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Noah

Febbraio 2030

Tic, Tac.

Tic, Tac.

Dannato orologio. Aveva un rumore insopportabile. Forse era a causa del silenzio, talmente potente da rendere forte qualsiasi rumore presente in quella strada fredda e sfoglia. Stavo impazzendo, diamine. Sembravo rinchiuso in una dannata bolla isolato dal resto del mondo.

Sospirai.

Ma quando sarebbe arrivata? Non ero mai stato un tipo paziente, avrei voluto alzarmi e andarmene ma non potevo. Avrei rischiato di nuovo il carcere.

Portai il capo all'indietro e cominciai a muovere le gambe impaziente. Vaffanculo.

Quel posto aveva davvero un'aria triste. Avevo passato un quarto della mia esistenza dentro la sala degli interrogatori e, nonostante tutto, non mi ero ancora abituato all'ambiente tetro che si respirava là dentro. Osservai torvo il tavolo in ferro e ci ticchettavo le dita sopra, poi passai lo sguardo sulle pareti scure. Guardai la mia figura dal vetro oscurato e sospirai di nuovo.

Coraggio, Noah, sarebbe finita presto.

Il rumore cigolante della porta alle mie spalle non mi scompose. Rimasi nella stessa posizione, a grattarmi il mento provvisto di una folta barba ispessita. Avrei dovuto radermi.

«Buon pomeriggio, Noah» la voce femminile dietro di me sembrava essere serena, come se davanti a lei ci fosse qualcuno di innocuo, di normale. Schioccai la lingua sul palato, mentre ascoltavo attento il rumore dei suoi tacchi avvicinarsi verso di me. La donna si posizionò davanti alla mia persona, spingendo la sedia in modo che potesse sedersi. Mi osservava dalle sue lenti con espressione seria, gli occhi glaciali e così azzurri da ricordarmi lei. Forse avevano perfino la stessa età. Sospirò e poggiò quella che sembrava essere la mia scheda davanti a sé, poi mi guardò di nuovo. «Dunque, piacere. Io sono Deborah Clinton.»

«Ciao», risposi freddo, tirando su con il naso, «l'avverto: è qui solo per perdere tempo.»

Accennò un sorriso, osservando silenziosa i documenti. «Dammi del tu, Noah, dopotutto abbiamo la stessa età» bevve un sorso d'acqua da una borraccia, poi congiunse la mani sul tavolo, «sai perché siamo qui, vero?»

Annuii, osservando i miei occhi spenti attraverso il vetro di fronte a me. Mi concentrai sui solchi neri al di sotto di esse, poi mordicchiai le labbra. «Cosa vuole sapere, dottoressa?» portai i miei occhi sui suoi.

«Tutto» deglutì, poggiando lo schienale della sedia.

Accennai una risata, tirando su con il naso. «Spero allora che abbia un bel po' di tempo, dottoressa Clinton. La storia che devo raccontarle non è affatto facile.»

«Sono pronta» rispose, annuendo convinta.

Rimasi in silenzio per qualche istante, poi guardai di sottecchi di fianco a me, come se potessi vedere l'ombra di un Noah vent'enne che, stanco dagli orrori vissuti, non aspettava altro che la morte gli allungasse le potenti fauci per portarselo via con sé. «La nostra storia comincia dieci anni fa...» deglutii e chiusi gli occhi. Dentro la mia testa, lo spettro del mio passato cominciava a farsi beffa di me.

Ero pronto a ricominciare la guerra.

Spazio autrice

Buonasera! Sì, sono tornata, e proprio con Like! Mi sembra così strano riprendere in mano questi personaggi e queste vicende. Spero di riuscire a renderla migliore.

Nulla, ci leggiamo presto con il primo capitolo. Vedremo se riesco a postarlo stasera o domani ❤️

Vi voglio bene ❤️

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