Rapporti complicati

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Gabriel tornò in ufficio con passo pesante, la mente presa per Benedict. Si lasciò cadere nella poltrona, sopra alla scrivania c'era incorniciata una foto di loro due a Oxford, dove insegnava giurisprudenza.

Quel giorno, scherzarono sulla toga nera di Ben, dovette indossarla per consegnare i diplomi agli studenti. Il suo compagno per la vita si rivelò essere la cosa migliore che gli fosse accaduta in quegli anni sbandati.

Lo incontrò allo Stoddard, arrivò con degli amici.

Stava cenando seduto a un tavolo appartato, come gli capitava spesso da quando rilevò una quota del club per aiutare un vecchio amico. Quel locale pieno di gente lo aiutava a distrarsi e a superare la solitudine dovuta alla sua omosessualità.

Osservò il gruppo di persone che schiamazzavano e ridevano, ma notò subito la pacata gentilezza di quell'uomo snello con i baffi e i capelli castani.

Mentre chiacchierava rovesciò un bicchiere di vino e si macchiò il completo grigio. Si scusò con gli amici e si allontanò dalla compagnia. Tamponandosi la giacca con un fazzoletto, passò vicino al suo tavolo cercando il bagno, ma si diresse nel posto sbagliato.

Si fece coraggio e intervenne con cortesia.

"Mi scusi, ma se cerca la toilette da quella parte si troverà nella sala del biliardo." Gli sorrise e lo ricambiò soffermandosi a guardarlo.

"Ho stupidamente rovesciato dell'ottimo Borgogna." La voce era gentile, i modi garbati e gli occhi grigi brillavano profondi e limpidi.

"Mi scusi." Si ripeté turbato. "Forse non dovevo intromettermi."

"Si è scusato già due volte, non si preoccupi, ma almeno lo sa dove mi posso ripulire?" ridacchiò, mostrando due fossette sulle guance.

"Che stupido mi perdoni." Si alzò e si presentò. "Gabriel Fulton, ma tutti mi conoscono per Gabe, sono uno dei soci dello Stoddard mio malgrado, ma principalmente svolgo il lavoro di medico al saint Bart"

"Professor Benedict Emory, piacere." Gli allungò la mano e quando la strinse sentì un calore avvampargli dentro.

Se esisteva il colpo di fulmine, beh sicuramente fu quello, ma non sapeva se fosse reciproco, visto che non conosceva l'orientamento sessuale dell'uomo che aveva davanti.

"La accompagno nella parte privata, vista la mia intromissione."

"Va bene, accetto volentieri, ma non stava cenando?'" Gli chiese guardingo.

Si azzardò a mentire. "Ho finito, tranquillo."

Con il cuore a mille lo portò nel bagno del personale interno. Benedict si dimostrava spigliato e di piacevole compagnia, scherzò per essere stato così maldestro. Emory si specchiò e brontolò per la giacca sciupata, la sfilò e rimase con la camicia che aderiva alle sue spalle larghe. Dovette distogliere lo sguardo mentre ripuliva la macchia rossa con gesti affettati.

"L'aspetto di fuori." Gli disse mascherando l'imbarazzo.

Si volse con un sorriso gentile. "Rimanga con noi Fulton, stare da solo non le si addice."

Quindi lo aveva notato. "Non vorrei disturbare..."

"Sono colleghi professori, insegno legge a Oxford ma mi piacerebbe parlare di qualcosa di diverso."

Si rivestì, sistemando la cravatta e il gilet. Alla fine, si lisciò i baffi, un gesto che avrebbe imparato a conoscere bene, si fece pensieroso. In seguito, gli raccontò che, sconcertato, sentì una strana simbiosi, Ben in quel periodo, non accettava ancora la sua omosessualità.

"Perché no?" Gli rispose lui.

Uscirono ridacchiando e non si lasciarono più.

Si abbandonò allo schienale e socchiuse gli occhi. Sperò che l'amore che legava i due fratelli guarisse l'uomo che amava così tanto da esserne geloso.

Stupido! Ecco quello che era in realtà.

----------°--------

Amber vide il messaggio di James, e lo rilesse incredula. Doveva essere accaduto qualcosa tra di lui e la moglie per aver cambiato atteggiamento così in fretta. Non poteva negare a sé stessa che le facesse piacere, perché meritava di meglio.

Decise di andare dalla signora Ernestine a trovare Lise, sentiva il bisogno di vederla.

In tarda mattinata ricevette la chiamata dell'uomo. Parlava a scatti che stentava a capirlo. Le raccontò quello che successe con Margot e del pericolo in cui l'aveva coinvolta. Molte volte le disse di non stare da sola. Cercò di tranquillizzarlo, gli assicurò che lo avrebbe raggiunto accompagnata da un taxi.

In un primo momento non se ne accorse ma in parte le seccò che avesse approcciato la moglie.

In fondo non poteva pretendere che non la desiderasse, era ancora sposato e lei non era nulla, eppure si era fermato affermando che l'aveva pensata.

Si stava comportando da stupida innamorata e pure gelosa.

Buttò l'iPhone sul tavolo della cucina della signora Ernestine, rischiando di romperlo.

Nel pomeriggio tornò all'appartamento e prese la borsa dei vestiti, evidentemente il cognato gli concesse di tornare a casa.

Chiamò il mezzo privato e raggiunse il san Bart verso sera. Sperava di avere buone notizie di Benedict. Ma in realtà voleva rivedere Gabriel e capire il perché del suo cambiamento.

Soprattutto se avesse finalmente assolto il giovane.

Percorse il corridoio che la portava allo studio di Fulton, molte volte l'aveva aiutata da amico e anche come medico.

Bussò e gli rispose la voce baritonale che la invitò ad entrare. Era sprofondato dietro alla scrivania, i capelli rossi in disordine, il gilet e la camicia mezza aperta.

La finestra della stanza era socchiusa, e lui sembrava parecchio abbattuto.

"Ciao Amber, ti avverto che James è con Ben e non vuole abbandonarlo, non ha nemmeno pranzato." Brontolò scuotendo la testa fulva, lei sorrise, un po' se lo immaginava vista la testardaggine del giovane. Appoggiò la borsa con gli abiti sul divano.

"Giornataccia vedo!"

Bofonchiò "Non mi scollo da questo posto da ore, e adesso ne ho due a cui badare."

Lei fece il giro del tavolo e lo raggiunse.

"Lo hai perdonato allora? Che non abbia mangiato a mezzogiorno è comprensibile visto quanto è stato male ieri sera."

Il medico piantò i gomiti sui braccioli. "Lo so di aver sbagliato, non infierire amica mia."

Rise per quella frase e gli posò la mano sulla spalla.

"Smettila di incolparti eri sconvolto, ma mi hai preoccupato, se devo essere sincera."

Gabriel si allargò in un gesto inusuale, accostò la tempia al suo fianco e gemette.

Sorpresa lo lasciò fare, gli accarezzò la fronte.

"Che hai? Stai bene?"

Annuì silenzioso.

"È stato devastante vedere soffrire Benedict." Mormorò stancamente.

Amber si chinò e gli prese le guance fra le mani.

"Sei la nostra forza, non romperti adesso."

Lo baciò sulla guancia, un moto di affetto che faceva con pochi.

Si schernì. "Sei la ragazza migliore che io conosca e sai quali siano i miei gusti." Ridacchiò accarezzandole le dita.

Tornò ad appoggiarsi allo schienale, la guardò con l'aria abbattuta.

"James lo sta aiutando, lo tiene per mano e non lo lascia un secondo. Dice che Ben lo sente, e che guarirà."

Amber allargò entrambe le mani alla scrivania.

"Esistono delle connessioni tra fratelli, difficili da capire. Così come tra te e Benedict."

Alzò lo sguardo rattristato. "Appena il minore si scosta ne avverte la mancanza."

La donna vide una punta di gelosia passargli nel volto.

"E' un amore diverso, non c'è motivo che tu debba penare."

Brontolò. "Ma starebbe a me sostenerlo."

Lei si sorprese per quelle parole, stava sconfinando in un assurdo antagonismo nei confronti del cognato, e tutto ciò li avrebbe portati a scontrarsi, facendo soffrire il compagno.

"James ha patito fisicamente per il tuo rifiuto." Lo redarguì, cercando di essere gentile.

La guardò più sorpreso che seccato per quella sgridata.

"Mia cara, ti stai affezionando troppo. La confusione che ha dentro la testa per Margot non è passata. Sai quello che ha combinato oggi." Cambiò tono di voce." "A volte le sue reazioni sembrano prive di razionalità."

Annuì. "Lo so, averla trattata in quel modo non porterà a nulla di buono, ma ha reagito alle lusinghe false della moglie e questo è un passo in avanti." Andò verso la porta, e l'amico esordì.

"Credo che si senta attratto da te, ma ancora non lo comprende del tutto."

La donna rispose con una strana rassegnazione. "In questa vicenda ci sono solo un mucchio di sé e ma. Vedremo."

Il dottore si alzò, si abbottonò la camicia e il gilet, prese la giacca facendosi serio.

"Amber, la storia della tua amica Lise, penso che dovrai dirglielo prima o poi. Troppe bugie allontanano le persone. È un consiglio spassionato."

Lei abbassò il capo con lentezza, si giustificò per la sua reticenza. "Mi sembra presto per metterlo al corrente, è molto confuso sul fatto della sterilità."

"Il mio giovane cognato si butta nelle cose senza riflettere troppo, a volte bisogna pensare anche per lui! Non mi fraintendere, è un bravo avvocato, ma in questa situazione sta perdendo la testa." obiettò infastidito.

Sorrise guardinga. "Chi non la perderebbe in mezzo al marasma che vive'"

Gabe aggrottò la fronte.

"D'accordo, stai diventando di parte, ma fai attenzione, non farti coinvolgere di più. Soffriresti e non vorrei che succedesse." concluse sospirando. "Ora andiamo e vedi di convincerlo a prendersi delle pause e a mangiare." Fece spallucce. "Tant'è che non ascolta nessuno."

Amber ridacchiò, afferrò il suo braccio robusto mentre si dirigevano alla sala di rianimazione per incontrare i due fratelli.

Silenziosamente, percorsero il corridoio, eppure percepiva il tremito dell'amico. Era evidente che Gabe stesse affrontando male la situazione, c'era elettricità nel suo corpo.

Una volta entrati, videro James con il capo appoggiato sul letto che gli teneva ancora la mano, ma aveva ceduto al sonno.

Anche Ben dormiva, sembrava sereno. Si strinse a Gabriel nel vedere la vistosa fasciatura e suoi capelli e baffi rasati. Il rosso alzò le sopracciglia e le sussurrò.

"Non ci si crede, mi sento inutile. Cosa ci sia tra di loro è un qualcosa che va al di là della mia comprensione."

Lo consolò per sciogliere i suoi dubbi. "Non dire stupidaggini, non sei inadeguato credimi, Ben ha una luce speciale quando ti guarda, ti ama, lo sai."

Fulton le sorrise. "Sei saggia ragazza mia, ma ora vediamo che non si ammali anche il ragazzino, vedi se riesci a farlo rinsavire."

Amber si avvicinò e gli toccò con gentilezza la spalla, si mosse e si voltò assonnato. Allargò lo sguardo prima su Ben, poi su di lei.

"Stai bene?" Le chiese subito, scrutandola con attenzione.

Ridacchiò e gli diede un buffetto sulla guancia. "Certo se sono qui, e tu?"

"Sto aiutando Ben a guarire, lui mi sente." Disse convinto, mentre Gabriel roteava gli occhi al cielo.

La donna gli infilò il braccio sotto l'ascella e lo tirò su.

"Non ne dubito, ma devi fare una pausa. Usciamo per mangiare qualcosa, intanto che i medici lo controllano."

Il cognato brontolò. "Vuoi andartene che dobbiamo medicare Benedict? Mi lasci lavorare o no?"

"OK ora vado ma digli che ritorno in fretta." Lo rimbrottò il giovane.

Gabe sbuffò. Amber lo osservò silenziosa e vide in lui un leggero astio.

"Andiamo, lasciamogli un po' di privacy." Lo spinse per le spalle.

James borbottò. "Ho capito, scusami Gabriel, a volte mi sento un po' tonto."

"Solo un po'?" Biascicò lui chinandosi a baciare Ben, che ne avvertì il calore e lo strinse a sé.

La donna rise e lo trascinò fuori dalla stanza.

Appena usciti lo redarguì. "Devi dargli spazio, razza di testone, si amano, Gabe non regge più la lontananza."

Lo teneva per il polso e lo portò fino alla mensa. Trovarono un posto isolato sotto la finestra per cenare insieme.

Presero del cibo confezionato che si dimostrò all'altezza. Chiacchierarono delle condizioni del fratello e di quello che era accaduto.

Lo osservava rilassarsi, accennò anche a un breve sorriso. Lo ascoltò senza interromperlo mentre parlava del suo matrimonio e del lavoro. Passarono una buona mezz'ora in tranquillità.

"Avrei voluto portarti in un locale carino e invece guarda dove siamo, e poi ho parlato sempre io."

"Per me va bene lo stesso." Lei strinse gli occhi verdi.

"La prossima volta mi racconterai di te, davanti a una cena che ne meriti il nome." rifletté sorridendo.

Non era pronta per un rapporto diverso. Che cosa poteva raccontagli una puttana come lei. Perciò si ritrasse impaurita. Fu acida.

"E chi ti ha detto che avrei accettato di uscire con te?"

James sorpreso inciampò nelle parole.

"Credevo che ti sarebbe piaciuto stare con me. Che ci fosse un certo filling!"

"Non correre, ci conosciamo appena. E sei nel mezzo di un tornado di emozioni."

"Hai ragione, sai tutto di me, invece io so solo il tuo nome." Brontolò il giovane.

"Ci sono cose di cui non amo parlare." ribadì scontrosa, cercando di evitare di scoprirsi.

"Nemmeno con me che ti ho vomitato nel bagno? Cosa c'è di più intimo di quello." Grugnì ironico per attenuare l'inquietudine.

Rise e gli accarezzò la guancia con un filo di barba. "Beh, su questo non hai torto!"

Incoraggiato le prese la mano e la tenne con delicatezza.

"Ti ho messo in pericolo. Lo sai vero? Come farò a proteggerti? Se da una parte ho pensato alla mia famiglia ti ho gettato allo sbando."

Sorpresa replicò. "Credi che tua moglie possa odiarmi fino al punto di vendicarsi di me?"

"Se non lei, potrebbe il padre." disse convinto. "Devi fare attenzione."

Turbata si sciolse dalla sua stretta, forse tutto stava andando troppo in fretta e sentiva soltanto il rimorso di averla messa nei guai.

Quel gesto spiazzò James che rimase silenzioso, la testa bassa.

"Non detestarmi, sto provando a prendermi le mie responsabilità. Non posso proteggerti, almeno per ora e non me lo perdonerei se ti succedesse qualcosa."

Incupito, iniziò a strappare il tovagliolo di carta in piccoli pezzi, si dibatteva tra la situazione in cui era precipitato e lei.

Vide il suo bel volto rattristarsi e prese una decisione dolorosa.

Doveva allontanarlo, non poteva dargli anche quel peso da portare. Non ora che stava cercando di ricucire la sua vita spezzata. Chissà se possedeva la consapevolezza di quello che lo aspettava: Un divorzio, il lavoro che avrebbe perso, il fratello ferito, la gelosia di Gabriel e.... lei.

Si sarebbe rotta dentro, ma decise che era giusto farlo.

Fosse in pericolo o meno.

Asserì freddamente sapendo di mentire.

"Non essere assurdo. So chi chiamare. Credi che una donna possa fare una professione del genere priva di una protezione?"

La osservò stupito, evidentemente non aveva mai pensato a un ruffiano alle sue spalle. "Stai mentendo, non ho mai visto nessuno dalle tue parti." Rispose piccato.

"E come avresti potuto? Sei venuto poche volte. Ho un protettore." ripeté sicura di sé.

"Ma se sono rimasto a casa tua tutta la notte! Mi sei stata vicina assistendomi. Dov'era questo presunto personaggio?"

"Dove doveva stare." Sbottò infastidita evitando ulteriori spiegazioni

"Forse hai interpretato male il mio atteggiamento. Dovevo dei favori a Gabe."

Si alzò, gli sfiorò la guancia con il cuore che si frantumava.

"Ho fatto ciò che era necessario per ripagargli un favore. Ora va da Ben e lasciami andare a lavorare. Ho perso clienti per colpa tua."

Sbalordito da quel voltafaccia, scoppiò rabbioso.

"Ho respinto Margot pensando che tu fossi diversa, che provassi qualcosa...e invece..."

"Non mi conosci James, lo hai detto prima, non sai nulla di me, ed è ora che impari a metterti in riga."

Si girò e lo lasciò senza che potesse replicare.

Imprecò, sbattè le mani sul tavolo.

Non si voltò con le lacrime che le scendevano copiose sul volto mentre se ne andava dal saint Bart. Provava un sentimento che pensava di aver sepolto da anni, ma non si sentiva sicura di lui né di quello che li aspettava. La paura di innamorarsi la bloccava. Che diritto aveva di coinvolgere quell'avvocato brillante nella sua vita da sgualdrina? In più c'era Lise.

Prese il cellulare e inviò un messaggio a Gabriel.

"Hai ragione, non voglio che James si illuda, è in un momento complicato ed è insicuro. Meglio per tutti che mi allontani. Sono una escort! La persona più sbagliata che potesse incontrare."

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