24. Pima Parte.

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Tristan.

Disprezzo più totale.


La verità il più delle volte ci piombe addosso come pioggia in una giornata grigia di dicembre. È impossibile ripararsi da essa se non si è preparati a riceverla. A volte ci spingiamo a cercare delle scuse, a tendere di trovare delle attenuanti che possono essere all'impari con la verità dei fatti. A volte diciamo, anzi, tendiamo a dire delle bugie bianche per non far del male alla persona che amiamo. Cerchiamo di proteggerla attraverso delle parole e delle azioni che sembrano giuste ma alla fine finiscono per ferire. Allora cos'è meglio: una dolce bugia o una cruda ma sincera verità? Perché entrambe sono dolorose e sul passo da farti perdere il controllo, la fiducia, il tuo equilibrio che ti sei costruito in tutti questi anni a fatica, rinunciando a tante cose cercando di ottenere una vita normale.

E io mi sento perso mentre sto guidando sulla strada di ritorno. Mi sento inghiottito da questo enorme vortice di parole, vere, false, io non ne ho idea, quello che so che mi procurano un danno al quale non so rimediare. Ad un danno che non ho causato io ma è stato fatto dalle mani dell'unica persona che credevo fosse in grado di dirmi sempre la verità, di essere fedele, limpida come le acque cristalline del lago. Anche lei mi ha deluso e questo non riuscirò a perdonarlo, a passarci sopra, a farmene una ragione.

Son così frustrato che vorrei spingere il pedale dell'acceleratore fino in fondo e sfrecciare ad alta velocità. Sentire il vento fra i capelli e la sensazione di libertà che scivola nelle mie mani fino a spargersi dentro di me, dandomi ancora quella sensazione di essere vivo e di vivere di emozioni. Vorrei poter perdere il controllo e lasciarmi andare, lasciarmi sopraffare da questi pensieri, da queste assurde voglie e da lei.

Mi sta usando. Sta giocando con me. Mi sta trattando come se io fossi il suo giocattolo e glielo lascio fare perché davanti a lei mi sento ancora il ragazzino liceale di un tempo. Impacciato, riservato ma felice. Sono debole ai suoi occhi e pendo direttamente dalle sue labbra.

Le sue parole ronzano nella mia testa, mi provocano un dolore lanciante alla testa. Ho bisogno di un analgesico o di qualcosa di più forte.

«L'undici di agosto», ripeto quella data cercando di decifrare ciò che mi ha confessato. Sarà vero e se lo sarà inventato per non assumersi le responsabilità del danno che ha provocato a me e alla sua famiglia? Sto dubitando di lei, ancora una volta sto mettendo tutto in discussione. Dovrei fidarmi di ciò che mi ha detto ma non ci riesco. Come posso tornare a fidarmi se mi ha lasciato in quel modo così disgusto e senza senso? Come posso dimenticare quei giorni persi sul letto, aspettando una sua chiamata e di sperare che nella borsa del postino ci fosse una sua lettera? Come posso dimenticare di aver messo a soqquadro la mia stanza e averla ridotta in macerie? Ho rotto la scrivania, i vetri della finestra, le ante dell'armadio, distrutto le mie cassette dei Queen e dei miei film preferiti. Come posso dimenticare il male che mi ha causato e fatto provare?

Ho abbandonato il basket perché non mi dava più soddisfazione. Ogni cosa aveva smesso di avere un senso e niente e nessuno riusciva a farmi provare un sentimento e dei brividi. Mi sono allontanato per un periodo da Richard e da Nate, i miei migliori amici da quando sono venuto in città. Ho trascorso la fine dell'estate a casa dei nonni di Nate per non buttare il resto della mia dignità a quel paese, andando a casa di sua madre e supplicarla di dirmi dove fosse andata. Solo settimane dopo Lillie era riuscita ad estorcere delle informazioni, come sia riuscita non l'ho mai saputo e qualche anno più tardi, mi aveva confessato di averla trovata, che fosse a Seattle ed era riuscita a stabilirsi in quell'enorme città. Lillie mi aveva detto di mettere l'anima in pace e di lasciarla andare definitivamente. E così ho fatto.

Ho chiuso quel capitolo della mia vita dopo aver capito che si era rifatta una vita senza di me. Credevo che fosse morto e invece è ritornato a galla, in vita e con esso ha trascinato a riva tutti i ricordi più dolorosi, tutti quei sentimenti nascosti dentro di me che non ho mai avuto il coraggio di confessare a nessuno, tanto meno ai miei genitori o a Bella.

Quando rientro a casa sento il peso di tutta questa giornata, piombare addosso come un pesante macigno. Trascino i piedi fino alla piccola cucina. Estraggo dal frigo una bottiglia d'acqua, lasciando andare la tentazione del alcol che mi porterà a sentire la testa annebbiata. Mi cucino qualcosa di veloce: una pizza surgelata è quello di cui ho bisogno solo per non restare a stomaco vuoto. C'è stata una parte di me che ha sperato di restare in quella casa, con lei. Di tornare a cucinare di nuovo per lei e di riuscire ad andare d'accordo, ma invece le cose non vanno mai come speriamo e io devo smettere di vivere nell'illusione che lei mi dirà che cosa è successo. Mi sta conducendo lei a farmi pensare che quello che ha detto, sono solo bugie, non le credo, o meglio: faccio fatica a crederle, ma dopotutto ho smesso di fidarmi di lei tempo fa.

La suoneria del mio cellulare riempie le mie orecchie e la stanza. Sbuffo quando leggo il nome di Bella sulla schermata del cellulare. So già cosa vuole ed io non le darò la soddisfazione di ottenerla.

«Ciao», la saluto in maniera un po' troppo brusca ma sono troppo nervoso da badare al mio tono di voce.

«Presumo che non sia andata bene», esalta quelle parole con un tono sarcastico e la immagino che stia sogghignando. Fa così ogni volta che si tratta di Perrie.

«Cosa vuoi, Bella?», le chiedo stanco sul filo del rasoio.

«Della casa, ovviamente». Come immaginavo: è così prevedibile e io non capisco perché voglia quella casa tutta per sé.

«Quella casa è da sistemare da cima a fondo» mi allontano dal forno e prendo un bicchiere. «so cosa vuoi e non posso dartelo. Quella casa non è mia, anzi, non solo mia» mi correggo. Vorrei poter mai aver avuto quella casa come eredità. Perché lasciarla se non sono niente?

La sento sbuffare e un rumore estraneo mi fa quasi allontanare il cellulare dall'orecchio. «Ma dici sul serio? È il minimo per quello che ti ha fatto, Tristan», mi rimprovera con tono duro. «non puoi lasciare la casa a lei, è tua, lo deve essere. Trova un modo per ottenere la sua parte». Insiste facendomi intuire quanto abbia bisogno di ferirla e di farle del male. Anche lei ha bisogno di guardare avanti e di smettere di pianificare la sua vita in base a quello che farà Perrie e di trovare un modo per rovinarla.

«Ti ricordo che non navigo nell'oro», le faccio presente. Nonostante abbia risparmiato in tutti questi anni, mi sia occupato delle manutenzioni di varie case, di amici, parenti e di estranei, non mi bastano per comprare la sua quota e io sinceramente non ho bisogno di un altro ricordo vivido che mi distrugga la vita.

«Chiedi ai nostri genitori», propone. A volte è così matura che non si rende conto nemmeno lei stessa di ciò che sta dicendo e di ciò che sta chiedendo. La fa così facile, per lei basterebbe schioccare le dita e in un attimo si materializzano tutto ciò che desidera.

«Bella sei troppo immatura da riuscire a capire questa storia. Non comprerò nessuna quota e io troverò una soluzione con lei, punto» replico gelido e interrompo la chiamata. Non ho assolutamente voglia di mettermi a discutere anche con lei. Ho i nervi a fior di pelle.

Richard entra in casa dopo essere venuto senza nemmeno avvisare. Non mi provoca fastidio, non ho bisogno di stare solo ma bensì di riuscire a sfogarmi e di riuscire a scacciare tutta questa rabbia che mi sta mandando sull'orlo del collasso.

«Ho portato questa», sventola la bottiglia di Pinot Noir fra le mani con quel sorriso raggiante sul volto che mi fa venire i brividi.

«Tu e il vino siete due cose inseparabili», commento scuotendo il capo fingendomi deluso e gli strappo dalla mano il vino e poggio la bottiglia sul piano da lavoro per aprirla. «sai che è consuetudine avvisare prima di irrompere nelle case altrui» dichiaro a modo di rimprovero.

«Come sei noioso» sbuffa con un'alzata di spalle. «ma direi che ho fatto bene dal tuo ghigno», indica il mio viso con il suo dito accusatorio piantato su di me.

Il rumore della sedia strisciare a terra, mi fa sussultare. Oggi qualsiasi rumore mi provoca irritazione. Sono molto suscettibile. Rivolgo il mio sguardo stanco e irritato verso il mio migliore amico, che se ne sta ben seduto poggiando i gomiti sulla superfice del banco.

«Non è giornata per le tue battute» e volto per aprire la bottiglia in modo da non rischiare che il tappo di sughero possa colpirlo. Il rumore che crea mi fa chiudere gli occhi per una manciata di secondi e verso il liquido dentro ai calici di vetro.

«Cos'è successo?», allunga la mano per prendere il suo bicchiere. Nelle sue note profonde raschia la preoccupazione che sta avvertendo per me e di questo lo ringrazio. Ha molta empatia, anche se a volte se ne dimentica e gioca a fare il ragazzaccio stronzo e menefreghista.

«Sono andata alla casa al mare» mi siedo davanti a lui, così da permettergli di guardarmi in faccia e non avere possibilità di mascherare i miei sentimenti. Non ho voglia di fingere che vada tutto bene, quello di cui ho bisogno è di riuscire ad allontanare Perrie dalla mia testa e dalla mia vita, solo allora potrò tornare a sentirmi leggero e di andare avanti con la mia vita, proprio come ho fatto in tutti questi anni.

Il profumo della schiuma da barba mi colpisce: Richard a volte esagera un po' troppo, ma non dico niente, mando giù quel fastidio insieme alla bevanda scura.

«Immagino non da solo, no?», alza un sopracciglio, indagatorio.

«Infatti non ero solo», sospiro, forse avrei dovuto davvero andare da solo anziché rovinarmi la giornata correndo dietro ad un rapporto praticamente inesistente, se non morto.

Inclina il capo di lato per guardarmi con molta attenzione. «Non è difficile da scoprire. Perrie vero?», e manda giù anche lui un sorso di vino e lo seguo a comando, necessitando di qualcosa di alcolico che scorre dentro di me.

«Bingo, hai vinto un premio» rispondo sarcastico. «non dovevo propormi di andarci insieme, cosa mi è venuto in mente? Magari è stato il vino, non c'è altra spiegazione». Al compleanno di Lillie, ci siamo avvicinati pericolosamente. Ero sul punto di cedere, di abbandonarmi a lei e di chiuderci in cucina, lontani da tutti e restare da soli. Non so cosa avrei dato per farlo succedere quella sera. Ho sperato di poter riavere qualcosa, ricordo di essere tornato a casa sereno e dopo il suo ritorno, di essere riuscito anche a dormire.

Il ricordo di quella sera, mi fa sussultare. Sento ancora il suo profumo che pizzica le narici, sento ancora il calore del suo corpo stretto al mio. Le sue labbra calde e piene. La sensazione di averla ancora fra le mie braccia è imparagonabile a qualsiasi altra sensazione che abbia mai provato da undici anni a questa parte. È stato come tornare a vivere dopo essere stato in coma. Come quando inizi a muovere i tuoi primi passi, a parlare...a essere autonomo. È stato come se in un attimo, la distanza che ci ha tenuto lontani, fosse scomparsa. Eravamo ancora noi due, gli stessi di sempre, solo più grandi e invecchiati, ma in fondo siamo rimasti gli adolescenti di sempre.

Adesso quello che avverto è solo una sensazione di freddezza, di vuoto. È scivolata via velocemente, come quando gocce d'acqua ti bagnano il corpo e si perdono a terra.

«Quello di cui ho bisogno è di una pausa» dichiaro esausto e dal nervoso mi ritrovo ad alzarmi in piedi.» io non so più a cosa credere o a chi credere. Perché è dovuta tornare? Se...gli...ah» sventolo le mani evitando di pronunciare una cattiveria. È tornata per suo padre.

«Cosa stavi per dire?», mi richiama con sguardo a modo di rimprovero e un ghigno astioso gli si forma sulle labbra.

«Nulla, niente che vale la pena ripetere», devio il suo sguardo puntandolo sul televisore spento. Non so nemmeno perché lo stia guardando con così tanta intensità, magari solo per evitare il suo sguardo critico. «Richard non cercare di farmi la paternale adesso, okay?» asserisco scivolando sul divano. Mi sento un estraneo in casa mia, il mio stesso appartamento me lo sento più stretto del solito, è opprimente. È una sensazione che non ho mai provato fino ad ora.

«Non sto facendo la paternale» ribatte e lo sento muoversi fino a strusciare la sedia indietro. «so quello che stavi per dire e non credo che sia vero. Perrie ha sempre avuto un buon se non ottimo rapporto con suo padre, stando sempre a ciò che mi dicevi tu e le volte in cui l'ho vista insieme a suo padre».

Con la coda dell'occhio lo vedo sedersi quasi furtivamente accanto a me, quasi a premere il fianco contro il bracciolo per restare in debita distanza da me.

Mi acciglio, stringo la mano sul tessuto del bracciolo. «Ah vedi però, ti ricordi un sacco di cose». Replico usando un'ironia quasi tagliente. È incredibile come le persone si ricordano di dettagli e di cose quando devono remarti contro. Non succede mai il contrario.

Il suo ghigno si intensifica fino ad arrivare ad unire le sue sopracciglia. «Sei proprio uno stronzo Tristan. Sono qui per aiutarti non per essere trattato come se fossi il tuo nemico. Smettila di comportarti come se ti stessi remando contro». Mi rimprovera. La sua voce è dura, ferma e decisa. Mi sta facendo capire chiaramente che ho atteggiamenti sbagliati anche verso di lui, ma non riesco a farne almeno. Sembra quasi deluso, se non ferito, dal mio comportamento.

«Non sono arrabbiato con te, cazzo» sbotto irascibile. «sono arrabbiato con me stesso che permetto a quella lì di prendersi tutto questo potere. Detesto sapere che lei abbia il controllo delle mie emozioni», esplodo con rabbia, buttandogli addosso quelle parole incastrate nella mia testa e mai dette ad alta voce.

È snervante quando non sia ha il pieno controllo delle proprie emozioni, quando per colpa di una persona non riesci a tenerle a bada, sotto controllo così da non farle esplodere e rischiare di ferire le persone che ci sono intorno. E questa rabbia incontrollata mi sta facendo perdere di lucidità, portandomi a trattare male il mio migliore amico che lui non ha nessuna colpa per tutto quello che sta succedendo.

«Lo sai che siamo noi a permettere che ciò accade?». La sua mano trova la mia spalla, un piccolo tentativo di calmarmi. Sbuffo in risposta ma non replico: ha ragione. Il problema sono io non è lei, sono io che continuo a permetterle di entrare nella mia mente e di lasciarmi condizionare.

«Lo so», bofonchio mortificato da me stesso. Non riesco a toglierla dalla testa e non darle tanta importanza.

Il suo sguardo non si mitiga, resta fermo e severo, forse anche troppo ferito. «Lo sai ma non stai facendo nulla per provare che ciò non succeda», scuote il capo più volte.

«Come dovrei fare, sentiamo?», chiedo a denti stretti incrociando le braccia al petto. Lui sembra sempre sapere che cosa fare e come reagire in qualsiasi situazione, sarà perché in fondo è una persona ottimista che non si demorde al primo fallimento, ma io non sono come lui, per quanto mi sforzi non riesco a reagire come lui.

Il suo sguardo indulge su di me, quasi a cercare di trovare uno scorcio per la mia mente così da leggere i miei pensieri. «Dovresti focalizzarti su ciò che è importante per te, ovvero Monica», mi ricorda e il semplice fatto che abbia nominato la mia ragazza, mi provoca un senso di nausea.

«Cosa c'entra lei?», chiedo confuso cercando di capire il nesso fra le due cose.

Sospira, si sta trattenendo dall'esplodere. «C'entra in quanto per colpa di tutta questa situazione che si sta creando tra te e Perrie, stai trascurando la tua relazione e non la consideri importante o seria». Il punto è che io forse non voglio che siano serie le cose.

Dalla mia bocca fuoriesce una risata, tutt'altro che divertita. «Non c'è nessuna situazione fra me e Perrie», lo correggo. È assurdo se pensa che ci sia qualcosa. «abbiamo solo una casa da occuparci insieme». È un tentativo di convincere me stesso che il mio migliore amico.

Le labbra dapprima arricciate in un ghigno, si allungano fino a mostrare un sorriso quasi diabolico, come chi progetta qualcosa. «Più lo neghi e più la verità è un'altra. Ammettilo che sei ancora preso da lei, non finirai all'inferno per questo», mi stuzzica per prendermi in giro, ma è la sua tattica per estorcere informazioni e la verità.

Borbotto parole incomprensibili preso dall'agitazione. Il cuore inizia a prendere un ritmo tutto suo, irregolare al punto da avere la sensazione che stia per uscire fuori dal petto. Solo pensarla mi causa tale condizione. Odio sentirmi così debole per lei.

«Non posso essere preso da qualcuno che mi riempie di bugie e scappa», dichiaro alzandomi in piedi e sento i muscoli delle gambe così appesantiti, come se avessi appena finito di trascinare delle sacche di cemento.

«Bugie?», alza un sopracciglio.

«Ah ancora non te l'ho detto», sospiro e riempio un altro bicchiere per darmi forza. «praticamente dopo che abbiamo visto la casa, un disastro su tutta linea. Ci sono troppe cose da sistemare e non so come farò con i soldi e credo che farò gran parte del lavoro da solo...» mi volto a guardarlo. «c'è stato un momento che ci siamo avvicinati, non ci siamo baciati e io ho approfittato per chiederle spiegazioni e lei ha iniziato a innervosirsi, si è chiusa in sé stessa e mi ha respinto. Be' allora ho lasciato perdere ed ero pronto a lasciare lì la conversazione quando lei inizia a raccontarmi qualcosa. Dice che è successo qualcosa l'undici di agosto...» lo guardo io stesso confuso perché non riesco a trovarci il nesso e una spiegazione dentro alle sue parole. «ha fatto entrare qualcuno in casa, credo non l'ha nemmeno specificato e ha chiuso la cosa lì, dicendomi di non impiccarmi». Cerco di essere il più chiaro possibile nonostante le poche informazioni che mi ha dato, mettiamo caso che fossero vere.

«Aspetta» si alza in piedi e sul suo volto è dipinto un'espressione confusa mista allo stupore. «tu e Perrie in che modo vi siete avvicinati?».

Sbuffo. «Non è questo l'importante, Richard. Ci siamo abbracciati, non è successo nulla di eclatante», cerco di sminuire quello che c'è stato per non dargli importanza.

Peccato che volevi baciarla, stare da solo con lei ancora. Biascica la voce nella mia testa rimproverandomi. Lo ammetto: l'ho desiderato e me ne pento, perché non posso provare tali sensazioni se lei mi riempie di bugie e non riesce ad ammettere ad alta voce il vero motivo perché è scappata.

«Tristan è importante, guarda come ti ha ridotto» pianta il suo indice contro di me. «perché pensi che ti abbia detto una bugia?».

«Perché è palese che non ha nessuna intenzione di dire la verità, altrimenti perché dirmi una mezza cosa?». Rispondo seccato, sembro che sia l'unica persona al mondo che pensa in maniera totalmente differente rispetto ad altre persone.

«Hai provato a metterti nei suoi panni?».

«No», guardo la bottiglia di vino e poi il mio bicchiere, a macchinetta. Se cederò agli impulsi di continuare a bere, finirò per farmi venire un mal di testa atroce. «perché lei non l'ha fatto, non ha nemmeno provato a chiedermi come sono stato in tutti questi anni senza di lei e come ho reagito. A lei non importa di me, ed è sempre stato così». Dubito di tutto quello che c'è stato fra di noi. È stata una grande e bellissima menzogna. Peccato per me che io non ho mai recitato, da parte mia è sempre stato tutto vero.

Richard trascina le sue dita dentro alle ciocche dei suoi capelli scuri. «Forse non è pronta a sentirsi dire che tu hai sofferto, ma penso che lei questo lo sappia».

Non so se sono irritato dal fatto che il mio migliore amico stia cercando di mettermi dalla parte di Perrie, o perché mi sta sbattendo in faccia la sua totale sincerità.

«Non è mai pronta, Richard» alzo le braccia in aria. «qui dobbiamo sempre aspettarla, compatirla e provare pena e io? A me chi ci pensa? Ho sofferto pure io, il mio dolore non è minore del suo». Gemo disgustato e cedo all'impulso.

«Nessuno sta dicendo che non hai sofferto e nessuno sminuisce il tuo dolore» si avvicina a me e allunga la mano per togliermi il bicchiere di mano, ma io scatto di lato e mando giù il liquido velocemente.

«Non le credo, Richard» faccio il giro della tavola avvertendo la testa iniziare a diventare pesante. «lei mi ha sempre conosciuto, non l'ho mai giudicata. Lei sapeva di potersi fidare e se fosse davvero successo qualcosa di terribile, ne avrebbe parlato con qualcuno, anche con suo padre, ma non è successo nulla e se n'è andata, perché stanca della sua solita vita ha deciso di cambiare la sua vita, tagliando fuori me, Bella e la sua stessa famiglia». Quasi inciampo sui miei stessi piedi cercando di non cedere per sedermi.

I suoi occhi si rabbuiano e si restringono con massima preoccupazione. «Per oggi basta vino», prende la bottiglia di vino, mezza vuota e versa il resto del liquido, nel lavandino.

«Sei un idiota» ghigno.

«E tu sei brillo» mi fulmina con lo sguardo. Alzo le spalle e sbuffo in risposta. «dovresti dirle come ti senti e farle capire...».

«No», lo interrompo prima del tempo. «non le dirò un cazzo. Ha preso la sua decisione di tagliarmi fuori e così farò. Sistemerò la casa, poi con i soldi che riuscirò ad ottenere dalla vendita dell'immobile, mi comprerò una casa mia...sì» dichiaro per colpa dell'alcol. «magari chiederò alla mia ragazza di venire a vivere con me, con lei le cose sono sempre diverse ma semplici. Lei sembra tenerci a me e non mi farebbe una cosa del genere, spero, sennò perdo fiducia...» rido chiudendo gli occhi che mi bruciano.

«Sì sì» replica svogliatamente, come se non mi credesse. «non dire cose non vere. Non sei pronto per una convivenza, specialmente con Monica. Bellissima e brava ragazza ma devi chiarire con te stesso prima di prendere tali impegni». Si avvicina a me, mi presta soccorso fino a scivolare il suo braccio intorno alle mie spalle, per sorreggermi.

«E chi lo dice che non sono pronto?», lo spingo via e rido qualche secondo più tardi. «credi che non sia capace di vivere con una donna?», roteo gli occhi e ritorno in cucina, avendo ancora voglia di bere qualcos'altro per saziare il mio desiderio di spegnere il cervello.

«Non si tratta di essere capace o meno, Tristan. Si tratta che fino a poco tempo fa, mi dicevi di non essere pronto per un qualcosa di serio con lei e ora mi stai dicendo che vuoi convivere con lei?», mi segue in cucina fino a posizionarsi davanti a me, da impedirmi cosicché la mia corsa verso il frigo. Ha uno sguardo così duro che potrebbe trasformarmi in pietra, proprio come Medusa. È pietrificante il suo sguardo tagliente da rimprovero, ma non me ne curo molto ho solo bisogno di altro alcol.

«Dio come sei noioso» mi lamento disgustato. «su spostati, devo bere» premo la mia mano contro il suo torace per farlo spostare, ma è tutto inutile: non ho forza dalle braccia. «sei venuto qui per sostenermi no?».

«Sì», annuisce, duro. «ma non per farti ubriacare. L'ultima volta che ti sei conciato così è quando hai saputo di Perrie...che fosse a Seattle». Quando pronuncia quel nome, sento una scarica di brividi invadere il mio corpo, sembra terrore.

La mia testa è così pesante, sembro di star oscillando da una parte ad un'altra, come il pendolo dell'orologio. I secondi sembrano non finire mai mentre mi ritorna in mente, quando sono uscito fuori dal locale di Steve, di aver vomitato ogni bicchiere di alcol che avevo vogliosamente mandato giù e di aver rotto anche il vetro del finestrino del mio pick-up.

«Può succedere...di perdere il controllo» asserisco iniziando a frugare nei vari scompartimenti della cucina. «devo assolutamente fare la spesa», dichiaro rendendomi conto di non avere nemmeno una bottiglia di rum o di whisky in casa.

«Certo così inizi a bere a manetta», mi rimprovera e mi pizzica il braccio per farmi smettere. Sussulto dal bruciore ma lo ignoro, continuando la mia disperata ricerca. «sai cosa facciamo? Ora ti accompagno in bagno, ti fai una doccia fredda, ti metti al letto e ti porto del caffe amaro».

A quelle parole sbuffo. «Sembri mia madre», dico a denti stretti e mi allontano dai mobili. Raggiungo a fatica il salotto, la stanza mi sembra che stia oscillando a destra e a sinistra, come se mi trovassi su una nave. Rido per il mio essere spaesato a causa dell'alcol ingerito. Allungo una mano davanti ai miei occhi fin quando non la vedo doppia.

«Sta attento», esclama Richard per poi sentire le sue mani afferrare le mie spalle e tirarmi indietro. «stavi inciampando contro il divano», sottolinea duramente e non posso opporre resistenza: mi ritrovo praticamente svuotato privo di forza.

Spazio Autrice.

Non sono morta, ma sono viva. Sto cercando di scrivere più capitoli possibili per avere tutto già pronto ❤️❤️

Il capitolo sarà diviso in due parti perché mi sono resa conto di aver scritto davvero tanto: 8000 mila parola e qualcosa quindi l'ho diviso in due parti.

Il nostro Tristan è in preda alla collera, non sa nemmeno cosa pensare. È così confuso dagli atteggiamenti di Perrie e dai suoi comportamenti: crede che menta, che quello che ha subito sia solo una giustificazione per ciò che ha fatto.

Mi scuso per eventuali errori, correggerò appena sarà possibile. Grazie per chi sta leggendo la mia storia❤️❤️

xxSusy

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