Alla scoperta del sottobosco parte I

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I giorni scorrevano via velocemente, il giorno si susseguiva alla notte. Quasi non dormivo più, mangiavo poco e forzatamente, piangevo e piangevo. Mia madre soffriva per me, mio padre era incurante, mi ripeteva è questo il tuo compito, è questo il dovere di una donna. Sposarsi e mettere al mondo figli. Ma io sentivo che non era l'unica cosa che noi donne potevamo fare, sentivo di avere un destino più grande.

La sera che precedeva il mio matrimonio, era una serata serena, la luna splendeva e le stelle illuminavano la notte. Presi una sacca. Vi posi diversi oggetti dentro tra cui un po' di cibo ed un otre pieno di acqua. Vi riposi anche il diario, la collana sistemata sul mio collo. Ero pronta. Misi dei pantaloni, che qualche giorno fa avevo rubato ad un ragazzo della mia età e super giù alto come me, mi stavano un pò lunghi, ma erano meglio del vestito. Misi una maglia marrone come i pantaloni e via ero pronta. Sarei andata nel bosco, avrei cercato il rotale, trovato quel mondo di cui mi aveva parlato Darhiel, e non avrei più fatto ritorno qui.

"Nonna, ma allora perché sei qui?" "Perché dopo il lungo viaggio che ho fatto, capii che scappare, non serve a nulla, il passato ti insegue ovunque vai. I fantasmi sono dietro ad ogni angolo, pronti a riaffacciarsi appena è possibile." Lei era un po' pensierosa, poi si voltò in direzione della finestra e con la manina indicò un punto nell'oscurità "nonna, ma quell'ombra lì chi è?". Mia figlia mi guardò, lei non aveva mai avuto la vista. Mi girai e vidi l'ombra scomparire. "Non è niente. Sono solo ombre, non possono fare nulla, ombre di un passato lontano." Le stavo mentendo, ma non potevo spaventarla, non era ancora pronta per quello. 

Socchiusi piano, piano la porta di casa. Con passo il più leggero e silenzioso possibile, andai verso la piccola stalla in cui mio padre teneva il nostro unico cavallo. Lo slegai, sellai e cominciai a galoppare. Eravamo una cosa sola, lui si muoveva ed io mi muovevo al suo ritmo, cavalcavo fin da bambina, quando ero in sella a Nerone, era l'unico momento in cui mi sentivo libera. La sua criniera nera che svolazzava leggera al vento, il suo manto nero e lucido, una macchia bianca al centro della fronte. Fin da piccola avevo avuto un buon rapporto con gli animali, era come se loro mi ascoltassero. Galoppammo tutta la notte. Era l'alba e il bosco era ancora lontano. Di tanto in tanto davo un'occhiata alla mappa che era nel libro, per essere sicura di seguire la rotta giusta.

Quando il sole era alto nel cielo, ero sempre più vicina al bosco e sempre più distante dalla mia casa. Casa, si può chiamare casa un luogo in cui ti senti imprigionata? In cui persino le mura sembrano ucciderti e guardarti severe? Si può chiamare casa un luogo in cui non vuoi tornare? Casa, dovrebbe essere un luogo magico, un posto in cui sei al sicuro, in cui tutto si sistema, un luogo in cui puoi essere te stessa. Perchè se il mondo fuori è pronto a mangiarti, a criticarti, casa deve essere il luogo in cui poter rinascere, dove il fiore appassito, torna a fiorire.

Fermai Nerone, eravamo esausti sia io che lui. Non avevo mai galoppato così a lungo, avevo i polpacci indolenziti ed anche la schiena e i glutei. Scelsi un punto elevato, e nascosto dietro a dei massi enormi. Tutto intorno il paesaggio era brullo, tranne che per qualche albero o masso sparso qua e là. Persino Nerone si accucciò a terra esausto. Diedi un po' della mia acqua anche a lui e poi mangia, qualche frutto e un pezzo di pane duro.

Mi stesi al sole, beandomi della primavera, e del lieve tenore che mi stava giungendo. Per un pò mi addormentai serena. Erano giorni, ansi mesi che non mi sentivo così libera. Dormii, un sonno tranquillo, non vi furono incubi, o lacrime. Per la prima volta al risveglio avevo un sorriso stampato in viso.

Visto quanto era alto in cielo il sole doveva essere ormai mezzo dì, avevo davvero dormito per molto tempo, Nerone pascolava sereno, mangiando dell'erbetta qua e là. Presi la sacca e andai verso di lui, dovevamo continuare ad avanzare. Ripreso il nostro cammino, in poco meno di un paio di ore, ci ritrovammo difronte al bosco. Nel mio cuore, temevo che mio padre e magari anche altri abitanti mi stessero cercando, una donna che fugge il giorno prima del suo matrimonio, non si era mai vista. Eppure dovevano aspettarmelo, mio padre lo aveva sempre detto: sei una condanna! Perchè non sei come tutte le altre donne? Ed era vero, io ero diversa, mi sentivo diversa, mi vedevo diversa. Io non volevo cedere, non volevo arrendermi senza lottare, avrei trovato il mio posto in un modo o nell'altro. Avrei trovato il modo, anche se il mondo in cui vivevo apparteneva agli uomini, anche se la realtà mi schiacciava, io avrei trovato il modo di ribellarmi, di trovare la mia via, la mia verità.

Mi dicevano che Dio ci aveva fatte per essere sottomesse, che ci aveva create per restare zitte e bone, ubbidienti, donne buone solo per fare figli. Eppure non poteva essere la verità. Un dio che aveva sacrificato suo figlio, per n salvare noi, tutti noi. Senza fare distinzioni tra uomini o donne, servi o liberi. Come poteva avere condannato la donna a questo? Il signore era venuto a portare amore, uguaglianza, libertà. Sull'amore si basava la sua parola e l'amore, non fa distinzione. L'amore, non ha preferenze, l'amore non sa schiacciare, l'amore perdona, l'amore accoglie, l'amore ama. Ed io avrei trovato l'amore.

Fissai l'entrata del bosco, un respiro e ancora un altro. Cuore mio non tremare, forza andiamo! Mi dissi.

Avevo una paura maledetta! Non ero mai stata così lontana da casa, e per giunta sola, stavo pensando di tornare sui miei passi, quando, udii un rumore e poi una voce e dei passi allontanarsi; senza pensare mi buttai nel bosco e corsi dietro a quelli che pensavo essere dei passi e mentre avanzavo intorno a me sentivo delle risate gioiose, ma non c'era nessuno. Il bosco stava cambiando e più avanzavo verso le risate meno riconoscevo il bosco in cui dopo i doveri correvamo a divertirci. La vegetazione era cambiata e tutto ad un tratto cessarono le risate infantili e piombò un pesante silenzio su quel luogo tutto divenne spettrale, smisi di correre e cominciai a guardarmi intorno con aria spaurita la strada che avevo fatto era svanita nel nulla ero circondata solo da alberi disposti a cerchio intorno a me e al centro non vi era nulla se non la nuda terra, cercai di uscire da quel cerchio, ma qualunque strada io prendessi ritornavo in quel luogo e la mia paura cresceva sempre di più così come la mia disperazione smisi di cercare e mi accasciai a terra e piansi maledicendo la mia idea e la mia curiosità. Sentii strani rumori solo allora vidi ombre nere e dense come il fumo spostarsi rapide e silenziose da un cespuglio al'altro spaventata mi tappai le orecchie e chiusi gli occhi sperando che tutto finisse presto. Quando finalmente ebbi il coraggio di riaprire gli occhi vidi che era il tramonto, forse mi ero addormentata, ma al risveglio nulla era sparito io ero ancora in quel luogo spersa, sola e circondata da quelle ombre ed ora stava anche arrivando la notte. Senza sapere cosa fare, come una pazza cominciai a girare in tondo nel cerchio fino a quando, al'improvviso mi accorsi che difronte a me, vi era una scalinata formata da rocce. Queste erano state scavate e levigate dalle acque. Alla fine delle scale era una porta. Ne fui sorpresa, fino a qualche istante prima, non c'era nulla. Ero impazzita! Completamente e totalmente matta!

La porta era apparsa dal nulla, gli alberi prima fitti avevano lasciato spazio a quella strana e misteriosa porta che era apparsa davanti a me.

La porta, era formata da un arco di pietre tutte lavorate ed incastonate tra di loro, anche se alla vista non era altro che un rudere cui molti pezzi mancavano, e dove la vegetazione composta da edere e piante rampicanti si era annidata.

Il mio istinto mi disse di salire le scale e di avvicinarmi, dopo tutto meglio la misteriosa porta che quelle ombre di cui avevo timore.

Mentre mi incamminavo titubante, spaventata e dubbiosa verso la porta, la collana a forma di chiave che avevo legata intorno al collo, cominciò a brillare di luce propria. Da piccola che era, assunse la forma di una vera e propria chiave in oro. Per giunta era anche pesante. I denti della chiave erano curvi, lungo il collo erano delle incisioni chiare e fini, molto eleganti. l'estremità della chiave, era particolare. La testa di un uccello, le ali ben aperte. Il collo e i denti erano il corpo dell'animale.

Le parole di Darhiel, risuonavano nella mia mente:

solo inserendo la chiave nella piccola fessura laterale il portale magico si aprirà, fino ad allora l'arco rimarrà un semplice arco sotto cui passare, ma non porterà da nessuna parte.

Bene, guardai la chiave, la strinsi forte. Prima di andare avrei liberato Nerone, doveva tornare a casa. "ciao amico mio, ci vediamo presto". Slegato gli dieti una pacca sul sedere e lui cominciò a correre.

Mentre avanzavo verso la porta, sentivo solo il martellare del cuore, rimbombava dentro di me, mille tamburi impazziti. Un passo ancora e sarei stata proprio difronte alla porta.

Controllai ogni singola crepa dei blocchi di pietra, e ogni singolo luogo coperto dalle piante. Proprio quando stavo per arrendermi, sentii con il palmo della mano una piccola cavità, in cui inserii la chiave, la girai e subito sentii uno scatto metallico. Dal nulla, all'improvviso sorse una chiara lastra di luce all'interno dell'arco. "Forza, Elisabeth, orami non puoi tornare indietro". Feci tre grandi respiri. Sfilai a fatica la chiave, che riprese la minuscola forma di collana. Poi chiusi gli occhi e mi buttai nel nulla.

Quando li aprii, vidi solo un immenso tunnel tutto bianco e luminoso. All'inizio non riuscivo a scorgere nulla. Ero accecata da tutta quella luce, che rifletteva nel bianco. Poi piano piano, i miei occhi si adattarono all'ambiente circostante. Intorno a me c'era solo il silenzio. Tantissime porte in legno noce massiccio. Erano chiuse nessuna si apriva. Provai e riprovai, ma niente, restavano chiuse. La porta da cui ero arrivata era svanita. Mi mancò il respiro, le gambe iniziarono a tremare. Dove ero finita? Cosa mi era saltato in mente? Mi accasciai a terra, rannicchiandomi. Piangevo e tremavo "aiuto! Aiuto!".

Ero stata una sciocca, sprovveduta, ora sarei morta lì in quel luogo, se era un luogo. Non avrei più rivisto il sole o la luna e le stelle. "Apri gli occhi, alzati" "chi sei?", "non importa chi sono, tu alzati". "Non ti vedo, dove sei?" "alzati". La sua voce era dolce, pacata, trasmetteva pace, serenità, amore. Una calda luce mi avvolse. Ed ecco una scia più luminosa delle altre mi condusse verso la fine dell'immensa stanza bianca. Lì c'era un cancello, non una porta come le altre. Le sbarre erano argentate, dietro intravedevo un meraviglioso panorama. Appena mi avvicinai, il cancello si spalancò. Ecco ero arrivata. Me lo sentivo, era lì che dovevo entrare. Quasi a leggere nella mia mente la voce, mi sussurrò "entra". Ed io entrai.


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