XXIII. Volubile

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Sono sospesa a mezz'aria, avvolta tra le braccia di Ander, e il mio cuore palpita all'impazzata. I polmoni reclamano aria, ma dal momento in cui è apparsa questa ragazzina l'ambiente sembra essersi ristretto tutt'un tratto. Ander, dietro di me, ha smesso di ridere, e la sua presa si è fatta più stretta, come a volermi inghiottire per portarmi via da lì.

La ragazzina è rimasta in silenzio mentre la sua espressione è mutata: da interdetta si è fatta confusa, poi un sorriso sfrontato le ha alterato i lineamenti docili, quasi da bambina.

Ha il viso allungato contornato da morbide onde scure, i suoi occhi sono tondi e nocciola, ha il naso a patata leggermente schiacciato e labbra gonfie e sporgenti. Ci osserva con sguardo clinico, facendo saettare le iridi da Ander, immobile dietro di me, alle sue mani che mi stringono e mi tengono sollevata a mezz'aria, infine al mio viso paonazzo.

Sbatte ripetutamente le ciglia con aria innocente e il suo sorriso si allarga mentre punta dritta nella nostra direzione. Solo a questo punto Ander pare rinsavire e mi lascia andare, poggiandomi delicatamente a terra e imprecando sottovoce contro la piccola arpia lingua-lunga.

«Tu sei Hilda» dice con voce sottile e acuta, rivolgendosi direttamente a me e ignorando del tutto suo fratello, poi continua prima che io possa replicare: «Io sono Natasha Dudiez».

Tende il braccio verso di me ed io le stringo la mano, scoprendola forte e ferma. Avrà all'incirca tredici anni ma le sue mani sono già più possenti delle mie, gracili e ossute.

«Non mi hai detto che sarebbe venuta con te» Natasha reclama le sue attenzioni dal fratello senza mai smettere di studiarmi. I suoi occhioni percorrono la mia figura, ancora troppo vicina a quella di Ander – troppo schiacciata contro il suo corpo, troppo controllata dalle emozioni che mi provoca anche se non voglio – e io mi sento un pesce fuor d'acqua che annaspa per sopravvivere.

«Devo comunicarti tutti i miei spostamenti?» domanda lui stizzito, e anche se non mi tiene più tra le sua braccia posso comunque percepire i suoi muscoli irrigidirsi contro le mie spalle.

«Sì, se includono portare una ragazza a casa senza dirmelo e tenerla in braccio nel soggiorno» replica lei con un tono affilato che sembra esser abituata a sfoggiare. Ha la voce un po' stridula, da bambina, ma le sue parole sono pungenti come quelle di una donna.

«Che cazzo, Tasha, dejame en paz» si sta innervosendo sotto gli occhi inquisitori della sorella.

«Cabrón» è la sua risposta laconica, condita del sorriso strafottente di chi sa di essere dalla parte del giusto e ha tutta l'intenzione di fare valere i suoi poteri.

Io assisto in silenzio a quello scambio di battute, notando quanto i due siano simili: stesso sorriso impertinente, stessi occhi nocciola, stesso spirito sfacciato. Persino le loro lingue accarezzano le parole in quell'idioma a me ignoto con la stessa musicalità.

«Mamma dice che è vietato dire cabrón in questa casa» una nuova voce giunge alle mie spalle, spingendomi a voltarmi in quella direzione.

Due bambine se ne stanno in piedi accanto all'ingresso; due bambine identiche. Ciondolano sui piedi fasciati dalle ballerine e i capelli leggermente mossi ondeggiano sulle loro spalle. Sono più chiari di quelli di Tasha e Ander mentre i loro occhi più scuri, quasi neri.

«Ecco, brave le mie princesas» anche Ander si volta verso di loro, spalancando le braccia e lasciando che le due bambine gli corrano incontro. Le solleva entrambe fingendo di soffrire sotto il loro peso e le due ridono di gusto, lasciandogli ognuna un bacio per guancia.

«Siete due voltafaccia!» anche Tasha si avvicina, tirando loro un pizzicotto sulle gambe e rimediando in risposta due linguacce.

Trattengo a malapena una risatina, divertita da quel quadretto familiare, e attiro nuovamente la loro attenzione su di me. Adesso quattro paia di occhi mi osservano curiosi con lo stesso cipiglio divertito e impertinente. Sono dannatamente inquietanti.

«Tu sei Hilda» dicono le due bambine in contemporanea, ancora in braccio ad Ander. Lui ridacchia, poi le lascia scendere dicendo: «Non parlate insieme, la spaventerete».

Di tutta risposta le due bambine rifilano anche a lui una linguaccia prima di rivolgersi direttamente a me.

«Io sono Josefina» dice la prima, «Io sono Marisol» la segue la seconda e in un istante ho già dimenticato chi sia una e chi l'altra tanto sono simili.

«È bella» dice una delle due voltandosi verso Ander. L'altra annuisce con forza mentre Tasha soffoca una risatina osservando il fratello, che punta i suoi occhi su di me e mi studia con cipiglio attento.

Pare che mi stia guardando solo ora per davvero, senza fette di prosciutto sugli occhi, e io temo che adesso possa notare quanto io sia gracile, con i miei spigoli ossuti e gli angoli aguzzi, appuntiti come aculei di quella rosa che sta combattendo.

Mi stringo nelle spalle cercando di nascondermi, di celare gli anfratti acuminati del mio corpo al suo sguardo clinico, e per fortuna a salvarmi ci pensa la porta di casa.

Ne entrano due persone. Una è Lucrecia, avvolta in un lungo cappotto color cammello e con i capelli perfettamente arricciati che le incorniciano il viso. Rivolge un saluto distratto alle sorelle e ad Ander e si rivolge a me con un disinteressato cenno del capo. Non dovrebbe aver assistito all'attacco di gelosia nei confronti di Ander la notte del falò, ma nel dubbio arrossisco.

L'uomo, invece, si presenta con Fernando Ortega, il marito di Maricruz e padre di Rocio e delle gemelle. È alto quanto Ander ma i due – com'è ovvio che sia – non si somigliano per nulla.

A questo punto compare anche Rocio, con le mani sporche di nero e un po' sudata a causa del ruolo assegnatole. Mi rivolge un ampio sorriso cordiale, lascia un bacio sulla guancia di suo padre e poi sparisce su per le scale per prepararsi.

Io e Ander diamo una mano dove serve, improvvisandoci fiorai e cuochi, finché i primi ospiti non iniziano ad arrivare e lo perdo nel marasma di persone che popola il salotto. Non che mi dispiaccia essermi separata da lui, è quello che avrei voluto fin dall'inizio, tuttavia, percepisco il suo sguardo perennemente addosso e avverto il mio corpo fremere se casualmente poso gli occhi su di lui.

Questo non va bene perché i sentimenti rendono deboli e io combatto con tutto l'ardore di cui dispongo. Eppure, nessuno ha mai accennato al fatto che combattere contro se stessi è sfiancante, ti consuma dall'interno, e persino sforzarsi di non cercare i suoi occhi nocciola tra le gente determina un notevole dispendio di energie.

Ma io resisto perché sono forte in battaglia e non mi tiro indietro, non ora che sto imparando a placare gli istinti e controllare il mio corpo, anche quando questo sembra scosso da fremiti viscerali e suoni gutturali premono per uscire dalla mia gola se mi è troppo vicino.

Melanie riporta Maricruz a casa in perfetto orario, quando ormai tutto è sistemato e manca solo urlare «Sorpresa!» alla festeggiata. Una lacrima le pizzica gli occhi quando nota ciò che hanno preparato, ma la caccia via per sostituirla con un sorriso riconoscente.

È una bella donna, dalle forme procaci e il viso liscio, senza ruga alcuna. Ha i lineamenti delicati ed eleganti di Lucrecia e occhi nocciola come Ander e Tasha, mentre i suoi capelli sono più chiari, come quelli delle gemelle.

Stritola i suoi figli in un abbraccio, poi dà un bacio mozzafiato a Fernando e infine borbotta qualche impropero in spagnolo verso Melanie prima di fiondarsi tra le sue braccia. È allegra di un'allegria contagiosa, di quelle in grado di farti sorridere anche se è una giornata triste.

Infatti ho le labbra arricciate in un sorriso spontaneo quando Ander si siede accanto a me sul sofà, sprofonda su di esso con un pesante sospiro e si lamenta di una qualche prozia impicciona.

«Oh, piccolo Dudi» mi faccio beffe di lui afferrandogli una guancia tra pollice e indice e tirando leggermente la pelle elastica.

«Piccolo Dudi un corno» si lamenta, afferrandomi il polso per impedirmi di continuare. Io rido del suo cipiglio seccato e lui sospira ancora, sprofondando nel sofà.

«Non ho più cinque anni» afferma piccato, incrociando le braccia sotto al petto.

Io sgrano gli occhi sorpresa, poi domando: «Cosa?! Davvero? Non l'avrei mai detto...».

Ander mi incenerisce con lo sguardo – lo stesso sguardo fulminante di Lucrecia sulla spiaggia – e quasi mi spavento quando un sorriso beffardo gli arriccia le labbra.

«Te la faccio passare io la voglia di prendermi in giro» minaccia sporgendosi verso di me. Io indietreggio sul sofà fino a raggiungerne il bracciolo mentre lui mi segue con il corpo – un cipiglio irriverente gli attraversa le iridi quando si rende conto che ormai sono in trappola.

Ed ecco di nuovo il formicolio, i brividi sulla colonna vertebrale che si spandono per tutta la schiena, il cuore che palpita impazzito, facendo vibrare lo sterno e la gabbia toracica.

Ander solleva un sopracciglio e il sorriso si piega, pronunciandosi su un solo lato. Le fossette, onnipresenti, regalano a quel viso malizioso un'espressione ancora più furba.

Deglutisco a fatica – i polmoni che si accartocciano alla ricerca di aria – e brucio sotto i suoi occhi nocciola. Mi studiano attenti, posandosi su ogni lembo di pelle lasciato scoperto: i polsi ossuti, il collo pallido, le clavicole sporgenti, la mascella rigida.

«A-Ander... fermo» biascico, allungando una mano nella sua direzione per arrestare la sua avanzata. Non siamo soli in questo salotto, anche se la maggior parte della gente è concentrata dalla parte opposta, ma a me pare che ci sia solo lui tanto è potente l'attrazione che è in grado di esercitare nei miei confronti.

E più tento di allontanarlo più vengo risucchiata dal suo vortice.

Lui e i suoi occhi nocciola, lui e i suoi sorrisi irriverenti, lui e le sue mani roventi... e io brucio dall'interno di questo fuoco glaciale che mi provoca autocombustione, che ho tentato invano spegnere e che mi sono illusa di poter controllare.

Illusa, ecco cosa sono. Io non forte, sono debole proprio come i miei sentimenti, mi lascio trascinare dagli istinti e come cristallo vado in frantumi tra le braccia di Ander.

Una pioggia di applausi interrompe quella lotta di sguardi e lui si allontana giusto in tempo per vedere Melanie farsi spazio tra gli ospiti con una torta tra le mani. La adagia sul tavolo addossato alla parete, proprio di fronte ai posti occupati da me e Ander, ci rivolge un occhiolino complice e si allontana per far spazio a Maricruz.

Ander ride di gusto quando sua madre infila un dito nella panna della torta e se lo porta alla bocca, spalancando gli occhi in un'espressione colpevole quando il flash di una fotografia la coglie sul fatto.

Le gemelle, accanto a lei, la imitano, mentre Rocio le rimprovera e Fernando guarda la moglie con aria assorta. È uno scambio di sguardi d'amore, di passione – noto il fuoco che emanano entrambi e le scintille che scoppiettano quando sono vicini.

«Sono così innamorati» dice una donna poco distante da noi, osservando Maricruz e Fernando con aria sognante, gli occhi lucidi d'emozione e le mani congiunte sul petto.

Ander sposta lo sguardo su di lei, riconoscendo probabilmente una delle diecimila prozie da cui è stato strapazzato questo pomeriggio. Le rivolge uno sguardo piccato, irrigidendo la mascella e lasciando che gli occhi si riducano a due fessure.

Quella reazione mi lascia interdetta: si è rivelato amorevole con tutti gli ospiti, dispensando complimenti e sorrisi e rimediando pizzicotti e domande inopportune, dunque proprio non mi spiego perché all'improvviso sia sulla difensiva.

«Però quando ha lasciato papà era solo una peccatrice» soffia piano e per un momento sono tentata di domandargli se vada tutto bene, ma poi scuote la testa come a scacciare dei pensieri invadenti e sbatte ripetutamente le palpebre per distrarsi.

«La gente è volubile, fatina» asserisce convinto, lasciandomi uno schiaffetto affettuoso sulla coscia per poi stamparsi sul volto un ampio sorriso e raggiungere la famiglia per le foto di rito.

Mi lascia così, seduta sul sofà, rovente e glaciale, a rimuginare sulle sue parole.

La gente è volubile, lo so... io ne sono l'evidenza maggiore. Io che ti voglio vicino per poi allontanarti, anelo le tue labbra e le rifuggo, sprofondo nei tuoi occhi e riemergo ansante per fuggire lontano. Il tuo tocco mi brucia dall'interno, ma io sono ghiaccio.

E lo sono anche se non voglio.

Insomma, Hilda proprio non ce la fa ad accettare di essersi presa una cotta come qualsiasi persona normale... Misà proprio che vi farà dannare 😇

Però, in compenso, troviamo ben due volte il titolo, che vorrà pur dire qualcosa, no?! Anzi, l'ultima frase lascia persino ben sperare! Ma ci fidiamo? 👀

Luna Freya Nives

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