17. Diciassettesimo Atto

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TI LASCIO UNA CANZONE


"Ti lascio una canzone per coprirti se avrai freddo,

Ti lascio una canzone da mangiare se avrai fame,

Ti lascio una canzone da bere se avrai sete;

[...]


Ti lascio una canzone da indossare sopra il cuore,

Ti lascio una canzone da sognare se avrai sonno,

Ti lascio una canzone per farti compagnia,

Ti lascio una canzone da cantare;


Una canzone che tu potrai cantare a chi..."



Fino al giorno prima, gli aveva assicurato che si sarebbero rivisti. Kristen era in assoluto fermento. Sensazioni contrastanti le si agitavano nel petto, un tremore convulso l'aveva colta all'improvviso, e... e quasi le impediva di pensare. Dalla testa ai piedi, sporadici brividi di freddo s'accompagnavano a violente ondate di calore che le rammentavano tutti i momenti vissuti con Marcus. Momenti di un'intensità, di un coinvolgimento, di una dolcezza davvero fuori dall'ordinario. Dei momenti che non avrebbe potuto dimenticare nemmeno se ci si fosse messa d'impegno. Ma, d'altra parte, perché mai avrebbe dovuto farlo? Perché mai rovinare quanto di bello c'era stato fra loro fino a quel momento? Kristen avanzò speditamente verso il Brunch; a ogni passo, sembrava che il battito del suo cuore si facesse sempre più forte, tant'è che, per un fugace istante, ebbe quasi timore che potesse partirle una coronaria.

Emozione, confusione, adrenalina allo stato puro. Ce l'avrebbe fatta? Estrasse una piccola cartelletta rosa dalla borsa, quindi ne esaminò, ancora una volta, il contenuto. Aveva preparato tutto nei minimi dettagli: i biglietti, la partenza, le valigie, il... il discorso. Strinse i pugni. Quello no, non se l'era ancora preparato.

Accidenti, pensò.

S'immaginò come sarebbe stato dirgli che avrebbe desiderato partire, seduta stante, con lui. S'immaginò il suo sorriso appena accennato, gli occhi che s'illuminavano di uno stupendo bagliore, al limite tra il meravigliato e l'eccitato. S'immaginò il suo , lui che racchiudeva le mani di lei tra le sue. S'immaginò il calore che avrebbe tratto dai suoi baci, lui che la stringeva a sé portandosela al petto, sussurrandole che ne sarebbe stato felicissimo.

Gli occhi le si riempirono di lacrime. Magari stava sbagliando tutto; magari non avrebbe dovuto permettersi di prenderlo sul serio, quando per telefono le aveva detto che gli sarebbe piaciuto molto partire con lei per chissà dove. E chissà che quella partenza non avrebbe potuto cambiare la loro vita per sempre. L'intero corso degli eventi, portandoli a una scelta che, almeno in un primo momento, non avrebbero mai pensato di compiere. Se, come dicevano in tanti, il tradimento non era che una scelta, era altrettanto vero che fuggire dalle proprie responsabilità, in generale, non portava a combinare nulla di concreto.

Sebbene, comunque, fosse una scelta anche quella.

La figura di Kristen si perse nell'oscurità di quella gelida notte che, più di ogni altra, sentiva partecipe delle proprie sventure sentimentali, delle consuete battaglie interiori che imperversavano negli anfratti più reconditi del suo cuore.

Era quasi arrivata al Brunch. Tra poco meno di cinque minuti, l'avrebbe rivisto, e...

Quasi sussultò quando scorse, a pochi metri da sé, una giovane coppietta intenta ad amoreggiare su una panchina con una certa intensità. Per un fugace istante, le piacque pensare che quei due ragazzotti che si divoravano con dolcezza e desiderio le labbra incarnassero il Thomas e la Jane della situazione. Incuranti di tutto e di tutti, incuranti di tutti gli ostacoli che avevano incontrato sul loro tortuoso cammino.

Avrebbe potuto aggirarli anche lei, quegli ostacoli? Avrebbe potuto immaginarsi un Marcus che, a dispetto di tutto e di tutti, avrebbe scelto di stare solo e soltanto con lei?

Scosse la testa. Lei e Marcus non potevano certo paragonarsi a quei due. Sebbene anche il loro fosse stato un rapporto sviluppatosi, perlomeno in un primo tempo, dietro le quinte, non era certamente nato in circostanze sbagliate. Proibite, sì, ma soltanto perché non era consuetudine che un professore di fama mondiale potesse innamorarsi di una semplice studentessa alla quale, fra l'altro, insegnava tutti i segreti della Cinematografia. Ma, sulla carta, nessuno aveva impedito loro di frequentarsi non appena il sodalizio alunna-professore fosse terminato.

Il suo rapporto con Marcus era nato, invece, sotto a una cattiva stella. Sotto a un cielo sbagliato.

Non desiderare la donna d'altri.

E quindi... nemmeno l'uomo d'altre.

Kristen si arrestò di colpo, a pochi passi dal locale. Un'altra di quelle voci che, di tanto in tanto, facevano capolino nella sua mente – come al solito sovraffollata di pensieri – si era permessa di rammentarle cosa fosse giusto e cosa no. Riprese a camminare, facendo spallucce. Sarebbe andata fino in fondo, questa volta. Niente e nessuno l'avrebbe fermata. Tutto d'un tratto, si sentì spaventosamente sicura di sé. Si asciugò il rivolo di pianto attorno agli occhi e iniziò a prepararsi il discorsetto che avrebbe rifilato a Marcus.

Riusciva ancora a immaginarselo, il suo sorriso. Un sorriso bellissimo, che le toglieva il fiato. L'avrebbe rivisto tra poco, ne era più che sicura.

E lei... e lei, cosa stava per chiedergli? Di partire insieme per quel viaggio?

Di rinunciare per sempre a loro?

Nemmeno per idea. Questa volta, sarebbe stata lei a condurre il gioco. Avrebbe fatto tutto lei.

Un brivido caldo le trapassò la schiena. Un brivido di cui, oramai, conosceva a memoria ogni singola sfumatura; compresa la più piccola. La più insignificante. Quel brivido che, per tantissimo tempo, aveva creduto di non sentire mai più. Un brivido dalle sembianze familiari e, nel contempo, profondamente diverse; e che, di volta in volta, assumevano un'intensità altrettanto differente. Un brivido che stava tuttora modificandosi – e questo man mano che procedeva verso la meta –, in previsione di quanto, fra qualche minuto, sarebbe certo accaduto.

Si bloccò dinanzi all'entrata. Riusciva già a sentirlo, il ritmo di quella musica fastidiosa. Riusciva già a immaginarselo lì, seduto ad aspettarla dietro al solito tavolino; magari, tra le mani stava già stringendo un bicchierino di gustoso Martini. Le gambe incrociate, lo sguardo perso nel vuoto, a rincorrere chissà quali pensieri.

Pensieri inafferrabili. O magari indicibili.

Trasse un pesante sospiro. Lei, i suoi pensieri, riusciva a percepirli distintamente. Ne aveva più volte scandagliato le possibili conseguenze, e proprio da questi ne aveva tratto un'unica conclusione.

Risistemò la cartelletta nella borsa e varcò, finalmente, la soglia del locale.
Come sempre, era stracolmo di persone di ogni foggia, malgrado, per la maggior parte, fossero i giovani a popolarne gli spazi. Si guardò attorno. Negli ultimi due giorni, Marcus l'aveva sentito ben di rado. La sera prima, fra l'altro, le era sembrato piuttosto sfuggente.

Questa è la tua occasione, si disse. Adesso o mai più.

Avanzò di qualche passo. Pur non ritenendolo possibile, si sentì subito gli occhi puntati addosso. Sguardi giudicanti, forse. Magari supplici, chissà. O, ancora, profondamente compassionevoli.

Kristen ritornò in sé. Nessuno – ma proprio nessuno – stava facendo caso a lei. Era lei stessa, che stava guardandosi dall'esterno, la musica a palla. Le luci stroboscopiche. Quegli occhi che sentiva fissi su di sé non erano nient'altro che i suoi. Il giudizio che aveva maturato nei suoi riguardi era in netto contrasto con quello espresso della sua amica Ramona. Ma Ramona – lei lo sapeva bene – non era affatto obiettiva. Ramona avrebbe sempre trovato il modo di difenderla. In lei, e soltanto in lei, Kristen avrebbe sempre trovato tutta la comprensione e il supporto del mondo.

Persino in quell'assurda circostanza.

Tanto assurda al pari di quanto, delle volte, era assurda la vita di ciascuna persona. Quella vita che, proprio in quell'otto di gennaio di qualche anno prima, le aveva tolto Herbert per poi restituirle, ben cinque anni dopo – stesso mese e stesso giorno; forse, addirittura stessa ora! –, un altro esemplare di sesso maschile completo di tutto. Persino di fede nuziale.

Ricacciò indietro l'ennesima smorfia. Che cosa diavolo avrebbe voluto insegnarle, la vita? Voleva forse farle intendere che l'uomo giusto per lei non esisteva? Che non sarebbe mai arrivato?

Be', le avrebbe fatto cambiare idea. E questo perché – in barba a certi scomodi dettagli – l'uomo giusto per lei era arrivato eccome. Soltanto che...

Un leggero spintone la fece sussultare. Doveva essere stato l'ennesimo ragazzo ubriaco, pensò lei, senza neppure voltarsi.

Procedette – questa volta con estrema impazienza – verso uno degli ultimi tavoli situati in fondo al locale, permeati da un'atmosfera relativamente più tranquilla.

Subito incontrò il suo sguardo, che fugacemente – ma con viva intensità – si ritrovò ad accarezzare quello di lei. Sembrava proprio che Marcus non avesse distolto gli occhi dinanzi a sé nemmeno per mezzo minuto. Tra le mani non aveva niente, ma in quello sguardo c'era tutto. Quel tutto che forse, con un pizzico di coraggio in più, sarebbe stato tutto suo.

Forse  anzi, di sicuro  mi sto solo illudendo.

Sbatté più volte le palpebre. No, non stava sognando. Lui la stava guardando proprio in quel modo. E lei, mai come quella volta, doveva cercare di...

Marcus si alzò dal tavolino e le si fece incontro. Senza che Kristen potesse fare qualcosa per impedirlo – come se lei l'avesse voluto! –, si ritrovò circondata tra le sue forti braccia, e... e si sentì tanto piccola da chiedersi se per caso esistesse una sensazione più bella di quella. Sentì di nuovo il cuore esploderle nel petto, alla stregua di un'interminabile cascata di fuochi d'artificio.

«Finalmente ci rivediamo», borbottò lui, lasciandole un tenero bacio sui capelli.

«Ti devo parlare», si forzò a dire Kristen. Era così agitata, che non sapeva se ci sarebbe riuscita.

«Anch'io dovrei dirti una cosa importante», rispose Marcus, conducendola verso il tavolo.

Kristen trovò parecchio strano il fatto che lui non l'avesse ancora baciata sulle labbra, ma decise di non farci troppo caso. Anzi, adesso che ci pensava, poteva appellarsi proprio a quello, al fine di...

«Non mi chiedi com'è andato il viaggio?»

«Stavo per farlo, giuro», gli rispose Kristen, mettendo su un ambiguo sorriso.

«È andato tutto benissimo, per fortuna. Penso che il mio capo non mi chiederà più di presenziare a quelle assurde conferenze per almeno... mmh, ottimisticamente parlando, per almeno quattro o cinque mesi.»

«La vostra esperienza è stata così terribile?»

«No, al contrario. Il signor Bergson è rimasto talmente soddisfatto del risultato, che ci ha persino concesso di scegliere le parole del prossimo slogan.»

«Slogan?»

«Sì, slogan. Bergson è stato contattato per fare pubblicità alla nostra agenzia, e quale modo migliore per farlo se non creare uno slogan accattivante che la riguarda?»

«Sono davvero felice per te.»

«Io sono più felice per un'altra cosa, a dirla tutta.»

«E... per cosa?»

Giusto in quel momento, li interruppe un cameriere sulla ventina, che chiese loro se intendessero ordinare.

Marcus lo liquidò quasi subito, un semplice gesto della mano. «Due Martini andranno benissimo, grazie.»

Kristen increspò le labbra. Non credeva di averlo mai visto tanto impaziente.

«Cos'è, forse volevi prendere qualcos'altro?», le chiese lui, tornando a sorriderle.

«Certo che no, un Martini andrà benissimo.»

Si guardarono l'un l'altra per più di qualche minuto, senza proferire parola.

«Senti, io...»

Entrambi scossero la testa. Avevano aperto bocca nello stesso momento.

«Prima tu», la pregò Marcus.

Kristen sospirò. Eccolo là, il fatidico momento.

«Domani stesso me ne andrò da Scarborough.»

Okay. Adesso la bomba l'aveva sganciata.

Marcus spalancò gli occhi, l'aria smarrita. La mascella irrigidita. «Scusami, che... che cos'hai detto?»

«Ti prego, non farmi altre domande.»

Marcus scosse la testa, passandosi una mano tra i capelli. «Come pretendi che io non...» Si bloccò di colpo. Aveva alzato giusto un attimo la voce, ma si era subito imposto di calmarsi.

«È per lavoro?» le chiese quindi.

«No. Ho soltanto bisogno di una pausa.»

«Kristen, io non... Che cosa ti ho fatto, si può sapere? Pensavo che io e te—»

«Be', pensavi male», scattò Kristen, risoluta. «Non c'è mai stato un "noi". Ci siamo divertiti, tutto qui. Tu non sei mai stato niente, per me.»

Kristen avrebbe preferito ammazzarsi, piuttosto che rifilargli quelle parole. Ma non aveva scelta.

Marcus rimase senza fiato. Nemmeno si accorse che il cameriere gli aveva appena porto il bicchierino di Martini.

«Non stai dicendo sul serio. Sì, tu mi stai soltanto mettendo alla prova», farfugliò, mentre in quegli occhi azzurri infuriava una tempesta che a Kristen, più che spavento, suscitò infinita compassione. E una sofferenza dal sapore mortale.

«Ti assicuro che non è così.»

«Perché scappi, allora? Perché è questo, quello che stai facendo.»

Kristen dissentì. «Non sto scappando da te. Ma sto scappando per ritrovare me stessa, che tu ci creda o meno.»

A quelle parole, Marcus parve rinsavire. «Quindi, hai soltanto bisogno di una pausa. D'accordo. Ti chiedo soltanto di rispondermi sinceramente. Dicevi sul serio, prima? Davvero non sono mai stato niente per te?»

Kristen pensò di rigirargli la domanda. Era pericoloso quanto stava per fare, ne era ben consapevole. Ma in quel momento, non riuscì proprio a resistere. «E io? Cosa sono stata, io, per te? Eh?»

Marcus continuò a guardarla. «Permettimi di farti un'altra domanda, prima. Noti qualcosa di diverso, in me? Ti scongiuro, guardami bene», la implorò, i palmi sul tavolo.

Kristen corrugò la fronte. Qualcosa di diverso? A lei sembrava esattamente uguale a prima. Stesso taglio di capelli, stesso tipo di abbigliamento. Stessa espressione interrogativa. La stava forse prendendo in giro?

Ma certo, pensò. Sta cercando di sviare la mia domanda.

«Niente e nessuno mi farà cambiare idea, Marcus.»

«Perfetto», rispose lui, asciutto. «E... e quando ritornerai?» le chiese quindi, un guizzo di speranza negli occhi. O forse disprezzo. Magari anche rabbia. Kristen, in quel momento – e pur non avendo bevuto neppure un goccio –, non avrebbe saputo dirlo. Si sentiva ferita, confusa; per certi versi, persino umiliata. Indispettita. Non si sentiva per niente lucida, pur avendogli detto chiaro e tondo – tra l'altro, facendo appello a una freddezza che non le era mai appartenuta, nemmeno quando aveva sbattuto fuori a calci il suo ex fidanzato – che per lei era stata solo un'avventura.

I palmi delle mani ben piazzati sopra al tavolo, l'invitante scollo della sua camicia a quadri. Lui non l'avrebbe mai più sfiorata, con quelle dita. Non le avrebbe mai più afferrato i seni per poi portarseli in bocca, baciandoli come se fossero delle gemme preziose.

Non l'avrebbe mai più afferrata per i fianchi, imponendole un ritmo più calmo o, all'occorrenza, ben più serrato di quello a cui, normalmente, l'aveva abituata negli ultimi tempi. Non avrebbe mai più avuto quei begli occhi su di sé, non avrebbe neanche più sentito la sua voce.

O forse, quella lì l'avrebbe risentita, presto o tardi. E magari, in quell'occasione, sarebbe stata rivolta soltanto a chi di dovere. A chi aveva sempre fatto parte, nonostante tutto, della sua vita. A differenza sua.

Stare senza di lui, le avrebbe forse provocato una sofferenza inimmaginabile. Ma l'incontro con quelle due anime affini, le aveva fatto capire che lasciare Marcus sarebbe stata l'unica scelta possibile; forse, la più giusta che potesse mai prendere. Una scelta di cui magari, un brutto giorno, si sarebbe persino pentita, o che magari l'avrebbe condotta alla più alta espressione della felicità. Quella scelta che l'avrebbe resa libera, e non più schiava. Una scelta che le avrebbe permesso di tornare a guardarsi allo specchio con occhi nuovi, di sognare quell'uomo per cui lei sarebbe sempre stata, in ogni singola circostanza, la sua prima, insostituibile scelta.

Perché lei, per Marcus, sarebbe stata per sempre l'eterna seconda.

Sì, lei ci avrebbe provato. Avrebbe provato a dimenticarlo, avrebbe provato ad andare avanti senza di lui. Senza il suo bellissimo sorriso, che adesso...

«Non lo so. Non so quando tornerò.»

Marcus annuì, le labbra serrate. «Sul serio non... non significa proprio niente, per te?» insisté nuovamente dopo qualche istante, speranzoso e sconfitto al tempo stesso. Nel mentre, sbatté ancora una volta le mani sul tavolo, segno di come stesse cercando di richiamare la sua attenzione.

Ancora una volta, Kristen non capì a cosa si stesse riferendo – il suo sguardo si alternava tra i suoi occhi e l'ambiente circostante –, ma decise di non trattenersi oltre. Si era già torturata abbastanza. Si alzò dal tavolino e lo salutò con un breve cenno del capo.

«Kristen?» la richiamò lui, con un filo di voce.

L'altra si voltò appena, incapace di credere che, in mezzo a tutto quel trambusto, l'avesse sentito.

«Buona fortuna.»

Kristen dovette appellarsi a tutte le sue forze per non scoppiare a piangere davanti a lui. «Buona fortuna anche a te», farfugliò.

Poi, rintanatasi in macchina, pianse tutte le sue lacrime.

In quel preciso momento, lo capì. Capì di essere sempre stata, irrimediabilmente, innamorata di lui.

Capì che, forse, non aveva mai amato nessuno con quella disperazione che adesso continuava a trattenerla in una morsa violenta, prendendo pieno possesso di lei. Di ogni parte del suo essere.



L'aeroporto era gremito di persone. Kristen, valigia alla mano, ciondolava di qua e di là senza una meta, in lungo e in largo, gli occhi gonfi di pianto, tristi e senza vita. Tra poco meno di qualche minuto, avrebbe preso il primo volo per Madrid. Aveva sempre sognato di visitare quella bellissima città spagnola, per quanto, in quel momento particolare della sua vita, avrebbe desiderato soltanto morire. Tutto, intorno a lei, appariva spoglio, senza alcuna attrattiva. Si sforzava di pensare che di lì a poco, non appena avrebbe preso quell'aereo, sarebbe andata meglio e non avrebbe più indugiato in quei pensieri oscuri.

Kristen si lasciò ricadere stancamente su una piccola poltroncina che, tra le tante altre, occupava la spaziosa Departure Lounge. Ma chi voleva prendere in giro? Non avrebbe più amato nessuno; non in quel modo, almeno. In quel modo tanto giusto quanto sbagliato. Pur sapendo quanto le avrebbe fatto male, estrasse il solito paio di biglietti dalla borsa.
Due biglietti di sola andata per Madrid. Li aveva acquistati giusto qualche oretta prima che s'imbattesse in Thomas e Jane al Road House. Era passata solo una settimana da quel giorno, eppure... era bastato un nonnulla per farle cambiare idea. Lei e Marcus non sarebbero mai partiti insieme. Così, aveva acquistato un altro biglietto – quello di ritorno. Avrebbe dovuto soggiornare nella capitale per un paio di settimane, ma non riusciva a non pensare a cosa sarebbe successo quando sarebbe rientrata al Children's Home.

Marcus l'avrebbe cercata? Avrebbe tentato di riallacciare i rapporti?

Scrollò le spalle. Lui sarebbe andato avanti con la sua vita, non l'avrebbe di certo aspettata. Perché la vita – lei lo sapeva meglio di chiunque altro – non aspetta nessuno.

Consultò l'orologio. Mancavano pochi minuti alla partenza, e avrebbe fatto meglio ad avviarsi. Mentre si rialzava dalla poltroncina, lo sguardo le cadde su un cartellone nel quale era affissa una mano sinistra – dai tratti femminili ed eleganti, le unghie ricoperte da uno smalto di colore rosso – sul cui anulare vi era un bellissimo anello di fidanzamento.

Un diamante è per sempre, recitava il suddetto poster.

Finché dura, pensò Kristen, ironica. Il suo vecchio professore di Chimica, in effetti, le aveva ben spiegato che i diamanti non sono eterni (o meglio, si considerano tali solo se paragonati alla vita media di un essere umano). Certo, secondo la Scala di Mohs, il diamante è il minerale più duro del pianeta. Ma a livello strutturale – e quindi tridimensionale –, il diamante è in realtà costituito da una serie di atomi di carbonio che, se disposti in un certo modo, danno vita alla grafite, i cui legami chimici sono assai più deboli, e non al diamante. Certo, affinché il diamante si trasformi in grafite, nelle condizioni di pressione e temperatura ordinarie, occorrerebbe giusto un qualche migliaio di anni, però...

Kristen distolse lo sguardo. Lei non avrebbe mai ricevuto quel meraviglioso pegno d'amore.

Trascinò la valigetta di malavoglia, mentre una melodia – alquanto familiare – prese a diffondersi nell'aria. Can't Help Falling In Love del violinista André Rieu. Una meravigliosa composizione strumentale le cui note, stupende e malinconiche al tempo stesso, le fecero compagnia fino a quando l'aereo non si preparò al decollo. Kristen si strinse nel cappotto. Si domandò perché, tutto d'un colpo, si stesse sentendo come se nella sua testa vi fosse un conto in sospeso.

Vi preghiamo di allacciare le cinture, tuonò una voce robotica, mentre Kristen si ostinava nel rincorrere un pensiero che pareva incorporeo.

E che divenne consistente giusto qualche attimo dopo, quando l'aereo prese finalmente il volo e librò verso il cielo, ricoperto da soffici nuvole bianche.

Rivide, per un breve istante, quel solitario impresso sul cartellone, su quella mano di donna.

Poi, invece... rivide quell'altra mano. La mano di Marcus. A Kristen prese quasi un coccolone.

Noti qualcosa di diverso, in me? Ti scongiuro, guardami bene.

Sul serio non... non significa proprio niente, per te?

La sua mano sinistra – sì, si trattava proprio di quella! – era spoglia. Completamente spoglia.

Marcus – il "suo" Marcus – si era sbarazzato della fede.

Non è possibile, pensò, un copioso flusso di lacrime le ottenebrò la vista. Un fastidioso ronzio le si diffuse in testa.

Per l'ennesima volta, il destino le aveva giocato un brutto tiro. Quando aveva conosciuto Marcus quella maledetta sera, non si era accorta – e avrebbe dovuto, invece – che l'uomo indossava la fede.

Mentre adesso... adesso che avrebbe dovuto accorgersi del contrario...

Kristen continuò a piangere lacrime amare. Nonostante quella scoperta, era ormai certa di averlo perso per sempre.



("Una canzone che tu potrai cantare a chi...")

A chi tu amerai dopo di me.

A chi non amerai senza di me."



[1] Gino Paoli e Ornella Vanoni – Ti Lascio Una Canzone
[2] André Rieu: compositore, direttore d'orchestra e violinista olandese.

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