11. Sound of silence

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Nella foto: Falco Ferraro  


"Hello darkness my old friend,

I've come to talk with you again

Because a vision softly creeping

left its seeds while I was sleeping

And the vision that was planted 

in my brainstill remains, 

within the sounds of silence"

Sound of silence - Simon & Garfunkel



Marco rimase lì impalato, di fronte a lei, ancora confuso sull'accaduto. Un attimo prima si stavano scambiando un bacio come non ne aveva mai dati, e il secondo dopo lei si era scostata bruscamente da lui. Non riusciva davvero a capire cosa potesse essere successo. Forse per lei non era stato altrettanto bello? O forse si era solo pentita di averlo baciato... Era completamente disorientato.

«Aurora, tutto bene?» chiese titubante, nella speranza di poter capire cosa fosse successo. Per un attimo pensò di aver fatto qualcosa che l'avesse infastidita, o forse le aveva inavvertitamente tirato i capelli sulla nuca.

La ragazza rimase con lo sguardo basso, continuando a tenere la mano sinistra sulla nuca, nell'esatto punto in cui solo pochi secondi prima era la sua.

«Sì sì, tutto bene. È che si è fatto tardi, devo correre a casa. Scusami» farfugliò lei, senza guardarlo in faccia. Poi si voltò e si avviò verso il tavolino dove li aspettava Eleonora, lasciandolo lì, da solo, al centro della pista ormai vuota, a chiedersi cosa avesse sbagliato.

La vide avvicinarsi ad Eleonora, bisbigliarle qualcosa nell'orecchio, e poi avviarsi insieme all'amica verso l'uscita.

All'improvviso una vigorosa pacca sulla spalla attirò la sua attenzione.

«Ehi fratello, allora, che te ne è parso stasera? Siamo stati grandi, vero?» gli chiese Alessandro, ancora su di giri per la performance.

Così Marco distolse lo sguardo dal punto sulle scale dove l'aveva vista scomparire al piano superiore, e rivolse l'attenzione a suo fratello e agli altri membri del gruppo, scesi dal palco per salutare gli amici e raccogliere il numero di telefono di qualche fan particolarmente entusiasta.

«Ehi Ale, siete stati grandi. Bravissimi ragazzi, stasera avete dato proprio il meglio di voi» disse, complimentandosi con la band.

«Grazie amico» gli rispose Cristian, avvicinandosi e mettendogli un braccio intorno alle spalle.

«Ma a quanto ho potuto vedere dal palco anche tu ti sei dato da fare...» lo punzecchiò il vocalist, con tono malizioso. «Carina la tipa che baciavi in pista. Chi è? Una nuova conquista?»

Marco, infastidito da quei commenti, si affrettò a replicare.

«Nessuna conquista. È una ragazza che ho conosciuto sull'autobus la scorsa settimana. Frequenta con Eleonora, a quanto pare.»

«A proposito di Ele» disse Cristian, guardandosi intorno, «dov'è finita? L'ho vista dalle parti del bancone, prima di cominciare. Sai che fine ha fatto?»

«Sì, è andata via. Doveva riaccompagnare Aurora a casa. Avevano fretta» tagliò corto Marco.

«Hai detto che si chiama Aurora?» chiese Alessandro, con lo sguardo di qualcuno la cui mente sta macinando un pensiero.

«Sì, Aurora. Ma non conosco il cognome. Perché? La conosci?»

Suo fratello rimuginò alcuni secondi.

«Non saprei. Il viso mi è familiare, e anche il nome mi dice qualcosa, ma non riesco a ricordare dove l'ho già vista. È frustante...» disse, passandosi la mano tra i folti capelli castani, appena più scuri di quelli di Marco.

«Credo sia improbabile che tu l'abbia già incontrata, è qui a Firenze solo da una settimana. Forse ti confondi con un'altra ragazza... Magari una delle tue tante spasimanti...» lo prese in giro Marco.

«Sarà» replicò Alessandro, in tono sdegnato, «eppure io dico che l'ho già vista. Vedrai, prima o poi mi verrà in mente!» sentenziò.

Marco ridacchiò, poi gli diede una pacca sulla spalla.

«Sì, nei tuoi sogni. Forza, ragazzino, raccatta i tuoi arnesi e andiamo a casa, domani dobbiamo alzarci presto.»

Aurora era seduta sul sedile del passeggero della Citroën C3 di Eleonora, ancora ferma nel parcheggio del locale. Si stringeva il cappotto al petto, per la fretta di uscire dal locale non lo aveva indossato. L'amica era seduta al posto del guidatore, in silenzio, in attesa di una spiegazione a quella strana situazione. Ma lei non era in grado di dare spiegazioni. In quel momento non era in grado di pronunciare neanche una parola. Ma era evidente che Eleonora non aveva nessuna intenzione di mettere in moto e andar via prima che lei avesse parlato.

«Allora, Aurora, si può sapere cosa ti è preso? Vi ho visti che vi baciavate, sulla pista. Non mi pareva che ti dispiacesse. Perché siamo scappate come due ladre in fuga con un bottino da un milione di dollari?» disse, fissandola con sguardo indagatore.

Aurora rimase in silenzio, lo sguardo fisso davanti a lei. Doveva dirle qualcosa, o non se ne sarebbero andate mai da lì.

«Niente, tutto okay. Mi sono solo resa conto che baciarlo è stato un errore enorme. E vorrei andare a casa. Ti prego, sono molto stanca, possiamo andare?»

Eleonora la guardò, più perplessa che mai.

«Un errore? Sorella, eri incollata a lui, gli hai fatto una visita dentistica con la tua lingua! Non vedevo un bacio così appassionato da... beh, da molto tempo. Fidati, un bacio così non può mai essere un errore. Cosa ti è preso tutto d'un tratto? So che non ci conosciamo da molto, ma puoi confidarti con me. So essere una buona ascoltatrice e una buona amica, se me lo permetti.»

Il suo modo di fare era gentile e il suo tono comprensivo. Sembrava sincera. Per un attimo Aurora immaginò di dirle tutto. Di raccontarle tutto quello che le era successo, tutto l'inferno che aveva attraversato, tutto quello di cui non aveva mai parlato con nessuno. Poi immaginò la reazione della compagna, lo sguardo pieno di compassione con cui l'avrebbe guardata da lì in poi, come avevano fatto tutte le persone che erano venute a conoscenza della sua vicenda, al suo paese. No, non lo avrebbe tollerato ancora. Non poteva parlare.

«Ti ringrazio moltissimo per la tua offerta, ma davvero, sto bene. Ho solo bisogno di andare a casa. Per favore» disse in tono supplichevole, massaggiandosi nervosamente le mani.

A quel punto Eleonora si arrese. E senza aggiungere altro, inserì le chiavi nella serratura e avviò il motore.

Mezz'ora dopo, la macchina accostò sotto casa di Aurora. Avevano viaggiato nel più assoluto silenzio. Aurora non sapeva cosa dire. Era consapevole di aver dato una pessima impressione. L'amica non sapeva nulla, non poteva neanche lontanamente immaginare cosa avesse provato nel sentire il tocco di Marco sulla sua cicatrice. Ai suoi occhi doveva essere sembrata una ragazza capricciosa e piuttosto maleducata, che per di più le aveva rovinato la serata, senza darle neanche una spiegazione. Doveva assolutamente scusarsi, se non voleva perdere l'unica persona che si era dimostrata gentile e amichevole nei suoi confronti in quel posto nuovo.

Così tirò un lungo respiro, si girò verso Eleonora, e cominciò a scusarsi.

«Senti, mi dispiace da morire che la serata si sia conclusa così. Ti sarò sembrata una pazza a reagire in quel modo. Sono mortificata. E so che meriti una spiegazione, è che la situazione è più complicata di quanto tu possa immaginare. Riguarda il mio passato, il motivo per cui mi sono ritrovata qui a Firenze, e molto altro. Solo che non mi sento ancora pronta a parlarne. Capisci?» chiese, con tono incerto.

«Aurora, tu non mi devi nessuna spiegazione. Tranquilla. Dalla tua espressione quando sei tornata al tavolo avevo intuito che eri sconvolta. Volevo solo che sapessi che io sono qui per te, se e quando ne avrai bisogno. Tutto qui. Sono stata felice di trascorrere la serata con te, comunque. E lo rifaremo presto, se tu ne avrai voglia» concluse l'amica sorridendo dolcemente e posando una mano sulle sue, per tranquillizzarla.

Aurora si sentì subito sollevata e confortata. Fu in quel momento che capì che aveva trovato una vera amica. Le sorrise di rimando e strinse la sua mano, per farle capire che aveva apprezzato molto le sue parole.

«Grazie Eleonora. Spero di poterti dimostrare che anch'io so essere una buona amica. Spero che ci sia presto occasione di uscire di nuovo, mi sono davvero divertita. E fai i complimenti ai tuoi amici, sono stati bravissimi.»

«Glielo farò sapere, ne saranno felici. Allora, ci vediamo in aula domani mattina?»

«Certo. A domani. E grazie ancora per la serata e per il passaggio» disse Aurora, scendendo dall'auto e salutando l'amica.

Rimase alcuni secondi davanti al portone di casa, aspettando di vedere la macchina scomparire dietro l'angolo in fondo alla strada. Poi recuperò le chiavi di casa dalla borsetta ed entrò.

Erano le tre di notte. Aurora era ancora sveglia. A tenerle compagnia solo il rumore lieve e regolare del respiro di Isabella, profondamente addormentata a pochi metri da lei.

Quando Falco rientrò dal suo turno al bar, sentì distintamente il suono delle chiavi che giravano nella toppa. Così decise di alzarsi per salutarlo e fare due chiacchiere con lui.

Si alzò, aprì la porta della sua camera e vide la luce accesa in cucina. Si avviò in corridoio a passo leggero, cercando di non far rumore e di non svegliare gli altri componenti della famiglia. Quando fu in cucina, vide Falco davanti al frigorifero, in contemplazione, il viso stanco e occhiaie scure.

«Ehi» lo salutò a voce bassissima.

Il fratello si girò di scatto verso di lei, evidentemente sorpreso dalla sua presenza.

«Ehi Aurora. Che ci fai in piedi a quest'ora? Ho fatto rumore quando sono rientrato?»

«No, tranquillo. Ero già sveglia, ecco perché ti ho sentito. Vuoi che ti prepari qualcosa da mangiare mentre mi racconti com'è andata la prima serata di lavoro?» disse lei con tono premuroso, chiudendosi la porta della cucina alle spalle, così da poter parlare più tranquillamente.

«Mmm, magari, sto davvero morendo di fame. Che ne dici, ci facciamo due uova strapazzate?» disse lui, tornando a studiare il contenuto del frigo.

«Ci sto. Ma le preparo io. Tu siediti, rilassati un po' e raccontami com'è andata.»

Falco le lasciò posto davanti al frigo e andò a sedersi dall'altra parte del tavolo.

«Beh, la mia serata non è stata un granché. Una montagna di lavoro, dodici ore in piedi, quasi di fila, un milione di persone che urlavano ordinazioni a destra e a manca. Ma niente fuori dalla norma.»

Fece alcuni secondi di pausa, poi riprese.

«Sai cos'è incredibile, invece? C'era una ragazza identica a te, nel locale dove lavoro. Per caso tu ne sai nulla?» chiese lui, in tono vagamente inquisitorio.

Aurora rimase paralizzata. Era di spalle, intenta a rompere un uovo, che finì inevitabilmente per mancare la padella e spiaccicarsi sul pavimento della cucina.

«Non dirmi che lavori al Music Time...» disse in un sussurro.

Falco sollevò un sopracciglio, disorientato.

«Beh, potrei non dirtelo, ma mentirei. Aurora, eri tu, vero? Con quel ragazzo sulla pista?»

Aurora continuò ad evitare lo sguardo del fratello, e si affrettò a pulire il disastro che aveva combinato con l'uovo.

«Mi hai vista allora?»

«Sì, ti ho vista, sorellina. E ho visto anche che sei scappata. Ti va di dirmi perché?» chiese Falco, nel tono comprensivo che usava quando sapeva che lei aveva bisogno di una spalla su cui piangere.

«Falco, è complicato. Credo di aver combinato un disastro. Tanto per cambiare...» disse lei in un sussurro. «Io sono un disastro. Ormai lo avrà capito anche lui.»

«E questo lui ha un nome?» chiese il fratello, desideroso di maggiori informazioni.

«Marco. Si chiama Marco. L'ho conosciuto sull'autobus che prendo la mattina per andare in facoltà. Lui studia filosofia» rispose lei, posando lo straccio usato per pulire il pavimento e andandosi a sedere al tavolo, di fronte a Falco.

«Uhm, un filosofo. Interessante. E cos'era quello di stasera? Un incontro casuale o un appuntamento?»

«Nessuno dei due in realtà. Sono venuta al locale con un amica, lui ci ha raggiunte per conto suo. Ci stavamo divertendo, poi lui mi ha invitata a ballare e...»

Aurora non sapeva come continuare.

Fu Falco ad incalzarla.

«E cosa? Ha allungato le mani? Ha fatto qualcosa che ti ha dato fastidio?»

Ed eccolo lì, suo fratello in modalità protettiva. Quella volta era decisamente fuori strada, ma Aurora adorava il suo modo di prendersi cura di lei.

«No no, assolutamente. Mi ha baciata, e poi... e poi è andato tutto a rotoli.»

«Perché? Aveva l'alito che puzzava di cipolla?» scherzò il fratello.

«Ma no! Ma cosa vai a pensare!» rispose ridendo. Poi tornò seria e dopo alcuni secondi continuò. «Mentre ci baciavamo, l'ha toccata.»

Falco aveva l'espressione piuttosto disorientata. «Toccato cosa?»

«La cicatrice. Quella sulla nuca. L'ha sfiorata appena perché mi sono tirata indietro quasi subito, ma penso che l'abbia sentita.»

Falco rimase in silenzio per un po', occupato a cercare di capire quali potessero essere le implicazioni di quel gesto.

«E pensi che per lui sia un problema il fatto che tu abbia una cicatrice? O è un problema per te che lui la tocchi?» chiese in tono retorico.

«Falco, il problema è che se ne sia accorto! Non capisci? Ora vorrà sapere come me la sono fatta!» disse Aurora, in tono esasperato, i gomiti poggiati sul tavolo e la faccia nascosta tra i palmi delle mani.

«Sei sicura che sia solo questo il problema?» chiese Falco, come se già conoscesse la risposta a quella domanda.

Aurora rimase in silenzio per alcuni secondi. Poi tirò un sospiro.

«Hai ragione. Il problema è che ho ricambiato il bacio. Che stupida sono stata...»

«Perché dici questo? Se l'hai baciato vuol dire che ti andava di farlo. Cosa può esserci di così sbagliato?»

«Tutto Falco. Anche se non si fosse accorto della cicatrice, prima o poi comincerà a fare domande. Un milione di domande a cui io non sono pronta a rispondere. Non sono pronta a raccontargli tutto. E poi servirebbe solo ad allontanarlo. Nessuno vorrebbe stare con una incasinata come me...»

«Aurora, non puoi dire così. Capisco che tu non abbia ancora voglia di parlare di quello che è successo quella notte, e lo rispetto, davvero. Ma è passato più di un anno... Non pensi che sia arrivato il momento di affrontarlo? Hai bisogno di parlarne, altrimenti non riuscirai mai ad andare avanti. Scegli qualcuno. Mamma, papà, me, Isabella, un terapeuta o questo ragazzo. Non ha importanza. Ma parlane.»

Aurora ormai aveva le lacrime agli occhi.

«Come faccio a parlarne senza andare in mille pezzi?» disse con voce tremante, guardando il fratello negli occhi.

«Non importa se dovessi andare in mille pezzi, o un milione, o un miliardo, Aurora. Perché troverai sempre il modo di rimetterli insieme. Sei la persona più forte che io conosca. E so che puoi farcela. E noi saremo qui ad ascoltarti e sostenerti, sempre. Ma se resti ancora chiusa in te stessa con il tuo dolore, finirai per implodere. E sarà solo peggio.»

Falco fece alcuni secondi di pausa, poi riprese.

«Mi prometti che ci penserai piccola?» disse infine, sporgendosi sul tavolo e asciugandole le lacrime con il palmo della sua grande mano.

Aurora posò la mano su quella del fratello e la strinse.

«D'accordo,ti prometto che ci penserò.» 

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