Prologo

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Quattordici anni prima
In un punto indefinito fuori Londra

Era buio.

Non faceva freddo, ma quella puzza e quel bagnato ovunque lo infreddolivano dentro.

Buio e freddo.

Lui li odiava, ma facevano parte della sua vita. Della sua piccola vita.

Lo sapeva, gliel'aveva detto Jimmy, la sua vita era ancora piccola. Un bambino appena «forse hai dieci o undici anni» gli aveva detto una volta. Ma a lui sembrava tanto. Una vita intera di buio e freddo e come unica compagnia le loro voci, a volte le urla o i pianti.

E poi il silenzio assoluto, quando si apriva la porta in alto sulle scale. Allora arrivava anche la paura. Quella non era come il buio o il freddo. La paura era peggio, ti faceva tremare molto di più, ti faceva tremare il cuore. Ma Jimmy gli aveva insegnato tante cose e ora sapeva cosa doveva fare.

Doveva contare.

Ogni volta che la porta si apriva, lui contava, Jimmy gli aveva detto come fare.

Uno, due, tre, quattro, cinque scalini che l'uomo cattivo scendeva.

Uno, due, tre, quattro, cinque, sei, sette passi, quando arrivava davanti alla porta del suo posto buio.

Uno, due e si accendeva la luce accecante.

Uno, due, tre, quattro «tieni gli occhi bassi tra le gambe e riesci a vedere qualcosa, mentre lui entra a prendere il vassoio del cibo. Ora, Miki,» così lo chiamava il suo amico Jimmy «ora, quando lo vedi prendere il vassoio tu alzati e corri, corri veloce, chiudi la porta e la blocchi, poi corri ancora veloce, molto veloce. Conta i passi, Miki, non avere paura, anche se vedi poco e solo da un occhio. Conta i passi per arrivare alle scale, conta gli scalini per arrivare alla porta. Non ascoltare le sue urla di rabbia, tu corri. Arriva alla porta sulle scale e corri verso destra. Qualsiasi cosa tu vedi, non avere paura. Corri fino a uscire di lì, e poi corri, anche se ti manca il fiato, fin quando non arrivi su una strada. Devi farlo, Miki, devi farlo per te, e per gli altri che sono qui.»

Il buio avvolgeva di ombre striscianti il piccolo ragazzino. Non faceva altro che ripetersi le stesse cose, da quando il suo amico Jimmy, arrivato lì dopo di lui e di qualche anno più grande, era morto in quella cella.

Era rimasto in compagnia del suo cadavere per chissà quanto. Non aveva la percezione del tempo. Non sapeva neanche da quando lui fosse rinchiuso lì dentro. Non aveva memoria di altro nella sua vita, se non di quel posto, della puzza di umido, delle voci e dei lamenti di altri bambini e bambine.

Jimmy gli aveva insegnato molte cose, e tra quelle anche contare e fare ginnastica, per avere i muscoli allenati. Jimmy voleva scappare e gli aveva ripetuto quel piano di continuo, fin quando una febbre terribile, dopo l'ultima volta che lo avevano portato via e poi riportato in cella, non lo aveva stroncato e lasciato morto lì, di fianco a lui. Da quel momento Miki, gli piaceva quel nome oramai, non faceva altro che contare e ripensare a ogni particolare.

E ora era pronto.

Lo sentì arrivare, aveva contato ogni scalino sceso da quell'inquietante uomo e ogni passo. Abbassò la testa tra le gambe, per non essere accecato nell'unico occhio che aveva, quello sinistro. Socchiuse l'occhio e contò i passi dell'uomo nella stanza. Al momento giusto, con uno scatto felino e del tutto inaspettato, fece un balzo verso la porta rimasta aperta, e con una forza disperata la richiuse, bloccandola appena in tempo.

Non rimase fermo, nonostante le urla di rabbia lo facessero tremare. Iniziò a correre a perdifiato, senza mai smettere di contare per evitare, nel buio delle cantine, di cadere e farsi male.

Non doveva fermarsi. Non poteva fermarsi.

Arrivato in cima alle scale, dietro di sé le urla dell'uomo si accavallarono con quelle dei bambini, e non seppe se fossero di incoraggiamento, di paura o di gioia per la sua fuga. Ma Miki non poteva indugiare a riflettere, ne aveva avuto anche troppo di tempo, nella sua ancora piccola vita, per pensare. Doveva solo correre e, chiusa la porta della cantina dietro di sé, si spostò lungo il corridoio andando verso destra, da dove aveva sempre sentito provenire i passi dell'uomo. Si ritrovò così davanti alla porta principale.

Fuori era buio, ma gli faceva meno paura di quello che si stava lasciando dietro. La aprì, girando la chiave come Jimmy gli aveva detto di fare, e sentì quell'aria così nuova, così diversa, così fresca, non fredda, da non riuscire a resistere alla voglia di respirarla a lungo per qualche istante, prima di iniziare di nuovo a correre. Non sapeva dove andare, non era mai uscito da quella cella, non da sveglio almeno, non che lui ricordasse. Ma Jimmy era stato bravo, gli aveva raccontato degli alberi e delle piante.

Ricordando le parole dell'amico, riconobbe i limiti del giardino e il cancello da cui doveva fuggire. Iniziò quindi a correre, sentendo il dolore sotto i piedi, perché non aveva le scarpe. Indossava solo dei pantaloni e una maglietta. Ma il piacere di correre, sentendo i profumi degli alberi e l'aria fresca che lo avvolgevano, era talmente intenso da superare il dolore dei piedi, che pur iniziavano a sanguinare, incontrando arbusti e piccole pietre. Attraversò di corsa come un folle un bosco e continuò a correre per ore e ore, fino a quando il cielo iniziò a essere meno buio.

Improvvisamente sotto i piedi sentì qualcosa di liscio e caldo. Una strada. La riconobbe da come Jimmy gliel'aveva descritta. Guardò da una parte all'altra, perché non sapeva ancora dove andare, ma da dietro una curva vide due luci che si avvicinavano e udì un rumore, un rombo che non seppe riconoscere, perché non lo aveva mai sentito. Rimase impietrito al centro della strada e, man mano che le luci si avvicinavano, il rombo diminuì, ma a quello si unì un rumore forte e stridente. Chiuse l'unico suo occhio, mettendosi le mani sopra le orecchie, fin quando non lo sentì finire. Lo stridore si placò, le luci ora erano davanti a lui, ma ferme. Sentì un rumore simile a una porta che si apriva e dei passi che si avvicinavano. Erano diversi da quelli dell'uomo che lo teneva prigioniero.

Riaprì l'occhio e dinanzi a lui c'era qualcuno, una donna dal viso gentile che lo guardava.

«Oh Gesù, ragazzino, ma cosa ci fai in mezzo alla strada? Ti ho evitato per un pelo. Cosa è successo? Hai bisogno di aiuto?»

Miki guardò la donna, e quella voce così gentile lo fece lacrimare di gioia.

«Devo salvare i miei amici, per favore.»

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