Parte 1

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«E con questo è tutto.» L'uomo di colore puntò i gomiti sulla scrivania in legno scuro e giunse le dita davanti al viso.

«John, mi prendi per il culo?» La ragazza spalancò le braccia, seduta sulla poltroncina in pelle nera dinanzi a lui. «Ci hai fatto finire di corsa la colazione e correre qui di prima mattina, solo per dirci 'ste due stronzate riguardo ai corsi?»

«Esatto, Eve.»

Sbuffò roteando gli occhi.
«Checcazzo... e io che speravo in una nuova missione» sibilò a denti stretti con la testa inclinata di lato, senza preoccuparsi di non essere sentita.
«E non potevi dircelo per telefono? O, ancora meglio, mandarci un messaggio? Un fax? Che ne so... un dannato piccione viaggiatore?»

«E privarmi della possibilità di deliziarmi con il tuo raffinato linguaggio? E perché mai?» Graham le rispose con un sorrisetto sarcastico.

Eve scattò in piedi e si sporse sulla scrivania, per incatenare i suoi occhi a quelli neri del Capo. Non si mossero, immobili per diversi secondi in quella muta guerra di sguardi.

Una lieve smorfia le increspò le labbra e fece scattare l'indice contro di lui, «Fisherman, lo so che stai tramando qualcosa. Sappi che stavolta non ci casco. Niente più marines né cheerleader, intesi?»

Come di consueto, quello rimase impassibile, tutt'altro che intimidito dall'espressione indagatrice della sottoposta; anzi, quel suo comportamento arrogante quasi lo divertiva, come se quelle iridi colore del ghiaccio facessero affiorare in lui vecchi ricordi.
«Non hai nulla di cui preoccuparti, Eve, anche i marines non vogliono mai più avere nulla a che fare con te.» Le labbra si incurvarono in un sorrisetto, «A ogni modo, non ho altro da dirvi. Potete andare.»
Indicò con un ampio cenno della mano la porta in vetro satinato alle spalle della ragazza.

Lei non desistette, scrutò ancora per alcuni secondi il suo volto e il lievissimo accenno di colpevolezza che pareva trapelare da quelle iridi all'apparenza imperturbabili, talmente nere da non distinguersi dalla pupilla.
Una delicata ma insistente tensione sulla gamba, all'altezza del polpaccio, la richiamò. Ruotò il capo di lato quanto bastava per vedere con la coda dell'occhio Daniel. La guardava con espressione apparentemente neutra, mentre faceva lievi cenni della testa verso l'uscita e le tirava i pantaloni.

Emise un lieve sbuffo. D'altronde sapeva che quel bastardo di John non si sarebbe mai lasciato sfuggire nulla. Era inutile.
Tanto prima o poi avrebbe scoperto a proprie spese ciò che stava architettando; ma ci teneva comunque a dimostrargli che non era una che si lasciava fregare facilmente.
Si rimise dritta, «Va bene, John.»
Gli diede le spalle e s'incamminò verso l'uscita.
«Come al solito è stato un piacere» aggiunse con sarcasmo.

Il giovane si alzò dalla poltroncina accanto cui sedeva lei e si rivolse al superiore: «Grazie, signore.» Si mise sull'attenti e fece un inchino, «Buona giornata, signore.» Poi seguì la compagna di stanza.

«Oh, Eve, quasi dimenticavo...» La ragazza si fermò al centro del lucido pavimento bianco, richiamata dalla pacata voce di Graham, ma continuò a dargli la schiena, «tanti auguri.»

Digrignò i denti, sforzandosi di restare impassibile.
Ecco cosa stava tramando quel bastardo.
Si limitò a sollevare una mano sopra la spalla e proferire un piatto "grazie", senza nemmeno voltarsi a guardarlo. Poi fece per riprendere a camminare verso la porta.

«Auguri per cosa?» irruppe Daniel, facendo rimbalzare lo sguardo tra i due.

«Nien-»

John la interruppe scoppiando in una risata, «Non lo sa?»

Si fermò di nuovo e si girò seccata verso di lui, rimanendo quasi abbagliata dalla luce che entrava dall'enorme vetrata alle sue spalle, «Evidentemen-»

«Cosa dovrei sapere?»

Si lasciò sfuggire un muto sbuffo, mentre le unghie le si piantavano nel palmo stretto a pugno.
Puntò per un paio di secondi gli occhi sul viso curioso del giovane, poi li volse al soffitto scuotendo la testa e riprese a camminare verso l'uscita, «Nien-»

L'ennesimo sghignazzo del Capo, «Almeno al tuo compagno di stanza potresti offrire una fetta di torta, no?»

Danny le puntò l'indice contro, «Aspetta... è il tuo compleanno?»
In risposta non ottenne nient'altro che un mugugno.
Ruotò fino a incrociare il sorrisetto di Graham, «È il suo compleanno?»
Alla vista del cenno affermativo dell'uomo, sul suo viso sorse un enorme sorriso e corse da lei, parandosi davanti alla porta e costringendola a fermarsi.
«Allora dobbiamo festeggiare! Potremmo organizzare un aperitivo con i colleghi, oppure qualcosa dopo cena... Merda, non ho neanche il tempo di trovarti un regalo.» Ignorò lo sguardo contrariato della ragazza, «Ma perché non me l'hai detto prima? Così avrei avuto il tempo per preparare qualcosa.»

«Ray, è esattamente per QUESTO che non te l'ho detto! E poi ormai è da parecchi anni che non festeggio il compleanno, così come qualsiasi altra ricorrenza; quindi-»

«Quindi motivo in più per festeggiare! Allora organizzo qualcosa per stasera con gli amici-»

«Con i TUOI amici?!»

Il giovane sbuffò e rimise in tasca il cellulare, che già stringeva in mano pronto per organizzare. «Va bene, miss Asocialità, niente compagnia. Però almeno ti porto fuori a cena, e su questo non si discute!»
Interpretò come una risposta affermativa il mugugno emesso dalla compagna.
«Ottimo! Allora prenoto per due. Ho già in mente un posto.»
Spostò gli occhi oltre le spalle di lei per puntarli sul Capo, che divertito seguiva il loro discorso con i gomiti puntati sulla scrivania. «Signore, potremmo prendere in prestito un'automobile per stasera, verso le sette?»

«Ma certo, Hiwatari. Qualche preferenza in particolare?»

Ci pensò un po' su, mentre Eve, immobile di fronte a lui, stringeva i pugni fino a far sbiancare le nocche, sempre più irritata dall'innaturale voce accondiscendete di John, velata da una fastidiosissima nota di scherno.

«Una Mustang, se possibile, signore. Sono le sue preferite.»

«Difficile, ma vedrò cosa posso fare. A ogni modo, stasera troverete la vostra auto nel parcheggio sotterraneo. Rivolgetevi al custode.»

«Grazie, signore.» Daniel si esibì nell'ennesimo inchino, senza preoccuparsi di celare l'enorme sorriso che gli illuminava il volto.
La ragazza lo superò sbuffando per poi oltrepassare a lunghe falcate le porte vetrate automatiche.
«Arrivederci, signore, grazie... anche a nome della festeggiata.»

---

«Dai, Eve, datti una mossa! Alle otto dobbiamo essere lì!» sbraitò contro la porta del bagno. «Guarda che non mi freghi, non salterai la cena barricandoti lì dentro! Sappi che fra due minuti sfondo la porta e ti trascino al ristorante a forza, che tu sia vestita o no!»
Non ottenne risposta.
Bussò per l'ennesima volta, «Eve, mi hai sentito?»
Appoggiò l'orecchio all'anta, insospettito dal silenzio che proveniva dall'interno. Non c'erano finestre lì, non poteva essere scappata... Però conoscendola non si poteva mai dire...

La porta si spalancò senza preavviso e, venendogli a mancare quel punto d'appoggio, si sbilanciò in avanti.

«Certo che ti ho sentito! Ti ha sentito tutta la CI-» Eve se lo vide cadere addosso, «Ehi, che fai, coglione?» Lo intercettò serrandogli d'istinto una mano sulla gola.

Daniel recuperò l'equilibrio, tossicchiando per il colpo, «Ahia, Eve, ma che caz-»
Si ammutolì, perso ad ammirare i suoi occhi, contornati da un'elegante linea di eyeliner nero, e le labbra esaltate dal rossetto rosso opaco, della stessa tonalità del vestito che le fasciava il corpo.
All'istante anche il suo viso assunse il medesimo colore, accompagnato da un sorrisetto ebete. «Oh, quel vestito...» sussurrò sognante.

«Che c'è?» La ragazza abbassò gli occhi sul tessuto che la copriva fin quasi alle caviglie e lasciava trapelare una gamba attraverso il lungo spacco che partiva dalla coscia destra, «Ha qualcosa che non va? Me l'hai detto tu che dovevo vestirmi bene.»

«Oh, no, no, no, va benissimo. È perché... sai... è lo stesso che avevi alla cena in Italia, quando ci siamo presentati per la prima volta.»

Ci pensò un po' mentre lo scansava dalla soglia per superarlo e dirigersi verso l'armadio, «In effetti mi sa che hai ragione. Ottima memoria, Ray.»
Chinò il busto in avanti nel guardaroba per scavare tra i vestiti stipati alla rinfusa, fino a raggiungerne il fondo.
Riemerse vittoriosa esibendo come un trofeo un paio di lucide décolleté nere e si voltò verso di lui.
Daniel riuscì solo un centesimo di secondo prima di essere scoperto a distogliere lo sguardo dal suo fondoschiena strizzato nel tessuto fin troppo aderente.
«Anche tu avevi quella stessa camicia nera e i pantaloni chiari, se non sbaglio.»

Finse di guardarsi la camicia, chinando la testa verso il basso più del necessario nel vano tentativo di celare le proprie guance paonazze.
Portò d'istinto una mano a massaggiarsi la nuca, impegnato a scacciare il calore che quella vista aveva scatenato.
La sua parlantina nervosa accorse in aiuto per ribattere a quelle parole che non era nemmeno sicuro di essere riuscito a sentire: «Dubito che sia proprio la stessa, di sicuro quella mi starebbe stretta sulle spalle. Ma mi fa piacere che anche tu ti ricordi come ero vestito.» Sollevò lo sguardo quanto bastava per scoccarle una timida occhiata accompagnata da un sorrisetto sornione.

«Ho solo tirato a indovinare, Ray, ti vesti così ogni volta che vuoi tirartela.»

«Ehi, io non me la tiro!» S'impettì, puntandosi il pollice sullo sterno, «Se la metto sempre è perché mi sta benissimo!»

«Ecco, appunto...»

La ignorò, «Se preferisci posso mettermi la divisa. Quella è il top dell'eleganza!»

«Oh, ti prego, no! Sai che odio le forze dell'ordine.»

«E da quando?»

Gli scoccò un ghigno malvagio sollevando un sopracciglio, «Da quando sono un killer! O l'avevi forse dimenticato, signor Poliziotto?»

«Peccato che anche tu ora faccia parte delle forze dell'ordine. O hai forse dimenticato di avere una tua uniforme nell'armadio, signorina Agente della CIA?»

«Stronzate, io non mi metterò mai quella roba. L'unica mia uniforme è la tuta tattica nera, quella corredata da casco e catena.»

«Cheppalle.» Danny roteò gli occhi sbuffando, «Sei l'unica donna al mondo con cui il fascino della divisa non funziona... Ma quanto sei difficil-»

«Tieniti la tua camicia aderente da fighettino e smettila di dire stronzate, che vai benissimo così.»
Eve aveva preso a ondeggiare come un'equilibrista, in bilico su una scarpa mentre cercava di infilare l'altra.

«Oh, grazie, lo prenderò per un complimento.»

Per un'istante, si sbilanciò sul tacco rischiando di ribaltarsi.
Daniel scattò d'istinto per aiutarla, ma la raggiunse quando ormai era riuscita a rimettersi salda, reggendosi all'anta dell'armadio e con entrambe le suole ben puntate a terra.
Fermò la mano a solo qualche centimetro da lei, poi la ritirò subito.

La ragazza nemmeno si accorse del suo gesto, girata verso il guardaroba. Si lisciò disinvolta il vestito sulle cosce, come se non fosse successo nulla, poi si mise sulle punte per raggiungere la gruccia di un lungo cappotto nero, che doveva arrivarle alle ginocchia.
Una volta riuscita nell'impresa, si voltò con aria vittoriosa verso il compagno di stanza, «Sono pronta! Dai, prendi la giacca che andiamo. Sono davvero curiosa di sapere dove hai prenotato! Anche se ho già una mezza idea.»

Il viso del giovane si illuminò di uno dei suoi enormi sorrisi. Scattò a prendere il giubbotto dalla sedia davanti la scrivania e anticipò la ragazza aprendole la porta con un reverenziale inchino, «Madame...»

Lo superò con un sorrisetto di scherno e rispose imitando la sua stessa signorile intonazione: «Coglione...»

Si incamminarono lungo il corridoio con le giacche ripiegate sottobraccio, accompagnati dal ticchettio delle décolleté sul lucido pavimento bianco.
Passo dopo passo, quel suono cadenzato attirava l'attenzione degli altri colleghi di passaggio. Si soffermavano a guardare la donna con il vestito rosso e la sua criniera di boccoli castani, tra cui rilucevano degli orecchini in oro bianco, in pendant con i sottili bracciali e la catenina di cui si separava solo durante gli allenamenti. I brillanti rifessi dei gioielli, però, erano quasi oscurati dall'azzurro dei suoi occhi, che contornati di nero parevano ancora più lucenti del solito.
Nessuno lì dentro l'aveva mai vista vestita elegante, o anche solo con un minimo di trucco. Nemmeno erano certi che si trattasse davvero della stessa sboccata Eve che nel tempo libero si divertiva a spaccare la faccia a tutti.

Camminava a testa alta, senza accorgersi di quegli sguardi, come sempre fissa sul suo obiettivo; in quel caso i due ascensori incastonati nella parete grigio antracite del corridoio che in quel punto si allargava, dando forma a una luminosa saletta con alcuni divanetti e distributori automatici.

Non vide nemmeno il biondo dalla folta barba, che camminava loro incontro, fermarsi a osservarla ammiccando, nella speranza che lei ricambiasse quello sguardo. Purtroppo per lui, però, lo superò senza accorgersi della sua presenza. Come sempre.

Danny, invece, lo notò eccome.
Lo seguì con gli occhi man mano che lo oltrepassavano, con impressa sul volto un'espressione tronfia, condita da un sorrisetto sornione.
"Ehi, attento che stai sbavando per terra. E meno male che qui il cane dovrei essere io!" Riuscì a trattenersi a fatica dall'urlargli contro quelle parole. Non avrebbe rovinato quella serata per niente al mondo.
Però nulla gli vietava di prendersi una piccola rivincita su quell'hipster rompicoglioni.

Mentre aspettavano l'ascensore, si accostò il più possibile a Eve, tenendosi di poco indietro, quanto bastava per poterle passare indisturbato un braccio dietro la schiena. Agli occhi degli altri pareva a tutti gli effetti cingerle il fianco, quando in realtà non la stava nemmeno sfiorando.
Voltò la testa quel tanto che serviva per vedere da oltre la spalla la reazione del biondo, che non tardò ad arrivare.

Quello fece scorrere lo sguardo dalle sue dita, apparentemente strette al sinuoso fianco fasciato di rosso, lungo il braccio, fino a incrociare i suoi occhi, perturbati da un sorrisetto infame.

Daniel rimase fermo in quella muta sfida di sguardi, senza accorgersi che l'ascensore si stava aprendo.

Appena Eve si mosse per entrare, urtò la sua mano.

La ritirò subito, ma non abbastanza in fretta per impedirle di vedere il braccio allontanarsi da lei.

Venne trafitto da un'occhiataccia interrogativa, mentre prendevano posto nella cabina.
Rispose con un sorrisetto quanto più disinvolto possibile: «Oh... Avevi un insetto... te l'ho tolto!»
Si affrettò a distogliere lo sguardo con la scusa di passare sul sensore sotto la pulsantiera il bracciale elettronico, che invece Eve teneva riposto nella pochette nera. Premette sul pulsante relativo al parcheggio sotterraneo, illuminatosi di verde dopo un segnale acustico, e fece un gran sorriso alla ragazza, mentre le porte metalliche dinanzi a loro si chiudevano, celandoli dagli sguardi dei colleghi.

Curiosi di sapere come andrà la serata? Conoscendo Eve sarà meglio non abbassare la guardia...

Grazie di essere qui e appuntamento al prossimo capitolo!

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