Capitolo 4: Credibile

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«Che cosa diavolo è successo?»

Il panico di zia Beth sembró inghiottire la stanza, Lauren e Maria. Come se di ansia non ce ne fosse già abbastanza, la donna iniziò a camminare avanti e indietro per il salotto portandosi di continuo le mani ora al petto, ora sul viso.
Il modo con cui le ragazze avevano varcato la soglia l'aveva sconvolta oltremodo, ma il suo modo di reagire non era stato rassicurante per nessuno, specialmente per Lauren che ancora tremava come una foglia.

Del resto chiunque si sarebbe preoccupato: la giovane era rientrata trafelata, senza fiato e farneticando cose senza senso. Zia Beth aveva intuito che qualcosa di grave doveva essere accaduto proprio a pochi passi da casa.

«Lauren dice di aver sentito l'odore di faccia di porco» esclamò Maria dopo aver bevuto un copioso sorso d'acqua. Si sentiva la gola secca per via della corsa e lei a certe fatiche non era proprio abituata.

«Non è una cosa possibile!» ci tenne a precisare Beth. Lei più di tutti era consapevole della fine di Christopher Franklin Morris. Quel tipo era nel luogo in cui meritava di stare: una fredda cella di galera, umida e sporca, fianco a fianco con altri uomini simili a lui. Ripudi della società, monnezza, infami che non avrebbero visto tanto presto la luce del sole.

«Gliel'ho detto pure io mamma, ma Lauren non ha voluto starmi a sentire. Si è fatta prendere dal panico ed eccoci qua. Ho dovuto riportarla a casa in fretta.»

Zia Beth in un impeto di dolcezza accolse Lauren tra le braccia. Sentirla tremare come un ramoscello agitato dal vento le ricordò di quanto fosse importante avere tatto con lei. Nessuno di loro aveva mai vissuto un evento tanto traumatico e spesso tendevano a dimenticarsi di quanto per lei fosse difficile vivere anche le cose più banali. Mettersi nei suoi panni non era cosa facile, ma per il suo bene valeva la pena tentare. Lauren era fragile e per quel suo essere tanto vulnerabile andava protetta più di ogni altra cosa al mondo.

«Frank non può più farti del male» ripetè Beth per tranquillizzare la giovane ma anche per convincere se stessa.

Lauren se lo era chiesto spesso se le lacrime per i ciechi avessero un valore.
Lei da quando non vedeva ne versava davvero poche quasi come se non le andasse di consumarle. Aveva visto amiche piangere senza ritegno, altri versare lacrime per ricatto, altri utilizzare il pianto solo per attirare attenzioni su di sé.
Lei, che le sue lacrime non le poteva vedere, era arrivata a pensare che non fosse giusto mostrarle neanche agli altri, o perlomeno non a chiunque.

Piangere era diventata la cosa più intima che possedeva, l'unica cosa che poteva fare attraverso gli occhi, e non ci teneva a condividerla con il primo sventurato che fosse venuto a conoscenza di tutti i suoi problemi.

Avrebbe voluto condividere quel privilegio solo con persone davvero in grado di capire il suo punto di vista; persone che avrebbero compreso a pieno la sua sofferenza senza giudicarla, che avrebbero saputo, attraverso i loro occhi, mostrarle come appariva al mondo quando soffriva.
Aveva bisogno che gli occhi degli altri diventassero uno specchio in cui riflettersi; nella gioia, ma soprattutto nel dolore.

In quel momento avrebbe tanto voluto piangere, ma non si sarebbe mai perdonata una cosa del genere. Aveva fatto una promessa a se stessa, di quelle che non intendono né se e né ma.

Riprendendo fiato e scansandosi dall'abbraccio di Beth, Lauren si mise a sedere sul divanetto a due posti.

«Sono sicura che fosse lui» disse decisa.

«No, smettila. Adesso basta! Non può essere!»

Il tono di Beth mise definitivamente a tacere tutti. Sebbene non potesse vedere lo sguardo della zia o il corrucciarsi del suo volto, Lauren aveva potuto ugualmente sentire l'astio nella sua voce, il suo tono farsi più gretto, la vicinanza mutare in netto distacco. Zia Beth si era chiusa nella sua roccaforte, quella in cui si nascondeva ogni volta che Lauren si impuntava sulle cose o faceva i capricci; solo che questo non era affatto il capriccio di una bambina viziata: era l'urlo disperato di una donna che aveva provato di nuovo paura.

«Sta scontando la sua pena in carcere. Semmai uscisse noi lo sapremmo per primi. Vorrei che vivessi la tua vita senza angosciarti di continuo» concluse Beth allontanandosi dal salotto probabilmente con l'intenzione di dirigersi in cucina per preparare la cena.

Angoscia.
Che ne potevano sapere gli altri di questo sentimento? Lauren se lo chiedeva spesso. Era angoscioso non possedere ricordi nitidi, ma lo era ancora di più non essere capiti dai propri cari. Si trattava di un malessere che si ripercuoteva nel quotidiano giorno dopo giorno, ma che i presenti, per loro fortuna, non avevano mai provato.

Era l'ennesima dimostrazione che le insistenze degli zii perché andasse da Colton erano solo un bisogno egoistico.
Tutti volevano che lei stesse bene, ma nessuno si prestava realmente per aiutarla a stare meglio. Speravano nel "miracolo Colton" come ultima spiaggia e ciò faceva sentire Lauren ancora più abbandonata a se stessa. Del resto che possibilità aveva di guarire se nessuno tra i suoi affetti le credeva?

«Vado nella mia stanza. Questa sera non mangio, non ho fame» concluse afferrando il bastone e dirigendosi verso le scale che l'avrebbero condotta al piano di sopra.

Si sentiva stanca, sfinita, non ne poteva più di nessuno. 
Non era tornata a casa con l'intenzione di creare una catastrofe; sarebbe stato sufficiente che zia Beth avesse alzato quella maledetta cornetta per accertarsi che i suoi timori erano immotivati.
Avrebbe voluto solo che la sua famiglia fosse stata in grado di fidarsi di lei.

Se diceva di aver sentito quel profumo dovevano almeno fare un tentativo; o perlomeno assecondarla senza compatirla.

Forse i medici avevano ragione, magari il supersenso dell'olfatto era reale. Forse Lauren era diventata speciale in un qualche modo, migliore di altri esseri umani, più sveglia, più attenta.
Un po' le piaceva pensare che potesse cose impossibili rispetto al resto del mondo.

Si gettò nel letto con il viso sul cuscino.
Aveva una tale voglia di urlare, ma poi, così facendo, avrebbe attirato l'attenzione degli zii e sarebbe tornata a discutere sulle buone norme di convivenza.
No, non avrebbe pianto. Per Dio, non avrebbe versato nemmeno una lacrima.

Al piano di sotto zio Jean era tornato dal lavoro.
Beth non perse tempo e raccontò l'accaduto al marito, il quale, senza pensarci due volte salì le scale sino al piano superiore.
Senza bussare fece irruzione nella stanza di Lauren.

«Ti posso parlare un momento?» le chiese ancora sulla soglia.

«Non mi pare il caso» puntualizzò lei.

«Non credo ci metterò molto.»

Zio Jean fregandosene delle ipotetiche conseguenze del suo essere tanto caparbio si sedette sul letto della nipote e le accarezzò i capelli.

«Io ti credo. Forse sono l'unico a farlo, ma so cosa hai sentito...»

Lauren si sollevò per prestargli attenzione. Qualcuno finalmente aveva smesso di crederla pazza.
Jean riprese fiato e le posò una mano sulla guancia. Non era solito essere tanto affettuoso, ma Lauren apprezzó lo sforzo.

«... so che hai sentito un ricordo farsi avanti nella tua memoria. Dovresti accoglierlo. Se ti ha parlato di Franklin, allora avrà un senso. Ti ho preso appuntamento da quel mio amico psicoterapeuta per domani verso mezzogiorno. Lui saprà aiutarti. Dacci una possibilità di aiutarti, ma soprattutto aiuta te stessa.» La baciò teneramente sul capo come non aveva fatto mai.
Quel gesto le ricordò l'amore di suo padre e per l'ennesima volta dovette ricacciare le lacrime indietro, in un punto dimenticato persino da se stessa.

«Rilassati e adesso dormi un po'. Domani inizierai un percorso importante. Noi saremo sempre pronti a sostenerti. Fidati di noi, di Colton e della terapia.»

Così come era arrivato, senza chiasso e con dolcezza, zio Jean lasciò la stanza per permetterle di riposare.

Nemmeno Maria si permise di disturbarla quella sera. Zia Beth non le preparò la vasca calda come di consueto. Lauren non mangiò nulla così come aveva detto e nessuno la forzò a farlo.
Nessun piatto davanti alla porta venne lasciato per lei.

Nonostante il suo essere caparbio, in tarda serata e dopo quasi tre ore di buona musica sparata nelle cuffiette, dovette arrendersi all'evidenza: il suo stomaco aveva preso a brontolare come un vecchio bisbetico. Lauren aveva fame, ma andare al piano di sotto e ammettere di aver sbagliato era una di quelle cose che proprio non le si addiceva.

Con molta calma e accertandosi che tutti fossero gia andati a dormire scese le scale senza l'aiuto del suo fedele bastone. Cercando di non fare rumore si spinse fino in cucina alla ricerca di qualcosa da mangiare. Aprì il frigorifero, poi la dispensa, ma non trovò nulla di interessante, se non un misero pacchetto di patatine dimenticato lì dentro da chissà quanto tempo.

«Lo sapevo che saresti scesa!»

Lauren sobbalzò dalla paura e fece cadere rovinosamente il cibo a terra.
Decine e decine di patatine si sparsero senza ritegno su tutto il pavimento. Pulire sarebbe stata un'impresa da eroi.

«Maria, mi hai spaventata a morte! Che cavolo ci fai al buio in salotto?»

«Non sono al buio; tu sei al buio, da un po' anche» disse con ironia tagliente. «Io sto guardando la televisione.»

Lauren si avvicinò abbastanza per constatare il vero. Maria aveva ragione, la TV con il volume al minimo era accesa e dal salotto proveniva un intenso odore di cioccolata in tazza.

«Che stai guardando? Le tue solite sitcom idiote?»

Maria alzò di poco il volume.

«No, il notiziario locale. Non so come dirtelo, ma hanno appena parlato di Franklin.»

Lauren si sedette sul divanetto obbligandola a spostarsi un poco. Sebbene la televisione urlasse, la mente di Lauren faceva nettamente più casino.

«Potresti pure avere ragione a questo punto. Oggi potresti davvero averlo sentito vicino.
Hanno appena detto che Frank è libero per buona condotta. Gli hanno ridotto la pena» concluse Maria con tono greve.

D'un tratto il mondo di Lauren le si sgretolò sotto i piedi. Se veramente Franklin era tornato libero, allora poteva essere vicino a lei più di quanto pensasse. Lui poteva essere pure sotto casa sua in quel momento magari la stava guardando indisturbato; forse lo faceva già da giorni. 
Sentì gli intestini contorcersi. Lasciò cadere le ultime patatine sul tavolino come se non avesse mai avuto fame davvero.

«Sei sicura di aver sentito bene?» si sincerò Lauren.

Maria abbassò di nuovo il volume della TV e si mise a sedere comoda sul divano.

«Indosso unicorni per passione, ma non sono stupida. Franklin Morris è uscito in libertà vigilata. Dovremmo dirlo ai miei. Potresti aver bisogno di una scorta.»

«Tua madre già non mi crede e tuo padre confida nei miracoli dello psicoterapeuta. Non crederanno nemmeno a te.»

«Io mi preoccupo per te e so cosa ho sentito. Insisterò e loro mi ascolteranno. Domani i notiziari ne parleranno ancora sicuramente e quella sarà la prova che abbiamo ragione di credere che sei in pericolo.»

Maria afferrò Lauren e lasciò che potesse stendersi sul suo grembo.

«Da quanto non dormi?» le chiese accarezzandole la nuca.

«Non lo so. Da troppo tempo credo.»

«Allora adesso dovresti provarci. Io sono qui con te. Non sei sola!»

Le dolci carezze di Maria permisero a Lauren di abbassare le difese.

«Dormi serena, dormi. Vedrai che ne usciremo. Ne uscirai.»

Scomparve tutto, anche il volume della televisione. Lauren entrò in una sottospecie di trance pronta per affrontare i propri incubi, ricordi sbiaditi di una persona e di un evento che le avevano fatto del male. Le mani di Maria si fecero sempre più leggere e, al loro posto, grossi palmi a stringerle il collo, toccarle i seni, strapparle i vestiti.

La mancanza di ossigeno e la fame d'aria la obbligarono a risvegliarsi di colpo.
Sembrava che fossero passati appena pochi minuti, invece sì stupì di aver fatto lo stesso sogno per gran parte della notte. Maria non c'era più, il suo posto l'aveva preso un vecchio cuscino sgualcito.

Lauren era rimasta sola con le proprie paure come al solito. Il salotto aveva l'aspetto di un luogo insalubre, spaventoso e spettrale. La televisione era ancora accesa, ma al posto del telegiornale andava in onda un programma erotico di bassa categoria.

Vergognandosi come una ladra spense la TV e si diresse a passo svelto verso le scale.
Poco prima di salire il primo gradino ebbe come l'impressione di essere osservata e si voltò verso la porta d'ingresso.

Nell'angolo più nascosto del giardino, appollaiato dietro a un albero, se ne stava quatto e zitto il suo peggiore incubo.

Lei non poteva vederlo.
Lui assaporava con trepidazione il momento in cui avrebbe finalmente potuto rivederla da vicino.

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