68 - "And heaven meets earth like an unforeseen kiss"

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*piccolo spazio autrice abusivo*
Nota per la lettura: se avete piacere a fare un'esperienza di lettura multisensoriale tenetevi pronti con questo brano (ma non fatelo partire subito!):

https://www.youtube.com/watch?v=fMW4Lqq7kxQ

▶️ Capirete quando schiacciare play, credetemi. 😉

❤️❤️❤️

ADAM

Eden mi ha fottuto.

Il piano era che io fottessi lei. Ero sicuro che avrebbe funzionato, ma Eden mi ha fottuto.

Cristo santo, eccome se mi ha fottuto.

Ecco appunto. "Cristo santo". Da quando in qua interpello il figlio dell'Altissimo? Da quando Eden mi ha fottuto il cervello. Ecco da quando.

È ché io non ci voglio credere. Non ci voglio credere - ora, mentre mi sfiora con lo sguardo e mi mostra spiragli del paradiso che io pensavo non esistessero - che quella che io credevo essere solo un'insulsa verginella del cazzo possa farmi sentire così.

Ecco, pure una parola normalissima come "cazzo", una terminologia presente nel mio vocabolario da nemmeno io so quando, mi sembra fortemente inappropriata e sporca, quando sono vicino a lei.

È ché Eden è l'incarnazione della purezza fatta a persona. Con la pelle diafana incorniciata dalle morbide onde dei suoi capelli fluenti e quelle labbra a cuore che, Dio santo, vorrei si unissero alle mie, quasi fosse una preghiera dell'anima.

"Dio santo". Ecco, non bastava il figlio dell'Altissimo, pure all'Altissimo in persona ora faccio riferimento...

È ché quelle labbra pare non siano mai state baciate da nessuno e io sento il bisogno fisiologico di impossessarmene, renderle mie e respirare da loro tutta la purezza che a me è sempre mancata.

Non guardarmi in questo modo, Eden... - che tu neanche lo sai che effetto mi fai e arrossiresti di brutto a scoprirlo. Forse addirittura fuggiresti via, lasciandomi privo degli spiragli di luce che concedono i tuoi occhi.

Ed ecco che lo fa: distoglie lo sguardo, lo porta lontano, altrove. Come mai fa così freddo, ora?

«Ti va di andare in un posto?», mi dice.

È imbarazzata, lo so che è imbarazzata. Inizio a conoscerla ora. La sgamo subito quando si aggiusta i capelli dietro l'orecchio per celare il disagio, le guance appena appena segnate dal rosso.

'Dio! Io con te verrei ovunque.

«Non vorrai portarmi un'altra volta in chiesa, vero? Mi hai già fregato una volta, non farlo più!» la avviso, ma la verità è che io, per lei, tornerei anche in quel luogo che mi fa sentire così "sbagliato", fuori posto.

Lei sbuffa. Lo fa sempre quando è stanca di controbattere alle continue provocazioni che le faccio, che tutti le fanno, in merito alla sua fede così fervente.

«Non essere ridicolo e vieni con me.»

Nel dirlo, mi afferra il giubbotto, precludendomi ogni via di fuga.

«Da quando in qua tutta questa risolutezza?»

«Da quando, con te, mi va...»

E quando sarebbe accaduto, scusa?

Non faccio a tempo a indagare sulla questione, perché Eden, tirandomi dalla giacca, al suono dell'imperativo «Seguimi» prende a camminare diretta non so verso quale meta.

«Dove mi porti?», provo a chiedere.

«Ora lo vedrai», mi dice, e nel farlo continua a camminare rapida di fronte a me.

Imbocca le strade della cittadina in cui vive una dopo l'altra, assicurandosi ad ogni svolta che io stia al passo.

«Muoviti che facciamo tardi!», mi esorta se mi vede troppo indietro, ma se chiedo per cosa sembra non mi sia dato saperlo.

Ironizza sul fatto che mi credeva più veloce e suggerisce che forse dovrei smetterla con il fumare "tutto quello schifo". Io ribatto che mai mi sarei aspettato che quelle sue gambette secche sapessero muoversi così veloci, ma lei non bada al mio punzecchiarla, anzi, cammina ancora più veloce, quasi a voler dimostrare il contrario.

Dal centro del paese, ad un certo punto ci riversiamo sulla passeggiata. Si guarda intorno, guarda verso l'alto.

«Sta per succedere! Corri!»

Ancora una volta, dopo dopo aver dettato l'ordine, prende a fare quello che mi impone. Corre, corre veloce e io non ci provo neanche più a chiederle spiegazioni, mi limito a inseguirla sotto gli occhi allibiti di alcuni passanti e penso che Eden deve avermi davvero davvero fottuto, perché non c'è altra ragazza al mondo per cui farei una cosa del genere – correre come un cretino in mezzo alla strada  senza sapere dove andare e incurante degli sguardi altrui.

L'aria ci punge sul viso, mentre Eden si precipita nella strada diretta al molo che, dopo averlo raggiunto, percorre nella sua interrzza, senza fermarsi, fino ad arrivare al punto estremo.

«Siamo arrivati», mi comunica con il fiatone.

Una volta in sua prossimità, pongo le mie mani sulle ginocchia, leggermente flesse, per riprendere fiato.

«Perché tanta fretta? Pensavi di non trovare più il molo, al nostro arrivo?», cerco di celare la mia spossatezza con dell'ironia.

«Guarda», mi dice in tutta risposta – un altro imperativo. Indica un punto ben preciso in alto, alle mie spalle.

Mi volto. Non capisco.

«Cosa devo guardare?»

«Guarda là, dove il sole tramonta verso quelle due montagnette vicine. Sembra che il cielo baci la terra!»

Provo a seguire le istruzioni e finalmente capisco quello che intende. Il profilo delle montagne, che si scorge in lontananza al di là delle file di case che costeggiano il mare sembra quasi il profilo di un volto, e il sole, tanto vicino ad eclissarsi al di là di quelle dune dall'aspetto antropomorfo, conferisce alla scena dei colori stupendi.

«È da quando sono piccola che amo trovarmi qui per godermi lo spettacolo», mi racconta rapita.

«Lo vedi anche tu? Lo vedi il volto?», vuole sapere emozionata.

«Sì, lo vedo», ammetto. «Il sole sembra proprio posarsi su quelle che sembrano le labbra», osservo.

«E aspetta…!», dice emozionata.

Inizia a frugare nello zainetto che usa come borsa e ne tira fuori un paio di cuffie che attacca al suo smartphone.

«Aspetta solo un attimo...»

Cerca qualcosa e poi «Ecco», mi pone una delle due cuffie, «ascolta», ordina.

La poca lunghezza del cavo della cuffietta che mi porge mi obbliga a farmi molto più vicino a lei. Le nostre spalle si toccano.

«La canzone perfetta per il momento perfetto», mi dice prima di far partire il brano.

Alcuni accordi di chitarra iniziano a suonarmi nell'orecchio fino a che una voce graffiata maschile, accompagnata da tante altre che mi fanno immediatamente comprendere che si tratta di una registrazione live, prende a cantare un testo in inglese che non mi è subito comprensibile. Riesco a catturare e comprendere solo qualche parola delle strofe. Più chiara è sicuramente la frase ripetuta che compone il ritornello "Oh how he loves us", "Oh quanto ci ama".

Il suono di quelle parole mi echeggia nelle orecchie diverse volte mentre mi chiedo come mai Eden abbia voluto farmi sentire proprio quella canzone. C'è da dire che senza dubbio contribuisce non poco ad arricchire la scena alla quale assistiamo. Infatti, non so se sia per via della musica, per lo spettacolo che mi si schianta negli occhi, per il contatto inedito e prolungato con il corpo di Eden, o per il fatto che in più di un'occasione le nostre dita si sfiorano, ma mi sento emozionato.

«Senti. Senti ora», mi incita, anticipando un crescendo musicale che si fa trascinante al punto da darmi i brividi, un po' come quella volta in chiesa.

Tendo le mia dita con il proposito di sfiorare ancora una volta quelle di lei, ma una volta raggiunta la sua pelle non le faccio indietreggiare. Vorrei afferrarle la mano, ma sento come se dovessi chiederle il permesso. Così la mia mano lo fa, chiede il permesso, con le nocche, con il dorso, con i polpastrelli, con il palmo che si avvicina sempre più al suo fino a collidere. E la mano di Eden, mi stupisco, non fa resistenza. Rimane e permette alle sue dita di lasciarsi intrecciare con le mie.

Il vecchio me a questo punto si esalterebbe. “È fatta! Ce l'ho in pugno!”, penserebbe. Eppure, mi accorgo, l'Adam che in questo momento stringe la mano di Eden è diverso – così concentrato a cercare di imprimere nella memoria quell'istante e intento ad ascoltare con ogni fibra del suo gli effetti della vicinanza di lei a lui.

"Ce l'ho in pugno" un cazzo. È lei ad avermi in pugno! Sono fottuto.

La musica nel frattempo sfuma, così come la luce del sole, che sempre più velocemente si nasconde dietro i monti.

Ma noi rimaniamo. In silenzio e uniti in quell'abbraccio di mani.

Per la prima volta con una ragazza, provo un'emozione indefinita che è simile alla paura. Mi chiedo che cosa succederà dopo questo momento che vorrei non passasse mai per non rischiare che si rovini tutto.

Rimaniamo. Quasi riesco a sentire il rumore del cuore che mi batte incessante nel petto, ed è… strano. Nuovo.

«Non è bellissima?», è Eden a rompere il silenzio, riferendosi alla canzone finita da poco. «C'è una frase che dice:"And heaven meets earth like an unforeseen kiss" – ovvero qualcosa tipo: "E il paradiso, il cielo, incontra la terra come in un bacio imprevisto"», mi spiega mentre non distoglie gli occhi dallo spettacolo se si è concluso davanti a noi e ancora non ritrae la sua mano dalla mia. «È perfetta. La canzone perfetta per il momento perfetto», continua assorta.

La guardo, cercando di intelleggere ciò che mi ha appena detto. Capisco che quella frase rispecchia esattamente ciò a cui abbiamo appena assistito, il tramontare del sole sulle montagnette che sembrano disegnare un volto, ma è per me inevitabile chiedermi se non si riferisca un po' anche a noi. Dopotutto lei stessa ha insistito più volte con il tema che il nome Adam ha a che fare con la terra, no? E Eden, beh, Eden è l'Eden… il Paradiso, il Cielo.

Non posso smettere di guardarla, il profilo che pare disegnato e gli occhi attenti fissi sul punto in cui il cielo incontra la terra.

«Eden io…». Vorrei baciarla, solo che ancora una volta sento come se prima di farlo dovessi chiederle il permesso, come simbolo di cura nei suoi confronti. «Io…»

Molto lentamente, mi volto verso di lei e, mantenendo la stessa velocità, alzo la mano libera sino a sfiorare il viso di lei, che ora si gira.

I nostri occhi si ancorano gli uni agli altri e, di nuovo, rimaniamo. In silenzio. Immobili.

Passano diversi istanti che io proprio non riesco a quantizzare e la voglia che ho di posare le mie labbra sulle sue, ora lievemente dischiuse, è tale da rendere impossibile al mio busto di arrestare il suo avvicinamento al busto di lei. È un movimento terribilmente lento, quasi rallentato, ma costante.

Siamo occhi negli occhi. Posso sentire nitidamente il suo respiro interrotto e umido riscaldare il mio volto, le mie labbra. I suoi occhi si spalancano, le iridi sembrano tremare, il mio naso sfiora il suo. Respiro il suo respiro. Poi, chiudo gli occhi ed esaurisco una volta per tutte i centimetri che ci separano. 

E così il Cielo incontra la Terra come in un bacio imprevisto.

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