UNA SERATA IN... DIMENTICABILE

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Aggiornato il 13 giugno 2019

7 maggio

"Signore, metti queste rose rosse con girasole per la tua bella signora." I miei occhi si spalancano a questa proposta. Quando ho scelto l'appartamento in cui vivo non pensavo che il fioraio pakistano che si trova all'angolo della strada mi avrebbe mai visto. Il commesso cerca in tutti i modi di convincermi ma io, dopo essere scoppiato in una risata imbarazzata, gli dico spazientito che è per la mia assistente e non per la "mia signora". Finalmente capisce la situazione e desiste. Non ne potevo più e stavo per arrabbiarmi. Ma da quando in quà ho tutta questa pazienza?

Mi propone quindi dei tulipani gialli che mi sembrano una buona scelta e devo dire che la composizione che alla fine ha creato è veramente elegante e bella. "È fortunata la tua assistente signore." mi dice mentre mi fa l'occhiolino. Mi scappa un sorriso, perché mi fa piacere sentirmelo dire, e pago senza replicare.

Quanto vorrei essere lì quando troverà questi fiori, ma in fondo è meglio così. Avrà il tempo che le occorre per avere tutte le reazioni che vuole e prendere la sua decisione con serenità. Sono le 8:20 e sono già nel parcheggio, cosa rara per me, che arrivo appena in tempo per l'incontro delle 9:00 con Tara. Incrocio la sua amica Melody che prima guarda me, poi i fiori e poi di nuovo me con sguardo molto incuriosito. Mi devo sbrigare per scappare all'appuntamento e per non farmi trovare da Tara quando arriva.

Scrivo il bigliettino al volo, tanto avevo già in mente cosa scriverle, poggio tutto sulla sua scrivania e corro via al mio appuntamento. La vedo mentre sta per voltare l'angolo e io sto uscendo dal cancello del parcheggio. Sorride e mi fa un effetto triste sapere che nemmeno oggi la potrò vedere. Spero solo che accetti la mia proposta. Ho azzardato un po', ma ho fiducia. Qualcosa mi dice che è il tempo della svolta è arrivato.

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"Brandon è già arrivato in ufficio portando dei fiori. Ne sai niente?" Questo il messaggio di Melody. Cosa ho dimenticato o mi sono persa con un solo giorno di ferie? Scorro mentalmente le cose da fare appena entro in ufficio, prima tra tutte controllare l'agenda di oggi e assicurarmi di non aver dimenticato nulla. E se fosse stato qualcosa di nuovo accaduto venerdì? Avrebbe potuto scrivermelo, no? Ci avrei potuto pensare io, dannazione! Odio quando perdo i pezzi nel mio lavoro. Sin da quando ho lasciato l'università e ho dovuto adattare la mia vita alle mie nuove scelte sono diventata ancora più esigente con me stessa e quando sbaglio mi rimprovero fino a litigare violentemente col mio io, spesso anche imprecando ad alta voce.

Corro verso l'ingresso con l'ansia che mi sta fagocitando, ma la Porsche di Brandon non c'è. Forse Melody si è sbagliata e avrà visto qualcuno che gli somigliava. Mi tranquillizzo tirando un sospiro di sollievo.

Oggi chiunque incontri mi saluta con particolare entusiasmo, più del solito direi. Anche la receptionist mi fa un sorriso più gioioso che mai. È tutto molto strano e non può dipendere solo dalla mia assenza di venerdì, ma non riesco a immaginare quale possa essere il motivo di tali comportamenti. Forse la mia è solo paranoia.

Avvicinandomi al mio ufficio noto che la luce è spenta, così come quella nell'ufficio di Brandon, a conferma che Melody ha preso un abbaglio e non era Brandon colui che ha visto.

Più la distanza si accorcia e più mi assale nuovamente la tentazione di fuggire da ciò che mi aspetta oggi, quando Brandon arriverà in ufficio. Sarebbe meglio non prenderle affatto certe decisioni e rimanere nel limbo più assoluto, quel limbo protettivo dove mi trovavo fino a ieri. Avevo la mia rassicurante corazza dove lui non poteva entrare. Ora invece mi angoscia l'incognita di ciò che potrà mai accadere dopo questo mio cambio di atteggiamento verso di lui.

Sospiro col fiato corto ed entro nel mio ufficio. Trovo i fiori sulla scrivania quindi Melody non si era sbagliata, ma allora lui dov'è? E cosa ci devo fare io con questi fiori adesso? Mi avvicino spazientita, ma vedo subito un biglietto con su scritto il mio nome. Sono per me? Il pavimento inizia a diventare d'un tratto molliccio come sabbia e la stanza inizia a girarmi attorno. Come in un caleidoscopio, le immagini si frammentano e si ricompongono ai miei occhi. Perdo l'equilibrio in quest'instabilità emotiva e crollo sulla sedia con quel biglietto tra le mani e il fiato sempre più corto. La vista offuscata non m'impedisce di leggere le parole scritte nero su bianco "Questo è per augurarti buon compleanno. Oggi sarò via tutto il giorno. Venerdì, quando non c'eri, ho preso un appuntamento fuori New York. Te ne vorrei parlare stasera a cena e vorrei anche spiegarti altre cose. Vestiti elegante, voglio festeggiare! Passo a prenderti, quindi mandami il tuo indirizzo." Perché ho la sensazione di non avere vie d'uscita e che il suo non è un invito ma una decisione già presa? Un girasole. Il girasole. Il mio fiore preferito. Per pura coincidenza, lui mi ha regalato dei fiori col mio fiore preferito. Ora sì che mi sento confusa, questa cosa mi sta sfuggendo di mano. Cosa ha potuto provocare un solo messaggio? Non mi sento pronta addirittura ad una cena da sola con lui. Che faccio? Dovrei ringraziarlo forse? Mi sento insicura a fare qualsiasi mossa. Io non mi aspettavo questo. Credevo che oggi sarei venuta qui, avrei lavorato come sempre e avrei provato ad essere meno distante del solito. Tutto qui, un invito a cena è del tutto inaspettato.

Mando una foto dei fiori e del bigliettino ad Alice, alla ricerca disperata di un consiglio. Ovviamente cosa potevo aspettarmi da lei dopo il discorso che mi ha fatto? Mi ha incoraggiato ad andare e ad ascoltare ciò che Brandon ha da dirmi e conclude "Non si sa mai, magari ti diverti!" Ma mi prende in giro per caso? È brava lei, certo. Mica è lei che sta sudando nonostante l'aria condizionata sparata a palla nella stanza? Mica è lei che sente il cuore ballarle senza sosta in gola da ormai un quarto d'ora? E nonostante le parole incoraggianti di Alice, persevero nella tentazione di ignorare l'invito e rintanarmi nel mio guscio confortevole dove so che la mia sofferenza può essere gestita e non c'è pericolo di incorrere in nessuna nuova delusione. Dare spazio ad un qualsiasi tipo di apertura renderà tutto meno controllabile. Resto per non so nemmeno io quanto tempo ferma a fissare lo schermo del mio cellulare, ricercando una risposta che mi è stata già data da Alice ma che non mi convince. Sii coraggiosa Tara! La decisione l'hai presa già ieri sera e non si torna indietro, dico a me stessa. Vorrei trovare le parole giuste per essere originale e divertente, ma sono bloccata su questa tastiera a fissare il riquadro bianco di WhatsApp, con un affanno spropositato, nemmeno stessi correndo la maratona. Un semplice "Grazie. A che ora?" diventa l'unica risposta che riesco a trovare. Fisso il telefono sperando che la risposta non arrivi ma augurandomi anche il contrario. Paradossale, vero? Pochi secondi ed il telefono mi notifica un suo nuovo messaggio. Il mio cuore ormai è una batteria suonata da un musicista ubriaco e fuori controllo "Ci vediamo alle 20:00 da te. Ma ricordati di mandarmi l'indirizzo." Ed ecco che mi invia una faccina sorridente subito dopo. Il mio viso finalmente si illumina. Sì, la sento la tensione che sta scivolando via e mi abbandona. Rimango un po' male quando vedo che legge il mio messaggio con l'indirizzo e non mi risponde nuovamente, ma razionalmente penso che è solo un appuntamento di lavoro il nostro. Non stavamo né flirtando né niente. È giusto così anche se le sue parole mi hanno lasciato intendere che stasera non parleremo solo di lavoro, ancora una volta. Ci sarà qualcos'altro che Brandon vuole dirmi? Ma cosa possiamo ancora mai dirci?! Rimestare all'infinito sul nostro passato non farà altro che riportare a galla la mia diffidenza e il mio rancore che a fatica sto cercando di mettere da parte. Al pensiero di tutto ciò l'agitazione mi sta di nuovo divorando. Mi ha detto di vestirmi elegante, proprio io... Uff... questo è un problema serio. In pausa pranzo dovrò andare a fare shopping, per forza! Chiamo Melody per disdire il nostro solito pranzo insieme. "Come mai?" mi chiede, evidentemente dispiaciuta. "Impegni di lavoro?" Non sono ancora pronta a dare spiegazioni, devo ancora capire dove mi porterà tutto ciò e onestamente mi sento anche più confusa di prima. "No, devo fare una telefonata e non so se riuscirò a pranzare." Resto vaga. Devo trovare il modo di parlarle, prima o poi.

Sono scappata dallo stabile cercando di non farmi vedere o fermare da nessuno. Sembravo una ladra che si guardava attorno con il timore di essere scoperta. La boutique più vicina dista 15 minuti a piedi, per cui dovrò essere veloce nella scelta dell'abito. In pratica visto e piaciuto. Spero solo di non fare scelte azzardate.

Entro nel negozio e mi rendo conto subito che forse i prezzi non sono proprio alla mia portata, ma non ho alternative. La commessa mi accoglie con un sorriso "Se mi dice di che occasione si tratta magari posso aiutarla più facilmente." Giusto, l'occasione. Ci penso un attimo perché forse non è il caso di dichiarare di voler fare colpo sul mio capo durante una cena di lavoro in cui saremo solo noi due. No, anche perché non dovrei volere fare colpo su di lui. È una cosa che mi devo togliere dalla testa. Ci rimedierei solo una nuova scottatura. "Una cena di lavoro elegante ma non troppo." ed è questa la verità. Mi propone un abito nero lungo fino alle caviglie che cade morbido sul mio corpo, con una piccola scollatura sul davanti e le maniche fino al gomito, ideale per la serata di primavera. Elegante ma non troppo come avevo chiesto. Sono che sia così lungo, mi permette di nascondere il tatuaggio sulla caviglia. Spero che Brandon non l'abbia già notato. Non saprei che dirgli, ma probabilmente gli direi una bugia. Lo provo e vedo che la scollatura è un po' più profonda di quello che sembrava, ma non ho tempo per provarne un altro, quindi troverò una soluzione a casa per coprirmi. "Quanto costa?" le chiedo timorosa per la risposta. "200 dollari, ma posso farti uno sconto perché sarebbe un peccato se non lo prendessi. Stai d'incanto." Resto un attimo a pensarci, demoralizzata dal costo. Non ho alternative, nell'armadio non ho nulla di adeguato all'occasione. Gli altri abiti eleganti che possiedo sono troppo sfacciati, sexy e corti per una cena di lavoro. A malincuore striscio la mia carta di credito ed esco comunque soddisfatta dalla boutique, con in mano il mio carico prezioso e dentro di me una buona dose di ansia per la serata.

Mancano 15 minuti all'ora dell'appuntamento. Sono già pronta, seduta sul divano di casa con il mio bellissimo abito elegante che non ho avuto il coraggio di modificare perché sarebbe stato un vero peccato, lo ammetto. Il pomeriggio è volato, anche se io speravo che andasse lentamente e che il momento della cena arrivasse il più tardi possibile. Oppure che lui ci ripensasse e disdicesse all'ultimo minuto. Sono stata anche sul punto di scrivergli un paio di volte fingendo che non mi sentivo bene. Tutto pur di annullare l'impegno, ma poi ha avuto il sopravvento la voce della mia coscienza, ovvero le parole di Alice che mi tormentano ormai di continuo. Il mio cuore va a tremila e mi sto chiedendo per l'ennesima volta chi me lo ha fatto fare ad accettare. L'ansia è stata la mia compagna per tutto il resto della giornata e anche ora non mi abbandona, si è piazzata stabilmente alla bocca del mio stomaco. Sono nervosa al punto che le mani sudano a ripetizione e il respiro mi si smorza continuamente. Di tanto in tanto forzo dei respiri profondi per non andare in iperventilazione. Il suo silenzio della giornata non ha fatto altro che accrescere questa mia agitazione. Non mi ha mai cercata, nemmeno con un messaggio ed è la prima volta, da quando lavoriamo insieme, che sta via tutto il giorno e quindi senza vederci. Devo ammettere a me stessa, e amaramente, che mi è mancata la sua presenza e ora voglio vederlo. Sì, voglio vederlo e questo non è un buon segno. Ci sto ricascando, mi sto lasciando andare ai miei sentimenti ed è terribilmente pericoloso questo vuoto che sento lontana da lui.

"Dove vai così bella ed elegante?" mi chiede Freddie sfoggiando un dolce sorriso. Anche se mi dispiace, non ho intenzione di dirgli la verità questa volta. Voglio evitare qualsiasi tipo di paternale da parte sua. Siccome la decisione l'ho ormai presa, sarebbe inutile per me sapere la sua opinione. Qualsiasi cosa lui mi dicesse, certamente non mi farebbe sentire meglio, ma probabilmente peggio, visti già i miei innumerevoli dubbi. "Abbiamo una cena di lavoro in un posto molto elegante." "Ci sarà anche Brandon?" mi chiede piuttosto duro. Annuisco evitando di guardarlo negli occhi. "E chi passa a prenderti?" mi chiede con tono indagatore, come di chi ha capito che sto mentendo. Il primo nome che mi viene in mente è Melody e lo lancio lì, cercando di sembrare più naturale possibile. Il suo sguardo resta fermo su di me per qualche secondo prima di ritornare sul libro che sta leggendo. Non mi crede, lo conosco troppo bene e si vede lontano un miglio che non ha creduto ad una sola parola, ma al momento è così che mi sento. Poi gli spiegherò e gli chiederò scusa.

Sento il cellulare suonare per una notifica. Per aprire il messaggio guardo anche l'ora, mancano ancora 5 minuti all'ora X, sempre che lui arrivi puntuale. Il testo è di Brandon "Mi dispiace ma dobbiamo rimandare. Sono tornato molto stanco dall'incontro di oggi. A domani e scusami."

Troppo intense sono le emozioni che provo in questo momento e lo sapevo! Lo sapevo che non ci dovevo cascare. Rabbia e delusione infuriano dentro di me e sento le mie guance farsi rosse e calde. Sì, sono incazzata nera! Per il tempo investito, i soldi buttati e il tentativo sprecato per qualcuno che puntualmente fa il mio cuore in pezzi e lo schiaccia senza curarsene. Perché non c'è niente da fare, con le parole sono bravi tutti e possono dire qualsiasi cosa, ma alla fine sono sempre i fatti a dimostrare che le persone non cambiano. Facevo bene a non sentire i consigli di nessuno e restare come stavo. Mi manca la mia corazza e ora un enorme squarcio mi sta lacerando.

Le lacrime iniziano ad affacciarsi e pungere dietro le mie ciglia e faccio fatica a trattenerle. Per evitare che Freddie possa accorgersi del mio stato, mi alzo e vado in camera mia senza dire niente. Per fortuna era troppo preso a leggere il suo libro per accorgersi di qualcosa.

Se quello stronzo si aspetta una risposta al suo messaggio può anche sognarsela. Non ho intenzione di sprecarmi più per lui. Con due calci dati all'aria lancio le scarpe al centro della stanza e mi abbandono sul letto a guardare il soffitto. Cazzo, come vorrei averli dati a lui quei calci? Ora il mio unico obiettivo devono essere solo le coperte ed il letto, ma questo nervosismo sembra essersi affezionato a me. Pensieri rabbiosi si susseguono nella mia mente. Immagini in cui sevizio sadicamente Brandon colorano la mia fantasia e ricreano piano piano quella corazza che avevo messo erroneamente da parte. In lontananza lo squillo del telefono mi ridesta. Guardo lo schermo e il nome di quell'essere inutile campeggia lampeggiando davanti ai miei occhi, come se mi stesse prendendo in giro. Non ho intenzione di rispondere per cui abbasso la suoneria e lo lancio sulla poltrona accanto al letto. Passano pochi secondi e il suono di una notifica mi fa ulteriormente spazientire. È sempre Brandon. Dal mio naso lancio sbuffi di fumo immaginario mentre leggo il testo "Sono giù che ti aspetto. Scendi o vengo su a prenderti?" Giro gli occhi al cielo e decido di ignorare questo messaggio. Ma che cosa mi significa? Un secondo messaggio arriva pochi secondi dopo "Apri il portone, vengo a prenderti." Un lampo di terrore mi trafigge lo stomaco. No, è meglio di no! C'è Freddie ed è meglio evitare un loro incontro per il momento. Gli rispondo solo un secco "OK. OK. arrivo."

Uscita dal portone di casa mi accoglie con il suo sorriso spavaldo, appoggiato disinvoltamente alla sua Porsche. È elegantemente vestito in un completo blu che fa risaltare il suo fisico longilineo. I ricci sono definiti e ordinati e incorniciano la sua faccia da schiaffi che mi guarda, salutandomi mentre si avvicina verso di me. Alla sua vista tutta l'incazzatura quasi sembra sfumare via. Sono così immersa in ciò che sto guardando da aver dimenticato per qualche attimo che fino a poco fa stavo cacciando fumo dal naso. Avanzando verso di me i suoi occhi scorrono tutto il mio corpo e si soffermano sulla scollatura che in questo preciso istante rimpiango di non aver ridotto. Provo un visibile imbarazzo misto a compiacimento, ma cerco di far finta di niente, anche se credo che le mie guance siano diventate di un colore tendente al viola a giudicare dal calore che sento. Anche se provo disagio sotto il suo sguardo ammirato mi fa piacere avergli provocato una qualche reazione. Forse, anzi sicuramente un po' ci speravo, ma questo significa poco e niente! È uomo ed è del tutto naturale uno sguardo del genere. Seppure significasse qualcosa, sarebbe solo un istinto sessuale di cui faccio volentieri a meno. Si avvicina a me porgendomi il braccio e invitandomi a seguirlo alla macchina. I suoi movimenti fluidi e gentili mi rapiscono e mantenere il punto della mia incazzatura diventa veramente complicato. I suoi modi da perfetto gentiluomo proseguono in silenzio anche se indossa sul viso un sorriso sornione che mi ricorda lo scherzo che mi ha fatto poc'anzi e allora il nervosismo prende di nuovo il sopravvento. Mi accomodo in macchina rivolgendo il mio sguardo fuori del finestrino, fingendo di essere offesa. In realtà ho un nodo allo stomaco da quando l'ho visto, così affascinante e disinvolto. La sensazione di condividere uno spazio così ristretto come la sua auto è travolgente. Il suo profumo mi ha avvolto appena sono entrata e per un attimo mi ha fatto girare la testa. Seduto accanto a me sento il suo sguardo e non riesco a voltarmi, non perché io voglia ancora fare la parte dell'offesa, ma perché sento il cuore impazzito senza averlo nemmeno guardato negli occhi. Per quanto io abbia deciso di darci una possibilità sul lavoro e, forse, come amici, lui è sempre colui che possiede tutto il mio cuore, anche se mi costa ammetterlo. È marchiato per sempre dentro e fuori di me. E a proposito di fuori, mi devo ricordare di tenere nascosto il tatuaggio. Non voglio domande imbarazzanti.

Ancora non mette in moto per andare e impaziente mi chiedo che cosa stia aspettando. La sua voce spezza questo momento tra noi "Tara, dai, non fare così. Passiamo una bella serata, dobbiamo festeggiare il tuo compleanno no? O questo piacere lo riservi solo ai vecchi amici? In fondo, anche io sono un vecchio amico." Mi giro per fulminarlo con lo sguardo, senza rispondere ancora una volta. È una battuta di pessimo gusto ma lui sembra non rendersene conto e questo mi fa arrabbiare seriamente. Noi non siamo mai stati amici. Al mio sguardo truce, sbuffa e rotea gli occhi accennando un sorriso piuttosto forzato. Finalmente decide di partire verso il ristorante. In quell'istante, con la certezza di non avere più i suoi occhi puntati su di me, decido di voltarmi a guardarlo. Sembra rilassato e a suo agio. Sorride mentre guida e io penso che quel sorriso sul suo viso sia stato messo apposta per uccidere me e farmi divorare lo stomaco da questo nugolo di farfalle che svolazza indisturbato, provocandomi questa inappetenza costante. Osservo la linea della sua mascella così virile fino a scendere con lo sguardo al suo collo e improvvisamente un flash, il ricordo dei miei denti sulla sua pelle, proprio lì, e la sua voce che emetteva sospiri di piacere. Stringo le gambe tra loro istintivamente e il respiro diventa immediatamente già pesante. Scrollo la testa e strizzo gli occhi nel tentativo di cacciare via questo ricordo così vivido dalla mia memoria e volto di nuovo lo sguardo alla strada fuori al finestrino. Guardarlo con questa luce mi porta alla mente immagini che farei bene a dimenticare. "Non mi chiedi niente di com'è andata oggi all'incontro?" esordisce dopo un profondo sospiro. "Pensavo ne parlassimo a cena." gli rispondo vaga e con tono quasi disinteressato. "Dobbiamo parlare di tante cose." È la sua risposta e inizia a raccontarmi di quanto l'incontro di oggi sarà importante in un prossimo futuro e tante altre cose, ma io mi sono persa già dopo le prime sillabe che ha pronunciato perché sto ancora pensando a quel "Dobbiamo parlare di tante cose." detto come se fosse la cosa più naturale del mondo. Ogni parola che pronuncia fluisce dalla sua bocca in modo così morbido che la sua voce è una carezza per le mie orecchie e io chiudo per un attimo gli occhi per farle scivolare ancora meglio nella mia testa. "Mi stai ascoltando Tara?" mi chiede mentre parcheggia la Porsche. "Onestamente? No!" gli rispondo candidamente sfoggiando un timido sorriso nel tentativo di non farlo offendere. Brandon mi guarda di sbieco severo. "Scusa!" gli rispondo ed è vero, sono veramente mortificata. In quell'attimo in cui i nostri sguardi si incontrano, i suoi occhi si ammorbidiscono in un'espressione scherzosa e scoppiamo entrambi contemporaneamente in una risata che scioglie finalmente tutta la mia tensione e per un secondo, un piccolissimo secondo, mi sento leggera e in pace, come se ci fossimo solo io e lui, Tara e Brandon, senza il nostro passato ad incombere e a ricordarci sempre ciò che è stato.

Brandon apre il suo sportello per uscire dalla macchina e, siccome si accorge che sto per fare lo stesso, mi blocca prontamente per un braccio "No, ti prego! Fammi fare il gentiluomo!" mi dice con fare scherzoso, ma ciò non impedisce al mio cuore di saltarmi in gola ancora una volta per quel contatto improvviso. Il modo in cui ogni volta mi afferra con le sue mani è semplicemente seducente. O forse sono io che sono sensibile al suo tocco al punto da cristallizzarmi per tale vicinanza. Esce velocemente dalla macchina e viene ad aprire il mio sportello offrendomi il braccio per dirigerci verso il ristorante. Stiamo ancora ridendo e io in questo momento mi sento come se stessi su una nuvola. È così difficile tenere i piedi piantati per terra quando accanto hai colui che ha significato tutto per te, nel bene e nel male. Le mie narici colgono tutti i profumi della primavera che sta per sbocciare a Central Park, a pochi passi da noi, cosa difficile da avvertire in piena New York. Dipenderà da questa leggera brezza che sfiora i nostri visi e che proviene proprio da quella direzione. Per un istante chiudo gli occhi e respiro profondamente. Questo momento è decisamente irripetibile. Odori e sensazioni che voglio conservare dentro di me per sempre, qualsiasi cosa mai accadrà, so che questo non vorrò mai dimenticarlo. Lui mi guarda incuriosito dai miei gesti "Tutto bene?" mi chiede. Per una volta decido che voglio lasciarmi andare con lui ed essere me stessa "La senti?" "Cosa?" mi chiede incuriosito. "La primavera. La stagione della rinascita. Ha un profumo inconfondibile. Profumo di ottimismo!" Brandon non mi risponde, ma annuisce sereno, come a condividere lo stesso sentimento. Entrando nel ristorante, nel suo ruolo di perfetto gentiluomo, mi cede ogni volta il passo sfiorandomi leggermente la schiena. E vorrei che non lo facesse, non perché non mi piaccia, ma perché fin troppo lo gradisco, per quel tocco leggero che ha, per i brividi che si propagano per tutto il mio corpo, per il desiderio che mi esplode dentro di prendere la sua mano nella mia.

Accomodandoci al tavolo mi balena in mente ciò che avrei voluto dirgli prima che mi facesse arrabbiare, prima di quello stupido scherzo e quasi ho un ripensamento sul dirglielo o meno, ma l'aria che adesso si respira tra noi ha un sapore talmente buono che le parole scivolano via dalla mia bocca ancora prima che io possa continuare a pensarci "Grazie ancora per i fiori. I girasoli sono i miei preferiti." Il suo sorriso soddisfatto è la risposta che volevo e mi ritrovo involontariamente a gongolare per avere fatto questo gesto verso di lui. Il ristorante è veramente bello ed elegante. I tavoli non sono tanti e sono anche abbastanza distanziati tra loro per consentire alle persone di discorrere indisturbate tra loro. Le pareti, di un tono bianco panna, sono decorate con specchi e dipinti di paesaggi di vario genere con le cornici dorate dal sapore antico. Dal soffitto si calano dei lampadari colorati, credo in vetro o cristallo, che diffondono una luce calda e non accecante. Tutto è ben studiato e calibrato per accogliere e coccolare gli ospiti nel modo più confortevole. Anche le sedie e i tavoli sono di legno decorato dal gusto retrò. Uno di quei posti in cui io non mi potrei mai avvicinare e probabilmente mai ricapiterà nella vita e mi sento un po' come Cenerentola al ballo, perché, nonostante tutti i miei sforzi, sento sempre di non essere all'altezza in questo tipo di situazioni, mentre Brandon è affascinante e sicuro di sé come sempre, al punto che molte giovani donne si sono girate per guardarlo mentre facevamo il nostro ingresso. E io mi sono ingelosita, fulminandone qualcuna di sottecchi, sperando di far intendere che lui fosse il mio uomo.

Nel prendere posto Brandon decide di sedersi di fianco a me piuttosto che di fronte "Così possiamo parlare meglio." mi dice pacatamente e non posso fare a meno di sospettare maliziosamente che stia flirtando con me sin da quando mi ha prelevato sotto casa. Mentalmente rido a questa impossibile evenienza e penso che forse è meglio se mangiamo, così potrò focalizzare la mia attenzione su qualcos'altro che non sia lui. E il vino, sì, ho bisogno di vino per reggere questa serata.

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Quando l'ho vista emergere dal portone di casa sua mi ha lasciato senza fiato. Questo vestito le dona particolarmente e lei lo indossa come se fosse la sua seconda pelle e non ho potuto fare a meno di guardarla ammirato, anche se avrei dovuto trattenermi ed evitare. Non si rende conto di quanti uomini l'hanno adocchiata mentre entrava nel ristorante ed io ho sentito un moto di orgoglio di essere in sua compagnia. Ogni volta che le ho ceduto il passo la guardavo camminare con quella sua semplicità, a volte anche un po' goffa e senza pretese di essere affascinante a tutti i costi. È lei, lo è naturalmente e non se ne rende affatto conto. E poi il suo profumo è così delizioso, è così lei anche quello. È inconfondibilmente il suo. Anche il cameriere è rimasto talmente rapito dai suoi occhi che a un certo punto ha balbettato e lei è stata con lui fastidiosamente molto più che gentile, sfoderando il suo sorriso migliore.

È cambiata in questi anni, è fiorita rispetto a quella ragazza che poco curava il suo aspetto esteriore, perché il suo obiettivo principale era studiare e laurearsi. O forse io vedo in lei quello che non sono stato capace di vedere all'epoca perché ero troppo preso da me. Suona quasi un rimpianto il mio... Se non fossi nello stato psicologico in cui mi trovo ora, così scottato da Nina e deluso dall'amore, probabilmente ci proverei. Ma ora come ora un'avventura non è quello che cerco e lei è la mia assistente oltre che una persona che ho già ferito in passato. Creerei solo complicazioni inutili mentre ora ho unicamente bisogno di lavorare sodo, di concentrarmi sui progetti futuri e di lei come mia spalla di cui potermi fidare.

Arriva la cena e i primi bicchieri di vino sono già scivolati giù. Siamo entrambi più disinvolti ora, soprattutto Tara che era molto tesa all'inizio. Riesce anche a scherzare e fare qualche battuta, ma restiamo sempre legati ad argomenti lavorativi. Non sposta più di tanto la conversazione verso altro. Più di così non riesce a lasciarsi andare e quindi la faccio fare. Mi basta vedere che sorride di più e che di tanto in tanto si fa scappare anche qualche risata. Soprattutto quando parliamo di Maurice, quel collega un po' imbranato che in ufficio fa solo guai, ma che è talmente dolce che "alla fine, gli perdoni qualsiasi cavolata possa fare!" dice. Mi ha raccontato alcuni episodi accaduti prima del mio arrivo e ogni suo racconto è sempre incorniciato dalle sue risate contagiose. Dopo le chiacchiere e le risate la osservo che, imbarazzata per il silenzio instauratosi, guarda il riflesso del lampadario nel suo bicchiere del vino. È questo il momento. Ora posso finalmente dirle ciò che mi è successo e spero che questo le faccia definitivamente capire quanto io non sia più quello di allora, colui che ha approfittato di lei per uno stupido orgoglio ferito. Mi sento agitato e le mie mani iniziano a sudare tanto che le devo asciugare con il tovagliolo. Non è tanto l'ansia di raccontare a lei quanto è accaduto con Nina, ma il ricordarlo di nuovo, ripercorrere quei momenti in cui ho dovuto ammettere a me stesso quanto la mia vita fosse costruita sulla menzogna. Con un profondo respiro incamero quanta più aria è possibile, come se avessi paura che una sola pausa per respirare potesse consentire al mio subconscio di bloccarmi e non farmi dire tutto ciò che ho bisogno che lei sappia. Nel momento in cui inizio a parlare, distolgo lo sguardo focalizzando la mia attenzione su un quadro appeso alla parete di fronte a me. Ritrae un lago ed una valle. Mi immergo in quell'immagine alla ricerca di un po' di pace che possa chetare il tormento che ho dentro e che mi faccia trovare le parole giuste da far scivolare fuori della mia bocca

"Cinque anni fa ho incontrato una donna a Parigi, si chiama Nina." A quel nome avverto che Tara si irrigidisce accanto a me. La guardo e ha gli occhi sgranati, impauriti quasi. "Qualcosa non va?" le chiedo. Lei scuote la testa per negare "Continua per favore." mi dice con un sorriso teso e socchiudendo gli occhi. Non mi ha convinto, ma sono sicuro che approfondiremo dopo che avrà ascoltato il mio racconto. "Ci siamo innamorati ed abbiamo deciso di vivere insieme già dopo pochi mesi. Un giorno di sei mesi fa le ho chiesto di sposarmi ma lei non mi ha voluto rispondere subito, perché doveva pensarci, diceva. Non si sentiva sicura di voler mettere radici e forse voleva tornare in Grecia, il suo paese di provenienza. Questa era la motivazione che mi ha dato. Ogni giorno che passava la sentivo però sempre più distante, fino ad avere accanto a me nel letto un'estranea che ormai nemmeno mi parlava più. Dopo due mesi, ho provato a parlarle di nuovo, ma lei mi ha dimostrato tutto il suo disinteresse e il suo egoismo. Ho scoperto che mi tradiva, da pochi mesi, con il suo ex e io ero stato il mezzo per farlo tornare da lei. Cinque anni di bugie e finzione. Niente era vero e in quella situazione, io per un attimo so di aver pensato a te Tara. Mi sono odiato e ho sperato che tu fossi felice. Ho deciso quindi di tornare a New York perché a Parigi tutto mi ricordava lei e l'illusione che avevo vissuto. Il fatto che io e te ci siamo ritrovati è una pura e fantastica coincidenza e io non la voglio sprecare. Ci è stata data l'opportunità per costruire un'amicizia, non credi?" Le parole sono uscite lente e tutte d'un fiato, senza averle realmente pensate o scelte. È la pura verità e nello stesso istante in cui hanno lasciato tutte il mio corpo, mi sono reso conto di quanto io mi senta ora più leggero. Non ne avevo parlato mai con nessuno, non avevo avuto mai modo di sfogarmi e farlo ora, a distanza di un po' di tempo è stato così liberatorio che un sospiro di sollievo chiude il mio lungo racconto. E lei, rimasta per tutto il tempo, muta, silenziosa, assorta nel mio parlare a raffica, ha semplicemente annuito alla fine, decorando il gesto con un flebile sorriso e un pizzico di preoccupazione, lo stesso che aveva quando ho iniziato a parlare. Vorrei chiederle cosa l'ha turbata ma voglio darle il tempo di capire e accettare finalmente quanto io sia diverso. Ma i suoi occhi continuano a vagare altrove, evitando di incontrare i miei che la fissano e la cercano. Ho bisogno di sapere cosa pensa, cosa prova. Un sospiro impaziente mi sfugge e lei finalmente mi guarda, trova i miei occhi, i suoi sempre con un velo di cui non ne capisco la natura. Seguono attimi pieni di silenzio ma impregnati di parole. Frasi non dette, da parte sua, da parte mia. I nostri occhi sono entrati in contatto profondo e i suoi non riescono a mascherare il carico di emozioni che sta provando e vorrei poterle leggere tutte o perlomeno ascoltarlo dalle sue labbra che sono serrate in una smorfia strana. Mi chiedo se ce l'abbia ancora con me e se c'è altro che potrei fare per farmi perdonare. "So di aver sbagliato con te 15 anni fa. Ho fatto qualcosa che non mi perdonerò mai. Sei una bella persona Tara, forse la più bella e profonda che abbia mai incontrato e io ho bisogno di una persona come te, sincera e onesta! Tu sei una persona di cui ci si può fidare e tu su di me potrai sempre contare e non solo sul lavoro. Voglio che tu questo lo abbia sempre presente." Il mio tono è grave e preoccupato. Non la guardo, ho paura di leggere in lei cose che non mi farebbero piacere. Devo avere la sua assoluzione per poter fare pace con me stesso. Sta diventando per me una strana ossessione. Sento la sua mano sfiorare il mio braccio sinistro, all'altezza del tatuaggio, e il contatto mi provoca nuovamente un formicolio, questa volta più forte del solito. Resisto alla tentazione di interrompere quel contatto perché dall'altro lato provo enorme compiacimento per il suo gesto, significa molto per me. Mi volto a guardarla di nuovo. Sorride ora, lo sguardo comprensivo e la testa inclinata da un lato "Prendiamo il dolce? Mi sembra il momento giusto." Dice accennando una risata, evidentemente forzata, e la ringrazio mentalmente per questi suoi sforzi. Seppure non mi ha perdonato, sento che siamo molto vicini a costruire una buona amicizia.

Chiamo il cameriere che si avvicina con fin troppa velocità e, arrivato al nostro tavolo, non fa altro che rivolgere lo sguardo solo a Tara e lei ora, invece, sembra infastidita da questa sua attenzione. Mi avvicino a lei un po' di più passando il mio braccio sulla spalliera della sua sedia, nel tentativo di scoraggiare il cameriere che capisce e, finalmente, rivolge il suo sguardo anche a me. Ordiniamo una cheesecake e un tortino con dentro il cioccolato caldo fuso. Tara era indecisa e io le ho proposto di dividere. Sembrava una bambina quando gliel'ho detto. Ha annuito e accettato con entusiasmo genuinamente infantile, risvegliando in me un moto di tenerezza, simile a quando osservi un bimbo in fasce.

Mi sento finalmente rilassato e la voglia di divertirmi ha preso il sopravvento sulla tristezza che aveva caratterizzato pochi attimi fa. Voglio scandagliare il terreno e capire quanto mi posso spingere ora nelle nostre conversazioni, un po' alla volta. Darci il tempo della confidenza. "Sono sicuro che non sono il primo a chiedertelo, ma ho una curiosità. Come mai ti chiami Tara?" Il suo volto si illumina di un sorriso dal retrogusto malinconico "Ti racconto brevemente una storia che mi mia madre mi diceva quando ero piccola. Mary e Geoffrey s'incontrarono al liceo poco dopo aver compiuto 16. Erano due ragazzi normali, nessuna reginetta del ballo o il capitano della squadra. Lui si era appena trasferito a New York da una piccola città del Minnesota. Normali ragazzi del liceo." Si ferma un attimo e scoppia in una piccola risata. "La prima volta che andarono al cinema decisero di andare a vedere Via col vento. Un bacio durante il film e da quel momento non si sono mai più separati. Un amore così ordinario da sembrare agli occhi di tutti come qualcosa di comune ma che in realtà non lo è. Geoffrey e Mary sono i miei genitori e sono la coppia più innamorata che io abbia mai conosciuto, nonostante sia passato tanto tempo da quel primo bacio. Così diversi ma così uniti da completarsi l'un l'altro. Consapevoli di essere solo metà se lasciati da soli. Hanno chiamato me Tara perché io mi ricordassi sempre di essere fiera e solida come la terra, ma delicata e leggera come il cotone. Mia sorella si chiama Melania, dolce e compassionevole ma anche lei forte e coraggiosa nelle difficoltà." Ed in questo momento la riesco a vedere quella bambina dai lunghi capelli biondi e gli occhi assorti ad ascoltare il racconto d'amore dei suoi genitori, pendendo dalle labbra della sua mamma. Occhi che brillano come in questo momento. "Come mai nessuna delle due si chiama Rossella?" le chiedo scherzando. "Ovvio, è antipatica!" Mi risponde alzando le spalle e ridendo, una risata aperta e vera. Parlare dei suoi genitori credo che l'abbia rilassata definitivamente, anche le sue spalle ormai non sono più tese e rigide come prima. Si fa ad un tratto seria e senza guardarmi inizia a parlare con un filo di voce "Ho sempre desiderato per me una storia come la loro. Non mi sono voluta accontentare." si lascia scappare. Un brivido percorre la mia schiena, credo di essermi emozionato ad ascoltare uno dei suoi più profondi desideri. "Te lo meriti." le dico sinceramente e lei risponde con un timido sorriso, alzando leggermente lo sguardo verso di me ma abbassandolo subito dopo. E se prima ero riuscito a cogliere qualche sfumatura dei suoi pensieri, ora fatico a capire cosa le passa per la testa.

"Io ti ho raccontato di Nina. Non mi dire che tu non hai avuto storie importanti fino ad ora." La smorfia che fa mentre ci scambiamo i piatti del dessert è buffa ed eloquente, annuisce anche, ma è evidente quanto sia in imbarazzo a raccontarmela. "In realtà io e il mio ex viviamo ancora insieme." Il colore delle sue guance improvvisamente muta in una tonalità di fucsia molto divertente. "Cioè? State insieme o no? Siete trombamici per caso?" "No, no! Ma che dici!" Ride di gusto anche se è arrossita di nuovo e io sono sempre più incuriosito dalle sue storie. Sembra avere sempre qualcosa di bizzarro da raccontare. "Anche io e Freddie siamo stati insieme per circa cinque anni, ma poi le cose naturalmente non sono andate più, ma ci volevamo ancora bene e non volevamo comunque stare lontani. È finita che è diventato il mio migliore amico." "È stata una decisione coraggiosa la tua, non credi?" "In verità credo che di coraggio ne abbia avuto più lui di me!" risponde ridendo, per poi continuare il suo pensiero con un tono più intimidito, come se fosse un'ammissione difficile da fare "Non credo di essere una persona facile da gestire. Ma lui c'è sempre stato e so che ci sarà sempre per me." Il suo sguardo si fa ancora più dolce al pensiero del suo ex e questo mi fa invidiare quell'uomo che ha mantenuto con lei un rapporto tanto forte." "E il tatuaggio che hai alla caviglia? L'hai fatto per lui?" Il suo sguardo si fissa nel vuoto, paralizzato dalla mia domanda. Forse non se lo aspettava. "E' molto piccolo. Cosa c'è scritto?" Continuo io, ma più parlo e più il suo sguardo diventa perso nel vuoto. "Tara? Tutto ok?" Le tocco il braccio per riportarla alla realtà, perché sembra ormai immersa in profondi pensieri difficili da permeare. La sua reazione al contatto mi lascia spiazzato. Ritrae il braccio come se quel mio gesto le avesse procurato un forte dolore fisico. "Dicevi?" mi chiede guardandomi ancora con gli occhi persi nel vuoto. "Niente, non dicevo niente." Le dico. Meglio sorvolare sull'argomento. Fa un sorriso più simile ad una smorfia di disappunto e abbassa poi lo sguardo sul tavolo, ad osservare le sue mani. Mi sento a disagio perché ho l'impressione di aver toccato un argomento sensibile per lei, forse mi sono spinto troppo. Non ho il coraggio di rivolgere i miei occhi verso di lei e anch'io cerco nella stanza un punto da guardare e a cui rivolgere a mia finta attenzione. Sento che accanto a me prende un profondo respiro e, senza fare nessun movimento, inizia di nuovo a parlare "Senti di amarla ancora?" Avverto nella sua voce una punta di timore nel chiedermelo. Io invece me lo sono chiesto tante volte senza sapermi rispondere, ma avere qualcuno che apertamente mi fa questa domanda, mi mette ora in crisi. "Non lo so, ma fa ancora tanto male, quindi credo di sì." Lei annuisce con la testa, senza aggiungere altro, ancora senza guardarmi.

Siamo rimasti in silenzio da quel momento e anche in macchina non abbiamo parlato. Sotto casa sua le apro lo sportello per farla uscire e le scappa uno sbadiglio. Per l'ennesima volta questa sera la guardo come se avessi davanti una bambina "Sono esausta." mi dice con voce roca di sonno. "Non so in che condizioni sarò domani in ufficio." Continua con lo sguardo basso. "Posso parlare col tuo capo. Mi dicono sia un tipo comprensivo!" le rispondo nel tentativo di ristabilire quell'atmosfera rilassata che abbiamo respirato durante la cena. Alza lo sguardo con il sorriso di nuovo a decorare il suo viso stanco. Le aggiusto i capelli dietro un orecchio mentre le faccio una proposta che sorprende anche me, insieme a questo gesto che assolutamente non avevo previsto di fare "Se vuoi passo a prenderti, così puoi dormire un po' di più." Sgrana i suoi piccoli occhi verdi "Davvero lo faresti?". Mi fa tanto ridere questa sua spontaneità che fino ad oggi non mi aveva permesso di vedere in lei. "È colpa mia se abbiamo fatto tardi, quindi è il minimo che possa fare. E poi mi fa piacere avere compagnia durante il tragitto verso l'ufficio. La radio ormai mi ha stufato. Passo alle 8.30. Puntuali però, altrimenti la mia assistente mi rimprovera se arrivo tardi!" Nel frattempo, abbiamo raggiunto il portone che Tara ha ormai aperto. Le do un leggero bacio sulla guancia, ma mi soffermo un attimo a sentire il suo profumo che mi entra nelle narici e raggiunge il mio intelletto mandandolo in tilt. Quando mi stacco restiamo lì immobili a guardarci, silenziosamente occhi negli occhi. È un forte momento di imbarazzo e tenerezza "Tara..." non so cosa vorrei dirle, ma il suo nome resta sospeso nell'aria mentre continuo a fissarla senza riuscire a staccare i miei occhi dai suoi. In lontananza sentiamo il rumore di una sgommata sull'asfalto che interrompe il nostro contatto e non so se mi dispiaccia di più di quanto mi faccia piacere di essere stato tolto da questa situazione che non so dove avrebbe portato. "A domani Brandon" dice voltandomi le spalle per poi chiudere dietro di sé il portone. Chissà quali pensieri hanno attraversato la sua mente in quel momento. Io invece provo una grande confusione tra i miei di pensieri ed ho la sensazione che in questi ultimi minuti sia successo qualcosa che ha rovinato l'atmosfera che si era creata tra noi durante tutta la sera. Entro in macchina e sento di nuovo il suo profumo. Chiudo gli occhi e appoggio la testa. No Brandon, non stavolta e non con lei. Hai fatto già troppi casini!

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8 maggio

Sul viso porto i segni di una notte non facile. Il pensiero di quello che mi ha raccontato che coincide con i miei sogni. La domanda inaspettata sul mio tatuaggio e il suo bacio sotto casa mi hanno perseguitato minuto dopo minuto. Non ho voglia di iniziare la giornata con lui. Ho bisogno di stare per conto mio ancora per un po'.

Mi sono alzata prima che la sveglia suonasse, tanto ero già sveglia da un bel po' rotolandomi nel letto, in preda ai miei pensieri. Sono riuscita comunque a sistemarmi adeguatamente per l'ufficio. Ho deciso di andare in metro ed evitarlo quanto più a lungo possibile. Gli ho appena mandato un messaggio "Mi sono svegliata lo stesso presto, vado in metro. Ci vediamo in ufficio."

Sembrava tutto andare perfettamente, ma poi, la sua domanda sul tatuaggio, la sua dolcezza quando mi ha accompagnato e quel suo starmi così vicino quando mi ha salutata, tutto questo mi ha risvegliato emozioni che ero riuscita a mettere da parte per tutta la sera e mi sono sentita sopraffatta. Come avrei voluto che quel bacio sulla guancia fosse stato diverso. Eppure, lui è stato chiaro con me, prova solo rimorso per ciò che è successo all'università e le mie sarebbero solo illusioni. Se lo avesse voluto, sarebbe andato oltre quell'amichevole bacio.

Incrocio Freddie in cucina che con tono risentito mi chiede "Perché non me l'hai detto che uscivi con lui? Adesso mi dici le bugie?" "Non avevo voglia di sentire opinioni da parte di nessuno. Niente di personale verso di te. E tu? Adesso mi spii?" "State insieme?" mi chiede, voltandosi duro verso di me "Che dici? No! Era una cena tra due colleghi, niente di più." Mi avvicino a lui in cerca di conforto. Mi ci vorrebbe proprio un suo abbraccio che però non arriva. "Ci sto provando Freddie, per favore sostienimi. Non l'ho cercata io questa situazione. Ho bisogno di te per sopportarla!" "Non so se questo lo posso fare Tara. Credo che tu stia facendo una cazzata! Anche se non stiamo più insieme, ti voglio ancora bene e devo ammetterlo, mi prende un po' di gelosia al pensiero che lui ti stia così vicino." Un sospiro abbandona il mio corpo per il dispiacere di questa conversazione "Non c'è nulla di cui essere gelosi, Freddie. Lui non mi ama e mai mi amerà. Ha appena chiuso una storia con una donna che ancora ama. È stato chiaro e corretto con me. Non vuole altro che instaurare un rapporto sereno e amichevole di lavoro." Butto via queste parole con tono rassegnato, mentre prendo il soprabito e mi avvio verso la porta di casa. "Non fai colazione?" Urla mentre sto per uscire. "No, non ho fame." rispondo svogliatamente. La fame è diventata ormai un lontano ricordo da troppo tempo ormai. Provo invece un forte senso di amarezza. Il destino ha riservato a Brandon lo stesso dolore che lui ha dato a me. Ma io l'ho perdonato? Si, ma forse nemmeno ce n'era alcun bisogno. Ero solo ferita. In realtà non l'ho mai odiato veramente ma sempre e solo amato! Devo ammetterlo a me stessa e ora dovrò convivere con questo amore irrealizzabile e chiedo a me stessa quanto riuscirò a resistere prima di crollare. 

Nota dell'autrice: 

Ecco un nuovo capitolo aggiornato. A me è piaciuto molto riscriverlo. Fatemi sapere se anche a voi piace.

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Grazie mille :)

TY

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