9. Colazione in Città Alta

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Oggi

Anche se non erano ancora suonate le nove, la Piazza Vecchia era tutt'altro che deserta. Tra coloro che ne calpestavano la pavimentazione di mattoncini rossastri ancor prima che questa venisse illuminata dai raggi del sole erano riconoscibili due particolari categorie umane: i turisti e gli studenti sotto esame. I primi, incoraggiati da quella che prometteva di essere una splendida giornata di maggio, camminavano con piccoli passi incerti, con la guida stretta sotto il braccio e il naso all'aria per ammirare gli archi del Palazzo della Ragione e l'imponente Campanone. I secondi, invece, si muovevano in gruppetti compatti, discorrendo con apparente disinvoltura degli argomenti che avrebbero dovuto affrontare in sede di esame. Bastava osservarli con un po' più di attenzione, però, per scorgere la tensione che irrigidiva i loro lineamenti e rendeva meccanici i loro gesti.

Rannicchiata sui gradini bianchi della biblioteca Angelo Mai, Caterina li osservava con un misto di compassione e noia e, di tanto in tanto, lanciava un'occhiata in direzione degli eleganti archi candidi che la sovrastavano, accertandosi che nessuno dei piccioni che infestavano la piazza avesse deciso di posarsi proprio sopra alla sua testa.

Da che parte sarebbe arrivato Michael? Quando avevano deciso di incontrarsi in Piazza Vecchia, non avevano concordato un luogo preciso e ora la ragazza si sentiva percorsa da un sottile brivido di inquietudine. È presto, si disse, guardando rapidamente le lancette dell'orologio che portava al polso sinistro. Non amava arrivare in ritardo ed era dunque partita di buon'ora, prendendo un treno che l'aveva fatta approdare alla stazione di Bergamo con più di settanta minuti di anticipo sull'orario stabilito per l'incontro. Per evitare di sudare eccessivamente e di arrivare all'appuntamento con un aspetto poco presentabile, aveva rinunciato ad arrampicarsi fino alla Città Alta a piedi e aveva invece preso un autobus: il risultato di tanta premura era stata un'attesa snervante seduta sui freddi gradini di pietra della biblioteca.

Però sarebbe buona educazione non presentarsi all'ultimo minuto, ragionò di nuovo la ragazza, sporgendosi per avere una visuale migliore della strada che costeggiava la piazza. La verità era che si sentiva nervosa. Il che è una grandissima idiozia, riconobbe, tormentando con due dita la leggera stoffa gialla del vestito che indossava. Più i minuti passavano e più cresceva in lei il sospetto che Michael non si sarebbe presentato o che, se anche fosse venuto, si sarebbe limitato a lasciarle la dispensa di marketing, senza però accompagnarla a fare colazione.

Sarebbe meglio così, no? Sbottò la parte della sua mente che aborriva il contatto umano e preferiva ritirarsi entro i confini noti e rassicuranti della propria solitudine distaccata, dove tutto era perfettamente controllabile e prevedibile. Se il ragazzo si fosse limitato a consegnarle il materiale che le aveva promesso e poi si fosse dileguato, le sarebbe stato risparmiato l'imbarazzo di una conversazione piena di silenzi e frasi fatte davanti a un caffè troppo amaro. Del resto, lei nemmeno lo conosceva, Michael: perché le aveva chiesto di fare colazione insieme? Che cosa mai avevano da dirsi?

Ma è proprio questa, la cosa interessante! La redarguì quella parte del suo inconscio che invece ricordava perfettamente gli occhi blu del ragazzo, le sue spalle larghe e i suoi capelli spettinati e tremava d'emozione all'idea di rivederlo.

Con lo sguardo perso nel vuoto, Caterina si permise di pensare per qualche secondo a uno scenario in cui lei e Michael non erano semplici conoscenti: a quell'invito inaspettato ne sarebbero seguiti altri e poi, forse... Una ragazza con un'ingombrante borsa a tracolla le transitò davanti a passo spedito e la giovane si riscosse. Niente idiozie adolescenziali! Si impose, scuotendo la testa come per liberarla da quei pensieri. Erano finiti i tempi in cui si prendeva cotte ridicole – e quasi mai ricambiate – per qualsiasi umano di sesso maschile che le sembrasse anche solo vagamente gradevole alla vista. Malgrado fosse single da più di due anni, non sentiva il bisogno di trovarsi un ragazzo o qualcuno con cui passare le serate: lei stava bene come stava. Era una donna adulta e indipendente e non si sarebbe resa ridicola davanti a un tizio belloccio, ma comunque potenzialmente poco raccomandabile, fissandolo con gli occhi persi e un filo di bava alla bocca.

Non dimenticarti come ti ha trattata nel parcheggio del Dream! Si impose. Forse poi si è pentito e si è sempre mostrato gentile e disponibile, ma quella sera era palesemente ubriaco marcio: vogliamo davvero frequentare un personaggio del genere, Cate?

No, naturalmente era troppo assennata per lasciarsi coinvolgere da un'avventura simile. Avrebbe magari sperimentato un po', al massimo avrebbe scambiato con lui due chiacchiere informali, ma poi l'avrebbe ringraziato per l'aiuto che le aveva fornito e l'avrebbe gentilmente espulso dalla propria vita. Era questo, quello che faceva con le persone che non si inserivano alla perfezione nella sua comfort zone. Era l'atteggiamento che le aveva permesso di arrivare ai venticinque anni senza grandi sobbalzi emotivi e di certo non l'avrebbe abbandonato tanto facilmente.

Sempre ammesso che Michael abbia la decenza di presentarsi: sono le nove e cinque e lui ancora non si vede. Non si è nemmeno degnato di mandarmi un messaggio per avvisarmi.

Per ingannare il tempo, Caterina aprì Facebook e diede un'occhiata alle ultime notizie pubblicate da amici e parenti. Aveva appena letto le prime righe di una filippica che una sua conoscente aveva dedicato a Trenord e ai suoi perenni ritardi, quando avvertì una presenza davanti a sé.

«Disturbo?»

Sollevando rapidamente lo sguardo dallo smartphone, la ragazza incontrò gli occhi chiari di Michael. «Oh, ciao» lo accolse con un mezzo sorriso, sperando che l'irritazione provata pochi istanti prima non trapelasse dalla sua espressione. «No, figurati, stavo solo... be', ti stavo aspettando.»

Il ragazzo la guardò con aria leggermente dispiaciuta. «Sono in ritardo, vero?» le chiese, estraendo il cellulare dalla tasca dei jeans e lanciando un'occhiata allo schermo. «Scusami, ho fatto un pezzo di strada a piedi e non mi sono accorto di quanto fosse tardi. Sei qui da molto?»

Alzandosi in piedi per trovarsi alla sua altezza – non era abituata a guardare le persone da sotto in su e quella prospettiva le piaceva poco – Caterina scosse il capo. «No, sono arrivata giusto cinque minuti fa» mentì. Diciamo pure quaranta minuti fa, si corresse mentalmente, ma poi riconobbe che non era corretto incolpare Michael per il tempo che aveva perso. Non gliel'aveva certo chiesto lui, di arrivare tanto presto.

«Oh, meno male!» annuì sollevato il giovane, prima di posare a terra la tracolla di cuoio che portava in equilibrio su una spalla. Chinandosi appena, pescò un voluminoso plico di fogli rilegati con una grossa spirale di plastica rossa. «Be', allora: ecco qui la dispensa che ti avevo promesso. Dacci un'occhiata con calma e fammi sapere se ti sembra che sia abbastanza approfondita. Se hai bisogno che ti spieghi qualche punto, non farti problemi a domandare.»

Caterina lo guardò, un po' in imbarazzo. «Ma no, non vorrei approfittarne...» mormorò, prendendo la dispensa dalle mani del ragazzo.

Michael scoppiò a ridere. «Ma che approfittarne! Non prometto di essere disponibile ventiquattr'ore al giorno, ma se non capisci qualcosa, fammi un colpo di telefono o scrivimi su Whatsapp: non per tirarmela, ma 'ste cose sono delle scemate, per me. So praticamente a memoria tutto quello che c'è scritto lì dentro.»

La ragazza annuì riconoscente. «Ah, be', se le cose stanno così, allora potrei anche farci un pensierino.» E magari l'avrebbe fatto davvero, chissà: il tempo per preparare l'esame era poco e ogni aiuto era più che gradito.

Tra di loro calò il silenzio e Caterina sostenne lo sguardo del giovane per qualche secondo, poi chinò il capo e mise mano alla borsetta, stringendosi nel contempo la dispensa al petto. «Quanto ti devo?» chiese, estraendo il malconcio portafoglio Eastpack di cui non smetteva mai di vergognarsi, ma che era troppo pigra per sostituire.

Michael la guardò con gli occhi sgranati, poi scosse con vigore il capo, posando una mano su quella di lei e spingendola a rimettere via il portafoglio. «Ma che, scherzi? Ho detto che te la presto, non che te la vendo!»

Caterina storse le labbra, poco convinta. Non che le dispiacesse risparmiare qualche euro, ma non voleva avere l'impressione di essere in debito con lui. «Eh, ho capito, ma comunque...»

Il ragazzo scosse di nuovo il capo, categorico. «Non voglio nemmeno sentirne parlare. Devo ricordarti com'è nata questa storia? Devo farmi perdonare per l'atteggiamento da stronzo che ho avuto quella sera al Dream: è davvero il minimo che posso fare. Ah, per tua informazione: continuo comunque a sentirmi in colpa.»

Davanti a quella spiegazione, la giovane si strinse nelle spalle. «E va bene» si arrese. «Prometto che non ci farò nemmeno una piega. E starò attenta a non mangiarci sopra, ok?»

«Perfetto» annuì Michael. «Magari evita anche bevande corrosive o dal colore scuro, quando la stai leggendo.»

Caterina arricciò il naso, fingendosi offesa dalla sua precisazione. «Farò del mio meglio» lo rassicurò.

Lui la guardò sorridendo, poi si voltò verso la strada che si estendeva alla sua sinistra, sempre più affollata di turisti e di studenti. «Sei ancora dell'idea di fare colazione insieme?» indagò. «Perché io non mangio niente da ieri sera e tra poco mi ritroverò con una voragine al posto dello stomaco.»

Consultando di soppiatto il telefono, Caterina constatò che il ronzio che aveva avvertito poco prima era un messaggio inviatole da Halima. A che ora pensi di arrivare? Le aveva scritto la sua amica.

Ti raggiungo tra una mezz'oretta, digitò velocemente, prima di tornare a rivolgersi a Michael. «Sì, va bene» concesse. «Un caffè lo bevo volentieri anch'io.»

***

Alla fine non aveva affatto preso un caffè, ma uno schiumoso cappuccino spolverato di cacao e un poderoso cornetto alla crema. Sulle prime era stata tentata di ordinare una più sobria brioche alla marmellata – o magari liscia – ma vedendo che Michael non si era fatto alcuna remora a farsi portare un krapfen, aveva subito corretto il tiro.

La mezz'ora che aveva preannunciato ad Halima era ampiamente trascorsa e, all'ennesimo posticipo, la loro chat di WhatsApp era stata avvolta da un silenzio che non preannunciava nulla di buono. Penserà che le abbia tirato un bidone, pensò Caterina con una punta di apprensione. Sarà offesa a morte!

La verità era che quella colazione con Michael si stava rivelando assai più gradevole del previsto e lei non aveva alcuna fretta di andarsene.

Notando lo sguardo cupo che aveva appena lanciato allo schermo del cellulare, il ragazzo si sporse verso di lei, posando i gomiti sul tavolino di legno rovinato e un po' appiccicoso, «Adesso ti lascio andare, altrimenti la tua amica mi ammazza.»

«Ma no» lo tranquillizzò Caterina. «C'è tempo.»

Il ragazzo la fissò reclinando un poco il capo su una spalla. «Sei sicura?» insistette. «Non avevate mica un appuntamento?»

La giovane avvertì un lieve rossore solleticarle le guance. «Sì, è vero, ma non si tratta di nulla di troppo importante» ammise. «Dobbiamo solo trovarci per studiare insieme. Anzi, per la precisione, non studiamo nemmeno insieme nel vero senso della parola. A casa tendiamo a distrarci, quindi preferiamo trovarci qui... però può benissimo iniziare senza di me, dal momento che ci occupiamo di cose diverse.»

«Niente esame di marketing, per lei?» indagò Michael.

Caterina storse le labbra, trovandole leggermente appiccicose per la colazione appena consumata. «La mia amica l'ha già passato l'anno scorso. L'ha fatto da frequentate, il che gliel'ha reso decisamente più facile da superare.» Tirando un colpetto con il ginocchio alla tracolla contenente la dispensa del giovane, la ragazza sorrise. «Comunque oggi non ho alcuna intenzione di dedicarmi a quella roba lì: oggi intendo almeno imbastire il secondo capitolo della tesi. Conto di laurearmi a marzo e il tempo non è poi così tanto...»

Michael si lasciò sfuggire un sibilo divertito. «Punti di vista: a me nove o dieci mesi non sembrano poi così pochi.»

Lei si strinse nelle spalle. «Dipende da un sacco di fattori. Innanzitutto, io ho come relatrice la Boschi, che è brava e buona, ma è anche una rompicoglioni di proporzioni epiche – e scusa il francesismo» borbottò. «Ho perso il conto di quante volte mi ha fatto riscrivere porzioni del primo capitolo, e si trattava solo di roba teorica, dove non c'era proprio niente da inventarsi. Tremo al pensiero di quello che potrebbe dirmi a proposito dei capitoli successivi!»

Il ragazzo le lanciò uno sguardo incuriosito. «Boschi, hai detto? Mai sentita nominare. Cosa insegna?»

«Filologia germanica» scandì Caterina.

Michael corrugò la fronte. «Eh?»

«E pure linguistica germanica» precisò lei. «È tipo lo studio della storia delle lingue germaniche, del modo in cui si sono differenziate da quelle romanze e come si sono evolute dall'indoeuropeo e... be', roba del genere. Io, però, ho deciso di presentare una traduzione.»

«Una traduzione dal tedesco?»

Caterina scosse la testa. «Non esattamente. Traduco un testo da una variante del tedesco antico: la cosa divertente è che è una specie di formula magica.» Notando l'espressione scettica del giovane, la ragazza si sporse verso di lui, aggrottando la fronte con aria minacciosa. «Oh, non fare quella faccia! Non studiamo filastrocche e non facciamo nemmeno riti satanici: in realtà, è una cosa estremamente affascinante. È una specie di misto tra un incantesimo, una preghiera e una ricetta medica. È interessante notare come tutte queste cose sono state praticamente la stessa cosa, fino a un certo punto della nostra storia. E poi è una cosa che ti fa riflettere su come certi elementi siano ancora vivi nella nostra società.»

«Ti riferisci ai creduloni che si fanno fregare da cure miracolose e da santoni improvvisati?» chiese Michael, cercando di indovinare dove volesse andare a parare.

La ragazza si strinse nelle spalle. «Più che altro, pensavo a certi piccoli rituali a cui mi capitava di assistere quand'ero bambina. Sai, certi "trucchetti" che si usavano nei campi e che non avevano nessun fondamento scientifico, ma a cui non si voleva comunque rinunciare. O anche certe filastrocche che mia zia mi cantava per far passare il dolore di una caduta sull'asfalto, o certe credenze legate alle corna delle capre e a ipotetici vermi che le facevano ammalare... ormai sappiamo perfettamente come funziona il mondo, ma certe superstizioni sono dure a morire.»

Michael la guardò in silenzio per qualche istante. «Non ci avevo mai pensato» disse, poi. «Sei cresciuta in campagna?»

«Io ho sempre vissuto in Brianza», spiegò la ragazza, «ma la famiglia di mia madre è originaria della provincia di Sondrio. Vengono da un paesino microscopico sul confine con la Svizzera. Da bambina ho passato tutte le mie estati lì e tante cose mi sono rimaste impresse.»

Appena ebbe pronunciato quelle parole, Caterina si interruppe, lo sguardo perso nel vuoto e un dettaglio stonato improvvisamente al centro dei suoi pensieri.

«Che c'è?» le chiese Michael, notando la sua espressione che si era fatta d'un tratto grave.

La giovane scosse lentamente il capo, cercando di dar forma alle proprie riflessioni. «Stavo pensando che, in effetti, è strano: le mie estati a San Giorgio sono state tutte magnifiche. Mi divertivo sempre un mondo, non vedevo l'ora di lasciare Merate per andare in montagna e a settembre mi veniva il mal di pancia al solo pensiero di tornare in pianura. Però... come dire: è come se facessi fatica a focalizzarmi sui singoli episodi di quel periodo.»

«Forse perché le tue estati si assomigliavano un po' tutte?» suggerì Michael. «Non so come sia questo posto in cui passavi le vacanze, ma dubito che ci siano mai stati grandi eventi mondani che possano esserti rimasti particolarmente impressi...»

Caterina, però, scosse il capo con decisione. «No, non è quello» mormorò. «Non riesco a spiegarmi bene. Ovviamente ho dei ricordi di alcuni eventi particolari: mi ricordo certi miei compleanni, mi ricordo di una volta che sono caduta nel fiume e di un'altra volta che mi sono conficcata un chiodo in una gamba. Mi ricordo il gattino che mi hanno regalato e le serate passate a saltare i cumuli di fieno con gli altri bambini, però... ci sono anche tanti vuoti.»

Il giovane corrugò la fronte. «Non credo di capire.»

La ragazza sospirò e si mordicchiò le labbra in preda alla frustrazione. «Hai presente quando hai l'impressione di avere una parola sulla punta della lingua, ma non riesci a pronunciarla? Oppure quella sensazione di non riuscire a ricordare un nome o un termine che dovresti conoscere benissimo, ma che non riesci proprio a farti venire in mente?» Quando Michael annuì, gli rivolse un sorrisetto tirato. «Ecco, sento più o meno la stessa cosa: ho come l'impressione che ci siano delle cose che non riesco più a ricordare, ma che sono ancora presenti nel mio subconscio. Sono lì, galleggiano da qualche parte nella mia testa, ma non riesco ad afferrarle.»

Michael abbassò lo sguardo, un'ombra di imbarazzo nei suoi occhi. «Forse non dovrei permettermi di chiedertelo, ma... soffri di disturbi della memoria? O forse... ecco, di ansia o depressione?»

Caterina si lasciò sfuggire una risatina secca, stupita da quella domanda tanto diretta e personale. «Io... no, certo che no. Ok, in questo periodo sono un po' sotto stress, ma la mia memoria è nella norma, credo. E poi questi "vuoti", se vogliamo chiamarli così, ce li ho solo se provo a ripensare a quelle estati.»

Il ragazzo cercò il suo sguardo. «Ricordi tutto quello che hai fatto alle elementari e alle medie?»

Caterina esitò. «Be'... no, ovviamente no. Ricordo solo i momenti salienti.»

«E sapresti elencarmi tutti i regali che hai ricevuto a Natale negli ultimi cinque anni?»

«Non ricordo nemmeno quelli che ho ricevuto l'anno scorso» sbuffò lei. «Ma cosa diavolo centra?»

Michael si strinse nelle spalle. «Era solo per dire che, secondo me, non dovresti focalizzarti troppo su questa cosa. Non puoi pretendere di ricordarti ogni singola cosa che facevi quando eri bambina. Ora che mi ci fai pensare, pure io ho rimosso un sacco di cose: cose terribilmente noiose, suppongo.»

Lei lo guardò poco convinta. «Mah... forse hai ragione tu» bofonchiò. In realtà, però, non lo credeva affatto. Non era la prima volta che notava quegli strani buchi nei suoi ricordi di bambina, ma li aveva sempre archiviati come qualcosa di poco importante. Eppure quel giorno quell'anomalia si era piazzata con prepotenza al centro dei suoi pensieri. Chissà perché, poi, si chiese la ragazza, senza riuscire a capire che cosa le avesse provocato quella piccola ossessione. Forse sono davvero un po' troppo stressata.

Notando la sua perplessità, Michael si sporse verso di lei. «Se però la cosa ti disturba, se vuoi possiamo parlarne un po', la prossima volta che ci vediamo. Magari chiacchierando riesci a ricordarti qualche dettaglio che credevi di avere dimenticato.»

«Oh... perché no?» annuì la giovane. In verità, però, era bastato che Michael accennasse alla possibilità di incontrarsi di nuovo in futuro perché ogni pensiero rivolto al passato evaporasse dalla sua mente. Il ragazzo voleva rivederla, e tanto bastava per riempirle lo stomaco di bollicine di felicità. E al diavolo tutte le mie buone intenzioni di non avere reazioni da adolescente in preda all'ormone, sospirò mentalmente Caterina, senza riuscire però a essere veramente in collera con se stessa.

«Del resto, non hai mica detto che abiti a Merate?» la interrogò lui.

«Esatto» confermò la ragazza.

«Ma lo sai che io abito a Cernusco?»

«Ma va là!» scoppiò a ridere lei, non credendo affatto che Michael abitasse nel paese accanto a quello in cui viveva lei. Si conoscevano praticamente tutti, da quelle parti, e di certo si sarebbe accorta se uno come il ragazzo avesse frequentato gli stessi luoghi che era solita frequentare anche lei.

Michael si spinse contro lo schienale della sedia, incrociando le braccia davanti al petto con aria offesa. «Non mi credi?»

«Nemmeno un po'!»

«Guarda un po' qui!» la sfidò lui, estraendo la propria carta d'identità dal portafoglio e facendola slittare sul tavolo e approdare davanti alle mani giunte della ragazza.

Mettendo mano al documento, Caterina vide che il ragazzo non aveva mentito e che risultava effettivamente residente a Cernusco Lombardone. «Michael Pellegrino» lesse. «Sei nato a Torino?»

«Eh, già!» confermò lui.

La ragazza lo guardò incuriosita. «E come ci è arrivato al ridente paesino di Cernusco Lombardone, uno che è nato a Torino?»

Michael le rivolse un sorriso sarcastico. «Oh, è facile. I miei hanno divorziato quando avevo quindici anni e mio padre ha pensato bene di sparire dalla circolazione e di crearsi una nuova vita a Biella. Mia madre si è stancata di essere sempre sola e un bel giorno ha preso me e mio fratello, ci ha caricati in macchina e ha raggiunto sua sorella che, guarda caso, aveva sposato proprio un tizio di Cernusco.»

Caterina lo guardò dispiaciuta. «Non dev'essere stato facile cambiare vita in piena adolescenza.»

Lui scosse appena il capo. «Sono sopravvissuto» la tranquillizzò. «Per assurdo, il trasloco è pesato di più a mio fratello, che aveva già diciannove anni e che, infatti, è tornato quasi subito a Torino. Io, invece, qui ci sto bene. Mi piace: è un posto tranquillo.»

«Di certo è tranquillo» concordò lei. Sentendo di essere giunta alla fine di quella conversazione, Caterina lasciò scivolare nuovamente lo sguardo sullo schermo del cellulare e rabbrividì nel rendersi conto che erano già passate le dieci e mezza.

Michael ridacchiò. «Dai, adesso ti lascio veramente andare» decise, spingendo indietro la sedia e alzandosi in piedi per dare maggiore forza alla propria affermazione. «Non voglio causarti problemi.»

La ragazza lo guardò un po' dispiaciuta, ma si impose di non protestare e di mantenere la propria dignità. Magari lui ha da fare e io gli sto facendo perdere tempo: meglio non dargli l'impressione di essere troppo appiccicosa.

«Va bene» disse, allora. «Ci sentiamo prossimamente: visto che ti sei offerto, mi farò viva, se avrò problemi a capire quello che c'è scritto sulla tua dispensa.»

«D'accordo» concordò lui. Poi esitò brevemente, prima di fermarsi a pochi passi dalla cassa. «Sei venuta in macchina?» indagò.

«No, in treno» lo corresse lei.

«Se vuoi, ti do poi un passaggio, quando devi tornare a casa. So che gli orari del treno fanno schifo» si offrì il ragazzo. Lo disse con voce un poco incerta, come se si aspettasse un rifiuto da parte della giovane.

«Ah...» Caterina lo fissò per qualche istante, incerta su come interpretare quell'offerta. «Mi farebbe comodo, ma io adesso devo raggiungere Halima. Mi ci vorranno un paio d'ore, almeno: tu nel frattempo cosa fai?»

Michael le rivolse un sorriso smagliante, apertamente rinfrancato dalla sua risposta. «Innanzitutto vado a pranzo con te – e anche con la tua amica, se te la vuoi portare. E poi ho comunque un paio di faccende da sbrigare: non sono venuto fino a Bergamo solo per portarti la dispensa.»

Davanti alla sfacciataggine del giovane, Caterina non poté che scoppiare a ridere.   

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