Capitolo 19: Elaine e Eliot

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La serratura iniziò ad emettere degli scricchiolii, proprio mentre Amelia era appena uscita dalla vasca.

«Zaira, hai fatto?» chiese Noah varcando la porta con un vassoio in mano.

Amelia si sentì impietrita quando sentì la voce del suo amico rimbombare per tutto l'appartamento. Si fermò di scatto, con in mano la borsa porta oggetti, dove stava cercando i suoi vestiti e l'intimo.

Appena il ragazzo alzò lo sguardo, la vide nuda di spalle. La sua pelle era così candida, bianca, pura. Gli dava una sensazione di benessere soltanto a guardarla da lontano. La schiena così perfetta e senza alcun segno di imperfezioni come nei o graffi.

I capelli neri, che erano bagnati, scendevano lungo di essa e mettevano ancora di più in risalto il colore della sua pelle, facendo contrasto.

«Per favore potresti girarti?» chiede gentilmente la ragazza, cercando di coprirsi con una mano il sedere.

Noah rimase imbambolato a guardarla, osservarla, finché lei gli chiese di nuovo di voltarsi.

«Oh, si scusami!» Rispose dirigendosi verso il grande divano che dava di spalle alla vetrata.
«Ho portato delle cose da mangiare, se vuoi...» disse alzando il vassoio per farglielo vedere.

«Gr-grazie...» balbettò Amelia, ancora imbarazzata.

Nessuno l'aveva mai vista così, tranne Newt, qualche volta prima di fare l'amore. Cercava sempre di nascondersi sotto di lui per non farsi vedere nuda del tutto.

Prese una tuta grigia e una felpa che potesse coprirla il più possibile, non era il suo stile, ma voleva che nessuno vedesse il suo corpo.

«Stai, stai meglio?» chiese Noah, cercando a tutti i costi di non voltarsi e guardarla vestirsi.

«Perché cerchi di aiutarmi?» domandò Amelia, infilandosi il felpone nero.

«Beh, sei nuova e...» rispose fermandosi, non voleva continuare la frase, non c'era un vero perché. Voleva aiutarla e basta, in tutto. Nello studio e non solo.

«E?» domandò a sua volta, girandosi verso di lui che era di spalle.

«E basta, non c'è niente di più» rispose secco, giocherellando con la carta del vassoio.

Fu una risposta a doppio taglio: sollevò la ragazza, ma la ferì. Credeva che fossero amici, ma dalla sua risposta capì che era solo un dovere, per non deludere la sua amata preside.

«Bene.» Amelia era furiosa con lui, così prese le sue cose e corse fuori da quella stanza prima che il ragazzo potesse ribattere.

Entrò nell'ascensore più in fretta possibile, con l'immagine di Noah nella mente, che la guardava uscire di lì. Inserì il codice per arrivare alla sua stanza e attese fra una sbuffata e un'altra.

Varcò la porta, lanciò la borsa sulla scrivania e si buttò letteralmente su quel vecchio letto.
Priscilla, invece, era sul davanzale della piccola finestra, che guardava fuori e si divertiva a soffiare contro gli uccelli anche se non la sentivano.

Riuscì a chiudere gli occhi e a non pensare a niente per pochi minuti, perché qualcuno che bussò alla porta, la fece tornare sulla Terra.

Si alzò dal letto, sbuffando.
Questa giornata sarà infinita, pensò dirigendosi verso la porta.

«Ciao...» esordì Elaine, salutandola scuotendo la mano davanti a sé.
Era troppo gentile per entrare direttamente nella stanza.

«Ciao, prego!» esclamò Amelia, spostandosi e facendola entrare.

La gemella era così dolce, esile, così hippie. Era sempre felice e spensierata.

«Ho saputo di quello che è successo, oggi...» disse sedendosi sul letto, mentre Amelia era poggiata sulla scrivania.

«Ho pensato che ti servisse un po' di supporto morale...» sorrise, era veramente gentile. Amelia non aveva mai conosciuto una persona più buona di lei.

«Non ce la faccio più!» esclamò la ragazza, posando le mani sul volto.

Lo sapeva, stava per crollare. Voleva piangere, ma preferiva farlo da sola. Sapeva che ricordarle quelle che era appena successo, l'avrebbe fatta crollare.

«Vieni qui...» ordinò Elaine, che aprì le braccia in attesa che si sedesse accanto a lei.

«Sono più di venti giorni che sono qui e ho già perso tutto!» esclamò Amelia.

Singhiozzava, piangeva. Aveva la felpa tutta bagnata di lacrime, non piangeva così dalla sera in cui scoprì che nella sua serie tv amata, veniva ucciso proprio il suo personaggio preferito.

Si sentiva morire dentro. In quel poco tempo aveva perso: il fidanzato, un amico, le sue abitudini a casa, la scuola e la nuova professoressa che iniziava a piacerle.

«Sembra che da quando sono qui, mi capitino solo sciagure!» esclamò ancora.

Elaine era la, che la consolava, le accarezzava i capelli mentre Amelia piangeva sulle sue ginocchia.

«Hey! D'altronde è un mondo magico, più grande del normale: quindi più problemi...» rispose la ragazza, ma riuscì soltanto a peggiorare le cose.

«Voglio andare a casa!» singhiozzò ancora e pulendosi con la felpa il naso gocciolante.

«Non sono brava a consolare, ma posso dirti che, sorridendo e a testa alta, riuscirai a risolvere tutto...» disse la ragazza. «Ci sono io, c'è la tua amica umana, tua zia...» disse ancora.

Amelia si alzò a sedere, ascoltando le parole della sua amica che forse aveva ragione.

«Quindi forza...» disse spostando i capelli scuri della ragazza e portandoli dietro l'orecchio.

Tirò su con il naso e poi sbuffò di nuovo.
Aveva le guance rosse e rigate dal pianto, gli occhi così gonfi che sembravano stessero per scoppiare.

«Ora hai bisogno di svagarti un po'!» esclamò la ragazza alzandosi in piedi.

Aveva un vestito celeste, molto attillato, con disegnate delle margherite. E uno scaldacuore bianco sulle spalle.

«Ti porto in un posto che, credo, nessuno ti abbia mai mostrato!» esclamò saltellando e battendo le mani come una bambina.

Ormai, Amelia aveva perso le speranze di rimanere da sola nella sua stanza a pensare, ma forse la sua amica aveva ragione, doveva svagarsi un po' e togliersi dalla testa quella nube nera.

Entrarono nell'ascensore e Elaine digitò "00000" sulla tastiera. L'abitacolo si mosse più veloce del normale, anche se Amelia era quasi riuscita ad abituarsi, sentiva quasi che stesse per vomitare. L'elevatore si fermò di botto per poi aprire le porte dopo qualche secondo.

Varcarono la porta e Amelia fu sorpresa da un profumo di fiori.
Un giardino sotto la scuola? Pensò.

L'erba era fresca, appena tagliata, si poteva sentire l'odore. Al centro c'era una fontana a due piani, dove l'acqua scorreva indisturbata e c'erano anche alcuni pesciolini che sguazzavano all'interno.
Un sole artificiale, naturalmente un incantesimo, riscaldava l'ambiente e mostrava tutti i colori scintillanti di quel giardino.

«Vieni!» esclamò Elaine, richiamando l'attenzione della ragazza.

L'invitò a sedersi su una panchina di legno, dove da lì, potevano ammirare tutto il paesaggio. Il cinguettio degli uccelli accompagnava il relax delle ragazze.

C'erano aiuole colorate da fiori di mille tipi: margherite, giacinti, rose e tulipani. Amelia amava quell'accostamento di colori.
Inoltre, alti pini governavano il cielo celeste fatto dall'incantesimo.

«È rilassante, vero?» domandò la ragazza che vedeva Amelia così presa da quel giardino.
«Io e mio fratello veniamo qui spesso, dopo le lezioni.» alzò lo sguardo verso il cielo. «E ogni tanto vedo anche il tuo gattino!» una piccola risatina accompagnò la frase della ragazza.

Amelia sorrise veramente, almeno una volta in quel pomeriggio; si stava godendo il sole che accarezzava la sua bianca pelle.

«Credi che Noah mi stia prendendo in giro?» domandò all'improvviso, rompendo il silenzio che si era creato. «Intendo, con la sua amicizia» sottolineò.

Elaine scosse la testa e la mandò all'indietro chiudendo gli occhi.
«È sempre stato così...» rispose alzando il capo. «Fin da quando è arrivato anni fa, sono stata io ad aiutarlo per la prima volta...» ammise la ragazza, incrociando le gambe sulla panchina.

«Mi ha detto che vuole solo aiutarmi e niente di più...» sospirò, mettendosi anche lei nella stessa posizione della sua amica.

«E aiutarsi non è essere amici?» domandò con tono stupito. «Io ti sto aiutando e sono tua amica.» spiegò alzando le spalle.

Amelia non rispose. Forse aveva ragione, pensò. Iniziò a pensare che abbia avuto una reazione troppo esagerata per una frase che non aveva capito.

«Posso farti una domanda?» chiese Amelia, cercando di cambiare discorso.

«Certo!» rispose la ragazza, voltandosi verso di lei.

«Chi è che vi da la caccia?» domandò con troppa superficialità.

Il volto di Elaine si spense. Amelia capì che non doveva toccare quell'argomento e chiese subito scusa, portando lo sguardo sulla fontana di fronte a loro.

«Non preoccuparti. Ti racconto se vuoi!» rispose prendendosi una ciocca di capelli e arrotolandola al dito.

Amelia si posizionò in modo che potesse ascoltare tutto quello che la sua amica le confidava.
Si voltò verso di lei, poggiando la testa sul palmo della sua mano.

«Tutto iniziò quando io e Eliot compimmo 189 anni.» iniziò a parlare, rimanendo a guardare davanti a se, come se visualizzasse i ricordi nitidi nella mente.

«Mio padre, ovvero Dio, ci ha scoperti mentre ci scambiavamo effusioni. Da quel giorno tolse i poteri ad entrambi e ci condannò a vivere per sempre qui, sulla Terra. Ne abbiamo passate di tutti i colori, persecuzioni, sparatorie, abbiamo vissuto per secoli sotto i ponti. Non avevamo niente, nessuno ci aiutava, non avevamo una lira!» esclamò, fermandosi un attimo.
Nei suoi occhi si leggeva il dolore di quei anni.

«Poi nel 1912, arrivammo qui. Althea era ancora giovane, insegnava storia delle streghe...» alzò lo sguardo al cielo, non voleva far vedere le sue lacrime.

«Ci accolse come una mamma, una vera mamma...» continuò tirando su con il naso.

«Se non vuoi continuare...» si intromise Amelia, vedendo l'amica che nel raccontare la sua vita stava soffrendo molto.

Elaine alzò la mano come per interrompere le parole della ragazza e continuò a parlare.

«Siamo qui da quasi un secolo. Ho visto Althea crescere e gli voglio un mondo di bene. Devo tutto questo a lei...» spiegò ancora.
«Ma da quando Dio ci ha tolto i poteri, siamo vulnerabili, possiamo essere toccati da altri Dei. E Lucifero è uno di quelli che ci da la caccia.» disse infine.

Amelia era rimasta scioccata dalla confessione della sua amica. In quel lasso di tempo aveva visto una parte di Elaine, che in quei venti giorni, non aveva mai mostrato. Era sempre così sorridente e felice, non sembrava che nascondeva un passato così tormentato.

«Questo intendevi quando mi hai urlato in faccia la prima volta?» domandò ridendo, ricordando il loro primo incontro.

Elaine annuì, aggiungendosi alle risate della sua amica e facendo scomparire ogni pensiero negativo nella sua mente.

«Ma perché? Perché vi da la caccia? Cosa avete fatto di male?» domandò Amelia, tornando seria.

Mille domande frullavano nella testa della ragazza, voleva sapere di più. Voleva sapere perché tutto quel male verso due ragazzi che vogliono solo amarsi?

«Semplice. Io e Eliot siamo la rappresentazione fisica dell'amore fra Dio e Nasya.» rispose alzandosi in piedi e sistemando il vestito.

«Ah, geloso?» chiese ancora, alzando lo sguardo verso la sua amica che annuì.

«Io devo andare, saliamo insieme?» domandò.

Amelia rimase un po' turbata dalla confidenza della sua amica, voleva prendersi lei metà del dolore che provava. Tornò immediatamente nella sua stanza, cercando di addormentarsi e aprendo la mente.

Quando entrò in camera, sul letto c'era un pacchettino che Amelia non aveva mai visto o messo lì.

Un bigliettino era piegato e inserito sotto il filo che chiudeva la carta. Amelia lo prese e molto confusa lo lesse.

«Avevi dimenticato queste cose da me. L'ho fatte lavare. Faccina sorridente.» disse ad alta voce.
«Noah?» esclamò.
Un brivido partì dalle sue mani, dove aveva il biglietto, fino al petto.

Aprì il pacchetto e trovò i panni che indossava poche ore prima e non erano più sporchi di sangue.

«Mi sono comportata proprio da stupida!» esclamò gettandosi sul letto.

Aveva il cuore a mille, ma non si spiegava il perché di tutta questa emozione. Poi improvvisamente ripensò a quando la vide nuda e un imbarazzo pervase il suo corpo.

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