sua furia.

"Lo sai dei nostri problemi, non ci parliamo più."

Wallace lo guardò e replicò secco.

"Te lo ripeto, è tua moglie, fino al momento che non si stancherà di vederti intorno, le devi rispetto."

Non c'era verso di farlo ragionare, era la figlia e la sosteneva in tutto.

James aggirò il tavolo del soggiorno per mettere dello spazio tra di loro.

"Vi ricordate di me solo quando sono il consorte idiota da mostrare come stasera." Sibilò risentito.

L'anziano grugnì, batté il pugno sullo schienale della sedia.

"Non fare l'offeso e comportati da uomo, se mai lo sei stato."

Quella presa in giro lo fece avvampare, replicò piccato.

"Non siamo più una coppia da tempo e tu lo sai bene."

Il suocero lo raggiunse minaccioso, gli fu a pochi centimetri dal volto e lo insultò.

"Scopa con chi vuoi, ma mantieni la dignità che la famiglia e la sua reputazione richiede."

Il giovane si tirò indietro, non voleva lo scontro fisico con Henry.

"Quindi posso fottermi chi voglio, basta che non mi faccia scoprire. E non ti importa di Margot?"

"Lascia perdere mia figlia e tieni il tuo uccello lontano da lei. L'hai sposata sapendo di essere sterile, giuda bastardo!"

Continuava a ribadire la stessa accusa, oramai era la sua arma contro di lui.

Erano troppo vicini, ma non poteva diventare aggressivo e cadere nella trappola che gli aveva imbastito. 

James fece un passo indietro e tentò una debole difesa.

"Non lo sapevo della mia sterilità! Non avrei mai taciuto un fatto così importante per la nostra vita futura." Ribadì con forza, sentendo la rabbia ribollire per quelle offese così personali.

"Davvero razza di ingrato? Senza eredi una parte del patrimonio va alla tua famiglia." sbuffò e sollevò il braccio, "una coppia ben assortita di gay."

"Sono mille volte meglio di te! Non ho mai mirato ai tuoi soldi." Si morse le labbra per tenere a freno la voglia di insultare il suocero.

"Però ti godi il lusso, piccolo pezzente! Non vedo l'ora di toglierti mia figlia dalle grinfie e darle la serenità che merita. Un uomo che sia tale e un erede da crescere." L'anziano gli gridò la sua furia contro, senza più controllo. "Sei soltanto una delusione totale."

Lui era cosciente di essere una pedina nelle sue mani e reagì incattivito.

"Quando ero un giovane e promettente avvocato uscito da Oxford, ti sei sentito orgoglioso che  io sposassi tua figlia."

Henry si fece cupo e sibilò sprezzante.

"Eri! Hai detto bene! Ora sei inutile, non puoi avere figli! Il tuo uccello spara a salve, sei un mezzo uomo impotente."

Il giovane scioccato, con gli occhi offuscati per quell'offesa così devastante, rimase impietrito.

L'anziano lo fissò per un breve attimo, sollevò lo sguardo verso il piano superiore dove c'era la figlia. Fece una smorfia e mise fine alla discussione.

Afferrò il cappotto, ma prima di uscire si girò.

"Prenditi cura di lei, idiota. Continua a fare il tuo dovere finché non sarai divorziato. Poi, vattene al diavolo!" 

James, incapace di reagire, si ritirò nell'ombra della stanza per stare al riparo dalla luce che gli illuminava il volto rigato di lacrime.

Si portò le mani sugli occhi e si accasciò sul divano. Le parole di Henry gli bruciavano dentro come il fuoco. Si chiese per quale motivo lo odiasse così tanto e cosa fosse, in realtà, il suo matrimonio. Lui, l'avvocato brillante, era stato il capriccio di una ragazza viziata che ora, per un problema fisico, non poteva accontentare.

La parola sterile gli martellava nella testa, al ritmo del suo respiro affannato.

Andò in cucina e si deterse il volto.

Era inutile aspettare, doveva salire di sopra e affrontare la moglie, almeno tentare di scusarsi per averla abbandonata. Con le spalle pesanti si diresse nella stanza matrimoniale per assicurarsi che stesse bene.

La trovò che dormiva, ma nella fronte si intravvedeva un ematoma e qualche graffio sulla guancia. La mano destra era fasciata e posata sul lenzuolo.

Per un istante sperò di mettere fine al dolore della separazione, ritornare il marito premuroso che era. Si avvicinò e si sedette sul letto.

Margot avvertì la sua presenza, si svegliò e lo guardò sospettosa.

Lui sorrise ripensando a quando, da novelli sposi, la consolava e la rassicurava stringendola a sé.

Con la voce che gli tremava cercò di parlarle.

"Mi dispiace, non ho visto la chiamata, ero preso dai discorsi di Ben e Gabriel." Sospirò cercando di essere accomodante. "Stai bene? Hai bisogno di qualcosa?"

Allungò la mano per accarezzarle la fronte, ma lei si ritrasse infastidita e girò la testa di lato chiudendo l'approccio.

Quel gesto lo gelò, sentì il respiro accorciarsi. Nemmeno nelle condizioni in cui era, gli dimostrava un minimo di comprensione.

Non si voltò e rabbiosa esplose.

"Va via, non voglio niente. Immagino che sia stato mio padre a mandarti da me."

"Sì, ne abbiamo discusso." Replicò con calma con il cuore che si spezzava.

Lei si voltò e sembrò esaminarlo.

"All'ospedale ti cercavano, visto che sei ancora mio marito. Ma tu non rispondevi, così hanno chiamato papà."

"Mi dispiace." mormorò cercando di accarezzarle la guancia. Voleva rimediare per la sua assenza, ma la moglie si irritò di più e gli spinse via il braccio.

"Non toccarmi. Sto bene lo stesso."

Sentì la rabbia montargli dentro, le tempie gli doloravano per quel rifiuto bruciante.

"Era solo un modo affettuoso per dirti che mi sento in colpa." sbottò seccato. "Tuo padre vuole salvare le apparenze per il buon nome dei Wallace. Non preoccuparti manterrò la promessa. So che non mi vuoi."

Margot si sollevò dai cuscini.

"Visto che lo sai, non provare ad avvicinarti."

Lo spinse sul petto allargando il braccio, la bocca stretta in una smorfia disgustata.

James non riuscì a sopportare quel volto stizzito, perse il controllo, devastato da quei rifiuti continui, ed esplose.

"Ti piaceva farti toccare mesi fa! È per la mia sterilità vero? Però mi aprivi le gambe quando ti sbattevo su questo letto e ti facevo urlare per quanto godevi. "

Margot lo assalì piena di risentimento.

"Sei solo volgare! Non sei capace di darmi un figlio! Sei un uomo inutile e sterile. Nessuna donna può volerti al suo fianco."

"Davvero?" Ringhiò afferrandole il mento e imponendole un bacio, le infilò la lingua con forza in quella bocca calda che tanto desiderava e amava.

La moglie reagì con un morso feroce.

"Stronza!" gridò passandosi la mano sulle labbra insanguinate.

Si trovò allo sbando, non c'era più nulla del loro amore e di quel rispetto reciproco che si erano giurati.

Con la mente offuscata, le afferrò il volto con entrambe le mani, la baciò ancora, forzandola. Il sangue e la saliva si mischiarono, Margot, spaventata, iniziò a urlare spingendolo via.

Una fitta lacerante allo stomaco lo fermò in tempo e capì quello che stava per fare.

Si alzò e si allontanò barcollando, mentre lei urlava in lacrime.

"Vattene! Ha ragione mio padre. Fuori da questa casa! Sei solo un sudicio impotente!"

Gridò così forte che James si tappò le orecchie per non sentirla e corse di sotto.

Si nauseò per il sapore appiccicoso e ferroso in bocca, ma il dolore per il morso non era nulla a confronto delle offese che gli aveva buttato addosso. Rabbrividì sconvolto per quello che stava per fare.

La mente non governava più il corpo, avvertì la lussuria crescergli dentro al cavallo dei calzoni. La voglia prepotente di dimostrare quanto fosse un uomo virile.

Scese i gradini delle scale a due per volta. Afferrò la giacca appesa in ingresso e le chiavi della Ford, non pensando all'ora tarda.

Aveva in testa il bisogno incontrollato di fare sesso.

Salì in auto e si diresse nell'unico posto dove poteva sfogare la sua libidine repressa: da Amber.

Arrivò a Main street all'una di notte.

Prese il cellulare e la chiamò. Sperava che fosse da sola, senza quel vecchio citrullo intorno. 

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