Capitolo 24

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No fair

You really know how to make me cry

When you gimme those ocean eyes

I'm scared

I've never fallen from quite this high

Falling into your ocean eyes

Those ocean eyes

- Billie Eilish

Le sue palpebre tremarono, ma non ne vollero sapere di alzarsi. Un brivido gli scosse la schiena, obbligandolo ad avvicinarsi alla fonte di calore che gli stava proprio davanti. La cercò e la desiderò, fino a trovarsi del tutto ricoperto del tepore che tanto aveva bramato.

Un soffio caldo sul viso lo fece finalmente ridestare. Riuscì a socchiudere gli occhi mentre la luce del sole faceva restringere le pupille contornate da un mare di ghiaccio. Si concesse una boccata d'aria e poi dovette arretrare: il volto di Adam era a pochi centimetri dal suo.

Combatté con le coperte che volevano intrappolarlo e si permise un'occhiata all'amico solo quando fu a distanza di sicurezza. Il suo petto si muoveva lento e regolare, le ciglia lunghe gli sfioravano delicatamente le guance a malapena rosate.

I ricordi ci misero qualche istante a tornare alla mente di Alec, ma il ragazzo non li fece sfuggire e ripercorse tutto quello che era accaduto il giorno prima; tremò.

Alla sua destra, sentì il respiro dell'altro farsi più controllato, e quando tornò a esaminare la sua direzione i due zaffiri tanto familiari lo stavano studiando con un'attenzione improbabile da affibbiare a qualcuno che si era appena svegliato.

«Come stai?» fu la prima cosa che Adam gli domandò, spezzando l'armonia del silenzio.

Alec fece spallucce e lasciò andare ogni traccia di immagine relativa alla sera precedente. Era apparso fin troppo debole ed era in imbarazzo per questo. Così tanto che non fu in grado di emettere una risposta vera e propria.

Si mise seduto, invece, e si sgranchì le braccia stiracchiandosi. Probabilmente si era intorpidito perché aveva dormito tutta la notte addosso a Adam. Le sue guance si scaldarono al pensiero, ma se lo concesse perché l'amico era alle sue spalle e non avrebbe potuto vederlo.

Passò qualche attimo in cui l'unico rumore udibile fu quello del vento che sbatteva contro la vetrata limpida che dava sul balcone stretto ma lungo, poi Adam gli fu accanto in un fruscio di coperte.

«Ciò che stavi per dirmi ieri...» lo sentì mormorare, così piano che appariva come se non volesse parlarne davvero. Forse era così, forse temeva di ferirlo, vista la sua reazione del giorno precedente. Alec però non voleva apparire come qualcuno che poteva essere ferito con poche e semplici parole.

«Cosa vuoi sapere?» chiese con una finta spavalderia che in quel momento non gli apparteneva. Il cuore stava già iniziando la sua lunga corsa verso l'ignoto, ma Alec lo ignorò, sforzandosi per mantenere il respiro regolare e l'espressione neutra.

Adam scosse piano la testa a fianco al biondo, che riuscì a scorgere il movimento con la coda dell'occhio. Incuriosito, si voltò verso di lui per cercare di carpirne i pensieri.

«Qualsiasi cosa sia, non devi parlarmene ora. Me lo dirai quando sentirai il bisogno di farlo.»

La voce affabile gli rimbombò nella mente alcuni istanti prima che si decidesse ad accantonarla. Avrebbe voluto dire che avvertiva un bisogno più che impellente di sfogarsi con lui, ma avere un desiderio simile verso una persona significava dipendere da essa, e lui non aveva intenzione di aggrapparsi a Adam più di quanto già non facesse.

«D'accordo» fu la sua risposta, accompagnata da un breve cenno del capo. Sperò di non dover mai più fare riferimento a quella sera, era stato troppo debole, troppo espansivo...

Per fortuna Adam non proseguì con l'argomento, bensì iniziò a stiracchiarsi dicendo che era ora che andasse. Si sarebbero rincontrati a pranzo.

Alec annuì e rimase a guardare serio la porta che si chiudeva. Quando anche l'ultima fessura che gli permetteva di vederlo sparì, si lasciò cadere verso i cuscini, spinto da un senso di vuoto.

*

Passò il naso tra i capelli della ragazza per captarne il profumo. Negò a sé stesso il fatto che gli piaceva perché somigliava così tanto a quello di Adam, solo che era più femminile, più dolce.

Non aveva mai amato le cose troppo dolci, ma l'odore di Mya era bilanciato, forse sempre perché... Scosse la testa e scacciò il pensiero che stava per formulare, facendo strusciare le labbra tra la fronte e l'orecchio della maggiore dei Brass.

«Mi fai il solletico!» si lamentò lei in una risata, mentre segretamente gli dava un pizzicotto per avvertirlo che stava esagerando. Alec trattenne l'esclamazione di stupore e dolore per un pelo. I loro genitori erano nella stanza a fianco e potevano vederli e udirli benissimo attraverso il grande arco in legno intarsiato che collegava i due locali.

«Dove saranno Adam e Iris?» chiese sottovoce, cercando di far passare quella domanda per flirt. Sentì la ragazza rabbrividire, ma non se ne curò. Era troppo distratto dalla sparizione della sorella con il giovane Brass per dedicarsi qualche piccolo piacere.

A pranzo Adam l'aveva ignorato completamente, non aveva fatto altro che rivolgere le sue intere attenzioni a Iris. Sapeva che dovevano fingere che da quel giorno avrebbero iniziato stare insieme, ma non si aspettava che l'amico esagerasse tanto, e non era riuscito a capire cosa gli fosse preso. La sorpresa cominciava pian piano a tramutarsi in fastidio ora che non lo vedeva arrivare.

«Eccoli! La coppietta perfetta!» scherzò Mya ad alta voce, attirando l'attenzione degli adulti che parlottavano animatamente seduti a un tavolino al di là dell'arco.

Non fu dalla suddetta apertura che fecero il loro ingresso i due giovani in questione. Alec dovette voltarsi di novanta gradi per soffermarsi sulle dita intrecciate di Adam e Iris; il primo punto in cui gli cadde lo sguardo era anche l'unico dove i ragazzi avevano un contatto. Ma era presto per dirlo, infatti, dopo aver rivolto loro un cenno, la coppia si sistemò sul divano più lontano dal loro, strategicamente ben visibile dai capifamiglia, e in quel momento il tocco tra i due si estese, raggiungendo il livello di quello tra Alec e Mya, come da copione.

Una morsa invisibile strinse dentro il petto di Alec, il quale attribuì quel fastidio alla visione di Iris tra le braccia di qualcuno. Sin da quando erano nati, era sempre stata la sua adorata sorellina, più piccola ma inaspettatamente matura, e non l'aveva mai vista insieme a qualcuno. Nessun ragazzo che non fosse lui l'aveva mai toccata con tanta familiarità, non che sapesse. Eppure lei sembrava a suo agio, così come Adam al suo fianco. La naturalezza con cui le passava le mani tra i capelli gli faceva venire voglia di alzarsi e picchiarlo. Ma non poteva.

«Alec!» lo riscosse Mya, facendogli capire dal tono che non era la prima volta che lo chiamava. «Smettila di fissarli. Che ti è preso?»

Alec serrò i denti e si voltò verso di lei, unendo le loro labbra in modo brusco e inaspettato. Voleva, con un solo gesto, zittirla, scacciare le perplessità che forse aveva fatto nascere nei genitori, e – ma questo non lo ammise che in un secondo momento – infastidire Adam, tanto per fargliela pagare. Sapeva che si stava comportando come un idiota, ma tanto avrebbe potuto attribuire tutto a quel maledetto piano, che ora non gli pareva più così brillante.

Senza che la ragazza se ne accorgesse, la posizionò in modo tale da avere libera una fetta di visuale verso i due oggetti del suo interesse. Adam lo stava fissando. Il cuore gli fece una capriola nel petto che non seppe spiegarsi, ma indurì lo sguardo e continuò imperterrito nel suo intento di farlo arrabbiare.

Il moro strinse appena gli occhi, tramutando l'espressione interrogativa in una di fastidio, poi avvicinò Iris a sé, la guardò un attimo quasi come per chiederle il permesso e infine la baciò, molto più dolcemente di come stava facendo lui con Mya.

Fu troppo. Scansò Mya da sé e si preparò a urlargli contro, ma lei tornò a tappargli la bocca così presto che lo prese alla sprovvista.

«Non fare così, Alec. Stanno fingendo. E anche se così non fosse, non saresti felice se Iris trovasse un bravo ragazzo come Adam?»

Fece per risponderle, ma le sue parole gli scavarono dentro e lo lasciarono interdetto. In effetti, lui stesso aveva potuto appurare quanto il giovane Brass fosse genuino, dall'animo inaspettatamente gentile e sempre pronto a prendersi cura del prossimo. Iris non sarebbe certo rimasta tutta la vita da sola, e Adam era un buon candidato. Ma allora perché continuava ad avvertire quella morsa che gli impediva quasi di respirare? Vedeva le mani di Adam scorrere sul corpo di sua sorella e non riusciva a fare a meno di pensare che tutto ciò fosse maledettamente sbagliato.

«Alec» si sentì chiamare, ma non era la voce acuta di Mya né quella rassicurante di Adam, che in quel momento tanto avrebbe voluto udire, nonostante il bisogno impellente di prenderlo a pugni senza un valido motivo.

Si voltò e trovò i suoi genitori in piedi vicino al divano su cui era stato adagiato dal padre. Dietro di loro, Eleanor cercava di celare qualcosa di grande con il proprio corpo, aiutata dalle figure dei primi due. Non si era accorto che si erano spostati dalla stanza accanto.

«Abbiamo una sorpresa per te» rivelò Stephen, sorridente, attendendo una risposta che tardò ad arrivare. Alec non riuscì a ricambiare la sua felicità, ma gli rivolse uno sguardo interrogativo.

A un cenno dell'uomo, le due donne si spostarono e rivelarono una sedia a rotelle del tutto identica alla precedente, solo più nuova. I raggi delle ruote luccicavano sotto la luce delle finestre, creando un breve gioco di luci che si interruppe quando l'oggetto venne spinto appena verso di lui.

Lo stupore lo lasciò per un attimo privo di parole, ma si affrettò a rispondere. «È domenica, dove l'avete trovata?»

La madre fece un passo verso di lui e gli poggiò una mano sulla spalla. Alec resistette al forte impulso di scansarsi. «Sapevamo quanto ti pesasse non avere la tua sedia, e così abbiamo fatto di tutto per sostituirla subito» gli disse dolcemente. Era da tanto che non gli si rivolgeva con quel tono. Se la loro fosse stata una famiglia normale e se sua sorella non fosse stata spaparanzata tra le braccia di uno che conosceva a malapena, si sarebbe quasi commosso.

«Grazie» fu tutto ciò che fu in grado di dire, mentre l'uomo gli avvicinava la sedia e lo aiutava a provarla.

Era grato sul serio: ora aveva i mezzi per andarsene, tuttavia non poteva farlo così davanti a tutti. Si sentì in dovere di continuare con quella finta felicità finché non vide i genitori soddisfatti. In quel momento colse l'occasione al volo per inventarsi una scusa riguardante lo studio e fuggì via.

Non aveva più controllato Adam da quando i Callaway ed Eleanor avevano interrotto il suo monologo interiore. Non l'aveva guardato, ma aveva percepito la sua presenza bruciare in fondo alla stanza come un tizzone ardente. Poteva ancora vedere nella sua immaginazione Iris che lo toccava, Iris che lo baciava. Ringhiò quasi d'istinto, sperando di scacciare il nodo allo stomaco, ma questo non se ne andò, continuando a farlo sentire pesante.

Riavere la sua sedia e, di conseguenza, una fetta della sua indipendenza era gratificante, ma attualmente aveva bisogno di ben altro, aveva bisogno di non avvertire il peso del proprio corpo e della propria vita. Esattamente come gli era accaduto quella volta con Adam in piscina.

All'improvviso ebbe un'idea e iniziò a spingere le ruote in modo rapido prima che ci ripensasse. Stava facendo una pazzia, eppure gli parve l'unica cosa in grado di liberarlo dal suo fardello.

*

Sospirò e chiuse gli occhi, deciso a non riaprirli per un bel po'. Le orecchie tappate dall'acqua riuscivano a captare solo il rumore del suo cuore che via via si faceva sempre più rilassato dopo la corsa iniziale.

Immergersi completamente e lasciar andare l'unica presa di sicurezza l'aveva agitato, ma era un misto di adrenalina e timore che aveva accolto con entusiasmo, lieto di potersi concentrare su sensazioni così fisiche piuttosto che su altro.

Fece vagare la propria mente intanto che il corpo fluttuava nella piscina interna, ondeggiando in modo quasi impercettibile a ogni respiro. Con l'addome all'insù e le braccia aperte come gli aveva insegnato Adam, si sentiva a malapena spostarsi, sospinto da piccoli movimenti che ogni tanto compiva con le mani.

Non aveva più peso. Non aveva più pensieri.

Passò in quella posizione così tanto tempo che non seppe più dove si trovava. Era solo un animo che vagava nel nulla più assoluto, e come tale si comportava, seguendo unicamente l'istinto naturale di respirare. Poi, all'improvviso, un suono lontano interruppe la sua quiete, ma non volle ascoltarlo e tentò di escluderlo. Per un istante credette di esserci riuscito, quindi tornò a perdersi tra riflessioni recondite, quelle che non gli portavano altro carico da sopportare. Quando una voce indistinta rimbombò nella stanza, però, lo spavento fu tale da fargli perdere del tutto la tranquillità acquisita con molto sforzo.

Si mosse automaticamente con il torace, come per mettersi seduto, e poté intravedere una figura vicino alla porta d'acciaio prima di cominciare ad affondare. Il suo corpo, non più leggero come aveva avuto l'illusione di avere, lo trascinò verso il basso. Mosse energicamente le braccia per cercare di tornare in superficie e riprendere l'aria che, per la sorpresa, aveva gettato fuori, ma era impotente contro il peso delle gambe che lo ancorava al fondo.

Non si diede per vinto e continuò a sprecare ossigeno con quei movimenti, nonostante fosse palese che non servivano a nulla. Non era uno che si arrendeva, e avrebbe combattuto fino alla fine per far valere il suo stesso orgoglio. Solo quando il petto iniziò a bruciare in modo insopportabile e le forze vennero meno smise di combattere, ma fu proprio a quel punto che si sentì toccare.

Aprì gli occhi e vide Adam, impegnato in una rapida risalita. I capelli gli fluttuavano intorno alle orecchie in una danza a lui sconosciuta, i bicipiti erano tesi per trascinarlo, mentre le gambe asciutte si muovevano rapide.

L'aria che tornò a riempire i suoi polmoni gli ricordò quanto fosse importante una cosa che dava tanto per scontata. Respirò rapidamente, cercando di far fronte alla mancanza che fino a quel momento aveva dovuto sostenere, e si accorse a malapena del ragazzo che lo trascinava con forza al di fuori della vasca e lo adagiava sul pavimento in mattonelle. La sua schiena venne a contatto con la superficie fredda e solo allora si riscosse del tutto.

«Si può sapere che cosa ci facevi qui? Sei impazzito? Volevi forse annegare?»

La felicità nel vedere Adam virò subito verso un sentimento di sconforto che portò con sé tutta la pesantezza che tanto si era sforzato di tenere lontana.

Tossì qualche goccia d'acqua che sapeva di cloro e si mise seduto, rendendosi conto di essersi allontanato parecchio dal bordo della piscina da cui era entrato.

«Alec!» lo chiamò l'amico, con un tono che sembrava quello di chi non aveva idea di cos'altro aggiungere.

Alec lo guardò e si accorse che, proprio come lui, indossava solo un paio di boxer stretti, che lasciavano in mostra le sue intere gambe atletiche. Lui invece aveva ben in evidenza la sua cicatrice più grande, quella di cui si vergognava maggiormente.
Con le mani tirò le ginocchia a sé piegandole contro il proprio petto, poi abbassò il capo verso il basso. Non seppe rispondere, schiacciato dalla morsa che era tornata viva nel suo cuore.

Il rumore delle goccioline che cadevano fu sovrastato dal suo respiro pesante finché questo non si placò. Adam rimase in silenzio per tutto il tempo, ma Alec poteva quasi sentire la sua presenza ardere accanto a sé.

«Sono un idiota» sospirò il giovane Brass, attirando la sua attenzione tanto da fargli rialzare lo sguardo. «Hai già abbastanza persone che ti fanno la predica, non dovrei mettermici anche io» gli disse, con una morbidezza che, accompagnata da quelle parole, lo sorprese.

L'espressione benevola dell'amico fece alzare appena un angolo della sua bocca senza che se ne rendesse conto. «Volevo solo nuotare» lo informò con voce roca, gli occhi impegnati a catturare una goccia che cadeva lenta sulla guancia di Adam.

Il ragazzo davanti a lui sorrise e la piccola perla si disperse nella fossetta che ne nacque. Gli porse una mano con una strana luce nei profondi zaffiri, mentre con l'altra si reggeva ancora a terra. «Allora nuotiamo.» Si diede la spinta e si gettò oltre il bordo, trascinandolo con sé.

Alec serrò le palpebre e si gustò l'impatto con l'acqua e la sensazione di sicurezza che la tiepida stretta gli regalava. Quando Adam lo riportò in superficie, lo avvicinò a sé in modo che potesse reggersi con poco sforzo sulle sue spalle, poi iniziò a muoversi piano.

«Potesti farlo davvero» se ne uscì all'improvviso, lasciandolo confuso.

«Intendi nuotare?»

Lo vide annuire. «Potrei insegnarti.»

«Adam, non è che io non sia capace...» Si sentì stupido a palesare una verità tanto evidente, ma quel ragazzo parlava come se il problema non fosse la sua incapacità motoria.

«Lo so. Puoi farlo, se lo vuoi.» Capì immediatamente dove voleva andare a parare. Non era la prima volta che insisteva per farlo camminare di nuovo. Gli faceva piacere essere preso a cuore in quel modo, ma... meritava sul serio così tanto?

«Non devi decidere adesso.» Adam interruppe i suoi pensieri, riportando la sua attenzione sui riflessi violacei che prendevano i suoi capelli sotto la luce calda di quella stanza.

Annuì e lasciò che il discorso si disperdesse in angoli remoti della sua mente. Si abbandonò tra le braccia altrui e venne trascinato alla deriva da Adam, l'unica persona con cui avrebbe voluto affrontare un viaggio tanto pericoloso. Il silenzio favorì la diffusione dello scroscio ondeggiante dell'acqua, che fu l'unico rumore finché il moro non parlò ancora.

«Oggi con Iris... non volevo arrecarti fastidio.» Alec si riprese in fretta e fece per rispondere, ma venne interrotto. «Posso capire il tuo disagio. A me anche fa strano che Mya stia con te in quel modo quando non l'ho mai vista tra le braccia di nessun altro. So che è per il piano, quindi cerco di non farci caso. Se tu credi di non farcela, però, possiamo trovare un'altra soluzione.»

Le parole gli caddero addosso come macigni, lo colpirono, facendolo sentire infantile. Il suo comportamento era stato senza senso, spinto dall'istinto e non dalla ragione. Ma di tutto ciò poco gli importava in quel frangente, quello che desiderava sapere davvero era una sola cosa: «Perché ti sei comportato come se non esistessi, oggi?»

Adam fece una smorfia, e il cuore di Alec subì una stretta nel constatare che non era stata solo una sua impressione. Il biondo si sorprese per l'intensità con cui quel muscolo cominciò a battere subito dopo nel suo petto, quasi come se volesse uscirne fuori da un momento all'altro ed essere finalmente libero. Non capiva il perché di tanta agitazione per quella questione, ma il suo corpo agiva per sé, provava strane emozioni che non sempre riusciva a spiegarsi.

«Mia madre» iniziò Adam, fermandosi accanto al bordo più vicino alla porta, laddove erano adagiati i vestiti di entrambi. «Mia madre stamattina mi ha parlato e ha detto che secondo lei passo troppo tempo con te, distraendoti da Mya.» L'espressione gli si era fatta improvvisamente imbronciata, come se il solo ricordo potesse infastidirlo a tal punto.

Alec non seppe che rispondere mentre la sorpresa lo assaliva. Si era preoccupato tanto quel pomeriggio ed era di nuovo colpa delle loro madri...

Adam si portò indietro i capelli con la mano e aprì bocca per dire qualcosa, ma fu interrotto dal forte boato di un tuono al di fuori che fece tremare i vetri delle finestre. La luce lampeggiò per un attimo, minacciando di sparire per la tempesta imminente, ma alla fine rimase accesa.

Il moro si guardò intorno con concentrazione prima di ricominciare a parlare. «Sarà meglio uscire.»

Alec impiegò qualche istante a elaborare il senso della situazione, ancora con i pensieri rivolti verso le due donne che manovravano i fili delle loro vite. Non riusciva a credere di aver sofferto di nuovo per mano loro, ma improvvisamene fu scioccato nel constatare che quella che aveva provato lontano da Adam era proprio sofferenza.

«Alec?» si sentì chiamare, ma prima che potesse davvero rendersi conto che l'altro lo stava attendendo, venne tirato per i fianchi fuori dall'acqua.

«Ehi!» si lamentò senza, però, muoversi. Le mani dell'amico che stringevano la sua pelle gli fecero mancare il respiro, e si ritrovò a socchiudere le palpebre e trattenere il fiato, trovando difficoltà a deglutire.

«Direi che è meglio se ci facciamo una doccia, tra un po' sarà pronta la cena.»

Alec si specchiò nella limpidezza delle sue iridi azzurre prima che Adam si allontanasse da lui per prendere due asciugamani. I suoi occhi si soffermarono sulle curve delineate della sua schiena, intervallate da una muscolatura lieve ma evidente. Seguì la linea leggermente ricurva della spina dorsale fino a soffermarsi sul tessuto che aderiva alla perfezione contro le sue natiche lasciando poco spazio all'immaginazione.

Solo nell'attimo in cui Adam si voltò verso di lui si rese conto di ciò che stava ammirando senza nemmeno volerlo, e il rossore risaltò fin troppo sulle sue guance pallide. Distolse lo sguardo finché l'amico, ignaro, non gli porse l'asciugamano, nel quale affondò l'intero viso facendo finta di asciugarsi.

Con il passare dei minuti, l'arrossamento sparì, ma non il disordine psicologico che questi aveva portato con sé, tramutando le sensazioni di Alec in un quadro dipinto dal caos e dalla confusione.


Koa

Siccome la settimana scorsa ho saltato la pubblicazione, oggi cerco di redimermi aggiornando un giorno prima ^_^ spero sia una sorpresa gradita <3 Alec ha fatto mezzo passo avanti e poi uno indietro xD chissà se riuscirà mai ad avanzare eheh spero che il capitolo sia di vostro gradimento, sono stata un'intera giornata a sistemarlo x.x

Alla prossima! Un bacio :*

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