37 | Buongiorno

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CAPITOLO 37
Buongiorno

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Mi sveglio col profumo di caffè a inebriarmi le narici, il rumore di una porta che si apre per poi chiudersi e i raggi del sole che illuminano la stanza da letto e mi sfiorano le palpebre chiuse.

Mugugno qualcosa, tiro la coperta e mi copro il viso nel tentativo di dormire almeno per altri dieci minuti. Alla fine sospiro e abbandono la missione, perciò schiudo gli occhi, li strizzo e ne stropiccio uno con le dita.
Lo sguardo si posa sulla poltrona accanto alla vetrata che dà sulla costa. Il sole di inizio luglio è ormai alto. Le tende grigie sono un po' tirate, una striscia di luce si protende sull'intero della camera e picchietta il letto, illuminandolo le lenzuola bianche e il mio viso.

Di fianco alla poltroncina c'è il tavolino in vetro e al posto della piantina grassa che ho lasciato morire trovo un nuovo vaso con una pianta di una ventina di centimetri di altezza con foglie larghe e di un verde che quasi mi acceca. Accanto ad essa un libro aperto, sul comodino invece la Glock 17.

Corruccio le sopracciglia, mi stiracchio e alla fine scendo dal letto passando davanti la libreria che trovo con tutti i libri e i vari oggetti decorativi al proprio posto.
Giro la testa a sinistra. Lo specchio a figura intera accanto all'armadio riflette la mia immagine.

Camicia bianca addosso che mi arriva a una decina di centimetri sotto il sedere, la fasciatura bianca intorno la coscia, un paio di lividi sulle gambe, altri su mani e braccia scoperte dalle maniche arrotolate.
I capelli sono scompigliati, un livido mi dipinge lo spazio sotto la palpebra inferiore e il sopracciglia è spaccato, come il labbro inferiore. Il setto nasale, invece, ha uno taglio in orizzontale che istintivamente tocco e forse non avrei dovuto perché mi scappa un flebile gemito di dolore che fermo tra i denti.

Do un'occhiata alla porta socchiusa, la apro un po' di più ed esco in soggiorno che trovo... pulito.
Mi guardo in giro con aria smarrita.

Il vetro e le tracce di sangue sono sparite, il pavimento è tirato a lucido. Una tenda manca da una finestra. La porta del bagno si apre, delle spalle fasciate da una camicia bianca mi passa accanto a una decina di metri e raggiunge la cucina.

Prende una tazza, versa il caffè, aggiunge un goccio di latte e poi ci butta dentro due zollette di zucchero, mescolando con un cucchiaino.

Stordita, il mio cuore ha un forte tremore. Mi sembra di rivivere una sorta di irruento déjà-vu: la prima volta che mi sono svegliata qui dentro.

Lui si volta alla fine, mi vede e non appena i miei occhi incontrano i suoi, gli guardo il viso e so che non è un déjà-vu, ma la realtà.
Nicholas mi rivolge un piccolo sorriso e mi fa segno di accomodarmi al tavolo da pranzo a cui manca una delle sedie.

Mi avvicino in silenzio.
«Buongiorno» dice porgendomi la tazza per poi posare un bacio sulle mie labbra. Guardo il caffè, ne bevo un sorso e alzo gli occhi corrucciando le sopracciglia.

«Buongiorno... Perché c'è una pistola sul comodino?» chiedo indicando con un pollice la stanza da letto alle mie spalle.

«È la tua pistola» risponde con aria tranquilla.

«Giusto» annuisco, confusa e assonnata, e mi siedo al tavolo.
Mi devo ancora svegliare.

Nicholas si allontana per alcuni istanti e ritorna con una tazza, una mela e un coltello. Lo guardo assopita mentre si accomoda, accavalla le gambe fasciate dai suoi pantaloni eleganti beige, prende un tovagliolo e ci taglia sopra la mela a spicchi. Li pulisce dai semi, ne addenta uno mentre l'altra metà la allunga verso la mia bocca che apro come in un meccanismo automatico.

Lui sorride lievemente masticando per poi bere un sorso del suo caffè. Faccio altrettanto mentre gli occhi finiscono sulle piante nel soggiorno. Verdi.
«Quelle non c'erano prima» gliele indico con un dito.

«Lo so.»

«E non c'erano mele qui dentro» dico ancora. «E né il latte.»

«So anche questo» aggiunge.

Aggrotto la fronte. «Che ore sono?»
Nicholas dà un'occhiata all'orologio digitale col cinturino in pelle nera che ha al polso.
«Le undici e tre minuti.»

Molto preciso.

«Hai fatto compere?» alzo le sopracciglia stupita.
«Mhm, mhm» mugugna sorseggiando il caffè.
«A che ora ti sei svegliato?»
Lui ci pensa frettolosamente su. «Cinque e mezza.»

Chiaramente non ha perso le sue vecchie abitudini.

«Hai pulito tu?»
Sorride. «Certo.»
Abbozzo un sorriso a mia volta e poggio il braccio sul tavolo, schiacciando la guancia sopra mentre i miei occhi lo guardano e ci si innamorano di lui gradualmente.

«Dormito bene?» chiede poi lanciandomi un'occhiata che mi fa battere il cuore tutto d'un tratto troppo forte.
Dopo che ci siamo dati la buonanotte, non è passato molto prima che le nostre labbra si incontrassero nuovamente, si sono divorate non avendone mai abbastanza e poi lui è scivolato tra le mie cosce, ha percorso le mie pieghe affondando dentro di me per poi capovolgere i ruoli. Mi sono trovata così a muovermi su di lui e fissarlo dall'alto, ammirando le smorfie di piacere sul suo viso, la sua bocca socchiusa, beandomi delle sue mani sui miei fianchi che mi spingevano ancora di più contro il suo corpo strappandomi gemiti continui e strozzati.

«Molto» rispondo tirando su gli angoli della bocca. Chiudo gli occhi e nascondo il viso nell'incavo del gomito per pararmi un po' dalla luce.
La sua mano ben presto la sento vicina. Mi sposta un paio di ciocche dei capelli e me li accarezza dolcemente.
Sorrido e schiudo un occhio dandogli un'occhiata. L'azzurro delle sue iridi mi trapassa le viscere, rimescolandole con prepotenza.

«A quest'ora sarei dovuta essere all'università» mormoro con un lieve sospiro.
«Recuperi domani. Ce la puoi fare» dice. Muovo un po' il viso e con la testa sul tavolo rimango semplicemente ad ammirarlo. Lui mi restituisce lo sguardo e mi sento sciogliere e diventare poltiglia.

«Sei bellissimo» confesso con aria assorta. Nicholas ride lievemente e si passa la lingua sul labbro inferiore.
«Anche tu, tesoro» dice portandomi alcune ciocche di capelli dietro l'orecchio. China la schiena.
«Mangia, così prendi l'antidolorifico» sussurra e poggia un bacio sulla mia tempia. Alzo la mano sinistra, afferro la sua e la porto sulla mia guancia chiudendo gli occhi. Lo voglio sentire accanto a me, il calore del suo corpo a contatto col mio. Mi serve. Dannatamente tanto.

Stento ancora a credere che tutto questo sia vero. Che lui sia qui. Che la sua mano sia sul mio viso, che tutto quello che abbiamo fatto la scorsa notte fino a quasi le tre di mattino sia successo per davvero.

Le sue dita si muovono, con movimenti dolci e lenti mi accarezzano il viso, il pollice scende sul mio labbro inferiore e ad occhi ancora chiusi schiudo la bocca un po' quanto basta per morderlo.

Lo sento ridere e io mi ci aggrego in modo malefico. Apro un po' gli occhi scoccandogli uno sguardo e intercetto il suo che mi brucia i capillari delle guance tanto è intenso, di un magnetismo disumano. Con la cicatrice e il piccolo livido sopra l'occhio destro, lo stesso imbrattato di quella piccola chiazza marrone, lui è di una bellezza fuori da ogni canone prestabilito. È felina, primordiale. Era bello anche prima, forse adesso crede che gli manca qualcosa date le sue cicatrici, ma esse raccontano solo una storia, la sua. Non c'è nient'altro e vorrei mollargli un pugno solo per aver pensato che a me non sarebbe piaciuto il suo nuovo aspetto fisico. Sì, tra noi è iniziata perché l'uno era attratto dall'altra fisicamente. Ma io me lo ricordo bene il nostro primo incontro. Abbiamo parlato e parlare con lui mi aveva fatto dimenticare di Logan seduto al tavolo accanto al Pink Ocean con Kim, Nath, Duncan e Meredith.
Il suo modo di atteggiarsi: sicuro e determinato, senza mezze illusioni, solo feroce onestà, mi ha rapita e mi ci è voluto molto per capirlo e accettarlo. Accettare che lui mi piaceva in ogni modo possibile.

Il suo dito è ancora tra i miei denti e Nicholas non sembra affatto intenzionato a levarlo, anzi mi afferra per il mento e lo spinge di più dentro la mia bocca, struscia sulle mie labbra e finisce sulla lingua.
Il battito cardiaco aumenta e il mio respiro si fa pesante quando una scarica elettrica mi trafigge l'interno coscia sferzando come una folata di vento la mia intimità, infilandosi tra le grandi labbra e provocandomi un sussulto tra le carni morbide che adorano accoglierlo e farsi scoprire fino a fondo solo da lui che vuole essere una persona comune, quando non c'è niente di comune in lui. Rompe ogni schema, ogni barriera, lui sfonda il normale equilibrio delle cose. È come me. Noi due insieme trasformiamo le cose banali in una continua ricerca di noi stessi, ci scopriamo a vicenda e con ogni dettaglio che viene a galla ci rendiamo conto quanto le nostre anime siano simili.

«Mi hai fatto qualcosa che non riesco a capire...» confessa tutto d'un tratto con aria assorta. La voce gli esce più bassa del solito, rauca a momenti, sembra che le corde vocali gli si siano incrinate.
Mi limito solo a fissarlo in silenzio e succhio il suo dito, roteo la lingua intorno a mo' di provocazione. I suoi occhi brillano d'improvviso di qualcosa che gli ho visto diverse volte.

Si dimentica della colazione, del suo caffè e della mela che avrebbe voluto mangiare. Lo spicchio gli è rimasto nella mano fasciata dalla garza e non giunge più alla sua bocca, bloccato a mezz'aria questo ritorna sul tavolo e la mano scatta sulla mia sedia e la tira, il rumore raschia d'improvviso il silenzio dell'appartamento.

Rido istintivamente quando fa scivolare il dito fuori dalla mia bocca e, come se fossi una bambola di pezza, mi afferra e mi porta a cavalcioni sulle sue gambe. Le mie spiegate sfregano la mia intimità nuda contro rigonfiamento dei suoi pantaloni.
Allaccio le braccia dietro il suo collo, sul tessuto della sua camicia bianca che tanto mi è mancata in questi lunghissimi sei mesi, e lui ne infila sotto quella che vesto io. Mi sfiora la pelle e sale in su, percorrendo la mia spina dorsale.

Il suo viso cala nell'incavo del mio collo. Mi annusa, mi accarezza prima con le labbra e poi aggiunge la lingua. Brividi di solletico si mischiano a quelli del piacere e mi fanno pulsare l'intimità tante di quelle volte che ho quasi l'impressione di avere un orgasmo.

Chiudo gli occhi quando l'altra mano si infila tra di noi, scende, sposta la mia camicia. Le dita trovano la mia carne febbricitante, indice e medio accarezzano le mie pieghe. Mi abbandono subito, immediatamente, di getto al suo tocco talmente bollente.
La mia eccitazione presto gli macchia i polpastrelli ed è allora che, tra la sua bocca che mi divora e la mano ad afferrarmi da dietro il collo, mi penetra con due dita, le spinge a fondo. Ansimo.

Ma sua lingua raggiunge il mio orecchio, me lo stuzzica a dovere, il prodotto del mio piacere si accumula sulle sue dita che affondano sempre di più e più velocemente dentro me. I miei succhi si raccolgono ben presto nel suo palmo. Gemo ad ogni affondo e mi reggo alle sue spalle, muovendomi in sincronia alle sue dita.

«Slacciami la cintura.»
Il suo sussurro caldo mi sbatte contro l'orecchio e crea una miriade brividi lungo le mie braccia, le stesse che abbasso. Trafugo rapidamente, con le mani che mi tremano intanto che lui non smette affatto di affondare le dita.
La mia bocca scivola sul suo collo, il mio naso glielo sfiora mentre mi lamento di piacere e nel frattempo slaccio la cintura, faccio saltare il bottone e tiro giù la zip.

«Prendilo... ti voglio sentire» mormora.
Oni particella di carne mi vibra. Le dita si infilano nei suoi boxer e rimango estasiata quando lo sento. È talmente duro e rovente da mozzarmi il fiato. Deglutisco.
Lo trascino sull'apertura tra le mie cosce, bagnata, e Nicholas sfila come di conseguenza via le dita.

Allontano il viso quanto serve per guardarlo negli occhi e vedere l'azzurro mutare non appena scivola dentro di me e ansima a qualche centimetro dal mio viso. Sento gli occhi pizzicare, un lamento di goduria mi scappa quando tocca il fondo. Il mio fiato di spezza. Una lacrima sfugge, mi brucia la guancia. Le pupille sono incatenate alle sue che mi sta guardando e sta osservando quello che mi sta facendo.

Avvicina il viso, caccia fuori la lingua e mi lecca l'angolo della bocca dove la lacrima si è bloccata per poi afferrarmi per le natiche, alzarmi un po' e spingermi a tutta forza su di lui e riaffonda con irruenza.

«Oh, Dio...» la voce mi si incrina. La mia intimità pulsa e geme di piacere.

«Cazzo» mormoro tra i denti quando lo rifà di nuovo e di nuovo, ma non gli basta. Si alza con me in braccio, mi schiaccia sul tavolo e sposta frettolosamente il caffè e la mela via. La mia schiena si stende sul legno, mi prende e mi trascina meglio a sé, spalancando le mie gambe e piegandomi le ginocchia.

Mi afferro allo spigolo del tavolo, le altre dita si conficcano nel suo avambraccio quando mi ficca una mano in gola per tenermi ferma mentre mi scopa così forte che il tavolo trema e scivola a piccoli scatti sul pavimento.
La presa che ha sul mio fianco si rafforza, le mie gambe sudano nel tepore dell'adrenalina che mi manda in escandescenza il corpo e mi annebbia il cervello.
Nell'appartamento risuonano i miei gemiti, i lamenti e gli ansimi che gli escono dalle labbra, fottutamente divini.

«Oh, dio...» piango con la voce strozzata in una smorfia di piacere. Lui mi guarda, osserva, divora. La sua mano intorno alla mia gola mi tira con un movimento secco in alto, incurvando la mia schiena. Allaccio una mano dietro al suo collo.
«Dio..» mugugno asfissiata, senza aria. I polmoni mi bruciano, arranco aria a fatica.
«O-oh... oh, Dio, Nicholas...»

La sua mano abbandono il mio fianco. Mi afferra da sotto il ginocchio, l'altra finisce sulla mia nuca e mi spinge contro la sua bocca, mescolando i nostri gemiti mentre cerchiamo inutilmente di respirare ma ci cibiamo sono dei nostri sospiri mozzati.

«D-dio mio...» mi scappa tra un bacio e l'altro, tra un morso, il mio labbro che lo tira tra i denti e il dolore che amplifica il mio piacere che scivola, attraversa l'interno delle natiche.
«Sono il tuo Dio?» mormora divertito con una voce talmente bassa, incrinata e profonda da martellare il mio petto come non mai.

«S-sì... Oh... sì» rido a fatica intanto che affonda ancora con una velocità che mi strugge. Mi bacia violento, spinge il mio collo a sé, la mia testa lo segue e la sua bocca mi divora vorace. Rallenta le spinte, le addolcisce mentre si gusta il sapore delle mie labbra e accarezza, rincorre la mia lingua, mi tira un labbro tra i denti, il sapore metallico di sangue si mischia alla saliva e al gusto di caffè e mela.
Poi scende, mi solleva il mento, me lo lecca con forza, succhia la pelle tanto forte che gemo di dolore e piacere, e affonda tutto d'un tratto tra le mie gambe con un movimento secco tanto da mozzarmi il fiato. Lo rifà, ancora e ancora, e riprende a muoversi rapidamente, fino a farmi mancare il respiro.
Vengo pochi secondi dopo. Un urlo misto gutturale mi manda in escandescenza le corde vocali tanto è violento. Sguscia via dalle labbra finendo nella sua bocca che ripone sulla mia.
«Cazzo» biascico tra il sudore e la scarica elettrica che mi invade ogni particella del corpo. La mia intimità si irrigidisce intorno al suo membro che accoglie il mio orgasmo e lo allunga, sferzando le mie pareti interne, penetrandomi con rapidi affondi fino a farmi male.

La sua mano improvvisamente stringe la mia nuca conficcando le dita come succede nella mia coscia e un ringhio gli vibra in gola e sprofonda direttamente nella mia mentre regge le nostre bocche incollate.
Ancora due spinte e rallenta finché non si ferma.

Addolorata, con i spasmi muscolari e sudata, rimango ammutolita e scivolo via dalla sua bocca nascondendo il viso contro il suo petto. Ho la gola secca e il lembo di una camicia è bagnato. Credo che una delle due tazze di caffè si sia rovesciata sul tavolo.

Nicholas avvolge le braccia intorno a me, mi stringe al suo petto che sento alzarsi e abbassarsi rumorosamente mentre il battito del suo cuore rieccheggia nel mio orecchio.

Una breve risata invade il silenzio che è calato nell'appartamento. È la sua ed è meravigliosa.
«Abbiamo spaccato una tazza» dice con aria affaticata. Rido debolmente.
«Non l'ho sentito.»
«Nemmeno io» se la ride come un imbecille e mi bacia i capelli scompigliati.
«È la mia?» chiedo.
«Sì.»

Sospiro. Avrò bevuto al massimo due sorsi.

«Te ne preparo un'altra» lo sento dire e sguscia via dalle mie grandi labbra che pulsano con violenza quando lo sentono muoversi anche se per poco. Si rimette a posto con una mano e la stessa scende tra le mie pieghe e ansimo inevitabilmente. Mi accarezza, le dita scivolano sul prodotto del nostro piacere, lo raccolgono e lo portano sul mio clitoride.

Fa dei morbidi movimenti circolari con due polpastrelli mentre mi stringo a lui ad occhi chiusi.
«Il caffè» gli ricordo tra un ansimo e l'altro.
«Mhm, mhm... arriva.»
Sorrido.
«C-che stai facendo?» chiedo muovendomi lievemente quando sento una fiamma riaccendersi proprio lì dove è già stata consumata poco fa.
«Ti do un extra» sussurra.
«Oh...» gemo inevitabilmente non appena aumenta la velocità dei movimenti. Mi lamento di piacere, ancora di più quando continua reggendo lo stesso ritmo e in poco tempo mi stringo a lui, conficcando le unghie nella sua schiena. Un'altra scarica elettrica mi pervade e mi scuote. Le mani mi scendono sul suo fondoschiena. Lo attiro a me, tra le mie gambe consapevole che non lo sentirò di nuovo, non adesso perlomeno, non così presto.

«Shh...» fa divertito quando l'orgasmo mi strappa un lamento strozzato che soffoco contro il suo petto, dove mi ci si schiaccia dopo aver sfilato le dita via dal mio clitoride.
«Nemmeno stanotte hai fatto così tanto rumore» osserva d'un tratto ridacchiando. Gli mollo un pizzicotto dietro alla coscia come di conseguenza.
«'Sta zitto» ordino.

«Ti ho scopata bene?» chiede curioso.
Le mie guance vanno a fuoco e il battito rimbalza contro la cassa toracica.

«Mhm, mhm

«Meglio di stanotte?»

Mugugno di nuovo .

«Sono stato un po' fuori forma, dopo che... sai, mi hai infilzato e rotto il cervello.»

Scoppio a ridere contro il suo petto. Mi mordo un labbro e alzo il mento, guardandolo.
«Ti ho già chiesto scusa. Cos'altro vuoi?» chiedo piccata.

Lui, quei suoi occhi azzurri, mi ci scava fin dentro l'anima.
Ci pensa su. «Un appuntamento» risponde con un'aria talmente ingenua e innocente che mi lascia senza parole.
«E guidi tu, mi apri la portiera e mi tiri la sedia. Voglio essere portato in un bel posto come la scorsa volta...»

Alzo le sopracciglia.
«Vuoi essere la mia principessa?» rido prendendolo in giro.

«Sì» sorride con una tale sfumatura di imbarazzo che mi scioglie i neuroni e mi crea un terremoto dentro al cuore con un magnitudo troppo alto, pericoloso per essere ben definito.

«La mia piccola principessa...» cantileno e torno contro il suo petto cacciando una mezza risatina per l'assurda descrizione. Lui, un uomo di probabilmente novanta chili o anche di più, tutto muscoli, con delle spalle mostruose e dei bicipiti il triplo dei miei, che mi ha sollevato in una sola mano quando ci siamo picchiati a vicenda... e che vuole essere trattato come una principessa...

Il profumo che si spruzzava sempre e aveva lasciato qui, nell'appartamento, mi si infila nel naso con forza e nonostante gli odori forti mi diano la nausea il suo non lo fa, non è mai successo, mi è solo mancato da togliere il fiato.
Il suo modo di vestirsi, le sue camicie, svegliarmi col profumo di caffè e sentire i suoi buongiorno che nella sua bocca suonano davvero troppo bene.

«Ora mi dovresti lasciar andare» sussurra, ed io al contrario lo stringo di più a me facendolo ridere.
Stacco il viso dalla sta camicia e gli do un'occhiata.

«Che farai ora?» domando sinceramente preoccupata. Prima che partisse lavorava nella Polizia. In Australia ha provato a fare lo chef ma non gli è piaciuto granché, quindi ora che è tornato... cosa vuole fare con la sua vita?
«Forse tornerò a spaventare i ragazzini che fumano gli spinelli nei parco giochi» risponde con aria assorta mentre mi rimette a posto alcune ciocche di capelli.

Istintivamente mi ricordo di quella sparatoria, la stessa che gli ha fatto credere di essere pronto per tornare in campo d'azione in Medio Oriente.
«Non andrò più da nessuna parte.»
Dice d'un tratto quasi leggendomi nel pensiero. Tiro un profondo respiro e stacco le mani da dietro la sua schiena.
Le alzo al mio collo, slaccio il ciondolo di mia madre e senza dire niente lo rimetto intorno al suo.

«Non te lo togliere mai più» ordino. Nicholas abbozza un piccolo sorriso e annuisce. Rimango a guardarlo. I suoi occhi, la sua cicatrice e perfino alcune più piccole che ieri sera senza la luce naturale non si scorgevano.

Non sembra il taglio di una lama, ma di altro, e quello che ha accanto la mascella sembrano segni di alcuni frammenti che l'hanno colpito graffiandogli il viso.
Vorrei sapere. Chiedergli "Cosa ti è successo?" ma sento che è troppo presto, perfino per il suo gran piacere di parlare e raccontarmi le sue cose, avventure o disgrazie che siano.

Le pupille scivolano poi in basso a sinistra, sul suo collo, là dove il fuoco di chissà cosa l'ha rovinato. Forse un ordigno esplosivo oppure un incendio.

«Avevi detto di non essere un poliziotto...» dico sovrappensiero. La nostra lite, quella in cui l'ho quasi mollato per la faccenda dell'Iraq a casa di Ethan mi torna in mente.
«Sono ben lontano dall'essere un emblema per la giustizia.»
«A te piace fare quello» caccio un sospiro.
«La mia vita in Medio Oriente è finita. Ho chiuso» dice alzandomi delicatamente il viso e piantando i suoi occhi nei miei.
«Ma ti piaceva.»
Nicholas resta in silenzio, perché è vero. È vero, quindi non dice niente perché se dicesse il contrario direbbe una bugia e lui non dice bugie. Si è arruolato per trovare degli amici, crearsi una nuova famiglia, ma poi è diventato bravo e ha iniziato a piacergli andare lì a fare il soldato.

«Non puoi tornare a fare il poliziotto sapendo che non ti renderà mai felice.»

Lui mi attira a sé, poggiando le sue labbra sulla mia fronte e resta così. È abbattuto. La missione in Iraq è andata male, lui è rimasto bruciato in tutti i sensi, chissà cosa gli è capitato laggiù, ma non ha mai pensato di fare il poliziotto, era solo un opzione per occupare il suo tempo qui a San Francisco. Mi ha raccontato più di una volta come lo trattano alla centrale, il modo in cui perfino i suoi colleghi si comportano con diffidenza conoscendo bene di chi lui sia figlio.

Benedict gli ha rovinato la reputazione ancor prima che potesse iniziare la sua vita, ed è stata anche la motivazione per cui Maeve l'ha lasciato. Non che mi importi di quella soldatessa, ma lei ha spezzato il cuore a Nicholas... e sebbene sia una cosa brutta, se non fosse accaduto non avrei mai incontrato lui. Probabilmente sarebbe stato già sposato e dato il suo desiderio di sistemarsi e mettere su famiglia, a quest'ora avrebbe già un figlio.

«Nick» lo richiamo ad un tratto.
«Mhm
Mi stacco lievemente per guardarlo in viso.
«E se facessi il tuo lavoro qui?»
Lui corruccia la sopracciglia probabilmente confuso. Lo sarei anche io.
«Sei andato lì perché ti piace essere un soldato... e se provassi ad esserlo qui? A San Francisco o... dintorni.»
Nicholas resta in silenzio, quindi mi spiego rapidamente
«Le forze speciali.»

I suoi occhi azzurri si illuminano di scatto. Pare stupito dalla opzione che evidentemente non ha mai considerato.
«Loro non vanno in giro a fare multe per eccesso di velocità o che ne so... spaventare i ragazzi ai parco giochi perché fumano gli spinelli. Quando è successa quella piccola sparatoria, tu...» mi fermo per un istante accarezzandogli il viso. «Eri felice per esser potuto intervenire» sorrido debolmente.

«Io... non so, non ci ho mai pensato...» mormora abbassando lo sguardo.

«Tu qui» poggio una mano sul suo cuore, «sei un soldato. Non puoi fare il poliziotto, non se questo significa accontentarti... Lo chef non vuoi farlo, forse perché quello che fai è una cosa tua, la vuoi tenere per te. Ma a te piace intervenire, salvare la situazione all'ultimo secondo, fare gioco di squadra, avere una squadra.»

Nicholas alza gli occhi, si passa la lingua sul labbro afferrandolo tra i denti.
«Sono certa che faresti un figurone con una di quelle divise nere addosso... il passamontagna...» scherzo con un sorriso che lo contagia, tanto che abbassa il viso per un istante in imbarazzo.
«Saresti qui, a qualche chilometro da me e faresti il lavoro che ti piace, avresti degli amici, gente con i tuoi stessi interessi, che ti capisce e fa quello che fai tu con amore e dedizione. Le forze speciali reclutano principalmente gente come te, con già esperienze alle spalle, e la tua squadra non si permetterebbe mai di giudicarti, ti tratterà solo per le tue azioni e il valore che dimostrerai. Non importerà chi è tuo padre, qual è il tuo cognome, importerà solo che sei bravo. Tu sei il Maggiore Reed, cazzo! Hai un grado che molti si sognerebbero, non tutti lo raggiungono, non a questa età perlomeno. Fanculo la Polizia, prendi un fucile e fai il culo agli stronzi che stanno qui.»

Lui mi guarda per alcuni lunghi istanti finché non si avvicina e poggia le labbra sulle mie.
«È un sì?» chiedo curiosa col battito del cuore che prende la rincorsa. Da quando in poi io do consigli di vita agli altri? Soprattutto a uno come Nicholas? Per qualche frangente rimango stupita da me stessa.

Nicholas intanto annuisce con tenue sorriso e mi abbraccia a lui talmente forte da togliermi il fiato. Probabilmente il mio discorso non se lo aspettava, ma dovevo dirgli quelle parole. Voglio che sia felice e a lui serve una squadra, dei veri compagni di squadra, gli serve sentirsi nel suo habit naturale e la SWAT è una buona opzione.

«Lo rifai?» chiedo d'un tratto. Lui mi dà un'occhiata.
«Sollevarmi in una sola mano» dico tutto d'un elettrizzata.
«Cosa?» ride.
Annuisco. Quindi scendo dal tavolo e mi piazzo davanti a lui.
«Dai, fallo. È stato bello, cioè... ignorando la parte quando mi hai spaccato la faccia, però mi è piaciuto. Hai fatto tipo...» mimo un movimento di braccio facendolo ridere talmente che si copre il viso con la mano, la stessa che afferro.
«Dai, rifallo» lo stringo per il polso, incatenando le nostre mani in un morsa stretta e fissandole noto anche la non indifferente differenza di grandezza tra i nostri corpi.

«Adesso?» chiede con una smorfia divertita.

«Sì, dai. Fall-»

Senza darmi tempo per reagire, spinge le nostre mani contro il mio petto, cado all'indietro e caccio una imprecazione quando perdo l'equilibrio per poi sbarrare gli occhi non appena vengo bloccata a mezz'aria. Scoppio a ridere come una completa deficiente.
Lui tende la mano un po' verso il basso finché non avvinghio le gambe intorno il suo braccio.
Poggia la mano fasciata sul tavolo e mi solleva una volta, cercando disperatamente di non ridere ma fallisce in men che non si dica.
«Io ti amo, ma tu sei matta» commenta.

Dal basso lo guardo mentre mi usa letteralmente come un peso da palestra, mi abbassa e mi alza un altro paio di volte finché con un movimento fluido non mi fa finire tra le sue braccia e si mette di spalle contro il tavolo. Poggio la testa contro il suo petto mentre mi culla in un modo così buffo da farmi ridacchiare.
Alzo il viso verso il suo con un sorriso spiaccicato in viso. Nicholas mi guarda e mi fotte il cervello più di quanto non abbia fatto prima su questo tavolo accanto a noi.

«Kieran ha scoperto che fossi qui?» chiede improvvisamente. «Come?»

Dopo ieri sera non ne abbiamo più parlato, siamo stati troppo occupati a recuperare il tempo perso insieme e lo abbiamo fatto più di una volta tra le coperte del letto.

«Non ne ho idea» rispondo. «Sai che tuo fratello va ai rave party in mezzo al nulla dove fanno le corse d'auto clandestine?» ridacchio tutto d'un tratto.
Nicholas fa una smorfia divertita e tira un sospiro.
«E ti ho mentito» dico d'un tratto non appena me ne rendo conto. «Cioè no, l'ho solo rimosso dalla testa perché non era importante... ma mi hanno baciata tre persone...» corruccio le sopracciglia con una smorfia al solo pensiero. Dovrebbero davvero smetterla di ficcarmi la lingua in bocca a sorpresa altrimenti inizierò a portarmi lo spray al peperoncino dietro solo per gustarmi loro che si lamentano per il bruciore.

Nicholas alza le sopracciglia ridendo a malapena. Sì, credo stia pensando alla mia stessa cosa, ovvero che la mia vita sembra una perenne puntata di una sitcom a basso budget.
«Una ragazza del rave vestita in latex rosso. Mi ha offerto una birra e poi mi ha stampato un bacio ed è andata via...» gesticolo con una mano.
Nick alza gli angoli della bocca in un modo talmente equivoco che lo guardo male.
«E l'altra persona? Sempre una donna?» chiede divertito.
«Oh, uhm... sì, beh... non dare di matto, okay?» parto prima che possa succedere qualcosa che non dovrebbe, perché la situazione l'ho già risolta io, diverse, tante settimane fa. Solo che voglio essere sincera. Funziona così tra noi, ci siamo sempre detto tutto senza filtri.
«Tuo fratello» sputo in un solo respiro.

Nicholas mi fissa in silenzio, corruccia lievemente le sopracciglia e il suo viso cambia di trecentosessanta gradi. Ogni sfumatura di divertimento sparisce.

«Cos'ha fatto?» chiede con una voce talmente bassa e gelida che quasi non rabbrividisco.
«N-non... non è un problema, cioè è stato un problema, ma il bacio fra tutte le altre cose che ha fatto non è stato nemmeno la peggior-»

«Quali altre cose?» mi interrompe affilando lo sguardo.
Spalanco un po' gli occhi.
Oh, cazzo... Ronnie, parli troppo.

Sto in silenzio e se pensavo che fosse la mossa corretta, per Nick non pare affatto la più intelligente perché mi poggia sul tavolo e va diritto spedito al mobiletto accanto la stanza da letto dove ci sono le chiavi della sua auto.
«Nicholas...» lo chiamo e sospiro. «Nick, dove vuoi andare adesso?»
Scendo dal tavolo e gli vado incontro a passo svelto per prendergli le chiavi, ma lui le stringe nel pugno della mano.

«Cos'altro ha fatto Kieran?» chiede con i lineamenti di colpo induriti. Non rispondo e questo sembra incazzarlo di getto.

«Va bene. Glielo chiederò di persona» conclude e si gira pronto per aprire la porta che io spingo e richiudo beccandomi uno sguardo da parte sua.
«Sta' fermo» gli ordino per niente in vena di rovinare la giornata solo perché suo fratello è un coglione.

Lui inclina lievemente la testa. «Cosa ha fatto Kieran?» chiede di nuovo.
Sospiro e mi gratto nervosamente la testa.
«Veronica, tu ora mi dici cosa ti ha fatto» pianta gli occhi nel miei senza battere ciglio.
Esito.
«Parla» ordina ancora.

Mi passo la lingua sulle labbra. Merda.

«Mi ha strozzata in piscina e anche dopo ma non è un problem-»
«Che cosa?» mi interrompe per la seconda volta, accigliato.
Mi poggio di conseguenza contro la porta d'ingresso per bloccarlo ed evitare che esca.
«Spostati» ordina ma non mi muovo di un millimetro.
«Veronica... Spostati subito altrimenti ti sposto io.»
«No» resto ferma. Piano, allungo una mano sulla maniglia, quindi sulla sua e cerco di staccargliela via.

«No, tu non vai da nessuna parte» dico reggendo il suo sguardo che pare essere uscito direttamente dalle viscere dell'inferno. L'avevo già visto così, quella volta che pioveva e mi sono intrufolata nell'appartamento trovando quel filmato registrato in Afghanistan e il suo atteggiamento mi ha fatto gelare il sangue nelle vene tanto è stato terrificante.
Nicholas sorride, annuisce e poi mi afferra d'improvviso e mi sposta dal suo tragitto proprio come aveva detto. Io, invece, mi rimetto proprio dov'ero.

«No» ripeto con gli occhi piantati nei suoi. Sta in silenzio per svariati istanti per poi ispirare profondamente. Quindi infilo le dita nell'altra mano e gli prendo le chiavi dell'auto.

«Ehi...» lo richiamo a me poggiando una mano sul suo viso. «Va tutto bene.»
«Gli avevo chiesto di aiutarti se ti fossi trovata in difficoltà...» mormora con sconforto. «Io... l'ho aiutato, gli sono stato affianco quando non aveva nessuno, mi sono permesso di chiedergli un solo favore e lui...» si ferma abbassando lo sguardo. «Mi dispiace, mi dispiace in un modo che non so nemmeno descrivere... Ho una famiglia terribile» conclude con un mezzo sorriso ricolmo di amarezza. «Ho un criminale come padre, ho un fratello che molesta la mia fidanzata, ho una madre che mi ha mollato in un collegio ed è andata in un altro continente a rifarsi la famiglia che tanto desiderava.... Kieran avrebbe dovuto solo darti una mano d'aiuto, gli ho chiesto solo una cosa, una sola volta-»

«L'ha fatto alla fine» confesso e resto stupita da me stessa nonostante disprezzi Kieran a morte. «È stato lui a dirmi del bungalow, a portarmici. Mi ha perfino fatto alloggiare in un hotel a cinque stelle...» caccio un tenue cenno di risata per sdrammatizzare un po'.

«Mi dispiace» ripete ancora e il mio cuore si scioglie. Gli accarezzo la guancia avvicinandomi al suo viso.

«Tu non puoi controllare tuo fratello. Non hai fatto niente e non c'entri niente. Uhm? Capito?» dico per poi posare un bacio sulle sue labbra.

«Almeno non hai incontrato mio padre...» sussurra con fare sollevato. Mi si gela di colpo il sangue nelle vene.
Benedict O'Brien e Marianne tornano a galla in uno schiocco di dita e mi infestano la testa così tanto che l'ansia e la mia paranoia si riaccendono nel mio petto.

«Già...» mormoro e lo tiro a me abbracciandolo. Sulle punte dei piedi, il mio naso nell'incavo del suo collo, ripenso a tutto quello che è successo in sua assenza.
Kieran mi ha specificamente detto che se Nick avesse scoperto quello che suo padre mi ha fatto, lui avrebbe raso al suo ogni cosa. Non so che significa, ma per la prima volta da quando lo conosco temo l'imprevedibilità di Nicholas.

L'ho visto ieri notte con Logan.
Il modo in cui gli ha riso in faccia e con un gesto secco gli ha mollato una testata. Non sembrava nemmeno ne avesse intenzione, è stato completamente inaspettato. Il modo in cui ha mascherato il suo fastidio con una calma apparente.
E ha reagito così solo perché Logan aveva osato fare una battuta un po' di cattivo gusto sulla nostra relazione.

Cosa farebbe quindi a suo padre se scoprisse che quell'uomo mi ha in pugno e potrebbe sbattermi in galera quando più vorrà?
Nicholas è tornato da poco, non è ancora il momento per parlargli di questo e non so nemmeno se ne avrò il coraggio. Forse dovrei dare ascolto a Kieran e la cosa mi fa anche ridere. Io che do ascolto a Kieran, sembra così surreale. Ma forse dovrei farlo e dovrei cercare di convincere Nicholas in un modo o nell'altro ad aprirmi quella cassetta portavalori in Svizzera.

Là dentro c'è qualcosa di enorme. Benedict la vuole ad ogni costo, tanto da aver sollevato il suo culo dalla sua poltrona in pelle (testuali parole di Kieran) ed essere venuto a farmi visita.
Lui crede che io non ci capisca un cazzo di documenti legali e quant'altro ed è vero, in economia sono una schiappa e i numeri mi rendono scema, ma so qualcosa a proposito di come affrontare un enorme pezzo di merda che crede di farla franca, vengo da una famiglia di poliziotti dopotutto.

Benedict crede che la mia ignoranza sia il suo punto di forza, ma per mia fortuna il suo carattere l'ha fatto odiare da entrambi i suoi figli e Kieran, per quanto sia un verme, capisce i fogli, i numeri e come gira il fottuto mondo di suo padre. Lui è dalla mia parte e Benedict non lo verrà mai a sapere perché non si aspetterebbe che proprio il minore dei suoi figli, drogato e alcolizzato, possa fregarlo alle spalle.

E se io avrò quello che c'è in quella cassetta portavalori, lo stesso contenuto che suo padre gli ha negato e che lui vuole così tanto, allora potrò mettere Benedict O'Brien al mio di guinzaglio.

Nicholas non dovrà venirlo a sapere, ne ha già passate tante e io voglio solo che lui riprenda in mano la sua vita da persona comune quale ha sempre voluto essere. Ha rinnegato la sua eredità, si è allontanato dalla sua famiglia e temo quello che potrebbe fare a Benedict e cosa lui, dopo, potrebbe fare ad entrambi, quindi a me e suo figlio... o forse solo a me.

Non mi dispiacerebbe essere protetta da Nick, dopotutto mi ci ha ficcato lui in questo casino e dovrebbe risolverlo, ma irrompere nell'ufficio di suo padre e urlargli contro non servirà a niente e questo di certo non farà in modo che lui poi tiri fuori quella cassetta portavalori. Per quanto ne so, Nicholas potrebbe benissimo dargli fuoco e se dovesse succedere io non avrò niente contro suo padre e lui potrà benissimo farmi sbattere il galera solo per gusto personale che per vendetta.

C'è una chiave da qualche parte fra le sue cose, devo solo capire in che posto l'ha messa. Devo andare in Svizzera. Devo mettere in salvo la mia libertà, la mia vita. Nicholas alla fine, se ci penso bene, non c'entra niente in tutto questo. Suo padre ha rotto il cazzo a me, ed è con me che se la dovrà vedere, la piccola ragazza di campagna di Wichita Falls.

Alla fine vado a farmi una doccia.
Dopo una decina di minuti, gocciolante, con un asciugamano intorno al corpo, esco nel soggiorno.
Silenzio.
«Nick?» lo chiamo ma non mi arriva alcuna risposta, quindi raggiungo la stanza da letto che trovo vuota.
Corruccio la sopracciglia, do un'occhiata al mobiletto accanto la porta dove ho rimesso le chiavi della sua auto ed esse non ci sono.

È andato da suo fratello.

Maledizione.

Ritorno rapidamente in camera da letto, mi avvicino al comodino e prendo il cellulare di fianco alla pistola.
Cerco "Figlio di puttana" tra i contatti, premo "chiama" e partono una serie di squilli.

«Stronza» mi saluta con un gelido divertimento. «Dove sei finita ieri sera? Non ti interessa più mio fratello? L'hai mollato come ha fatto Maev-»

«È andato da te» lo interrompo.

Kieran non replica più per un bel po' di secondi, forse il mio tono di voce è stato sufficiente per fargli capire che Nicholas non sta andando affatto a salutarlo. Dopotutto Kieran è sveglio, nonostante sia un verme.

«Gli hai detto che ti ho fatto qualche carezza?» ridacchia ma qualcosa nel suo timbro è diverso anche se prova a non darlo a vedere.

Tiro un sorrisetto per niente in vena di scherzare.
«Non dirgli niente della cassetta portavalori, lui non lo sa» ordino mentre trafugo nell'armadio alla ricerca di qualcosa da mettere. Fortunatamente ho ancora qualche cambio di vestiti dopo che ormai nelle ultime settimane sono rimasta a dormire qui più di quanto non l'abbia fatto al mio monolocale e a casa di Ethan.

«Interessante che tu non gli abbia parlato del mio caro papà... A quanto pare non sei una stupida ragazzina infondo.»

Serro i denti come di conseguenza ricacciando indietro l'impulso di mandarlo a farsi fottere da solo.
Metto il vivavoce, butto il cellulare sul letto e infilo un top aderente senza il bisogno di un reggiseno.
«Dove sei?» gli chiedo.
Kieran ride. «Siamo in confidenza adesso?»
«Dove sei?» ripeto.
Silenzio dall'altra parte.
«Tranquilla, ninja, mio fratello non mi troverà a casa. Sono un uomo d'affari io e in questo momento sto sorseggiando un buon bourbon nella hall di un hotel a cinque stelle a Monte Carlo. Se vuoi la prossima volta ti ci porto, ma prima ti butto via le tue pillole così mi diverto un po' a vederti vomitare addosso.»

Alzo gli occhi al cielo. Lo odio.

«Quando Nick torna da te, fagli qualche fusa, ubriacalo e fagli dire dove ha messo quella chiave. Se da sobrio mio fratello parla molto, non l'hai ancora visto da sbronzo...» ride come un perfetto imbecille e per quanto il suo consiglio sia viscido e immorale, la mia testa non lo scarta per niente.

«Come facevi a sapere che Nick fosse a San Francisco e non in un qualche altro posto in Australia?» chiedo davvero curiosa.

«Quando viaggi, incontri gente di ogni tipo e io mi sono ricordato di una bella ragazza di New York che oltre ad essere una belva a letto - faccio inevitabilmente una smorfia - sa trovarti anche un ago in un pagliaio. Ci andresti molto d'accordo, sai? Tra psicopatiche ci si intende... Quella ha qualche rotella fuori posto proprio con te.»

Lascio perdere la sua provocazione e riapro bocca.
«Tuo fratello ricorda le cose dopo che si ubriaca?» chiedo interessata. Se gli do da bere un po' di vino di troppo, magari posso chiedergli direttamente della chiave e se lui il giorno dopo ha una amnesia sarà un punto a mio favore.

Kieran ride sommessamente.
«Mhm... diabolica. Io stavo scherzando, ma... non so. L'ultima volta che l'ho visto ubriaco è stato anni fa al suo ventiduesimo compleanno. Quando si è svegliato non capiva nemmeno su che pianeta si trovasse, ma forse è perché ha sbattuto la testa e si è spaccato il cranio. Fai una prova e vedi come va. Se ricorda, la seconda volta mettigli qualche goccia di Valium nel vino o della droga, preferibilmente quella dello stupro.»

Rimango bloccata con i pantaloni tra le mani e la gamba alzata.
«Ma di che cazzo parli?» quasi sibilo.

«Fa rapidamente effetto, ti rimane poco in circolo a differenza delle altre, gli esami delle urine danno falsi negativi e poi... quella ti fotte davvero il cervello» ride in un modo talmente schifoso che mi dà sui nervi.

«Perché sai queste cose? Droghi le ragazze?» mi acciglio di scatto.

Kieran sospira rumorosamente.
«Come sei precipitosa... Le ragazze vengono da me di loro spontanea volontà, non mi serve drogarle per scoparmele. Ma mi hai visto? Sono bello, ricco e mangio caviale a colazione. Al massimo ci facciamo una striscia insieme prima di darci dentro.»

Mi astengo dal fare qualunque commento.

«Se vuoi quella roba, te la faccio avere gratis» aggiunge poi riferendosi alla droga. «In una circostanza diversa ti avrei chiesto un lavoretto di qualche tipo, ma mi fa abbastanza schifo essere toccato da qualcosa che ha già esaminato a fondo il pene di mio fratello. Sai, sono un uomo... ho un orgoglio.»

Mi chino sul letto. Vorrei tanto spiegargli la definizione di un vero uomo, cosa che lui non è, ma evito. A volte semplicemente bisogna tacere piuttosto che cercare di combattere con l'intelligenza l'arroganza delle persone.

«Goditi il tuo bourbon, stronzo» rispondo e riattacco non prima di sentirlo ridere divertito.
Non drogherò mai Nicholas.

***

Angolo autrice

Allora. Mi mancavano le scene erotiche ahahahah scusate. Cioè grazie Nick Stallone Purosangue per essere tornato. Le tue performance uff sì, ne volevo qualcuna perché sì.

Kieran rimane intanto un idiota e quando torna da Monte Carlo farebbe meglio a stare lontano da suo fratello.

Il punto è il seguente: non siamo a fine storia, so che mancano pochi capitoli ma in realtà... no. Cioè è più complicato di così. Tutta la questione inerente ai documenti che Benedict O'Brien vuole è più complicata di quanto non sembri.
E quello che Ronnie vuole avere per riprendersi il potere, non sarà per niente facile da gestire.

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