XXV. Nachos

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Credo che al mondo non esista un'altra città che io possa apprezzare come San Francisco. Mi sono trasferita qui senza troppe aspettative, timorosa circa la mia incapacità di ambientarmi in un luogo così lontano da casa e così grande rispetto a ciò a cui io sono abituata.

Questa città mi ha ammaliato, catturandomi con i suoi colori accesi, i murales decorativi e le scalinate così affascinanti che, se non imparo a prestare maggiore attenzione, finirò per capitombolare da sopra in giù.

Inizialmente era tutto nuovo e distante, ora riesco a sentire ogni anfratto di questo posto. Ho imparato a orientarmi tra le strade tortuose e ricche di tornanti, a lasciarmi avvolgere dall'arte che fuoriesce da ogni pertugio e persino la nebbia, che in principio trovavo fastidiosa, ora la accolgo come un mantello ad avvolgermi le membra.

Nel momento in cui Ander mi ha proposto di fare un giro per la città insieme non ho saputo declinare l'invito. Nonostante si tratti di Ander, nonostante io nutra dei sentimenti contrastanti nei suoi confronti, nonostante in questi ultimi giorni sia sparito.

Dopo ciò che è accaduto nel giardino di Veronica – pensarci a posteriori mi provoca una risa assurda... cavolo, ho baciato Ander a casa della sua ex! – ci siamo avvicinati molto. O meglio, lui si è avvicinato e io sono stata costretta ad accettare di buon grado la sua presenza.

Non che mi dispiaccia d'altra parte, ma questo non lo ammetterei nemmeno sotto tortura...

Credo che Natalie gli abbia raccontato ciò che è successo pochi giorni fa al termine delle lezioni, e credo altresì che lui sia sentito in colpa per non essere stato con me in quel momento. Io non sono d'accordo, ma se il suo modo per scusarsi è farmi da cicerone in giro per la sua città... ben venga.

Per questo camminiamo verso la sua auto, accanto a cui si trovano le sorelle.

Lucrecia sta masticando una gomma ed è assorta nella contemplazione del cellulare, con i capelli corvini che creano un mantello di onde intorno al capo; si accorge di noi solo quando Rocio –poggiata allo sportello posteriore – si raddrizza e ci saluta allegramente.

«Ciao Hilda! Vieni a casa?» domanda interessata dopo aver salutato il fratellastro mentre lui le passa una mano sul viso in una carezza dolce.

«Vi serve l'auto? Avevamo intenzione di farci un giro» risponde invece Ander, fissando Lucrecia che è ancora in silenzio. La sorella sbuffa portando gli occhi al cielo, poi biascica un saluto incomprensibile e si infila in macchina, sul sedile anteriore.

«No, nessun problema» è la replica di Rocio, che continua a sorridere allegramente e tiene aperta la portiera posteriore per farmi entrare.

Il viaggio sarebbe stato silenzioso e imbarazzante se non fosse stato per lei, che non ha mai smesso di ciarlare del più e del meno ed ha cercato di coinvolgere tutti nella conversazione. Io non effetti non ho interagito granché, ma se non altro non mi sono sentita estremamente fuori luogo come ogni volta che Lucrecia posa lo sguardo su di me.

Per fortuna la scuola non dista eccessivamente da casa Dudiez-Ortega, per cui non ci vuole molto prima che Ander svolti nel vialetto. Lì, sulla veranda, ci sono Maricruz e Melanie.

La seconda è di spalle e di lei si distingue perfettamente la zazzera di capelli corti che si ritrova sul capo. Maricruz, invece, è sempre posata e sorridente.

Rocio e Lucrecia scendono e si avvicinano alle due donne, mentre Ander suona il clacson per attirare la loro attenzione. Si sbraccia in segno di saluto, poi si rivolge a Melanie dicendo: «Ti rubo Hilda per il pomeriggio, facciamo un giro per San Francisco».

Melanie fa un cenno di assenso con la mano comunicandoci di aver compreso, così saluto anch'io le due donne e Ander esce in retromarcia dal vialetto.

«Sei stata alle case vittoriane?»

«Ovviamente, le seven sisters sono una delle mete più conosciute di San Francisco.»

«No, io intendo alle four seasons» ridacchia mentre ingrana la marcia e inizia a seguire i tornanti.

In effetti no, le four seasons non le ho visitate, ma essendo case vittoriane deduco che siano molto simili alle altre, per cui domando che bisogno ci sia di recarvisi. Ander, di tutta risposta, mi incenerisce con lo sguardo, intimandomi di non azzardarmi mai più a paragonare le due attrazioni.

Sono rimasta a fissarlo per un po', inebetita. È bello, Ander, è stato uno dei primi pensieri che mi è balenato per la mente, salvo poi essere scacciato sul fondo a colpi di ghigni e irriverenza. Quelle qualità che in principio mi hanno infastidito ora le trovo interessanti. Anzi, attraenti.

Scuoto il capo, scacciando dalla testa il pensiero di Ander e ripercorrendo invece i primi giorni trascorsi a San Francisco, in cui non mi stava continuamente tra i piedi – o quasi, dato che me lo ritrovavo un po' ovunque, compreso Alcatraz e il cream.

Le painted ladies sono state tra le prime cose che ho visto dopo essere atterrata, quando la famiglia Budd ha deciso di accompagnarmi in un tour della città. Si tratta di sette villette a schiere attaccate l'una all'altra, distinte solo dai colori con cui sono state pitturate.

Per il resto sono identiche: stesse scalinate d'ingresso in marmo chiaro, stesso arco dipinto da attraversare, stessi frontalini bianchi in risalto, stesse colonnine bianche a delimitare le finestre... persino la stessa finestrella nel sottotetto!

Quando invece Ander rallenta e parcheggia in un paio di manovre di fronte a quelle che ha definito le sue case vittoriane preferite, la visione è ben diversa.

Innanzitutto, non ci troviamo in un luogo affollato come per le seven sisters – e deduco c'entri poco il fatto che non è la stagione turistica –, è un quartiere residenziale con negozi bizzarri e un'atmosfera nostalgica che fa venire da sorridere.

Ander mi posa una mano sulla schiena per invitarmi ad avanzare e sussulto a quel tocco inaspettato, immersa come sono nella contemplazione di questa via ricca di casette colorate in cui spiccano quattro gemelle.

Insomma, sono costruite tutte nello stesso stile, dunque presentano le solite scalinate d'ingresso chiare, l'arco davanti la veranda, i frontalini in rilievo e le colonnine a delimitare le finestre, ma nonostante queste analogie appaiono completamente diverse.

Lo stile vittoriano si percepisce anche grazie al gioco di colori e al chiaro-scuro, ma qui ogni rosone è decorato in richiamo alla stagione che rappresenta.

La prima, winter house, è senza dubbio la più particolare, non solo per il medaglione centrale in cui si nota un gigantesco fiocco di neve, ma soprattutto per i cornicioni decorati e il timpano sotto al tetto intarsiato di ghirigori dai toni contrastanti, sul verde-blu e il bianco.

La spiring house si presenta riccamente decorata con i cornicioni dai toni dorati, mentre la facciata color crema è abbellita dal medaglione rappresentante un vaso con i fiori.

Tenue è invece la summer house, con i colori glicine e panna che si alternano con il verde chiaro; l'elemento decorativo è qui rappresentato dai tralci di vite.

Infine, la fall house si staglia imperiosa nei suoi contrasti accesi, con il bianco che si insinua tra l'oro e il vermiglio e un fascio di grano a sottolinearne la stagione rappresentata.

Sono affascinata da ciò che i miei occhi osservano e pendo dalle labbra di Ander, che da bravo cicerone mi illustra le curiosità riguardanti queste case vittoriane. Non saprei dire quanto tempo trascorriamo così, l'uno accanto all'altra, persi nella contemplazione di quell'angolo di storia che pare infilato con la forza nella modernità di San Francisco, ma che si è adattato alla perfezione.

«Hai fame?» domanda infine Ander, riscuotendomi dai miei pensieri. Sul vuoto è ancora presente il sorriso beato che gli è spuntato non appena ha imboccato questa via, prima ancora di trovarsi dinanzi alle case vittoriane.

Non mi sono recata in mensa ad ora di pranzo perché io e Chris abbiamo consegnato il nostro progetto di scienze e necessitavamo di quell'ora per elaborare gli ultimi aggiustamenti e lui dev'essersene accorto.

In effetti il mio stomaco si contorce di tanto in tanto, ma credo che in questo caso sia imputabile alla presenza di Ander più che al mancato consumo di cibo. D'altra parte, chi sono io per smentirlo, soprattutto se ciò va a mio favore?

«Un po'» ammetto, massaggiandomi il ventre all'ennesimo brontolio. Beh, diciamo che adesso, alla vicinanza di Ander, si è aggiunta anche una discreta fame.

«Facciamo una passeggiata e poi ti porto a mangiare i nachos migliori di San Francisco» mi sorride allegro, invitandomi a precederlo verso il Golden Gate Park, ubicato nelle vicinanze.

Intanto una brezza si è levata dal mare, facendo svolazzare i miei capelli chiari e sferzando la pelle pallida come uno spillo. Rabbrividisco a quella corrente fredda e inaspettata, così Ander mi affianca e posa un braccio intorno alle mie spalle, stringendomi a sé per infondermi il suo calore.

Passeggiamo per un po' in silenzio, vicini e stretti in quell'angolo di verde della città.

Non si è più avvicinato così dopo che siamo stati sorpresi da Tasha nel salotto, quando lui mi stringeva tra le braccia e io bruciavo e mi dimenavo al suo tocco. Ovviamente ne sono lieta, voglio cercare di tenerlo a distanza, ma temo che non sarà semplice come credo.

Eppure pare che sia sulla buona strada, spero che abbia inteso che i sentimenti di pancia non fanno per me e che sto facendo di tutto per contrastarli, come vorrei che facesse anche lui. D'altronde, cosa può esserci di ragionevole in qualcosa che non è comandata dal cervello?

Nulla, per questo è destinata a perire, meglio se prima ancora di iniziare.

Quando torniamo all'auto sono così immersa nei pensieri da non poter dire con esattezza quanto abbiamo camminato, ma Ander pare non farci caso. Apre la mia portiera, lasciandomi un bacio tra i capelli svolazzanti a causa del vento mentre io entro nella vettura, poi si affretta a seguirmi.

Guida attraverso quei tornanti a lui noti, picchietta sul volante con lo stesso ritmo delle canzoni che si susseguono in radio e di tanto in tanto si volta a sorridermi, ammiccando in maniera irriverente quando scopre i miei occhi già su di sé.

Parcheggia lungo una strada trafficata quando ormai il cielo si sta scurendo e i toni aranciati predominano sull'azzurro tenue, regalandoci uno dei tramonti più belli che questa città possa offrire.

El techo – questo il nome del locale in cui ci troviamo – si sviluppa su una terrazza panoramica all'ultimo piano di un palazzo. Sotto un tendone dai toni chiari vi sono tavoli rialzati in legno lucido e sgabelli circolari adagiati su mattonelle color vinaccio.

Ander si avvicina al bancone, con piastrelle verdognole e una superficie lignea, e ordina alla ragazza in divisa i nachos e due drink, dopodiché mi prende la mano e mi conduce verso la balaustra, accomodandosi su uno sgabello e invitandomi a prendere posto di fronte a lui.

Delle stufe a funghetto disperse tra i tavoli riscaldano l'ambiente, rendendo piacevole la permanenza all'esterno nonostante il venticello fresco che non accenna a placarsi.

La mia mano è ancora intrappolata tra le sue quando arriva il nostro ordine e non accenna a mollarla. Il passaggio dei suoi polpastrelli rende la mia cute rovente, portandomi a verificare più volte se non stia davvero andando a fuoco.

Non mi stupisco quando non trovo fiamme visibili perché le percepisco direttamente nel mio petto, divampano intorno al cuore e stanno lentamente sciogliendo i polmoni, impedendomi di respirare.

Anche il cielo pare essersi accorto della mia autocombustione perché i toni aranciati hanno lasciato il posto a un rosso acceso che ha rubato la scena al sole. Osservare Ander in questo tramonto mi provoca brividi non riconducibili al suo tocco.

Quando, seppur con riluttanza, è costretto a lasciare la mia mano affinché entrambi assumiamo una posizione più comoda, mi perdo nella sfumatura dorata che assumono le sue iridi nocciola. Il cielo rossastro le illumina, facendo germogliare una scintilla di miele nei suoi occhi che mi fa incantare.

Questo tramonto pare un segno premonitore, preludio di qualcosa tra noi che sta definitivamente per cambiare.

«A che pensi?» domanda, interrompendo quel contatto. Ero talmente assorta nella contemplazione da non permettergli di comprendere che mi stavo perdendo nei suoi occhi.

«Che è bello» ammetto in un sussurro, sbattendo le palpebre per quella placida ammissione che non so con quale coraggio ho pronunciato e che Ander per fortuna non pare cogliere.

«Il cielo?» domanda, infatti, sollevando il capo per bearsi delle sfumature cupe che si stanno impossessando delle fiamme celestiali.

Tu penso.

Ma piuttosto che ammetterlo addento un nacho.

Era da un po' che non facevamo un bel giretto per San Francisco, dopo il Wave Organ in effetti (so che ve lo ricordate eheh) Documentandomi per questa storia mi sono innamorata della città, prima o poi voglio andarci anche solo per visitare questi posticini 😍

Un capitolo tranquillo, Hilda è piuttosto confusa e il finale... beh, mi fa troppo ridere. Non era programmato, doveva esserci una chiusa un po' più romantica con il commento sugli occhi di Ander, poi mi son resa conto che lui non sarebbe mai stato zitto mentre lei contemplava il panorama – mica il cielo, lui – e quindi niente, meglio abbuffarsi! 😂

Ci vediamo ovviamente venerdì, vi consiglio di tenere d'occhio Instagram (flyerthanwind_) perché in giornata posterò alcune foto molto belle ✨

Luna Freya Nives

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