Capitolo 2: Accorgimenti

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Lauren afferrò la forchetta e staccò un grosso pezzo di lasagna dal piatto.

Non che mangiare al buio chiusa in una stanza senza televisione fosse proprio il massimo della vita, ma a Lauren piaceva così. Sapeva che tutti la credevano psicologicamente instabile, ma la veritá era che lei ci sguazzava nella solitudine, nel buio e nella lasagna. Quello era il connubio perfetto per una serata perfetta.

Era senz'altro la sua routine preferita: bagno caldo, cibo di qualità e musica rilassante, il tutto rinchiusa per bene nella sua stanza rigorosamente a luci spente.

Erano diverse settimane che non si prendeva una serata tutta per sé e ciò le era mancato molto. Gli obblighi famigliari la rendevano nervosa e intrattabile, ma spesso doveva presenziare per il bene degli zii. Fingere di essere felice o sorridere a chi la veniva a trovare erano forzature che mal sopportava, ma che allo stesso tempo erano indispensabili per il quieto vivere della famiglia.

Al piano di sotto, come ogni santa sera, zia Beth stava parlando di lei al marito e lo stava facendo con un tono di voce sufficientemente alto da farsi sentire da tutto il vicinato.

È magra.
Mangia poco.
Non dorme.
Ha bisogno di aiuto.

Si trattava di un loop senza fine al quale le orecchie di Lauren venivano sottoposte ogni sera da quasi due anni, a cui però non si abituava mai.

«Sto bene, cazzo. Lasciatemi perdere!» sussurrò tra sé e sé portando alla bocca l'ultimo morso di pasta.
Lo masticó con una tale grinta da sembrare quasi un animale affamato pronto a difendere la preda da altri avventori.

Sapeva che zia Beth non aveva torto e ciò la faceva arrabbiare ancora di più.
Essere messa davanti ai problemi che la riguardavano la faceva imbestialire tantissimo, ma allo stesso tempo anche riflettere a mente lucida. Qualcuno aveva il coraggio di vederla per quello che era diventata: pelle e ossa, irrequieta, psicologicamente disturbata, insonne. In soldoni, qualcuno aveva il coraggio di ammettere che Lauren aveva bisogno di una mano, ma che quell'aiuto avrebbe potuto arrivare solo da uno specialista e non di certo dal sostegno di un famigliare che si improvvisava tale.

Lasciare la possibilità a qualcuno di scavalcare, andare oltre le barriere che Lauren stessa aveva costruito per difendersi dal mondo, non sarebbe stata cosa facile. Non sarebbe stato semplice per uno sconosciuto fare capolino in una mente tanto contorta come quella che si ritrovava, anche se si fosse trattato di un plurilaureato super premiato in materia. Lei si sentiva un caso umano, qualcosa che andava oltre i soliti pazienti con cui ogni psicologo era abituato a trattare.

Eppure quel medico e amico di famiglia prometteva terapie miracolose, valeva almeno la pena tentare.
Lauren desiderava ricordare il proprio passato, tutto ciò che aveva rimosso per via dell'incidente.
Tutti lo chiamavano così, ma in realtà non si era mai trattato di un vero e proprio incidente.
La parole giuste erano tentato omicidio, ma facevano troppo male a pensarle, figuriamoci a pronunciarle.

Gettò il piatto vuoto sul comodino ed estrasse dal cassetto un paio di cuffiette usurate dal tempo. Le collegò al cellulare e scelse di ascoltare la sua playlist musicale preferita.

Il mondo di Lauren in bianco e nero, fatto solo di luci e ombre, poteva e sapeva diventare a colori solo connettendosi alle note che mai aveva dimenticato, unico filo conduttore con una realtà che a stento riconosceva.

Handicappata.
Se lo ripeteva in continuazione.
Privata non solo della memoria a lungo termine, ma anche della vista e dell'autonomia.

Cieca.
Non del tutto, ma che differenza c'era?

I medici odiavano il termine con cui Lauren si definiva, ma la verità era quella. Vedere sagome, buio e ombre, non significava vedere. Non poter nutrire gli occhi con il rosso delle fragole, il giallo del sole, il bianco della luna, per Lauren era sinonimo di non vedere più nulla. Le era stato tolto tutto.

Lei peró sapeva ascoltare e lo faceva ancora bene. Sentiva la musica, sua fedele compagna di notti insonni, e solo con essa poteva vedere ancora.
Si trattava di una magra consolazione, ma che nella solitudine nella propria stanza da letto le bastava.

Negli ultimi due anni, dopo aver scoperto la sua nuova condizione di handicappata, ci aveva pure provato ad affinare gli altri sensi. Si era convinta presto del fatto che fossero tutte cazzate.

Lauren sentiva i rumori esattamente come prima, i sapori non erano più marcati del solito. Se qualcuno puzzava di sudore, o di balsamo, di bagnoschiuma o di aglio, lo percepiva esattamente come un qualsiasi essere umano dotato della vista.
Non sentiva di possedere superpoteri, o supersensi, come li avevano definiti i dottori.

I medici le avevano promesso terapie miracolose per curarla, per permetterle di tornare a vedere, ma tutte si erano rivelate insoddisfacenti.

La situazione di Lauren era irreversibile, ma nessuno aveva mai avuto abbastanza coraggio per dirglielo in faccia. Se ne era convinta da sola dal momento che dopo due anni dal fattaccio non aveva ancora mollato il bastone.

Solo la musica riusciva a calmarla e a darle sollievo. Lei non ricordava di essere mai stata brava a suonare uno strumento, ma zia Beth le aveva più volte raccontato di quanto fosse portata per il pianoforte. Nelle condizioni in cui versava Lauren non ci poteva credere. Piú volte aveva provato a suonare per accontentare la smania della zia, ma senza alcun risultato. Non ricordava una mezza nota, non vedeva i tasti sul pianoforte, insomma mettersi davanti a quell'aggeggio era sempre e solo una grossa perdita di tempo.

La verità era che Lauren doveva leggerla la musica per poterla suonare. Non avrebbe mai potuto affidarsi solo all'intuito - che tra l'altro in quel periodo della sua vita non sentiva per nulla dalla sua parte; senza vedere sarebbe stato assurdo anche solo provarci per diletto.

«Dormi?»

Una fioca luce illuminò di poco la stanza.
Qualcuno era entrato e come al solito senza bussare. Quel qualcuno non avrebbe potuto essere che la petulante Maria.

Lauren tolse gli auricolari e si mise a sedere a braccia conserte sul letto.

«No, non stavo dormendo, ma con il casino che fai ogni volta che entri nella mia stanza mi sarei svegliata ugualmente» rispose con falsa ironia.

«Posso restare un po' qui? Giuro che non ti disturbo. Mi sono portata le mie cuffie.»

Lauren non rispose, ma fece spazio nel letto per permettere a Maria di entrare sotto le coperte.

«Indosso un pigiama nuovo! Vuoi sapere che ci sta sopra?» domandò quest'ultima con entusiasmo.

«Non avevi detto che te ne saresti stata buona e non mi avresti disturbata?»si accigliò Lauren.

«Io sto buona, ma prima senti qua!»

Maria le afferrò con forza una mano e la posò a ridosso della sagoma stampata sul pigiama.

Una risata fragorosa, una di quelle tra le più contagiose e spontanee di sempre distrusse la coltre di silenzio che attanagliava la stanza di Lauren da ormai troppo tempo. A ridere era stata proprio lei, la ragazza più musona del pianeta e il ché aveva davvero dell'incredibile.

«Non me lo dire, Maria... sarà forse un unicorno?» rise ancora.

La cugina sbuffó contrariata e si allontanò finendo quasi sul bordo del letto.

«Esatto! Ma come fai ad indovinare sempre? Hai i superpoteri? Questo unicorno è davvero molto stilizzato!»

«Sarà forse perché indossi solo cose con stampe di unicorni ultimamente?»

Lauren scosse il capo e si rimise le cuffie nella speranza che Maria non la interrompesse più.
Stava andando una canzone che amava da morire e le avrebbe dato proprio fastidio doverla mettere in pausa di nuovo.

«Non ci posso fare niente se mi piacciono.»

«Te ne stai buona e zitta una buona volta per favore? Sennò giuro che te ne vai.»

Maria si zittì e mise gli auricolari. Forse un po' di supersenso dell'udito Lauren ce lo doveva pure avere, poiché il rumore che stava ascoltando la cugina non solo aveva spezzato di nuovo il silenzio nella stanza, ma disturbava la melodia celestiale che stava ascoltando da oltre dieci minuti, ad intermittenza, per colpa delle continue interruzioni.

«Abbassa il volume di quel coso» disse Lauren in modo imperativo.

«È già al minimo. Piú di così non posso fare, altrimenti non sento proprio nulla!»

«Abbassalo!»

«Ti ho già detto che sta al minimo, cerca di essere tollerante!» la pregò Maria in cerca di approvazione.

In un impeto di rabbia Lauren si sedette sul letto, gettò i propri auricolari oltre le coperte e afferrò il lettore mp3 di Maria. Con una malvagità che nemmeno sapeva di possedere scaraventó il piccolo oggetto contro il muro. Ne seguí solo silenzio: sul tappetino l'aggeggio sembrò esalare il suo ultimo respiro.

«Ma che cazzo fai? Me l'hai rotto!»

Maria si apprestó a raccogliere ciò che rimaneva del suo ultimo regalo di compleanno.

«Non volevo romperlo, volevo solo che abbassassi il volume e tu non l'hai fatto!»

«E io ti avevo detto che era già al minimo, che diavolo ti è preso?» piagnucoló Maria constatando che non ci sarebbe stato più nulla da fare per il lettore.
A Lauren sembrò che stesse tirando su con il naso, come se si trovasse sul punto di piangere.

«Scusami davvero, non te lo volevo rompere, non era mia intenzione. Ho perso il controllo.»

Maria si avvicinò alla porta e accese la luce. Era intenzionata ad andarsene, ma prima urgeva mettere in chiaro alcune cose, pensieri che teneva per sé da mesi, ma che non avrebbe più potuto controllare. Era arrivato il momento di smettere di trattare Lauren come la povera vittima.

«Sei solo una stronza egoista!» urlò con tutta la rabbia che possedeva. «Si stanno tutti stancando di te e dei tuoi modi, solo non hanno le palle per dirtelo!» Maria prese fiato e tiró su con il naso un'altra volta. «Tratti mia madre come una serva, me come una ritardata, mio padre come un inetto. Non so perché i miei ti tengano ancora qui onestamente, se fosse per me ti avrei già cacciata!»

«Ti ho detto che non ho fatto apposta!» Lauren alzò la voce a sua volta.

«Tu non fai mai apposta, ma ferisci le persone e nemmeno te ne rendi conto!» esclamò Maria spalancando la porta trovandosi davanti sua madre. Beth sembrava davvero in collera.

«Che diavolo state facendo? Non lo vedete quanto è tardi? Maria vai nella tua stanza e tu... devi dormire! Cristo Santo!»

«È venuta lei nella mia stanza a disturbare. Io già stavo dormendo» replicò Lauren con fermezza.

«Non è vero!» piagnucolò Maria, mostrando alla madre la brutta fine che aveva fatto il suo lettore.

«Non mi importa chi a disturbato chi e nemmeno cosa avete combinato qui dentro. Adesso tutte a dormire e silenzio!»
Zia Beth afferrò Maria per un braccio per trascinarla fuori, poi si voltò nella direzione di Lauren.

«In quanto a te, devi prendere una decisione. Io e tuo zio abbiamo parlato a lungo in questo periodo e, tuo malgrado, questa situazione deve finire.
O ti lasci aiutare, o saremo costretti a farti andare via. Non possiamo più fare niente per te. Non ne abbiamo più le forze.»

L'ultima frase arrivò alle orecchie di Lauren come una vera e propria supplica, ma nonostante tutto sapeva che zia Beth non le stava dando davvero l'ultimatum. Quella pantomima gliela ripeteva di continuo, ma nessuno aveva mai avuto il coraggio di mandarla via per davvero.

Eppure per la prima volta si mise in discussione come non aveva mai fatto e non perché la zia l'aveva minacciata per l'ennesima volta, no.

Il motivo per cui Lauren iniziò seriamente a pensare che le servisse una mano si celava dietro a quel gesto infame che aveva fatto poco prima, ossia l'aver frantumato senza alcuno scrupolo il lettore mp3 di Maria.

Per quanto la cugina ascoltasse melodie discutibili, Lauren, con quello che aveva combinato l'aveva fatta soffrire e Maria per colpa sua non avrebbe più ascoltato nulla.
Un gesto troppo vile che mai le era appartenuto. Aveva privato qualcuno di qualcosa, forse per la smania di far provare agli altri ciò che sentiva quotidianamente. E per di più l'aveva fatto con violenza. Questa era la cosa peggiore.

No, lei non era come Frank faccia di porco.
Non lo sarebbe stata mai anche se, suo malgrado, per la prima volta si era sentita connessa a lui più di quanto potesse immaginare.




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