29 | Il suo posto preferito

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CAPITOLO 29
Il suo posto preferito

«Ti stai divertendo?»
Spunto alle sue spalle e quasi non gli faccio venire un colpo tanto da rovesciarsi addosso il bicchiere da cui stava sorseggiando. Logan mi guarda per poi lanciare una frettolosa occhiata in giro.

«Oh, sì, sto una meraviglia! Una insegnante si è avvicinata, mi ha chiesto chi fossi e siccome non sapevo che dire ho preso in prestito la storia di Ethan e le ho detto che sono gay e faccio il barman, e che... Ah! Sì, che sono qui con Florence Dixon. A proposito, mi sono lasciato scappare che sei buddista e che fai volontariato nel Kenya quando non sei troppo impegnata dal tuo lavoro ovvero una umile hostess di voli internazionali. Poi ho scoperto che insegna biologia e mi ha chiesto cosa ne pensassi della community LGBTQ+.»

Lo guardo esattamente per tre secondi per poi scoppiare a ridere.
«Le ho risposto che mia sorella gemella è lesbica, che mia madre si identifica come un uomo e che ho dei cugini in Montana che mungono alpaca.»

Corruccio la fronte. «Ma gli alpaca non si mungono.»

Logan ci riflette su. «Nella mia storia gli alpaca sono creature magiche che prendono la bandiera della community gay e la portano in giro saltellando sulle montagne» dice e io rimango a fissarlo ammutolita per poi ridere. Mi verso della semplice Coca-Cola in un bicchiere di cartone rosso e lo porto alla bocca.

«Sono una hostess, quindi. Lo sai soffro il mal di aereo?» dico sovrappensiero cercando di non ridere ma è davvero difficile.

Logan annuisce. «E con i tuoi soldi fai volontariato nel Kenya. Porti l'acqua, pianti le piante... Ti dai fare, Florence, sei un'icona, wow...» mormora teatralmente stupito. Gli mollo una spallata che lo fa ridacchiare divertito.

«Ehi... Ciao!»
Una ragazza, lunghi capelli boccoli e un vestitino nero di pizzo, si materializza accanto a noi. Le do un'occhiata e la becco con gli occhi fissi su Logan che a momenti divora. Mi giro proprio verso di lui che col suo bicchiere in mano la guarda con aria abbastanza smarrita.

«Ciao» risponde Logan cordialmente.

Lei col suo rossetto rosso bordeaux se lo analizza in silenzio per diversi secondi.
«È gay» dico alla tipa così che si levi di torno. Lei improvvisamente torna alla realtà.

«Samuel Kelly, mio fratello, è gay? Davvero?» cantilena lei divertita.

Merda.

«Ti va di ballare?» chiede successivamente a Logan senza il minimo pudore e quasi non resto di stucco.
Lui in silenzio, beccato, mi guarda in attesa di una mia mano d'aiuto.

«Ho diciotto anni quindi non devi preoccuparti, dopo possiamo anche pomiciare se lo vuoi» aggiunge ancora con un sorrisetto beffardo.
La Coca-Cola mi va di traverso.
«Oppure andrò a dire alla professoressa Thompson che ti fingi qualcuno che non sei oltre a fingerti gay. So riconoscere chi lo è, e tu non sei gay. Ora tu vieni e balli con me.»

Quasi mi non casca la mascella. È diabolica.
Guardo istintivamente Logan e mi afferro un labbro tra i denti facendogli segno di acconsentire visto che lo vedo completamente contrariato.

«Vai a ballare» gli dico togliendogli il bicchiere dalla mano e lo spingo dal momento che non vuole muoversi.

«Ma devo proprio?» chiede in un sussurro accanto al mio viso.

«Sì. Ryan ucciderà entrambi se ci facciamo scoprire dai professori visto che è stato lui ad organizzare tutto e ti dico: quel ragazzino mi fa un tantino paura» ammetto con una smorfia pensierosa. Ryan è un tantino inquietante.

«Fila a ballare. Ti piace ballare, no?» alzo le sopracciglia.
«Ma lei non mi piace» replica e prima che possa dire altro la tipa se lo afferra sotto braccio.

«Adoro i tuoi tatuaggi. Ce li hai anche sotto la camicia? Dopo te la togli e me li fai vedere? Posso leccarli?» chiede trascinandoselo lontano.
Logan mi guarda forse pensando che io lo salvi, ma non succederà. Gli alzo la mano salutandolo proprio come ha fatto lui a me prima. Ora è il suo turno di essere usato da un liceale. Rimango quindi appoggiata al tavolo con il mio e il suo bicchiere tra le mani cercando di non ridere quando la tipa allaccia le braccia dietro il suo collo e lui non sa dove mettere le sue. Lei lo nota, gliele afferra e anziché metterle sui suoi fianchi se le poggia sul culo. Iniziano a ballare un lento, e nel mentre Logan finisce con gli occhi in mia direzione, mi mima qualcosa e mi fa cenno verso la tipa. Forse vuole che venga in suo soccorso.

Con gli angoli della bocca tirati alzo un pollice a mo' di "Vai alla grande!", beccandomi in automatico uno sguardo di traverso. Vedo la morte nei suoi occhi, e fa ridere.

Quando la canzone finisce e lui fa per scappare via, lei gli afferra il viso e gli molla un bacio improvviso sulla bocca che lo lascia spiazzato. Poi gli dice qualcosa, indica una porta e con un occhiolino si allontana.
Non appena Logan torna da me, mi strappa via dalla mano il suo bicchiere e beve un sorso, si sciacqua la bocca e risputa tutto dentro.

«Ti è piaciuto il bacio?» ridacchio tranquilla bevendo la mia Coca-Cola. Lui mi inietta le pupille addosso e sbatte teatralmente le ciglia.

«Mi ha infilato la lingua in bocca» risponde indignato. «Questa è molestia sessuale...»

Col cartone del bicchiere tra le labbra cerco di nascondere il mio sorriso.
«Aveva l'alito pesante?» chiedo quindi prendendolo in giro.
«Sapeva di... alcol. Ma da dove diavolo l'avrà preso l'alcol?»

Mi guardo in giro stranita ma non vedo niente di particolare. Magari qualunque cosa avrà ingerito se la sarà portata dietro da casa.

«Che ti ha indicato?» chiedo curiosa.
Lui sospira. «Gli spogliatoi.»

Rido sotto i baffi.
«Non ti piacciono più le diciottenni?» scherzo e poi me ne pento immediatamente. Avevo diciott'anni quando noi due ci siamo incontrati e lui ha iniziato a provarci con me.

Lui però non sembra collegare i puntini e ne sono sollevata.
«Ho già Katy che mi ruba i vestiti...» mormora sconsolato.

«Ti è rimasto...» indico la sua bocca. Lui corruccia le sopracciglia. Caccio una piccola risata alzando una mano. «Hai del rossetto, qui» passo il pollice sul labbro superiore e cerco di toglierlo via. I suoi occhi finiscono poi tutto d'un tratto nei miei e la mia mano si ferma d'improvviso. Rimane sul suo viso, il pollice sulla sua bocca e il mio battito cardiaco aumenta di getto senza alcuna ragione logica.

«Uhm... fatto!» esclamo riprendendomi di colpo e come una furia allontano la mano. Torno a bere la mia bevanda puntando gli occhi sui vari studenti che stanno ballando.

«Quindi ora abiti da Ethan?» chiede lui schiarendosi la voce.
«Uh?» mi giro.
«Stai a casa di Ethan? È una bella casa.»
«Ah! Sì, in un certo senso... Forse annullerò il contratto d'affitto del mio monolocale» rivelo bevendo un altro sorso dal bicchiere.
«Andrai a vivere da Nicholas?»

La sua domanda mi prende contropiede tanto che col bicchiere alla bocca resto a fissarlo ammutolita.
«Oh... scusa! Errore mio, scusa, non dovev-»
«Non è un problema» lo interrompo cacciando un colpo di tosse e schiarendomi la voce.
Logan annuisce potendo per un istante lo sguardo sugli studenti del liceo che si stanno divertendo.

«Vivo con Ethan perché mi fa compagnia... ma non so, non ne abbiamo mai parlato, sai... Io e lui» dico riferendomi a Nicholas. «Non gli piace il freddo» confesso tutto d'un tratto con un piccolo sorriso. «Quindi immagino che forse gli piacerebbe di più Los Angeles oppure non so... Miami. Anche se per quasi tutta la vita quando tornava dal Medio Oriente andava in Australia.»

Logan annuisce di nuovo.
«Quindi quando tornerà ti trasferirai?» chiede poi.
Caccio una mezza risata. «Ho l'università, non posso andarmene, ma sarebbe bello lasciare San Francisco. Diciamo che non è la città che fa per me. Il Texas lo era, ma lì non ci tornerei mai più, troppi ricordi...» scaccio la sola idea con un gesto di mano e mi volto verso di lui. «Tu? Andrai a New York, no?»

Lui spalanca gli occhi per poi abbozzare un sorriso. «Già...»

«Con Alec come farai? Rimarrà qui?»

Logan tira un sospiro. «Sì. Io sarò sempre impegnato e poi qui ha la mia famiglia, sua madre e i suoi nonni. Starà bene. Non mancherò per troppo e poi... quando avrò del tempo libero potrò sempre fare un salto e restare a casa per un po'.»

«New York...» mormoro credendoci a stento. «Dici che è come nei film?» chiedo con una smorfia.
«Le persone che corrono con la loro valigetta in mano e litigano per i taxi?» ridacchia.

«Beh, comunque vada sarà una bella esperienza per te. Uscire fuori da questa città, vedere un'altra parte del mondo... Il Central Park, andare a guardare gli Yenkes, farti uno selfie a Times Square oppure... Oh, Dio! Devi andare a Broadway!» schiocco le dita non appena mi torna in mente rivolgendogli un piccolo sorriso.
Logan china il viso per un istante sorridente.

«L'Osservatorio Summit One Vanderbilt» dice con aria sognante. «Quello sì che sarebbe molto bello da visitare.»

Già... lui studia lo spazio. Perché non ci avevo pensato come meta?
Una strana sensazione mi colpisce in pieno come un uragano, credo sia la malinconia, non ne sono certa. Abbiamo sprecato tutti questi mesi a fare solo casini quando avremmo potuto risolvere prima le nostre incomprensioni e passare il poco tempo che ci resta insieme, prima che lui vada più, cosa che succederà presto. È solo una questione di mesi e questi voleranno ancora prima che ognuno di noi se ne renderà conto.

«Sai che io non ho ancora capito cos'è che studi all'università? So solo che non è più lettere moderne» riprende d'improvviso parola con una smorfia divertita.

Alzo gli angoli della bocca. «Economia» confesso. Lui aggrotta le sopracciglia.
«Tu. Economia.»
Annuisco e per poco scoppio a ridere.

«Non ci capisco un cazzo» ammetto senza troppi giri di parole. «E poi ogni volta che il docente inizia a parlare invece di prendere appunti io finisco sempre col guardargli le mani. Gesticola davvero un sacco. Ma ha delle belle mani. Mhm, mhm» mugugno e abbasso il viso a terra ridendo sotto i baffi.

«È uno strano fetish» sghignazza.
Alzo le spalle bevendo un altro sorso della Coca-Cola.

«Sì, ho qualche rotella fuori posto.»
No, solo che le mani del mio docente assomigliano un po' a quelle di Nicholas.

Il suo cellulare che gli vibra in tasca spezza la conversazione. Lo caccia fuori, mi guarda mentre risponde e cerca di capire qualunque cosa gli stiano dicendo. Mi fa segno di aspettare e si allontana verso la porta del retro della palestra, scomparendo fuori. Magari Alec sta male di nuovo.

Rimango quindi da sola col bicchiere ormai vuoto in mano a mordicchiare il bordo di cartone, intenta a fissare gli adolescenti divertirsi.
Logan rientra dopo un po'.

«Tutto okay?» chiedo quindi.

«A Sacramento è saltata la corrente. Mamma dice che c'è un temporale così forte che ha allagato le strade» sospira passandosi una mano tra i capelli.
«Non ce la fai a tornare con la macchina?»
Scuote la testa. «No, ci sono pompieri e vigili urbani ovunque. Le strade sono bloccato.»

«Fuori sta piovendo?»

Lui dà un'occhiata alla porta.
«Sì, ma non è così forte com'è a casa.»
«Se vuoi puoi restare a dormire nel mio monolocale» propongo istintivamente.

Logan resta visibilmente stupito.

«Io andrò da Nicholas, quindi non c'è problema» aggiungo poi e lui sembra illuminarsi di colpo, abbassando gli occhi a terra per un istante. Mi ritrovo a corrucciare lievemente le sopracciglia quando mi rendo conto che probabilmente pensava avessimo dormito insieme.

«Sarebbe... Sì, beh... grazie» dice con aria calma, serra la mascella e sposta lo sguardo sul ballo.
«Figurati» abbozzo un sorriso e torno con gli occhi sugli studenti.

«Ti va di ballare?» mi chiede tutto d'un tratto, tanto che rimango col bordo del bicchiere tra i denti, presa di sprovvista. Mi giro rivolgendogli uno sguardo.

«Ehm... sì! Sì, certo, perché no? Tanto siamo qui, no?» tiro su un sorriso un po' a disagio, lo ammetto. L'ultima persona con cui ho ballato è stato Nicholas, davanti alla base dell'aeronautica militare pochi minuti prima che ci si imbarcasse.
Wilders Dreams di Taylor Swift suona in aria e Logan mi porge una mano che afferro facendomi un po' di coraggio.

È solo un ballo, niente di che. 'Sta tranquilla, Ronnie, e respira.

Abbandono quindi il bicchiere vuoto sul tavolo alle spalle e lui si fa strada un po' più in lontananza rispetto allo stand delle bevande.

Ci troviamo l'uno davanti all'altra. Ci guardiamo in viso per una buona manciata di secondi finché goffamente porto le braccia dietro il suo collo cercando di stargli abbastanza lontano nonostante non sia molto fattibile.
Sento i brividi attraversarmi le guance e una ventata di calore investirmi in pieno quando le sue mani scivolano sui miei fianchi.

«È imbarazzante?» chiede d'un tratto.
«Uh?» chiedo a mia volta e sento chiaramente il mio cuore battermi contro la cassa toracica. «Oh, no... no, no. Non penso. Lo è? Tu lo trovi imbarazzante?» chiedo di colpo agitata cercando di non farlo trasparire ma credo di aver appena fallito.

«Ricordi la festa di halloween?» chiede invece. Ci penso rapidamente su e annuisco.
«Sono cambiate un po' di cose da quella festa...»
Deglutisco, tirando le labbra in una linea diritta.
«Già... Sapevi che Nath ha una foto di noi due?» sorrido lievemente.
Lui corruccia le sopracciglia.
«Davvero?» sorride stupito.
Scuoto la testa. «Sì.»

La conversazione muore improvvisamente. C'è solo la musica a riempiere lo spazio che ci circonda e il mio imbarazzo crescente. Forse non è stata una buona idea accettare l'invito a questo ballo.

«Ti svelo un segreto» fa d'un tratto guardandosi in giro prima di riporre gli occhi nei miei. «Se ti avvicini un altro po' giuro che non ti mordo» caccia un cenno di risata che mi polverizza all'istante dalla vergogna. Cazzo.
La mia testa invece vola a Nicholas. Se lui fosse qui, al posto di Logan, sono certa che mi avrebbe detto "Avvicinati, Veronica, ti voglio mordere". Dio... quell'idiota del mio fidanzato mi avrebbe anche fatto un ditalino nel bel mezzo a dei minorenni. Ne sarebbe stato capace.

«Scusa» bofonchio schiarendomi la voce e mi avvicino un altro po', giusto il necessario, non oltre.
«Fa niente» dice lui. Sembra tranquillo, troppo a differenza mia.
«Quindi... quando finalmente prenderai la laurea andrai a lavorare nella grande azienda degli O'Brien?» scherza.

Faccio inevitabilmente una smorfia.
«Certo, così lancio la cartelle in testa a Kieran ogni volta che lo vedo» ridacchio strappandogli un cenno di risata.
«Sai... quando l'ho conosciuto io era un tipo a posto. Certo, si vedeva lontano un miglio che fosse un po' depresso, forse è stato questo che ha attirato Liz, lei e la sua innata voglia di aiutare chiunque, ma alla fine invece di salvare Kieran si è fatta trascinare nel vortice di droga in cui lui si trovava già.»

Aggrotto la fronte. Kieran soffriva di depressione?

«Era malato?»
Logan sembra cercare le parole adeguate.
«Era gentile» confessa lasciandomi di stucco.

Lui sorride con un sospiro pesante.
«Era suscettibile, si lasciava condizionare rapidamente... Eravamo amici, per me era quasi come un fratello maggiore ma poi è cambiato. Più si faceva e meno era riconoscibile. Sapevi che sua madre l'ha abbandonato nel bel mezzo della notte? Aveva solo nove anni» confessa alla fine quasi ricordandolo solo adesso.

Rimango sinceramente senza parole.

«È stato letteralmente cresciuto dalla governante. Anita. Una donna severa ma giusta. Il padre di Kieran non c'è mai stato, sapevo avesse un fratello maggiore ma solo che stesse a Richmond e che fosse un soldato, per il resto Kieran non ne parlava quasi mai. Ad un certo punto aveva anche smesso... di farsi. Quando io ho tirato fuori Liz e mi sono allontanato da quel brutto giro... Kieran aveva smesso anche lui per un po'. Poi è successo di nuovo qualcosa e l'hanno trovato in condizioni che...» si ferma per un istante. «Comunque credo che lui... certo, ha fatto un mucchio di cose, ma non è cattivo, è solo... finito in una famiglia disfunzionale.»

Le sue parole mi fanno restare in silenzio ancora. Cerco di metabolizzarle.
L'ho visto, Kieran. A quella festa. Lui che volevi intimidirmi con le persone che erano là. Forse come Nicholas anche lui ha cercato di trovare il suo posto nel mondo, una famiglia che lo accogliesse, peccato che abbia scelto un lerciume di tossicomani e delinquenti.
Lui e Nicholas sembrano due facce della stessa medaglia. L'uno ha provato a sentirsi meno solo e ha scelto la cattiva strada, l'altro pur di sentirsi parte di qualcosa ha sacrificato tutto e ha scelto la giustizia. Come possono essere fratelli? L'uno è la notte, l'altro il giorno. Due completi opposti.

***

Arrivo all'appartamento di Nicholas alle dieci in punto.
Ho dato le chiavi di casa mia a Logan prima di scendere dalla sua auto e frettolosamente sono entrata dentro l'edificio, nonostante tutto è stato impraticabile evitare la pioggia tant'è che ho la pelle d'oca, i capelli umidi e il mio vestito è inzuppato e gocciola acqua sul pavimento dell'ascensore. Spero solo di non beccarmi un raffreddore.

Esausta, infilo le chiavi nella porta pronta a girare quando mi fermo di colpo. Che strano... la chiave non gira.

Eppure ricordo molto bene di averla chiusa a chiave ben tre volte, ma è come se fosse completamente sbloccata.
Possibile che abbia avuto un lapsus e mi sia immaginata di averla chiusa? A volte, soprattutto nell'ultimo periodo, tendo ad essere un po' con la testa tra le nuvole, me ne rendo conto.

Sospiro e mi limito solo ad abbassare la maniglia e spingere.
Aggrotto la fronte. Le luci sono accese.
A passi lenti do un'occhiata in giro, cerco di ricordarmi se le ho mai veramente spente dopo essere uscita l'ultima volta e penso di sì. Certo che le ho spente.

L'odore di qualcosa giunge alle mie narici. Ispiro una, due, volte e corruccio la fronte. Faccio un altro paio di passi finché non passo accanto a tutto il muro alla mia sinistra che copre la visuale sulla cucina e sul tavolo da pranzo. I miei occhi si poggiano proprio là.

Anche le luci della cucina sono accese.
È istintivo. Infilo la mano nella borsa e tiro fuori il chiavi tenendole strette nel palmo della mano tra le dita. Per quale cazzo di motivo le luci della cucina sono accese?

Non le ho mai accese. Mai. L'ultima volta è stata tanti mesi fa quando ho preparato quel triste risotto allo zafferano che ho scaraventato per terra e dopodiché l'ha ripulito Ethan perché io ero troppo demoralizzata per farlo.
Col fiato sospeso mi guardo in giro. Do un'occhiata nella stanza da letto e la trovo vuota, perfettamente in ordine. Raggiungo il bagno e ispiro profondamente prima di aprire di getto la porta.

I miei occhi finiscono in fondo alla stanza, sul box della doccia. È appannato.

Ma che...

Chi diavolo è stato qui e ha avuto la gran faccia tosta di farsi una fottuta doccia nel bagno del mio stramaledetto fidanzato?
Raggiungo rapidamente la cucina, giro intorno all'isola, mi avvicino alla postazione accanto al frigorifero e stacco il coltello più affilato che vedo dalla banda magnetica attaccata al muro per poi girarmi di scatto e passare sotto analisi per la seconda volta l'appartamento.

È vuoto. Ma il mio cuore non la pianta di battermi all'impazzata, lo sento a tratti sfondare la mia cassa toracica. Il mio respiro è irregolare, i denti stretti e gli occhi sugli attenti, in allerta, pronta per sferrare un colpo con la lama a qualunque stronzo si sia infilato qua dentro facendo come se fosse a casa sua.

Si è perfino preparato da cucinare quel maledetto bastardo del cazzo.
Guardo incredula il piatto sul banco dell'isola. È coperto con un altro piatto a fondo piatto. Mi avvicino lentamente, deglutisco e lo scoperchio.

Rimango intontita davanti quello che mi trovo. È una omelette. Accanto ad essa delle verdure. Carotine, broccoli gratinati, pomodori secchi. Solo dopo qualche istante mi rendo conto del pezzo di carta che sbuca da sotto il piatto.

Con la mano che mi trema per l'ansia, lo tiro fuori e gli do un'occhiata.
"Sei dimagrita. Dovresti mangiare."

Ma che diavolo..?

Trattengo il respiro come di conseguenza. Le parole di Logan sull'argomento pistole mi tornano di getto in mente. Forse aveva ragione in fondo. Mi servirebbe una cazzo di pistola.

È stato lui. Il mio fottuto stalker. È stato qui dentro. Sì è fatto una fottuta doccia nella casa di Nicholas, si è preparato da mangiare per poi lasciare qualcosa anche a me. Ma che carino... Io lo uccido.

Che diavolo vuol dire che sono dimagrita? Da quando mi stava tenendo d'occhio?
Sì, ho perso qualche chilo. Mangio poco e male e sono anche abbastanza stressata, ma lui questo come diavolo fa a saperlo?
È apparso accanto a quel fottutissimo palo della luce da poco, forse due mesi. Mi osservava da più di due mesi? Se sì, da quando? Lo faceva anche quando Nicholas era qui?

Il dubbio mi assale d'improvviso e rabbrividisco. E se Nicholas, invece, fosse tornato a casa quando la missione si è conclusa e quel pazzo squilibrato gli ha fatto del male?
Non respiro. Poggio una mano sopra per controllare che il mio battito non si fermi di getto.

Forse Nick è tornato, è entrato nel suo appartamento, il mio stalker l'ha beccato alle spalle e l'ha trascinato da qualche posto. No, non può essere successo.

E se sì? E se fosse successo? Se quel pazzo squilibrato gli ha fatto del male?

Afferro il cellulare così rapidamente che quasi non mi scivola via dalle dita. Digito un numero che non credevo mi sarebbe mai servito e premo "chiama" senza alcuna esitazione.

Squilla un paio di volte finché non sento una voce.

«911, qual è la sua emergenza?»

Tiro un profondo respiro ma scoppio a piangere. Sono fottutamente spaventata. E se gli avesse fatto qualcosa? Se fosse vero? Se avesse fatto del male a Nick? C'è qualcosa che mi sta dicendo che niente va bene. È un brutto presentimento e me lo sta urlando a squarciagola nella testa.

«911, qual è la sua emergenza? Mi sente?»

Ispiro profondamente aria nei polmoni. Tiro su col naso mentre raggiungo frettolosamente l'entrata e la chiudo a chiave ben tre volte.

«C'è un uomo. C'era un uomo... lui è entrato qui dentro quando io non c'ero. Lui...» piango disperata e afferro una sedia dal tavolo da pranzo, la trascino alla porta d'entrata e blocco la maniglia. Mi allontano indietreggiando di qualche passo.

«L'ha aggredita?»

«N... no, lui non mi ha sfiorata ma è entrato qui dentro, è entrato qui dentro, cazzo!» mi passo agitata una mano sotto il naso asciugando il muco.

«Saprebbe fornirmi un nome, una sua descrizione fisica?»

Scuoto la testa. «No... no, io no so come si chiami, lui... è sempre a distanza. Non so com'è sia fatto fisicamente, non ne ho idea e... Lui... sta fuori e... e mi guarda e lui mi guardava s-solo ma adesso lui è entrato qui dentro e... Mi mandate un cazzo di poliziotto qui, ora?!» chiedo agitata mentre brividi mi attraversano il corpo.

«Va bene, le mandiamo subito qualcuno. Mi può fornire un indirizzo?»

Le recito in fretta e furia il nome della strada e il numero dell'appartamento.

«Le consiglio di tenere la porta chiusa a chiave fino all'arrivo della pattugli-»

«Ma davvero?! Wow, grazie per il suo stramaledetto consiglio stra ovvio! L'ho già chiusa la cazzo di porta, ci ho messo anche una dannata sedia davanti. Cazzo, se entra qui dentro, se ci prova... io gli ficco un coltello nel cranio, cazzo!» mi asciugo il viso.

«Signora, ora lei deve calmarsi. I nostri colleghi saranno lì sul posto molto presto, lei deve solo stare calma e aspettare. Tenga la porta chiusa a chiave. Deve fare solo questo.»

Ma vaffanculo! F. A. N. C. U. L. O. brutta stronza di una operatrice degli sbirri che sono dei coglioni che non sanno nemmeno su quale fottuto pianeta si trovino a momenti. Fanculo il tuo consiglio di merda.
Se quel maniaco si fa vedere io gli pianto il coltello diritto in un occhio. Lo scortico vivo quel ratto.

«Signora? È ancora lì?»
«Sì» stronza, sono ancora qui, vorrei aggiungere ma tengo a freno la mia lingua.
«Bene. Mi stia a sentire. Non faccia niente di avventato, i nostri agenti saranno lì a breve per cui mantenga la calma e il controllo. Vedrà, se ne occuperanno loro. È di questo che ci occupiamo, ha capito? Non le capiterà niente.»

«Mio padre è uno stramaledetto agente federale e lui ha detto la stessa cazzata alla ragazza che poi è stata ammazzata nella sua casa quando lei diceva di essere pedinata e nessuno voleva crederle! Quindi tenga la sua fottuta bocca chiusa! E dove cazzo sono i suoi agenti?!» le sbraito contro. Ma al diavolo lei e i suoi consigli sulla meditazione o quel cazzo che sono!

La donna dall'altro lato del filo sembra ammutolirsi.

«Quello psicopatico di merda è entrato qui dentro e si è comportato come se fosse a casa sua! Se lui dovesse entrare ancora, per diritto di autodifesa personale, io gli posso piantare un coltello in faccia. So bene le cazzo di leggi, sono figlia di uno sbirro, vengo da una famiglia di sbirri, per cui se lo vedo, io lo ammazzo quel gran figlio di puttana!» sibilo e riattacco di getto senza aspettare altre delle sue merdosissime parole sull'essere avventati e sul mantenere il controllo. Fanculo il controllo e fanculo lei, quella stronza infame di una poliziotta idiota che se ne sta dietro a una scrivania e non capisce un emerito cazzo del vero pericolo che c'è la fuori.

Stringo forte il coltello nel pugno della mano e reggo gli occhi fissi sulla porta. Ho il battito a mille, l'adrenalina sparata nelle vene come fuoco.

È entrato qui dentro. Si è fatto una doccia e ha preparato da mangiare. Ha toccato le cose di Nicholas, i suoi utensili da cucina. Ma come ha osato? Se entra, se si fa rivedere io quello stronzo lo ammazzo.

Gli agenti bussano alla porta dopo una quindicina di minuti. Apro, spiego loro l'accaduto, fornisco il mio nome e alla domanda "Questa non è casa sua?", rispondo chi sono per la persona che ci abita. Mostro loro la chiave, perfino una foto insieme e siccome non sono tanto convinti chiedo loro di telefonare il sergente Tyler Whedon, che come immaginavo conferma tutto quanto quello che ho detto, il quale dopo una ventina di minuti si presenta sull'uscio dell'appartamento e mi dice solo di raccogliere della roba e trascorrere la notte a casa sua e di Edith.

Non lo vedevo da mesi e la sua premura mi tranquillizza all'istante.
Seduta sul divano della loro casa, una piccola villetta un po' fuori città, Edith in vestaglia si presenta con una tazza di tè caldo che mi porge.
Ha i capelli scuri un po' scompigliati e raccolti frettolosamente in una crocchia, le occhiaie e un'aria stanca e preoccupata.

Tyler, invece, poggia la pistola sul tavolo basso del soggiorno davanti a me. Prende posto sulla poltrona e mi guarda per alcuni istanti.

«Avresti dovuto chiamarmi la prima volta che l'hai beccato a fissarti» sospira passandosi la mano sul viso. I capelli biondi sono corti come sempre e rasati sui lati.

«Non credevo si sarebbe spinto a tanto» mormoro con un filo di voce. Mi sento tremendamente a disagio e stupida.

«Stanotte la passi qua, poi domani ti farò mettere una scorta che ti terrà d'occhio.»
Resto di stucco.
«Cosa? No, no... io non credo ce ne sia bisogno, non-»
«Starà di notte davanti casa tua. Questo è quanto» mi interrompe con tono severo e mi sento quasi sgridata a momenti. «Se ti dovesse succedere qualcosa, Nick non me lo perdonerebbe mai» aggiunge stringendosi le mani.

Abbasso lo sguardo sul pavimento in legno e non replico più.
«C'è la camera degli ospiti al piano superiore, ti va se ti faccio strada? Uh? Così riposi un po'» propone Edith poggiando una mano sulla mia spalla mentre è appoggiata sul bracciolo del divano.

Le do un'occhiata e annuisco. Voglio solo dormire e dimenticare questa nottata.

«Veronica» mi richiama d'un tratto Tyler quando mi alzo e faccio dei passi in direzione delle scale. Mi volto.

«Hai avuto qualche notizia da Nick?»

I miei occhi si riempiono immediatamente di lacrime. Scuoto la testa e lui sospira annuendo.
«Tu?» chiedo sperando in un sì e invece le mie speranze si frammentano quando scuote la testa in segno negativo.
«Buona notte e cerca di dormire, okay? Domani vedremo come fare con quei tipo.»

Annuisco e raggiungo Edith.

Infilata sotto le coperte, non riesco per niente a chiudere occhio. Non faccio altro che girarmi e rigirarmi nel letto. In silenzio, la porta socchiusa, sento dei bisbigli dal piano inferiore.
Stranita, scivolo via dal letto e silenziosamente mi avvicino alle scale.

«Lo sai che significa, vero?»
È la voce di Edith.

«Certo che lo so...» risponde Tyler con una punta di sconforto.

Corruccio inevitabilmente la fronte.

«Forse dovremmo dirglielo. Lei ha il diritto di sapere, sono passati tanti mesi...»
«No» replica Tyler e sembra non ammettere repliche.
«Tesoro, era a casa sua... Sì, è successa una brutta cosa ed è già provata per questo, ma lei dovrebbe comunque saperlo.»

«Un pazzo si è infilato dentro e si apposta fissandola da lontano. Ha detto che le ha scritto anche dei biglietti. È già troppo. Aspetteremo... sì, aspetteremo un po' e poi glielo diremo.»

Dire cosa? Che dovrei sapere?

«Come pensi che la prenderà?» chiede Edith con rammarico.
Tyler esita.
«Ha appoggiato Nick nella sua scelta di tornare in quel posto, sapeva bene i rischi... A volte semplicemente la fortuna finisce, e vale anche per lui. Gliel'ho detto, Edith. Io stavo scherzando quando parlavo dell'Iraq, lui invece l'ha presa seriamente. È colpa mia? Maledizione... avrei dovuto tenere la mia dannata lingua a freno per una buona volta! Ho già visto morire tutti i miei amici... Come glielo spiego a quella ragazza che Nick non tornerà mai più?»

Il mio cuore cade a pezzi. La vista si annebbia, le gambe mi vacillano.

«Ci sono imprevisti, ma le missioni non si promulgano mai così tanto. Se solo fosse stata sua moglie avrebbe ricevuto un messaggio dal suo battaglione, ma è chiaro che lui non ce l'ha fatta. Ora... ora che faccio? Uhm? Che faccio? Quando le ho chiesto che ci facesse in quel appartamento lei ha detto "Lo tengo in ordine per quanto Nick tornerà". Come glielo dico che Nick è morto? Che non tornerà? Come faccio?»

Porto una mano alla bocca soffocando un singhiozzo mentre le lacrime scivolano sul mio viso.

«È per questo che ho chiuso con quel posto. Ho trovato te e non intendevo per niente al mondo farti vivere quello che lei sta vivendo adesso, non...»

Senza ascoltare altro, mi ritiro nella stanza degli ospiti e mi metto a letto, bagnando il cuscino e sprofondando nei miei sospiri mozzati.

Credevo che la mia vita si stesse riequilibrando. Con quello che è successo con Logan, il modo in cui in un certo modo ci siamo perdonati, avevo come l'impressione che tutto si stesse risolvendo. Ma non succederà.
Ho lasciato andare Nicholas. Che stupida. Che grandissima fottuta stupida del cazzo.

Ma che diavolo mi è passata per la testa?
Compromessi. Ecco cosa. Fanculo i compromessi, fanculo tutto, io rivoglio lui. Ora, lo rivoglio subito. Lo rivoglio con me.
Voglio sentire la sua voce, voglio sentire la sua risata, voglio vederlo andare in giro per casa con una delle sue camicie bianche addosso, lo voglio rivedere dietro ai fornelli, voglio andare al pontile con lui, guardare il sorgere del sole stretta tra le sue braccia.

Rivolgo il mio Nick dell'Afghanistan. Il mio soldato arrogante, che dice sempre e solo la verità, che mi tiene testa e mi racconta le sue cose, i suoi viaggi, le sue esperienze.
Voglio svegliarmi domani mattino e bere il suo buonissimo caffè accompagnato da una fetta di mela, proprio come mi ha fatto scoprire, come a lui piace e facevano insieme.

Quando cala la notte e Tyler e la sua moglie vanno a dormire, raccolgo il mio zaino, infilo le scarpe e lentamente schiudo la porta d'ingresso e sguscio fuori. So che non dovrei, ma non resterò un altro minuto qua dentro, non voglio farlo.
La villetta è abbastanza isolata dal centro abitato quindi mi tocca fare un bel po' di metri a piedi mentre chiamo un Uber e gli scrivo che mi troverà lungo la carreggiata.

Questo arriva salgo a bordo e mi dirigo in un posto che conosco molto bene. E quando ci arrivo, prendo posto sul legno, tiro su il cappuccio e mi stringo nelle spalle. Tira del vento umido, ma fortunatamente ha smesso di diluviare. Il pontile è bagnato, e il freddo attraversa i miei pantaloni ma non me ne curo. Con le mani delle tasche della felpa rimango ad occhi fermi a guardare l'oceano mosso, le onde scagliarsi contro alcuni scogli e poco più a destra una nave mercantile attraccata alla costa.
La guardia costiera, invece, sfreccia sulle onde con il fanale sparato a mille. Magari stanno soccorrendo delle barche prese di sprovvista dalla tempesta.

Non venivo in questo posto da settimane ormai. Troppe, non mi ricordo nemmeno quante.
Perché questo era il suo posto preferito.

Tiro su col naso e scaccio un'altra lacrima asciugandola contro il braccio.
Esito per alcuni istanti ma alla fine tiro fuori il cellulare e recupero il pezzo di carta che mi ha dato Logan.

Lo guardo a lungo, tanto, finché la morsa al petto non mi toglie il respiro. Lo accartoccio nel pugno della mano per poi lasciarlo andare sulle onde.

Non mi servirà. Non più ormai perché conosco già la risposta.

Nicholas è andato, proprio come questo pezzo di carta che viene trascinato lontano dall'acqua per poi scomparire sui fondali.
Le lacrime scivolano rapide sul mio viso e la pioggia torna, si sfuma ad esse. La felpa si impregna di acqua ma non mi muovo.

Resto qui, nello stesso identico posto dove gli ho detto "Sei bellissimo" e lui ha risposto "Anche tu, tesoro. Anche tu".
Nessuno mi aveva mai chiamato così, non con quello sguardo che lui mi rivolgeva. Solo i miei genitori lo facevano.
Solo loro ci riuscivano.

Lui mi chiamava tesoro e non glielo sentirò dire mai più.

«Cazzo!» ringhio verso le onde dell'oceano. Urlo a squarciagola e la mia voce viene ovattata dalla forza con cui la pioggia picchietta intorno, il modo in cui diluvia a dirotto. «Cazzo!»
Ancora. E ancora una altra volta.
Le corde vocali mi bruciano, la gola mi fa male. Poi un solo urlo che raschia via il mio ultimo respiro. E mi piego in avanti abbracciandomi il corpo con forza.

È arrivata l'ora, Ronnie. Sputa fuori tutto quello che ti sei tenuta dentro per tutti questi lunghi mesi e poi... spegni tutto.
Spegni ogni grammo di dolore.

Mi alzo in piedi, tiro un profondo respiro e mi giro attraversando il pontile. In un modo molto pietoso, tant'è che l'autista del'Uber mi ha guardata anche male per avergli bagnato i sedili, arrivo nientemeno che davanti al suo appartamento.

Sotto la pioggia, il cappuccio fradicio tirato in testa e le mani nelle tasche do un'occhiata all'edificio.

Ignorando tutto quello che è successo, la chiamata al 911, i poliziotti , Tyler, torno dentro. Prendo l'ascensore, infilo la chiave e giro. L'appartamento è come l'ho lasciato. In fondo a sinistra c'è la cucina. La omelette è ancora lì, nel piatto. Il coltello, che ho stilato per poi abbandonare quando sono arrivati i poliziotti, invece è sul tavolo da pranzo.

Mi volto verso la stanza da letto, le do una lunga occhiata e mi ci addentro. Raggiungo lentamente l'armadio senza ante, guardo i diversi scaffali. Guardo le sue camicie. Ne afferro una e la fisso per svariati istanti, completamente assorta.

Mi sfilo via i vestiti bagnati, li metto dentro la lavatrice e nel mentre indosso una sua camicia. Vado in cucina e dal mobile a forma intera dove ci sono alcune cose, tra le più disparate, tiro fuori un cartone.
Lo apro, prendo il nastro adesivo e torno in stanza da letto.

Senza più versare nessun'altra lacrima afferro i suoi vestiti, le sue bellissime camicie, e metto tutto dentro con la massima cura. Lui l'avrebbe fatto.
Prendo un'altra scatola e continuo. Pian piano gli scaffali si svuotano e più succede più sento il mio petto diventare leggero e fare lo stesso come questo armadio.

Tiro il nastro adesivo. Chiudo le due scatole. Ne afferro altre due e ci metto dentro alcuni dei suoi oggetti.
Libri, occhiali da sole, cravatte. Le sue scarpe. Raccolgo ogni cosa, anche i suoi biscotti preferiti ancora confezionati.

Non appena finisco, guardo le scatole e per un istante vedo quelle a casa in Texas quando sono andata per le feste natalizie e ho trovato tutto impacchettato.

Sospiro. Vado in bagno e mi rimetto i vestiti asciugati rendendomi conto che è rimasta una camicia fuori dalle scatole, quella che io ho indossato, non sapendo che farmene la metto sopra una di esse piegandola perfettamente su se stessa. Alla fine esco fuori dall'appartamento.

Lo sguardo mi sfugge in lontananza, dall'altro ciglio della strada. Con l'ombrello aperto guardo quel punto esatto.
Chiunque ci sia sotto quel cappuccio adesso non è qui. Forse le due pattuglie della polizia l'avranno spaventato.

Ma io lo attenderò questa volta e non chiamerò più gli sbirri.
Lo intrappolerò tra le mura della casa che ha violato e gli taglierò le dita per essersi permesso non solo di entrare nell'appartamento di Nicholas, ma soprattutto di aver toccato la sua cucina.

Nessuno tocca la sua cazzo di cucina, men che meno uno svitato di merda che pensa di farla franca.

Io lo aspetterò. Lo beccherò. E sarà mio. A terra come un cane in gabbia, lui implorerà pietà e io non gliela concederò.

***

Angolo autrice

Beh *cof cof* tanta roba ahaha

Che dire.
Logan mi fa tenerezza. È tornato a starmi simpatico. Bravo cucciolo. ❣️🧚

Ronnie, invece, mi sa che ha sbloccato un nuovo livello di psicopatia 👀 e son cazzi amari.

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