Prologo

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Gli spettatori stavano per raccogliersi nella piccola piazza disadorna. Erano come sempre i più variegati generi umani: uomini e donne, ricchi e poveri, giovani e anziani, e pure qualche ragazzino. Mancavano forse solo gli individui più acculturati, quelli che ritenevano tali manifestazioni sintomo di una società ancora gretta e involuta, ma essendo una infima minoranza, nessuno avrebbe sentito la loro mancanza.

Sicuramente non avrebbe pesato ai protagonisti della manifestazione.

L'avvicinarsi della bella stagione e la totale assenza di neve per le vie, stava inoltre favorendo l'interesse dei più, tanto che anche la strada superiore, che dava sulla piazza con uno stretto ballatoio, aveva iniziato a gremirsi di curiosi.

Tra questi, ovviamente, lei non poteva mancare.

Non che fosse curiosa, tutt'altro, a spettacoli di tal caratura aveva sempre un posto in prima fila, ma il lavoro era lavoro, e non poteva certo esimersi dal presenziare. Soprattutto quel giorno.

C'era in effetti molto fermento tra gli abitanti di Firmiona che avevano deciso di passare in compagnia quei dieci minuti d'odio, forse perché l'attore principale era conosciuto in città. A lei i motivi di quella marmaglia erano del tutto indifferenti, e comunque li avrebbe dovuti sopportare ancora per poco.

Quando il lugubre portone del palazzo che dominava la piazza si aprì, producendo uno stridente raschiare di ferraglia, il silenzio si allargò come un'onda, lasciando spazio ai macabri rintocchi di una campana. Dal buio che impregnava le stanze oltre il portone, uscì un uomo tarchiato, stretto in un pastrano viola ricamato fino all'eccesso, che adeguando il passo al ritmo dei rintocchi si avviò sul piccolo palco al centro della scena. In un silenzio sospeso, estrasse dalla manica una pergamena, e con voce squittente iniziò a declamare: «In nome della città di Firmiona, del Regno di Olluria, dell'Eudopia Unita tutta e dei suoi abitanti, per ordine del Concilio cittadino presieduto dalla Suprema Corte Reale, chiamo qui a espiare le sue colpe Shimon Zuccasicci.»

Nuovamente la campana prese a suonare i suoi tristi rintocchi e dal portone del palazzo uscirono due gendarmi, uno secco e l'altro tozzo, che a forza di strattonate tirarono in scena un terzo uomo, incatenato mani e piedi.

Appena il prigioniero apparve, il popolo si abbandonò al proprio ruolo scagliandogli addosso ogni oggetto atto all'uopo, dai sassi alle frattaglie, e ricoprendolo degli insulti più variegati e licenziosi. Dal canto suo, quello rispondeva per le rime ad ogni parola che giungeva alle sue orecchie, ringhiando e sbavando come un animale rabbioso, atteggiamento che fomentava ulteriormente il pubblico.

I due gendarmi ebbero il loro daffare a trascinare il reo al centro del palco e a costringerlo in ginocchio. E ancora più complesso fu calmare gli animi della gente, che nonostante fosse apparso in scena anche un pingue prelato, non disdegnava di lanciare al condannato bestemmie e maledizioni.

Quando una calma apparente fu raggiunta, l'ufficiale giudiziario poté rimettere mano alla sua pergamena e proseguire la lettura della sentenza: «Shimon Zuccasicci, sei stato riconosciuto colpevole del reato di sodomia, stupro e omicidio plurimo aggravato dall'efferatezza, per questo motivo il Concilio cittadino di Firmiona ti condanna a morte tramite decapitazione.»

Un boato della folla seguì le ultime parole dell'uomo e subito una nuova gragnola di colpi venne a subissare il condannato, alcuni dei quali tirati con tanta maestria da convincere i gendarmi che sarebbe stato sufficiente lasciarlo in pasto al popolo. Anche il prete ne era convinto, tanto che recitò le poche parole di rito stando ben lontano dal condannato, che neppure ebbe modo di pronunciare ultime frasi di pentimento.

Solo quando la porta del palazzo di giustizia si aprì un'ultima volta, il silenzio e l'ordine ripresero il controllo della piazza.

In scena era infine giunto l'ultimo attore, quello che tutti attendevano. La sua figura non pareva in grado di destare particolare attrazione: era secco, escluso il ventre gonfiato da troppe birre, leggermente gobbo, di incedere claudicante, forse a causa della calzamaglia in cui era stretto. Non doveva neppure essere troppo giovane, a giudicare dalle mani strette sulla grossa ascia che portava sulla spalla. Era in effetti quella l'oggetto della totale ammirazione in cui era caduto il pubblico, oltre che a una vaga soggezione davanti al deforme cappuccio nero che costituiva il volto del boia.

Non che nel complesso facesse molta paura, ma un riguardoso rispetto gli era riservato da tutta la platea. Ad esclusione del condannato che, nonostante la posizione, prese a insultarlo in malo modo.

Il boia non si scompose, e se anche lo fece nessuno poté vedere il suo volto. Attese un cenno del prete, uno dell'ufficiale giudiziario e infine uno dalla guardia che teneva le catene, quindi sollevò l'ascia alta sulla testa.

Fu a quel punto che Morte prese la falce e assunse la postura.

Pochi istanti e l'anima sventurata fu al suo cospetto e lei l'accolse con il saluto di rito: «Benvenuto Steno Sondio. Seguimi, ti accompagnerò per l'ultimo tratto.»

L'uomo fu disorientato il giusto, del resto aveva una certa dimestichezza con la morte, e quando comprese la situazione, si abbandonò con rammarico a un commento: «Lo dicevo io che non mi sentivo bene stamattina. Era meglio se chiamavo il medico, invece di venire al lavoro.»

«Forse. Ma ormai...»

L'uomo si voltò là dove il suo corpo giaceva, unendo il suo sguardo ad altre centinaia di occhi increduli. L'ufficiale giudiziario e una delle guardie, dopo avergli tolto il cappuccio, stavano cercando di rianimarlo a suon di schiaffi. Il prelato aveva invece già iniziato a pregare.

«È stato il cuore, vero?»

«Sì»

«Lo sapevo, non avevo più l'età per questo mestiere.»

«Temo di no. Ma inutile disperarsene, ormai. Vieni andiamo.»

Il boia ebbe una titubanza. «Non aspettiamo lui?»

Il condannato, sebbene ancora stretto al ceppo dalle pesanti catene, stava ridendo in modo vile e sguaiato. Nessuno badava troppo a lui.

«No. Dovrà attendere che ti trovino un sostituto.»

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