Capitolo 3

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«Tess... amore mio, ti prego, non lasciarmi!»

Urlavo con quanto fiato avevo in gola, ma lei non rispondeva più.

I suoi occhi sbarrati fissavano il vuoto, la sua bocca era spalancata in una morsa di terrore.

L'avevo persa per sempre, non c'era più nulla da fare!

Non sarei andato avanti senza di lei. Nulla aveva più senso senza di lei.

Tess era il mio tutto, la ragione della mia esistenza, il mio futuro.

«NO!!!!!»

Mi svegliai di soprassalto, col cuore in gola e i battiti a mille.

Toccai il mio volto, ero completamente sudato.

Mi alzai dal letto per recarmi in cucina e prendere un bicchiere d'acqua gelata, ne avevo bisogno.

Erano le cinque e trentacinque, la sveglia sarebbe suonata dopo circa mezz'ora.

Decisi di approfittarne per fare un po' di esercizio a corpo libero.

Dopo aver riempito tre volte un bicchiere di vetro d'acqua ghiacciata, lo riposi nel lavandino e mi distesi per terra per cominciare a fare le flessioni.

Il corpo era sul pezzo, concentrato, ma la mente era altrove.

Spesso ero tormentato dagli incubi sulla notte in cui morì Tess, non ne potevo più di stare così male.

Ogni volta rivivevo quel momento, provando lo stesso, identico dolore.

Ogni volta mi svegliavo sperando fosse solo un brutto sogno, ma consapevole, invece, che era la mia triste realtà.

Una realtà in cui lei non c'era più. Né le sue mani, né il suo sorriso, né il colore scuro dei suoi occhi.

I suoi capelli corvini a caschetto, quella frangia che le stava così bene e che ogni volta che eravamo vicini mi divertivo a spostarle dalla fronte, per giocare coi suoi capelli.

Niente di lei c'era più, soltanto il ricordo di ciò che era, di ciò che eravamo insieme.

Possibile che tutti quegli anni non avessero cancellato quel dolore?

Volevo vivere, vivere davvero, ma non ne ero capace.

Ripensai ad Alexis Garamond, al suo sorriso, e sbuffando mi sedetti per terra, senza finire il numero di flessioni che mi ero prefisso.

Decisi di farmi una doccia fredda, provando a dimenticare ogni cosa, passata e presente. Provando a concentrarmi solo su me stesso, perché era con me stesso che avrei dovuto convivere per il resto della vita.

Con me stesso e nessun altro!

***

Arrivai puntuale al dipartimento, ma mentre parcheggiavo l'auto proprio di fronte, notai qualcuno battibeccare a voce alta con un poliziotto.

Mi incamminai piano, attraversando la strada, e vidi Alexis, a fianco di un signore anziano, che sbraitava a voce alta con un tizio che poteva avere più o meno la mia età.

Era in divisa ed era lì per fare una multa.

«Si rende conto che questa era un'emergenza? Non può fare quella multa, la ritiri subito!» strillò lei, arrabbiata.

«Signorina, non posso, e comunque questi non sono affari suoi!» rispose il poliziotto, sbuffando.

«Lo sono eccome! Il rispetto per gli anziani viene prima di tutto e lei non sta rispettando quest'uomo!
Ha parcheggiato in divieto perché doveva andare in farmacia a prendere delle importanti medicine, lo capisce o no?» continuò a urlare.

Sorrisi, continuando a guardarla da lontano, tenendomi a debita distanza.

Il modo in cui difendeva quel vecchietto, come si infervorava per proteggerlo, mi faceva impazzire!

Avevo ipotizzato quanto fosse dolce, mi era bastato guardarla negli occhi, ma in quel momento ne avevo avuto la piena conferma.

I suoi occhi arrabbiati mi facevano impazzire e provai a frenare strane sensazioni che prendevano vita fuori e dentro di me.

«Questi non sono affari che mi riguardano! La macchina era in divieto e io faccio solo il mio lavoro.»

«Beh, allora lo sta facendo male! Abbia un po' di clemenza, che diamine!»

Decisi di avvicinarmi e mettere fine a quel battibecco, provando a intervenire in favore di quell'anziano signore e di Alexis.

«Buongiorno!» esclamai per farmi notare.

Alexis e il vecchietto si girarono nella mia direzione, mentre il ragazzo, che era già in posizione utile a guardarmi negli occhi, mi osservò con aria accigliata.

«Problemi?» chiesi, facendomi spazio tra loro.

«Ci sono problemi sì. Questo qui non vuole annullare la multa che ha appena fatto al signore.
Lui ha provato a spiegargli che ha parcheggiato qui per emergenza, ci ho provato anch'io, ma a quanto pare il tuo collega non vuole ascoltare!»

La presi per un braccio e la portai delicatamente dalla mia parte, per parlare a voce bassa e convincerla ad allontanarsi.

«Porta il signore in centrale, me ne occupo io.»

Alexis posò gli occhi sulla mia mano, così la ritrassi. Quando deglutì forte, osservando le mie labbra, notai quanto le sue fossero belle.

«Io...»

«Vai, per favore.» Insistetti, perché sapevo che Alexis non avrebbe cavato un ragno dal buco con questo suo atteggiamento.

Lei mi fissò ancora, alla fine però cedette.

Disse al signore di seguirla, che gli avrebbe offerto un caffè e lui lo fece, ringraziandomi.

Quando rimasi solo col poliziotto, mi avvicinai di più a lui, presentandomi.

«Bright Hockester. Lavoro qui in centrale» dissi con tono cordiale, allungando la mia mano nella sua direzione.

«David Hanioff. Quella peperina è tua amica?» chiese, indicando col capo la centrale dove Alexis era sparita insieme all'anziano signore.

«É la figlia del mio capo, Pitt Garamond. Non so se ne hai mai sentito parlare.»

«Il suo nome è conosciuto ovunque. Dicono sia un poliziotto dai modi... poco ortodossi, diciamo così!»

«Sono voci che ho sentito anch'io, ma non posso dartene conferma. Lavoro qui solo da ieri.
Ascolta, non so molto di Pitt, ma so per certo che ha molte conoscenze e che adora la figlia più della sua stessa vita.
Strappa questa multa e dimenticati del battibecco di questa mattina.»

Provai ad essere convincente, mostrandomi dalla sua parte, ma lui non sembrava voler cedere.

«Dovrei farmi intimidire da una ragazzina viziata? Non ho paura né di Garamond né di nessun altro. Stavo solo facendo il mio lavoro!»

«Amico, calmati, guarda che ti capisco, sono dalla tua.

Ma se vogliamo, avresti potuto chiudere un occhio per un anziano in difficoltà.
La sua auto non blocca mica il traffico, dai!
In fondo il nostro lavoro è questo: servire e proteggere. E aiutare un vecchietto fa parte dei nostri compiti.»

Lui sbuffò, poi mi guardò di traverso.

«Amico, non ho nulla contro quel signore, ma è una questione di principio! Nessuna donna può dirmi come fare il mio lavoro!»

«Infatti te lo sto chiedendo io, da collega a collega.
Vale la pena mettersi nei guai per una semplice multa?
Fidati, meglio non sapere se Pitt Garamond è così intransigente come dice.»

Lui sbuffò ancora, guardando il blocchetto delle multe.

Alla fine prese quella che aveva appena compilato e la strappò.

«Mi devi un favore, Hockester!» tuonò puntandomi il dito contro.

Gli battei una mano sulla spalla e sorrisi.

«Anche due, David. Buon lavoro.»

Mi allontanai, rientrando in centrale, e vidi Alexis seduta accanto al vecchietto, vicino alla macchinetta del caffè.

Appena mi vide si alzò di scatto, venendomi incontro.

«Allora?» chiese, abbracciandosi come se avesse freddo.

«Tutto a posto. Ha strappato la multa, il signore può stare tranquillo.» Mi affacciai di poco per osservarlo, quando lui si alzò per raggiungerci.

«Ma come hai fatto?» domandò, quasi sorpresa.

«Segreto professionale» risposi, facendole l'occhiolino.

«Agente, grazie per avermi aiutato» intervenne l'anziano, che ormai ci aveva raggiunto.

«È mio dovere, signore. Può stare tranquillo, non deve pagare nessuna multa.»

«Grazie, siete stati entrambi molto gentili. Siete due ragazzi meravigliosi. Una bellissima coppia, davvero!»

Io e Alexis ci guardammo un secondo, poi scuotemmo contemporaneamente il capo.

«No...»

«Noi non...»

Decisi di far parlare lei, così mi zittii.

«Siamo soltanto... beh...»

«Amici. Più o meno» azzardai, provando ad andare in suo soccorso.

Che situazione imbarazzante, Dio mio!

«È dalle più belle amicizie che nascono i grandi amori. Io e mia moglie ci siamo conosciuti proprio in una centrale.

Lei era andata a denunciare lo smarrimento del suo documento di identità, mentre io volevo farla pagare a quel farabutto del mio vicino di casa che rubava sempre la frutta del mio giardino.

Alla fine decisi di non denunciarlo. In qualche modo era grazie a lui se avevo conosciuto Elizabeth. Se lui non mi avesse portato all'esasperazione con quei suoi dannati furti, quel giorno non sarei mai andato in centrale.»

Sorridemmo entrambi, colpiti da quella storia così dolce.

«È una storia bellissima, signor Uber. Scommetto che sua moglie è una donna molto fortunata!» commentò Alexis con gli occhi che brillavano.

«Io lo sono di più, figliola, credimi. Ora devo tornare da lei, mi aspetta per prendere le medicine.
Grazie ancora di tutto, ragazzi.»

Ci salutò cordialmente e poi andò via, lasciandoci soli.

Ci fu un momento di imbarazzo, poi Alexis parlò.

«Grazie per quello che hai fatto, Bright.
Quel poveretto non meritava di essere trattato così.

A volte voi poliziotti approfittate della vostra posizione per fare ciò che più vi pare, senza un minimo di rispetto per gli altri!» si lamentò e io sorrisi.

«Beh, per fortuna non siamo tutti così» esalai, continuando a sorridere.

Lei arrossì, cambiando sguardo.

«Io... non volevo dire che... insomma...»

«Tranquilla, ti ho capita.

Stavi andando da tuo padre?» chiesi, spostando la testa in direzione delle scale.

«No, in realtà stavo andando ad aprire la mia scuola. È proprio qui a due passi.»

«Oh, ok.» Guardai l'ora e vidi che ero in ritardo, così approfittai della cosa per dileguarmi e stare lontano da lei.

«Io sono in ritardo, è meglio che vada. Buona giornata, allora.»

«Sì, certo. Anche a te, Bright.»

Le sorrisi un'ultima volta e le diedi le spalle per salire le scale, ma lei mi chiamò.

«Bright!»

«Sì?» Mi voltai, a debita distanza, e i nostri occhi si scontrarono.

I suoi erano così profondi da starci male. C'era un mondo dentro quegli occhi.

«Io... domani verrai alla festa?» chiese, abbassando un secondo dopo lo sguardo.

«Quella dedicata agli ex commilitoni?» domandai e lei annuì.

«Sì, certo. Ci sarai anche tu?» chiesi, mentre sentii il mio cuore battere più forte.

«Sì. Accompagno sempre mio padre a questi eventi. Lui ne ha piacere e io... beh, non ho molte occasioni per indossare l'abito lungo» disse con un sorriso e io ridacchiai.

«Mi sembra giusto. A domani, Alexis.»

«A domani, Bright.»

Salii le scale di corsa, provando a cancellare le assurde sensazioni che avevo provato al suo fianco.

Dovevo ricordate a me stesso che lei era l'unica donna di cui non mi sarei mai dovuto invaghire!

Mai! Per nessuna ragione al mondo.

Ed ecco a voi come ho immaginato la famosa Tess, l'ex di quando Bright aveva sedici anni che morì davanti ai suoi occhi 😭

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