6 | Stai scappando da qualche parte?

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CAPITOLO 6
Stai scappando da qualche parte?

https://www.youtube.com/watch?v=WPB3sDqEHlM

Andare a pesca Ethan equivale a vederlo in piedi in prua. Pantaloni a tre quarti e camicia spalancata e mossa da vento, tutto rigorosamente bianco e di lino. In mano un bicchiere a fondo quadrato di Whisky, gli occhiali da sole e lo sguardo puntato sull'oceano mentre la nave a vela sta in mezzo alle onde piatte.

I pesci, invece?
Non ne ho idea, ma non ne ho mai visto uno. Piuttosto ho visto quelli che Ethan gettava già morti in acqua a detta sua per "attirare uno squalo bianco, fargli una bella foto e venderla a National Geographic".

Il motivo per cui siamo amici nonostante i ben dodici anni di differenza?
Perché Ethan mi fa stare bene. Da quando l'ho conosciuto al Pink Ocean, il suo carattere buono, la sua personalità stravagante e i suoi modi di fare mi hanno sempre strappato un sorriso o una risata.
Lui è letteralmente un fratello. Anche se ci conosciamo da solo un anno e mezzo, per me è un fratello.
A volte cretino, che rischia trenta malattie veneree e di essere perennemente derubato dopo le sue notti focose con tizi rimorchiati col suo accento inglese nelle hall degli hotel a cinque stelle, feste in ville di lusso dove riesce a imbucarsi oppure dietro il bancone del bar del Pink Ocean.

Circus di Britney Spears suona a tutto volume. Ethan fa di tanto in tanto qualche mossa di ballo alla Micheal Jackson che gli riesce davvero... esageratamente bene, tanto che più volte gli ho detto di fare il moonwalk e lui eseguiva in cambio di quindici minuti di pausa dal bar per bere qualcosa e rilassarsi a un tavolo mentre io mi occupavo dei drink.
Negli ultimi mesi mi ha fatto diverse lezioni ad ogni fine lavoro. Tanto che rimanevamo fino sul tardi sera, a volte anche due di notte, al bar del Pink Ocean.

Sono appena le dieci di mattino e si sta bene.
Io sono seduta di lato alla barca, le gambe penzolanti e le braccia su una delle sbarre in acciaio della ringhiera che mi separa dall'acqua, il mento appoggiato su queste.

«Non mi hai mai detto come fai a permetterti una barca a vela con lo stipendio del Pink Ocean!» urlo per farmi sentire da Ethan.
Lui si gira, lascia perdere l'infinito e oltre che sta ammirando e viene verso di me, afferrando il telefono dalla tasca e controllando qualcosa.
«Non me la permetto, infatti» risponde prendendo posto accanto a me.
Aggrotto le sopracciglia. Lui mi sorride.
«Questa è del mio ex.»
«Cosa?»
Lui annuisce.
«È stato un regalo da parte sua.»
Alzo un sopracciglio.
«Scusa, ma tu ex hai avuto per farti regalare una barca a vela?»
«Un principe degli Emirati...» fa con aria vaga come se non avesse appena detto una cosa surreale.
«Scusami?» sbatto le palpebre rincretinita.

Ethan annuisce.

«Era venuto qui per affari, ci siamo conosciuti a una serata di beneficenza e poi lui si è innamorato di me.»
Resto a fissarlo ancora più di sbieco.
«Tu mi stai prendendo per il culo.»
«No, invece» replica.
«Una serata di beneficenza? Ma se sei più povero di un docente del liceo » gli faccio ben notare.
«Puoi entrare ovunque se ti fingi il parcheggiatore e dici che devi trovare urgentemente il proprietario di un Porsche rossa perché qualcuno le ha spaccato un finestrino.»
«Sei un ciarlatano» giungo alla mia conclusione ma non riesco a non ridere.
«E tu una piccola strega. Siamo una bella squadra, no?» mi sorride, si toglie gli occhiali da sole, poggia le mani dietro e rivolge il viso verso il cielo per prendere un po' di sole.

Restiamo così. La musica, la barca che dondola leggermente e il profumo dell'oceano.
«Il tuo amico...» mi parla Ethan dopo diverso tempo in silenzio. «... Logan Price.»
Quel nome mi fa perdere di colpo un battito. Come una scheggia mi volto verso di lui che lo trovo ancora a prendere sole. Apre gli occhi e punta lo sguardo su di me.
«L'hai chiamato Cisco, non Logan.»

Rimango stranita da questa sua improvvisa curiosità. Di solito non mi chiede mai cose sui ragazzi, fa solo dei commentini di poco gusto oppure prova a trovarmi qualcuno con cui "scaricare la mia frustrazione", che puntualmente rifiuto per poi mollare a Ethan un'occhiata di traverso e una sberla sul braccio.
«È il suo primo nome. Logan è il secondo» rispondo nel modo più pacato possibile, cercando di rigettare i brividi che mi stanno percorrendo le braccia.

«Cisco è l'abbreviazione di Francisco, giusto?» corruccia le sopracciglia.
Annuisco.
«Molto bene» fa e si stende di spalle sulla barca lasciandomi confusa. Torna a prendere il solo come se niente fosse.

Provo a tornare con l'attenzione sulle onde, proprio com'ero un istante fa, ma la mia testa non vuole saperne niente, quindi con le braccia sulla ringhiera, mi giro di poco verso Ethan.
«Che significa "molto bene"?»
Lui non risponde, perciò lo scuoto. È improbabile che si sia addormento.
«Ethan» lo scuoto di nuovo. «Che significa "molto bene"?»
Lui continua a non muoversi, perciò sbuffo e mi avvicino guardandolo dall'alto. La mia testa sopra la sua gli oscura il sole e lui lo sente da dietro le palpebre chiuse, quindi riapre gli occhi.

«Sono gay, vattene» poggia una mano sulla mia faccia e mi sposta via.
«Non volevo flirtare con te» replico con una smorfia di disappunto.
«Andiamo a mangiare qualcosa?» mi fa di punto in bianco alzandosi in sedere. Lo guardo confusa e gli indico con una mano il posto dove ci troviamo.
«Tu vedi dei ristoranti?» ironizzo. Lui mi sventola una mano davanti al viso come fa sempre per zittirmi e io ogni volta mi obbligo a non mordergliela.
«Torniamo al porto.»
Si alza in piedi sotto il mio sguardo addosso che lo fisso stranita. Ma è scivolato contro lo scalo e ha avuto un trauma o qualcosa del genere?
«Così presto?»
«Ho fame.»
«Ma sono appena le undici. Restiamo un'altra ora e poi torniamo per le dodici e mezza. Dai, prendi un altro po' di sole, mangi fra poco» gli faccio segno di tornare al suo posto.
«Fra poco significa fra dieci minuti al massimo, non un'ora e mezza. Io ho fame adesso. Torniamo.»
«Senti, nello zaino ho portato dei panini come sempre, mangia quelli» propongo indicandogli la cabina di pilotaggio.
«Mangiali tu» fa una smorfia.
Sbuffo in automatico e caccio un gemito di frustrazione dinanzi al quale Ethan mi punta un dito contro.

«Eccolo!» esclama.
«Eccolo, cosa?»
«Un piccolo demonio che non è felice di mangiare qualcosa di buono, seduto a un tavolo con un calice di vino bianco ghiacciato» risponde, beccandosi un'occhiata di traverso da parte mia e lui in tutta risposta mi rifila un sorrisetto per poi sparire alla cabina.

Ci mettiamo venti minuti come al solito per tornare al porto. Non appena sulla terra ferma, Ethan consiglia un ristorante che si affaccia sulla spiaggia talmente lontano dal porto che avremmo fatto prima a prendere un Uber per arrivarci, a detta sua "Si mangia da Dio e tu non capisci niente del buon cibo".

Quando arriviamo so solo che ho male ai piedi, non era certo questo il modo che intendevo passare l'orario di pranzo della domenica.
Prendiamo posto nella veranda in legno con vista mare. Io con un solo e soltanto calice di vino bianco e lui che è già al terzo dopo aver giocato ripetutamente con gli spaghetti allo scoglio senza mangiarli effettivamente.
«Non avevi fame?» alzo un sopracciglio indicandogli il piatto ancora pieno.

«Mi lasci godere la mia domenica in pace?» replica stizzito. Caccio un sospiro pesante e mi abbandono di spalle alla sedia.
«Con te bisogna fare tutto di fretta e furia. Rilassati! Ecco, prendi questa vongola» la afferra con la forchetta e me la avvicina al mio viso.
«Apri la bocca» ordina serio. «Apri.»
Alla fine alzo gli occhi al cielo e lo faccio. Mastico, mando giù e bevo un piccolo sorso di vino quanto solo per sentirne il sapore per poi voltarmi svogliatamente verso la spiaggia, sposto gli occhi sulle onde del mare, improvvisamente aggrotto le sopracciglia e torno di scatto sulla spiaggia.

Ma che diavolo...
Brividi.
Brividi violenti, irruenti, brividi che mi attraversano il corpo. Ogni parte, ogni atomo.

«Oh! Ma che strana coincidenza... quello non è proprio il tuo amico?» sento Ethan con una enfasi tanto strana perfino per il suo stesso livello di stravaganza. Mi giro verso di lui. Lo becco col calice alla bocca mentre sorseggia guardandomi di sottecchi e poi guardando...
Torno con gli occhi su di lui.

Petto nudo, solo un paio di pantaloncini da spiaggia rossi tipicamente usati dai bagnini. I capelli bagnati, i tatuaggi tutti esposti, uno ad uno, avanza verso la scalinata che passa accanto alla veranda in legno, dove dall'altra parte c'è un bar con annesse docce esposte per togliere via sale e sabbia.
Il mio respiro si fa pesante. Troppo pesante. E non riesco a staccargli gli occhi di dosso. Forse è il poco di vino che ho bevuto, ma so solo che lo sto fissando con la gola secca mentre percorre la scalinata passandosi una mano tra i capelli, gira le spalle e raggiunge le docce.

Apre il getto di una e sento il fuoco divampare ovunque.
L'acqua scivola sul suo corpo, gocciola, finisce sul pavimento. Si sciacqua rapidamente i capelli, li sposta indietro con entrambe le mani, solleva il volto verso il getto d'acqua. Ad occhi chiusi, l'acqua che gli bagna il viso e... e lui che poggia una mano contro il muro e abbassa la testa lasciandosi accarezzare dall'acqua che scivola... scivola su ogni parte.
Non mi rendo nemmeno conto di quando poggio un gomito sul tavolo, il mento nel palmo della mano e lui diventa il miglior film girato dalla retina dei miei occhi.

Da ricordare che quello che sto divorando in silenzio era il mio miglior amico, che ho sempre avuto affianco e mai sfiorato di troppo. Forse sono gli anni, adesso lui ne dovrebbe avere ventiquattro, che ora a vederlo solo con dei pantaloncini addosso, ha dei lineamenti un po' più marcati, che la pelle abbronzata e i tatuaggi accentuano solo.
Il suo viso si solleva d'improvviso, una mano a tirare indietro i capelli e gli occhi si aprono e finiscono... su di me.

Cazzo.
Alzo di scatto la mano, me la poggio di lato alla guancia destra e cerco di nascondermi.
«Tutto okay?»
Ethan.
Lo guardo.
«Mh?» chiedo in un mugugno perché le corde vocali non mi funzionano al momento.
«Va tutto bene?»
«Uh, uh» mugugno di nuovo in segno affermativo.
«Che stai facendo?»
Faccio una smorfia confusa e scuoto la testa. «Niente» finalmente riesco a parlare. Mi porto il vino alla bocca come se niente fosse.
Ethan aggrotta la fronte.
«Non lo vai a salutare?»
«Chi?» chiedo rapida come una scheggia con gli occhi spalancati. Oh, merda.
«Come chi? Il tuo amico» fa con un cenno di testa.
Mi giro leggermente e fingo di notarlo solo adesso. È di spalle, raggiunge un bagno privato, ci resta qualche minuto e poi quando esce lo trovo in t-shirt e pantaloncini neri, e scarpe da ginnastica.

Sbarro gli occhi subito dopo e mi giro di scatto verso Ethan.
«Oh, cazzo, sta venendo qui!» urlo a bassa voce. «Nascondimi! Fai qualcosa! Cazzo, cazzo... Ethan! Fai qualcosa, cazzo!» mi altero con la mano ancora vicino alla guancia per nascondermi e fingere di non esistere affatto, di essere fottutamente invisibile ma non funziona. Non funziona. Merda.
«Ma perché?» chiede Ethan confuso.
«Fai qualcosa! Muoviti, cazzo! Fai qualcosa!»
«Ma perché?!»
Mi mordo la lingua e mi avvicino a lui come una vipera.
«Perché quello è tipo il mio fottutissimo ex ragazzo!» sibilo a denti stretti.
Lui spalanca gli occhi stupito.
«Che?»
«Sì» mormoro. «Anche se tecnicamente non siamo mai stati insieme "insieme" per davvero, ma c-credo che sia stato il mio ragazzo, cioè... io credo di sì, lo è stato, forse, non lo so, cazzo...» farnetico disperata.
«È stato il tuo ragazzo sì o no?»
«E io che cazzo ne so?!»
«In che senso non lo sai?» fa lui esasperato.
«Ethan, sta' zitto!» gli ordino. «È uno scherzo del destino? Ma che diavolo ci fa lui qui?! Per quale cazzo di motivo si trova qu-»
«Ronnie?»
Mi blocco di getto.

Merda.

Ispira. Ispira Ronnie.
Va tutto bene, non è niente.
Non è niente.
È il passato e lui non significa più niente.
Tu non provi niente.
Alzo il viso, lo sposto verso destra e incontro i suoi occhi scuri. Il mio cervello fa le valigie e vola in Antartide per congelarsi come Captain America perché nella mia testa al momento non serve a un cazzo.

Bene, Ronnie.
Faccia da poker.
Fai la faccia da poker.
Sì, la faccia da poker, posso farlo.

«Cisco... ma ciao!»
Caccio un mezzo sorriso di stupore misto a una strana risatina.
Merda.
Lui, la fronte aggrottata per il fatto di vedermi di nuovo, mi fissa, fa per aprire bocca.
Fanculo, no. Io abbandono la nave. Ancora. E fanculo al destino. E fanculo a Ethan che voleva mangiare qualcosa.
Con le dita a reggere il mio mento, alzo lievemente un indice e lo fermo dal dire qualunque cosa stava per dire.
«Puoi... puoi scusarmi un attimo?» gli chiedo gentilmente.

Logan resta in silenzio.

Perciò mando giù tutto il vino rimasto nel calice sotto i suoi occhi e quelli di Ethan, striscio la sedia contro la pavimentazione in legno, mi alzo e raggiungo la ringhiera che separa la spiaggia che dista due metri di altezza dalla veranda.
La scavalco sotto gli occhi di tutti i presenti, compresi gli altri clienti del ristorante, mi aggrappo esternamente ad essa e i miei occhi finiscono in quelli di Logan che in piedi, ancora accanto al tavolo, mi guarda sbigottito.
Le sue pupille nelle mie mi annebbiano di colpo la testa e perdo l'aderenza delle dita alla ringhiera e cado.
«Cazzo!» caccio dalla bocca da ben due metri di altezza. Fortunatamente che c'è la sabbia.

«Merda...» mormoro rimettendomi in piedi, mi spolvero e prendo a incamminarmi a passo svelto in linea retta, senza fermarmi e voltarmi nemmeno per una volta.
Dopo diversi metri, abbastanza lontana dal ristorante, salgo delle scale in pietra che portano all'area pedonale oltre la quale c'è la strada e riprendo a camminare non so nemmeno io in che direzione, ma sicuramente dalla parte opposta alla veranda dov'ero prima.

Dopo alcuni metri, diversi, con le mani che mi tremano faccio per afferrare il cellulare e chiamare un Uber perché col cazzo che io torno a quel ristorante.
Sbianco di colpo.
Cazzo, non c'è. L'ho lasciato sul tavolo in veranda.

Ferma sul marciapiede mentre mi do della stupida, decido di riprendere a camminare ugualmente.
Non importa. Mi allontano di qualche altro metro, aspetto un paio di minuti oppure ore e poi torno da Ethan in questo modo non troverò più Logan lì, giusto?
Cioè per logica non avrebbe senso di trovarsi ancora lì.

Il rombo di una moto mi si avvicina, avanza davanti a me e poi si ferma.
Lo sguardo mi cade su quello... suo, e io blocco di colpo il passo.
Senza casco, mi fissa per alcuni istanti in silenzio e poi, con le sopracciglia corrucciate apre bocca.
«Stai scappando da qualche parte?»

Ad occhi sbarrati, indugio e poi caccio semplicemente una risatina.
«... cosa? Chi, io?» alzo una mano con una smorfia contrariata in faccia. «Pff! No...?Certo che no...» aggiungo con fare ovvio e rido di nuovo. Schiocco la lingua contro il palato. «Certo... Certo che no, ma ti pare?» mi porto le mani sui fianchi.

Logan, con le mani sul manubrio della moto, spegne il motore e il mio cuore inizia a battere a tremila chilometri orari.
Appoggia le braccia su di esso e mi punta gli occhi addosso, un sorriso per niente convinto sulle labbra.
«E allora dov'è che vai così di fretta?» chiede incuriosito.
«A...» ci penso frettolosamente su, «... prendere degli assorbenti!» esclamo cercando di essere credibile. «Ho il ciclo.»
Lui mi fissa in silenzio per un po' e poi tira un profondo respiro.
«Vuoi dei soldi?»
«Cosa?» chiedo confusa.
Mi indica con un cenno di testa. «I tuoi pantaloncini non hanno tasche, quindi non hai contanti, e la carta di credito la tieni sempre nella cover del tuo cellulare che hai lasciato sul tavolo del ristorante.»

Resto per un secondo spiazzata. Cazzo, ha ragione.
«Magari...» prendo a dire con aria vaga. «Ho qualche banconota nel mio reggiseno...?»
Lui alza le sopracciglia. «Vai, controlla.»
«Adesso?»
«Sì.»
«Non lo voglio fare» replico.
«E perché?»
«Perché non voglio frugare tra le mie tette con te che mi guardi.»
Lui annuisce. «Va bene, allora mi giro da questa parte» indica la sua destra.
«Che dici? Dimmi poi quando hai finito, uh?»

E lo fa. Si volta veramente con la testa dalla parte opposta anche se sono più che certa che sa che sto dicendo un sacco di stronzate.
Passa un secondo, due, tre e d'improvviso ride. Una breve risata, bassa, calda, tanto bella che mi manca il respiro non appena sfiora i miei timpani e allo stesso tempo anche il mio cuore.
Torna con gli occhi su di me e si schiarisce la voce.
«Va bene, Ronnie...» prende una breve pausa. «Piccola domanda e poi potrai andare e comprare i tuoi assorbenti: perché ho come la vaga impressione che non fai altro che scappare da me?»
Un sorrisetto divertito è stampato sulle sue labbra.

Cazzo.

***

Angolo autrice

STO FOTTUTAMENTE URLANDO DA MEZZ'ORA
AAAAAAAAAA
Vabbè Ronnie ha smesso di essere una alcolizzata ed è tornata a fare la cretina top caso umano.
Bellissimo.
Ah, sì. E ora ha gli ormoni a palla.
👀

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