Una forza

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 La prima volta che vedo Bellamy, ho solo sei anni. È un pomeriggio caldo d'estate, il sole brilla alto nel cielo e l'aria è piena del profumo dei fiori che mia madre ha piantato nel nostro giardino. Io sono seduta sul prato, con una bambola di pezza in grembo, mentre tento d'intrecciare i suoi capelli di lana. Bellamy si avvicina con passo incerto, timido come solo i bambini possono essere quando incontrano qualcuno per la prima volta. Ha i capelli scuri che gli ricadono sugli occhi e un sorriso che mi colpisce immediatamente.

«Ciao».

Dice, con una voce appena udibile, mentre calcia un sasso con la punta del piede.

«Chi sei?»

Gli chiedo, alzando lo sguardo dalla mia bambola.

«Sono Bellamy. Ho appena traslocato qui».

Risponde, indicando con il pollice la casa accanto alla mia.

«Clarke».

Mi presento, cercando d'imitare la sicurezza che vedo nei film quando gli adulti si stringono la mano. Ma anziché tendere la mano, resto seduta, osservandolo con curiosità.

Bellamy si siede accanto a me senza dire altro. Passiamo il resto del pomeriggio insieme, giocando e ridendo, mentre il tempo sembra fermarsi.

La seconda volta che incontro Bellamy, abbiamo entrambi tredici anni. Siamo al primo anno di scuola media, e io mi sento persa nel mare di volti nuovi. Cammino nel corridoio affollato, cercando di trovare la mia classe, quando lo vedo. È cresciuto, ovviamente, ma il suo sorriso è rimasto lo stesso. Ci fissiamo per un momento, poi lui si avvicina con passo deciso.

«Clarke Griffin?»

Chiede, con un tono di sorpresa nella voce.

«Bellamy Blake?»

Rispondo, quasi incredula.

Lui annuisce, e prima che possa dire altro, mi abbraccia. È un abbraccio caloroso, famigliare, che mi fa sentire a casa in un luogo completamente nuovo.

«Non posso credere che siamo nella stessa scuola».

Dice.

Passiamo il resto della giornata insieme, parlando e ridendo, e capisco che non importa quanto tempo passi, alcune amicizie sono destinate a durare.

La terza volta che vedo Bellamy, sono in ospedale. Ho venticinque anni e mi hanno appena diagnosticato un cancro. La stanza è sterile e fredda, un contrasto stridente con il calore dei miei ricordi di lui. Sono stesa sul letto, guardando il soffitto, quando sento bussare alla porta.

«Avanti».

Dico, la voce più debole di quanto vorrei.

La porta si apre lentamente, e lì, in piedi con un camice bianco, c'è Bellamy. Ha gli stessi capelli scuri, anche se ora ci sono delle striature grigie qua e là. Ma è il suo sguardo che cattura la mia attenzione, pieno di preoccupazione e determinazione.

«Clarke».

Dice, con una voce che è un misto di sorpresa e sollievo.

«Bellamy».

Rispondo, sentendo le lacrime riempirmi gli occhi.

Si avvicina al mio letto e prende la mia mano tra le sue. "Sono il tuo oncologo," dice, come se fosse una spiegazione per tutto.

«Non posso crederci».

Passiamo ore a parlare, ricordando i vecchi tempi e facendo progetti per il futuro. La presenza di Bellamy mi dà una forza che non sapevo di avere. So che la strada sarà lunga e difficile, ma con lui al mio fianco, mi sento pronta ad affrontare qualsiasi cosa.

E così, mentre il sole tramonta fuori dalla finestra dell'ospedale, capisco che alcune amicizie non solo durano, ma diventano anche la luce che ci guida nei momenti più bui.

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