10 | Tu morirai

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CAPITOLO 10
Tu morirai

Rimango a fissarlo per buoni lunghi istanti, lui fa lo stesso completamente contrario ad andarsene a fanculo dove adesso vorrei tanto, quindi alla fine trattenendo il mio istinto omicida, mi avvicino e apro la porta.

«Che vuoi?» gli chiedo.

Nicholas tira un profondo respiro e fa per avvicinarsi e io indietreggio come di conseguenza.
«Ti ho fatto una domanda, per cui rispondi e poi prendi il tuo culo da futuro soldato in Iraq e vola via da qua» dico senza battere ciglio col nervosismo a fior di pelle. «Oppure continua la tua maratona di jogging così magari ti viene in arresto cardiaco e crepi. Uh? Almeno muori a qualche chilometro di distanza e non dall'altra parte del mondo» sollevo gli angoli della bocca rivolgendogli il sorriso più falso che mi riesce.

«Torna a casa» mi dice lui, invece.
Scoppio inevitabilmente a ridere.
Sì, sono matta.
«Vuoi dire il tuo appartamento? Quella non è casa mia, ma tua

«Torna a casa con me» insiste con quella voce tranquilla del cavolo che ora mi fa solo salire il sangue nel cervello. «Per favore.»

Vorrei spegnere la mia rabbia, ascoltarlo ma non posso permetterlo.

«No. Torna tu a casa tua, io starò da Ethan, passerò qui il Natale e me lo godrò» spalanco le braccia indicando il soggiorno. «Tu invece perché non inizi a fare i bagagli, ci ficchi dentro l'M4, le granate a frammentazione e le tue medaglie al valore? Fai buon viaggio, Nick» gli auguro con un cenno di testa e faccio per chiudergli la porta in faccia ma mi blocca con una mano.

Lo guardo in automatico in cagnesco.
«Vattene» ordino cercando di chiudere la porta ma inutilmente, e diventa ancora più inutile quando entra dentro, la porta si chiude alle sue spalle. Scuoto la testa esasperata.

«Torna a casa così possiamo parlare.»
«No» mi porto le braccia conserte e indietreggio. Voglio stare lontana da lui, il più possibile. «Facciamo invece che mi parli qui, mi dici tutte le tue motivazioni per cui vuoi andare in Medio Oriente a suicidarti e poi te ne vai» replico con un sorrisetto ovvio.

Nicholas sembra colpito e affondato dalle mie parole tant'è che sposta per un attimo gli occhi altrove.
«È il mio lavoro.»

Annuisco.

«Fantastico. Allora buon lavoro» lo saluto e gli mostro la porta. «Ora puoi andare. Torna alla tua vita, io tornerò alla mia e ogni cosa finisce qui e ora» dico cercando di non farmi tradire dalla mia stessa voce, ma questa si incrina ugualmente e gli occhi mi bruciano a tal punto che mi passo frettolosamente le mani lungo il viso, lo asciugo, tiro su col naso e mi porto le braccia conserte attendendo che lui se ne vada, ma non accade.

Resta in piedi, immobile a scrutarmi con le sue iridi azzurre e il petto mi fa male tanto che serro la mascella reggendo il suo sguardo nell'attesa che faccia quello che gli ho detto. Non voglio più rincorrere nessuno.

Io ho smesso.
L'ho fatto. E non tornerò al mio solito circolo vizioso, nemmeno per lui, nemmeno se sono consapevole che sia giusto per me e nonostante tutto quello che immaginavo di noi due, qualcosa di diverso, stabile, qualcosa che finalmente credevo non sarebbe finito come tutte le altre storie.

«Sei tu la mia vita adesso.»

Cinque parole. Solo cinque parole che mi fanno tremare le gambe con forza e il cuore mi sussulta nel petto.
Lo guardo silenziosamente, lui fa lo stesso e io non respiro. Gli occhi si riempiono di altre lacrime tanto che devo spostarli da un'altra parte perché non voglio che mi veda in questo stato a dir poco pietoso. Sono veramente ridicola, lo so.

«Ma quello è il mio lavoro» aggiunge subito dopo rovinando ogni cosa.

Perfetto, Nick. Perfetto.

«No... non è vero» scuoto la testa. «Tu vuoi buttarti nel pericolo perché ti piace l'effetto che ti fa, ti piace l'adrenalina. Se ti piace così tanto, perché non prendi il tuo antistaminico e te lo inietti in una gamba? È pur sempre adrenalina anche quella, no? Così ti passa la voglia di andare in Iraq e farti ammazzare» gli sputo incazzata facendo un passo verso di lui e piantando i miei occhi nei suoi.

«Tu non capisci...»
Annuisco con un mezzo sorriso di pura amarezza.
«Ah, davvero? E allora spiegati» lo invito sul serio curiosa.

«Non è...» sospira pesantemente e si passa una mano sul viso. «Io ho fallito» dice tutto d'un tratto. «Ho fallito nella mia ultima missione e tutti sono morti. Io ho fallito, è stata colpa mia» si indica con un piccolo sorriso nervoso. «Io li ho fatti uccidere. Io» si indica ancora e ancora. «Se non fossi sceso, se il convoglio non si fosse fermato, ora tutti sarebbero vivi. Tutti sarebbero dalle loro famiglie! Farebbero il Natale insieme! Io ho rovinato quelle famiglie! Ho portato via fratelli, padri e amici. È stata colpa mia e io voglio...» si blocca d'improvviso cercando le parole adeguate ma non ci sono.

«Ma chi ti credi di essere?» chiedo invece lasciandolo confuso. Scuoto la testa con una smorfia incredula in viso.

«Chi sei tu - mi avvicino e gli poggio un indice sul petto - per pensare che andando nel cavolo di Iraq riuscirai a riscattarti? Quella gente è morta, Nicholas! Svegliati! E tu non puoi più farci niente! Hai capito? Credi che andando lì e mettendo la tua vita in gioco riuscirai a riportarli in vita? È questo che credi? Meraviglioso... vai, corri, vai a farti ammazzare!» alzo la mano indicandogli la porta facendo dei passi lontano da lui che mi fissa ammutolito.
Bravo. Ora capisci l'assurdità delle cazzate che ti passano per la testa.

«Ma io di certo non starò qui a chiedermi ogni singolo fottuto istante» mi avvicino a lui, «di ogni fottuta giornata» mi avvicino ancora, «e ogni fottuta ora della notte se sei vivo» mi indico e alzo il viso, ficcando le mie pupille nelle sue.
«Se non hai niente da perdere, vai» gli faccio cenno con la testa rivolgendogli un sorriso. «Vai e ammazzati. Io ho perso ogni persona della mia vita, cazzo» sibilo a denti stretti. «Ho visto mia madre morire! Lei moriva davanti a me e io non potevo fare niente! Ma con te è diverso!» caccio un cenno di risata. «A te posso dire di restare qui! Con me! Di non andare lì ma di restare!» gli urlo contro per poi allontanarmi di nuovo, dargli le spalle per qualche istante. Devo riprendermi.
Solo che è così... fottutamente frustante.

«Mi odiava, lo sai?» rido scuotendo la testa e mi passo la lingua sul labbro inferiore girandomi verso di lui.
«Mia madre mi odiava» confesso sotto il suo sguardo silenzioso. «Era così stanca, la leucemia la stava uccidendo e stava così male, soffriva come nessun altro, e le davano tanta di quella morfina che lei non ci capiva più un cazzo» rido alzando le spalle.
«E quando non era strafatta o dormiva, quando era lucida... lei mi odiava» tiro su col naso. «Mi diceva di andarmene al diavolo, che non dovevo essere lì a vederla in quello stato, che non voleva che la ricordassi in quel modo...» mi asciugo inevitabilmente il viso.
«Ho visto mia madre spegnersi giorno dopo giorno, finché non è morta e con te non sarà di certo diverso» lo indico con le mani esausta. «Tu andrai lì e forse te la caverai, forse avrai fortuna, forse andrà bene, ma non sarà sempre così. Alla fine tu finirai come i tuoi amici... o forse peggio. E io non aspetterò di vederti morire. Voglio risparmiarmelo, almeno questo. Quindi esci, vattene. Vai in Iraq, vai in qualunque parte del mondo ma io - mi indico con il viso in fiamme dalla rabbia e dalla frustrazione - non ci sarò. Non ti aspetterò» scuoto la testa allontanandomi ancora.

«Per me è importante» dice nonostante tutto e fa male. Perché se so qualcosa di lui è il fatto che sia testardo e leale alle sue scelte, e lui la sua scelta l'ha già fatta, glielo si legge chiaramente negli occhi. Io non posso fargli cambiare idea. E fa male.

Annuisco con gli occhi che mi pizzicano con violenza. «Per me tu sei importante!» sbotto di colpo e mi indico al culmine della esasperazione lasciandolo di sasso. «Tu sei importante! Quello che penso io non ha alcuna valenza?! Quello che io voglio, non significa niente per te?! Tu...» alzo le sopracciglia scuotendo la testa con in sorriso nervoso. «Tu non puoi più decidere per te stesso» esalo.

L'ho detto e non tornerò indietro.
Nicholas mi fissa con aria smarrita.

«Non puoi più prendere qualsiasi decisione tu voglia senza prima parlarmene! Non puoi più farlo!» alzo le spalle e le mie parole lo fanno rimare di stucco.
«Sei sempre stato solo per tutto questo tempo e non c'era nessuno oltre che te, ma ora tu...» prendo un istante di pausa per respirare «... non sei più solo perché ci sono io! Maledizione Nicholas... Hai preso parte a una piccola sparatoria e credi di essere pronto per tornare nella merda di posto dove hai passato gran parte della tua vita, ma tu non sai niente. Non sai un cazzo!» sibilo inviperita come non mai.

«Io mi conosco e so che posso-» lo interrompo prima che aggiunga altro. Ne ho abbastanza.
«Io invece conosco le tue pillole di Xanax!» esclamo scuotendo la testa con falso divertimento. E lui finalmente tace, spalanca gli occhi e tace.

Beccato. Eh, Nick?

Annuisco con la testa.
«Quelle che prendi quando nessuno ti guarda, il flacone che vedo svuotare nel cassetto del bagno» aggiungo con un sorriso e una voce nettamente più calma nonostante senta la gola in fiamme e il viso altrettanto. «Insomma, vivo a casa tua, credevi davvero che non lo avessi visto? L'ho visto. E quando non riesci a dormire, tu ti svegli, prendi una fottutissima pillola di quella merda e poi torni a dormire. O forse dobbiamo parlare dei tuoi incubi, mhm?» mugugno e ad ogni parola lui resta sempre più spiazzato e in difficoltà.

«Vogliamo parlare dei tuoi incubi? Di quando parli del sonno? Di quello che dici?Non lo so nemmeno che cavolo dici, perché parli in un'altra lingua, forse araba, non ne ho la minima fottuta idea...» rido con nervosismo passandomi le mani sul viso e poi tra i capelli. «Non te l'ho mai detto perché non volevo farti preoccupare, non volevo che tu pensassi di potermi spaventarmi, e non mi spaventi ma è...» mi fermo per un istante. «È difficile. Sapere tutto questo e poi guardarti decidere qualcosa del genere senza il minimo ripensamento. Forse dovrei dirlo al tuo superiore, uh? Che ne dici?» alzo le sopracciglia a mo' di sfida e lo vedo serrare la mascella e spostare lo sguardo altrove.

«Se spiffero che ti fai di Xanax una volta ogni tanto, che succede? Non ti accettano più in Iraq? O forse ti tolgono anche il distintivo e non sarai nemmeno più un poliziotto?» chiedo aspettando una risposta che non arriva. «Che ne dici se lo faccio? Che succede? Ti rovino la tua grande carriera del cazzo? Mi odierai per questo?»

Nicholas mi guarda taciturno e io mi spezzo perché non è da lui. Lui parla, gli piace parlare, ma ora il suo silenzio non mi fa respirare.

«Veronica, io non potrei mai-» si sente finalmente la sua voce ma lo fermo.

«Sì, invece, finirai con l'odiarmi. Non solo perché ti ho rovinato la carriera, ma anche perché ho controllato la tua vita e tu mi odierai, ma a me starà bene, almeno così non ti vedrò morire in Iraq, in Afghanistan... o che diavolo ne so: sulle strade di San Francisco perché dei ragazzini hanno avuto la brillante idea di giocare con le armi da fuoco!» gesticolo completamente a caso, fuori da me, rossa in viso e la voglia matta di dargli una sberla per farlo riprendere, fargli riacquisire la lucidità che pare aver completamente perduto.

«Io non sono un poliziotto, non lo sono mai stato, lo sono diventato perché non avevo altra scelta, ma-»

«Saresti potuto andare in Francia a fare il cavolo di Chef!» gli urlo contro, esasperata.

«Mi fai finire?! Posso parlare, posso dirti quello che-» sbotta lui.

«No!» mi avvento in sua direzione. «No!» gli sbraito con la gola in fiamme a qualche soffio di distanza. «Perché stai dicendo un sacco di puttanate e io delle tue parole non me ne faccio niente!» aggiungo ancora mollandogli uno spintono che lo fa smuovere solo di qualche centimetro del cazzo. Fanculo!

«Al diavolo tu! Al diavolo il tuo lavoro di merda! Al diavolo qualunque stronzata che vuoi rifilarmi per farmi accettare la tua scelta! Io non la accetto! Non la posso accettare! Hai capito?! Io non accetto questa decisione del cazzo!» lo spingo ancora e ancora con ogni fibra del corpo che mi trema per con ferocia.
«Fermati» mi afferra alla fine i polsi, bloccandomi, e io cerco di strattonarmi, inutilmente.
«Ti prego, fermati» mi fa e io scoppio finalmente a piangere, facendo uscire tutte le lacrime che mi appannano gli occhi da troppo.

«Al diavolo tutto questo...» biascico, la voce mi va in frantumi come il cuore. Lascio cadere il viso contro la sua giacca, abbandonandomi ai singhiozzi e i sospiri affranti.
E la sua presa si allenta lentamente fin quando non mi stringe al suo petto. Pochi sono i secondi, fin quando non metto in pausa il dolore e mi riprendo staccandomi di getto da lui e indietreggiando.
Nicholas mi guarda afflitto.

«Il tuo difetto...» dico ispirando profondamente. «Quando ti avevo chiesto quale fosse il tuo difetto hai risposto che sei un maniaco del controllo ma non è vero. Il tuo difetto è la tua carriera» mi spiego meglio mentre mi asciugo il viso. «Dovevo immaginarlo... dopo quello che ti è successo...» mi riferisco al suo trauma a quindici anni, l'attacco in mare, il suo mentore ucciso sotto i suoi occhi, «... tu non puoi farne a meno. È per questo che sei sempre stato solo, tu non riesci a tenerti una persona accanto perché fuggi a fare il soldato, perché credi che tu debba fare solo questo e che all'infuori non ci sia nient'altro» finalmente lo realizzo.

All'inizio ci scherzavo sopra, dicendogli perfino che fosse un serial killer e lo prendevo in giro perché era strano che non avesse nessuno, insomma... lui è semplicemente lui. Ma il vero motivo è la sua carriera. Preferisce di più fare il militare che vivere la sua vera vita.

«Non è vero» scuote la testa cercando di venirmi incontro ma alzo le mani in segno di fermarsi.
«Sì, che lo è» ribatto. «Tu mi hai presa in giro come chiunque altro prima di te...» confesso esausta da tutto questo. Non voglio più provare niente, ne ho abbastanza.

Nicholas mi guarda con un'espressione che mi fa male e vorrei che se ne andasse immediatamente.

«Mi hai fatto credere che sarebbe andato bene ma dovevo immaginarlo che non appena ti fossi ripreso, tu te ne saresti tornato dal posto in cui hai vissuto negli ultimi anni. Quando mi parlavi e mi dicevi che l'Afghanistan ti dava solo l'illusione di farti sentire parte di qualcosa di più grande, io ci ho creduto... ma non è l'Afghanistan, né l'Iraq. Sei tu» lo indico con le mani.
«Sei tu quello che torna lì, ancora e ancora perché vuole farsi del male. Perché sei un masochista del cazzo! Io ero una alcolizzata, Nick, - rido lievemente -sapevo che mi facesse male ma continuavo a bere perché mi spegneva il cervello. Il tuo alcol è quella merda di Medio Oriente. Solo che non capisco perché ora ti serva... tu non devi riscattarti, le cose brutte accadono e tu non puoi controllare le azioni altrui, non puoi. Quello che è successo alla tua squadra poteva accadere a chiunque, ma tu vuoi sacrificare la tua vita per... cosa?» chiedo ridendo tra le lacrime di rabbia per l'assurdità delle parole che sto dicendo.
«Quindi ora devi andartene. Va' via» concludo abbassando gli occhi e aspettando che faccia quello che gli sto chiedendo per la milionesima volta.

Lui invece si avvicina a me e un attimo dopo è a meno di mezzo metro. Una sua mano sul mio viso che me lo alza, ma i miei occhi restano abbassati.

«Guardami.»

«No» dico restando ferma sulle mie. Non lo voglio, se lo facessi so che resterei senza fiato, e il mio cervello, la mia parte razionale e lucida si spegnerebbe. Ho bisogno di quella parte razionale, ne ho disperatamente bisogno perché io devo fermare questa cosa prima che mi trascini di nuovo dove sono finita per colpa di Logan o forse anche peggio.
Lui mi ha deluso, ma Nicholas andando lì si farà ammazzare perché è uno stupido figlio di puttana che crede di essere invincibile e che vuole riscattarsi per qualcosa che non è colpa sua.

«Veronica...»

Scuoto la testa e a fatica mi tolgo via la sua mano e mi allontano di una manciata di passi.
«No» ripeto e punto gli occhi sulla porta alle sue spalle. «Vattene. È finita, ora va' via» concludo e faccio per voltare le spalle ma la sua mano afferra rapidamente la mia.

«Ti prego non farmi questo» sento ma non lo guardo. Non voglio farlo.

«Hai fatto tutto da solo» replico staccando le nostre mani. Provo per l'ennesima volta ad andarmene, ma lui mi afferra ancora attirandomi a lui e mi prende il viso tra le mani, me lo solleva tanto quanto basta per finire con gli occhi nei suoi che trovo brillare e il mio cuore si strugge ancora di più.

«Non...» si passa frettolosamente la lingua sul labbro abbozzando un mezzo sorriso. «Non può finire così. Non è quello che voglio. Parliamo, per favore. Parliamo un altro po' e... cerchiamo di-»

«No» lo fermo e alzo le mani sulle sue per toglierle di nuovo via.

«Non farlo» sussurra poggiando la fronte contro la mia e mi manca il fiato. «Ti prego, non farlo.»

Le lacrime invadono il mio viso ancora di più. Cerco con forza di trattenere i singhiozzi e tiro su col naso.

«Non ti ho mai presa in giro» confessa tutto d'un fiato. La sua voce si incrina e io perdo un battito. «Ti ho aspettata per mesi, sono andato leggero perché temevo di farti scappare via. Io faccio sempre scappare tutti da me e... non ho altri. Non ho nessun altro a parte te. Nessuno. C'è Tyler ma lui... lui ha sua moglie, ha la sua famiglia, e non posso pretendere niente e la mia famiglia è un disastro» caccia un cenno di risata di amarezza, «la mia famiglia è tutto fuorché una famiglia, io non ho nient'altro a parte te e non voglio perderti, non adesso che funzionava, che andava tutto nel verso giusto. Io volevo te e ci sono andato piano, ho cercato di... Quando ti ho vista la prima volta io te lo giuro tu mi hai lasciato senza parole... e poi tu hai iniziato a parlare e io mi sono perso, perché ti fissavo non riuscendo a staccarti gli occhi di dosso... e quando è successo, quello che è successo, quando tu stavi male e io ti ho aiutata non era programmato, avevo intenzione di parlarti proprio il giorno dopo, ma tu sei apparsa sul mio cammino ed è partito tutto quanto il più sbagliato possibile perché è stato strano e per te probabilmente umiliante, ma io non ho mai provato compassione, né pena perché in te ho visto me stesso ed è stato... terrificante. Forse sono io che non ho mai trovato la persona giusta, ho buttato all'aria gli anni migliori della mia vita, ma per tutto quello che mi rimane io vorrei passarlo con te, vorrei viverlo con te perché tu mi fai sentire bene» parla così rapidamente, in fretta, come un'auto in quarta e io rimango spaesata. Si allontana leggermente e mi guarda. Mi perdo nei suoi occhi. Deglutisco con forza, il battito mi riecheggia in gola, i brividi corrono lungo ogni terminale nervoso. La sua sincerità mi lascia spiazzata.

«Io non potrei mai prenderti in giro. Tu sei come me, e io sono fedele a me stesso così come lo sono a te» dice ancora. Sposto gli occhi altrove.

«Va' via» mi schiarisco la voce.
Se ne deve andare. Ora. Non voglio più ascoltare niente.

«No» ribatte fermo, del tutto contrariato.
«Nicholas» lo imploro con la voce rotta.
«No» scuote la testa. «No, non voglio farlo.»
«Ti prego, va' via» provo ad allontanarmi ma mi ferma. Mi afferra stringendomi a lui.

«Non me ne vado» replica mentre le mie mani premono sul suo petto provando a spingerlo via mentre il suo profumo mi annebbia la testa e il cuore. Maledizione.
«Non funziona così... Quando qualcuno ti dice di andartene, tu devi andare» provo a staccarmi di nuovo ma lui me lo impedisce.

«Ma noi non siamo come gli altri» replica e il cuore ha un tonfo di centinaia di migliaia di metri, sprofonda con violenza.
«Ora sì» finalmente mi allontano da lui, dal suo profumo. È meglio così.

«Va' via» ripeto e gli indico la porta per poi portarmi alcune ciocche di capelli dietro le orecchie, asciugando così anche il viso.

«Avresti dovuto dirmelo» mi fa d'un tratto. «Dirmi che non ti stava bene. Non non adesso, non così, non senza nemmeno cercare di... io non so che fare. Che devo fare?» chiede scuotendo la testa e non credo di averlo mai visto così... insicuro.
La sua facciata da militare è del tutto calata, ora non è che un semplice ragazzo. Tutto qua.

«Cosa devo fare per non... è il mio lavoro e tu sei parte della mia vita, ma io non posso tirarmi indietro, io non posso, Veronica. Devo farlo e se... se potessi capire, se solo potessi metterti nei miei panni, tu potresti-»

«Tu morirai» gli dico invece con un sorriso a labbra chiuse lasciandolo inerme.

Annuisco con tristezza.
«Proprio così» un'altra lacrima mi scivola sul viso ma non la asciugo più. «Non sei pronto. E tu una volta lì morirai. Prima di partire, ricordati solo di scegliere la persona che dovrà occuparsi del tuo funerale. Forse Tyler, il genio che ti ha parlato di questa meravigliosa missione in Iraq. Se tu morirai, sarà in parte colpa sua, no?» dico con voce nettamente più pacata e un triste sorriso sulle labbra. «Hai ventisette anni e non hai fatto niente con la tua vita, ma se morirai quantomeno verrai ricordato con un eroe di Patria. Congratulazioni» finalmente finisco questa discussione e mi sento svuotata. Dalle energie, da tutto. A fatica riesco ancora a respirare.

«Maggiore Reed» lo saluto con un ridicolo gesto militare, «le auguro buona fortuna, Signore» aggiungo con gli occhi nei suoi, il mio cuore che cade a pezzi.

«Veronica...» mi richiama debolmente cercando di avvicinarsi ma non glielo permetto.
Alzo le mani fermandolo e col petto che mi fa male, gli volto le spalle senza guardarlo nemmeno un'ultima volta. Salgo le scale e mi rifugio al piano superiore dove non appena ci arrivo mi fermo nel bel mezzo del corridoio.

Raggiungo a fatica la parete, mi poggio contro con la spalla finché non mi lascio andare fino al pavimento. Tiro su le ginocchia, stringendo al mio petto e le lacrime mi scavano con prepotenza il viso.
Porto una mano alla bocca nel tentativo di fermare qualunque suono io posso farmi scappare. E non respiro.
Ci provo disperatamente ma ad ogni tentativo, mille schegge mi trapassano i polmoni da parte a parte.

È finita.
Per una buona volta ho seriamente pensato che sarebbe andato tutto bene perché nonostante tutto noi due funzionavamo. Una routine, una vita semplice, il sabato mattino sul pontile a guardare il sorgere del sole insieme. Mi sono illusa che sarebbe andato tutto bene... Incredibile come ci sia ricascata.

Ora lui è guarito dal trauma della sua ultima missione in Afghanistan, quella sparatoria glielo ha fatto credere e forse è vero, ma non sapevo che una volta che si fosse ripreso lui se ne sarebbe andato.
Non me l'aveva detto. Se lo avessi saputo, io non gli avrei mai permesso di entrare nella mia vita e farne parte.

Doveva dirmelo. Come qualunque cosa che mi ha sempre raccontato, la più importante lui l'ha dimenticata.
E la parte peggiore è che è fermamente convinto che sia pronto ma forse non lo è. Una piccola sparatoria non vuol dire niente. Magari una volta in Iraq lui verrà preso di sprovvista, avrà un altro attacco di panico, si bloccherà e si farà uccidere.

Che stupido.
Che grandissimo e fottutissimo dannato stupido.

«Streghetta...»
Ethan.

Arriva dopo non so nemmeno quanto.
Forse secondi o minuti. Si accascia al pavimento, spalle contro il muro e mi attira a sé.
«Shh... andrà tutto bene, vedrai...» mi accarezza i capelli mentre le mie mani sono sul mio viso e i miei sospiri spezzati dal pianto si bloccano contro di esse.

«Lui morirà» esalo a fatica e i polmoni mi fanno male.
«Morirà» ripeto. «Io... i-io lo so... lo so che morirà. Lo so. Che stupido, c-che grande-» mi fermo tra un singhiozzo e l'altro.
«Shh...» sento Ethan invece che continua a cullarmi a sé. «Ci sono io. Ci sono io ora. Respira, okay? Respira, Ronnie. Ci sono io.»

Lui morirà.

***

Angolo autrice

Mhmm beh che dire. Non so che dire.
Ma posso confessare che mi è piaciuto il modo in cui Nicholas non abbia mollato la presa almeno finché Ronnie non l'ha allontanato definitivamente. E vabbè il mio cuore si è sciolto quando lui ha detto tutte quelle cose, quello che prova per lei cosa che non aveva mai fatto veramente

Piango

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