Capitolo 1

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Il suono della sveglia mi riportò alla realtà.

Allungai svogliatamente la mano e afferrai il mio smartphone per spegnerla.

Quando mi voltai, gli occhi di Lydia, per quanto assonnati, erano già aperti.

«Buongiorno, campione» esalò con la bocca ancora impastata.

«Buongiorno. Devo scappare. Non voglio arrivare in ritardo il mio primo giorno di lavoro.» Mi alzai prontamente dal letto e mi rivestii in fretta, rimettendo i boxer e i jeans.

Lydia si puntellò sui gomiti e rimase a fissarmi.

«Puoi rimanere un altro po' e prepararti qui da me. Ho la doccia anch'io, sai!» ironizzò, facendomi sorridere.

«Preferisco prepararmi a casa. Soprattutto oggi! Ma grazie per l'invito, sarà per la prossima volta» dissi, facendole l'occhiolino.

Il suo sguardo cambiò, diventando quasi speranzoso.

«Ci sarà una prossima volta?» chiese, ancora seminuda, coperta solo dal lenzuolo color porpora che le dava un'aria sensuale e intrigante.

Mi sedetti piano sul letto e le presi il viso, baciandola dolcemente.

«Il fatto che non lavoriamo più insieme non significa che non possiamo più vederci, Lydia.»

«Andiamo, Bright, sai bene come vanno a finire certe cose.
Non abbiamo mai definito ciò che c'era tra noi. Era sesso, un gran bel sesso per la cronaca» aggiunse, facendomi sorridere. «Ma è sempre stato solo quello per entrambi. O no?»

«Giusto» confermai. «E non vedo perché dovremmo interrompere le nostre sedute di ginnastica settimanali» dissi divertito, dandole un pizzicotto sulla guancia.

«Scommetto che ti ci vorrà pochissimo per trovare una nuova poliziotta attraente da portarti a letto!» disse con una punta di gelosia.

«Ma non sarà mai attraente quanto te, agente Smith» affermai, e la baciai con foga.

Le mie mani finirono sulle sue, e la passione ci prese nuovamente.

Avrei di sicuro fatto tardi, maledizione!

***

In auto, sulla strada che portava dal mio appartamento al distretto IX, dove ero stato assegnato, non facevo altro che pensare a come sarebbe stato il nuovo lavoro, il capo, i colleghi.

Con la mia vecchia squadra mi sentivo come a casa e, in un certo senso, ero un po' spaventato da questo grosso cambiamento.

Nonostante fossi una persona che si adattava a tutto, che andava, bene o male, d'accordo con tutti, lasciare il mio vecchio distretto, dove ogni cosa era iniziata, era difficile per me.

Nonostante ciò, questo era un cambiamento che avevo desiderato ardentemente. Entrare nell'Intelligence era sempre stato un mio grande sogno e, nel momento in cui tutto ciò si era avverato, mi sentivo un privilegiato, felice di affrontare questa nuova avventura della mia vita.

Guardai una vetrina, bloccato nel traffico. Il nome del negozio era "Tess".

Lo stomaco si contrasse e il cuore sembrò fermarsi nel petto.

Una specie di segnale.
Lei era lì con me, anche in quel giorno speciale. Sarebbe stata al mio fianco, pronta a tenermi la mano per l'inizio di una nuova fase della vita.

Erano passati così tanti anni, eppure... eppure quel dolore non andava via. Si era affievolito, forse, ma era sempre lì.

Tess era stata l'unica donna che avevo amato. L'unica che avrei mai potuto amare.

Ero anche andato in terapia, per questo, ma nonostante le parole rassicuranti del dottor Sonner, non mi sentivo pronto.

Lui diceva che il mio cuore era libero e che, se solo mi fossi lasciato andare, sarei stato di nuovo capace di amare qualcuno.

Eppure, soltanto l'idea di condividere molto più che un semplice letto con una donna, mi terrorizzava.

Non volevo affezionarmi a nessuna, magari innamorarmi, con la paura costante di perderla ancora.

Scacciai dalla mente le immagini di Tess inerme, distesa al suolo in una pozza di sangue, e ripresi a guidare, diretto al mio nuovo posto di lavoro.



Arrivai con un minuto di ritardo e chiesi del mio nuovo capo, Pitt Garamond.

Mi fecero salire al piano superiore, dove trovai quelli che, immaginai, sarebbero diventati i miei nuovi colleghi.

«Salve a tutti!» dissi a voce alta, per farmi notare.

Davanti a me c'erano due ragazzi, uno più bassino e magro, l'altro alto, ben piazzato.

Più in là, una donna bionda dall'aria simpatica conversava con un uomo di origini orientali.

Fu il magrolino il primo ad avvicinarsi a me.

«Tu devi essere quello nuovo! Thomas Cooper. Benvenuto in squadra.»

Strinsi la sua mano e mi presentai.

«Bright Hockester. Il piacere è tutto mio» risposi con un sorriso tirato.

«Ragazzi, su, non siate timidi. Quel ragazzo liggiù, accanto a quella splendida bionda, è Lee, il nostro ultimo acquisto. La bionda di cui ti dicevo si chiama Jessica, mentre qui avanti abbiamo il più anziano della squadra, Patrick.»

«Anziano?» ripeté il ragazzo, fintamente risentito. «Amico, ti batto ad occhi chiusi. Una corsa di cinque chilometri, quando vuoi!»
Lo sfidò con un sorriso, poi si avvicinò a me e allungò la mano per presentarsi.

«Patrick Tenson. Benvenuto in squadra, Hockester.»

Aveva una stretta forte e decisa. Sembrava quasi volesse marcare il territorio.

«Grazie, Patrick.»
Ricambiai la stretta, senza farmi intimidire, e poi notai la ragazza bionda venire verso di noi, seguita dal l'orientale.

«Il capo avrebbe dovuto specificare che avremmo avuto un nuovo collega così carino» constatò squadrandomi e strizzando l'occhio.

«Jessica Emerson. Benvenuto in squadra.» Aveva un volto simpatico e molto amichevole.

«Grazie, Jessica.» Le sorrisi, fingendomi divertito dalla sua battuta. In realtà mi sentivo ancora fuori posto.

«E tu devi essere Lee» dissi poi, allungando la mia mano al ragazzo orientale.

«In persona. Molto lieto. Lee Dawson» si presentò, stringendomela.

Mi sentii battere sulla spalla e vidi Thomas dietro di me.

«Bene. Ora che ci siamo presentati tutti, ti mostro la tua postazione. Vieni» esordì e io lo seguii.

Arrivammo poco distanti da dove ero entrato, all'altezza di una piccola scrivania vuota.

«Carlos Bellisario, l'agente che c'era prima di te, è finalmente andato in pensione anticipata. Non vedeva l'ora di trascorrere un po' di tempo con la sua famiglia.» Guardai Thomas e gli sorrisi, immaginando quanto fosse dura lasciare andare un collega e un amico.

Abbandonare i miei compagni al vecchio distretto era stato difficile.

«Immagino» dissi con un sorriso forzato. «Il capo non c'è ancora?» domandai, sistemandomi dietro la mia piccola scrivania.

«Arriverà a breve, tranquillo. Scommetto che non vedi l'ora di conoscerlo.»

«Beh, in effetti...»

«Buongiorno, piccoli eroi!»

Una voce squillante ci fece voltare e mi affacciai di più per capire chi fosse.

I miei occhi videro una donna, magra, con un portamento di classe.

Vestiva in maniera semplice: un jeans scuro e una blusa bianca larga.

Aveva un sorriso contagioso, uno di quelli capaci di stenderti.

Era bella, bella in maniera strana.

Aveva i capelli lunghi e scuri, ma da lontano non riuscivo a capire il colore dei suoi occhi.

«Alexis!» esclamarono in coro i ragazzi.

La donna avanzò con un vassoio tra le mani.

«Ho pensato di dare il benvenuto al nuovo arrivato alla vecchia maniera. Ho preparato i miei dolcetti!» disse con uno strano entusiasmo.

«Hockester, sei pronto a svenire per la bontà dei dolci di Alexis?» chiese Patrick, sorridendo alla ragazza.

«Non essere esagerato, Patrick.» Continuò a camminare, mentre Lee le fece cenno per indicare dove fossi.

Quando si parò davanti a me, incontrai finalmente i suoi occhi.

Un verde intenso, così profondo da perdercisi dentro.

Il suo volto era serio, concentrato.

Mi alzai d'istinto e allungai la mia mano, chiedendomi chi fosse quell'angelo che era capitato proprio sul mio cammino.

«Piacere, Bright Hockester. Grazie per la gentile accoglienza.»

La mia mano rimase sospesa a mezz'aria qualche secondo di troppo, finché lei si decise a distogliere gli occhi da me e a stringerla.

Quando avvenne il contatto, sentii un bruciore all'altezza dello stomaco. Qualcosa di mai provato prima, nemmeno con Tess.

Cristo, Bright, che cazzo dici? Stai davvero paragonando una sconosciuta a Tess? Datti una calmata!

«Alexis. Garamond» specificò poi, e capii che apparteneva a Pitt, il mio capo.

Cosa che, un istante dopo, mi confermò Thomas al mio fianco.

«È la figlia di Pitt. Del capo, insomma» ci tenne a farmi sapere e io sorrisi forzatamente.

«Piacere, Alexis» scandii piano e lei si passò la lingua sulle labbra, facendomi accapponare la pelle.

«Ehm... il piacere è mio. Ti ho portato dei dolcetti di benvenuto. Lo faccio sempre con i nuovi arrivati» si giustificò, posando il vassoio sulla mia scrivania e aprendolo.

«Ti ringrazio» dissi con una punta di imbarazzo. Gli occhi di tutti erano su di noi.

Quando il vassoio fu libero dalla carta che lo copriva, un profumo buonissimo invase le mie narici e dei muffin colorati fecero capolino.

«Ecco, serviti pure» disse gentile.

Le sorrisi e presi un dolcetto, mordendolo subito per non essere scortese.

Masticai piano, sentendomi addosso gli occhi di Alexis e dei miei nuovi colleghi.

Il gusto di quel muffin era buonissimo, strepitoso.

Ingoiai il boccone e le feci i miei complimenti.

«Sono davvero ottimi, Alexis, complimenti!»

«Te l'avevo detto che erano da svenire» si inserì Patrick.

Alexis si girò verso di lui, lanciandogli un'occhiataccia e poi tornò su di me.

«Grazie, Bright. Sono contenta ti siano piaciuti.»

«Bene, ora possiamo mangiare!» strillò Jessica e tutti si avventarono sul vassoio, facendo ridere di gusto sia me che Alexis.

Passarono alcuni istanti, e poi una voce forte e autoritaria ci fece sussultare.

«Cos'è questo baccano?»

Tutti si voltarono e io vidi un uomo di una certa età, con sguardo severo.

Ci avrei giocato la testa che fosse il mio nuovo capo!

«Scusa, papà, ho portato i miei soliti dolcetti.» Alexis si giustificò, cinguettando con la sua dolcissima voce.

Il padre non rispose e avanzò, parandomisi poi davanti.

«Tu devi essere il ragazzo nuovo» constatò, guardandomi serissimo.

«Sì, capo. Bright Hockester» risposi prontamente, allungando la mia mano per presentarmi.

Lui mi squadrò, senza afferrare la mano.

Lanciò un'occhiata a sua figlia e poi tornò su di me.

«Vieni nel mio ufficio» ordinò con tono duro e poi si voltò verso i ragazzi.

«Cinque minuti di bivacco, non di più. E poi si ritorna al lavoro. Forza!» incitò, battendo le mani.

Lo seguii a testa china, votandomi per un istante prima di richiudere la porta del suo ufficio.

Incontrai di nuovo i suoi occhi e sperai di non rivederla mai più. O, quantomeno, il minimo indispensabile.

Ciò che il mio corpo avevo avvertito non mi piaceva affatto. Non volevo riprovarlo.

Volevo continuare a sguazzare nel mio dolore.

Volevo rimanere solo, perché era più facile. Più triste, forse, ma decisamente più facile.

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