Capitolo II - Casualità

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Alma

Non ho ricordo di lui dall'età di undici anni e quando se n'è andato ero alquanto contenta. Era un piccolo teppista, di un solo anno più grande e non faceva altro che torturarmi.  

7 anni prima

Qualcuno bussa alla porta. Zia Edith urla il mio nome. «Ci sono Dax e Margi. Vai con loro a giocare?»
«Arrivo!» Urlo dal piano di sopra con tutta l'aria che ho nei polmoni.
Mi precipito di sotto pensando che questa volta non succederà come altre, non mi metterò a piangere perché Dax mi tratta male o perché fa battute squallide davanti agli altri bambini per mettermi in imbarazzo.
«Non allontanatevi troppo, state tra le due case.» Ci chiede gentilmente Edith riferendosi alla casa dei due bambini e alla nostra.

Ci incamminiamo verso il parchetto dietro casa loro dove ci sono altri bambini che giocano a pallacanestro. La palla continua a rimbalzare da un bimbo all'altro, mentre le urla sono così forti che rimbombano come se fossimo all'interno della palestra della scuola. Mi siedo su una panchina mentre Dax e Margot parlano con gli altri per giocare con loro. Mi piace stare in compagnia della mia migliore amica, mi piace uscire con lei, andare a casa sua a fare i compiti , guardare i cartoni animati, ma ogni volta che suo fratello è nei paraggi non fa altro che prendersi gioco di me. Spesso cerco di ignoralo, ma lui, ogni volta, non perde certo occasione per rendermi impossibile la vita.

Dax si avvicina poi alla panchina e prende la bottiglietta d'acqua e me la rovescia addosso. Il gesto arriva rapido che non riesco nemmeno a rendermi conto di cosa successo e perché sento ogni mio vestito bagnato. Alzo la testa, i capelli sono fradici, la maglia bianca scopre la fascia che mi sostiene i piccoli seni e i pantaloni sono bagnati solo in mezzo alle gambe che sembra che mi sia fatta la pipì addosso. Scoppio a piangere senza riuscire a trattenermi, me l'ero promessa di non finire così anche oggi, ma non era nemmeno iniziata che lui, quel bambino con gli occhi scuri come i capelli, mi aveva di nuovo umiliata. Tutti si girano verso di me e iniziano a ridere. Maggy si avvicina in modo gentile e anche un po' imbarazzato e mi lega la sua felpa intorno alla vita per coprire i pantaloncini bagnati.
«Sei proprio uno stronzo, Dax.» Gli rinfaccia sua sorella.
«Vedi come parli, mamma e papà non saranno contenti. »

Torniamo velocemente a casa mia, mentre Margot cerca di consolarmi e insulta il fratello, non certo come una bambina di dieci anni. Rimango zitta per tutto il tragitto verso casa perché anche questa volta, suo fratello aveva rovinato tutto. Non riesco a capire che cosa gli abbia fatto io per trattarmi così, solo me. Nessuna bambina si è mai lamentata di aver subito dispetti da Dax e spesso a scuola gli insegnanti tendono a non credermi quando mi lamento dei suoi comportamenti. Zia apre la porta e preoccupata ci chiede cosa sia successo. I miei occhi sono gonfi e rossi e si intonano perfettamente con i capelli.
Io e la mia amica cerchiamo di spiegare velocemente e senza perderci in dettagli il susseguirsi dei fatti. Margot si scusa con i miei zii per suo fratello, poi si volta a testa bassa e chiude la porta dietro di sé.

Corro in camera a cambiarmi e mi concentro su Edith e Michael che stanno parlando.
«Dobbiamo evitare che esca ancora con i figli dei Duval. È sempre e comunque una Malet, noi sai cosa potrebbero farle. Dobbiamo trovare un modo per separarli.»
«Edith, capisci che non possiamo farlo, ha solo dieci anni e come potremmo vietarle di vedere la sua amica con cui è cresciuta? Le sembrerà strano. Aspettiamo e vediamo cosa accadrà nel tempo.»
«Guarda come si comporta Dax con lei, potremmo semplicemente spiegarle che non sono dei bravi ragazzi.»
«No, fine della storia. Il discorso è chiuso e non ne voglio più parlare, a meno che non ci sia davvero bisogno.»
«Va bene, ma se succede qualcosa ad Alma sappi che sarà tutta colpa tua.» Ringhia zia Edith contro di lui.

Sto seduta su uno dei gradini delle scale mentre aspetto che gli sguardi pericolosi che si stanno scambiando finiscano.
«Cosa mi dovrebbe succedere?» Chiedo curiosa trovando il momento.
«Stavi di nuovo ascoltando le nostre conversazioni, Alma? Quante volte ti ho detto...»
Lo zio non la fa finire di parlare. Mi tende la mano e la afferro. Mi prende in braccio con tanta facilità come se avessi il peso di una piuma  e mi stringe forte, ma avendo cura di non farmi male e sento la sua gentilezza avvolgermi in un sentimento che mi fa dimenticare la giornata brutta che ho avuto.
«Non ti succederà niente, te lo prometto.» Mi sento sicura e cerco di circondarlo con le braccia, ma le sue spalle sono troppo larghe per poterlo fare.
Mi stampa un bacio sulla guancia. Guardo Edith e mi rattristisco, mi dà le spalle e la sua faccia ha un'espressione piena di rabbia.
«È vero, hai un udito un po' più speciale, ma quando lo zio e la zia parlando di cose da adulti, tu non dovresti ascoltare.»
«Lo so, però parlavate di me.»
«Quanto sei tosta.» Afferma fiero mentre mi dà un bacio sulla guancia.

Il telefono squilla. «Scusate.» Mi allontano un po' da loro per poter rispondere alla chiamata.
«Purtroppo, la chiave è già stata presa da un altro studente che ancora non è arrivato. L'hanno ritirata i genitori. Perciò rimarremo separati da un armadietto.» Mi spiega Roan con voce un po' triste.
Guardo i genitori di Maggy e intravedo una chiave nella mano di Susan, sul portachiavi il numero. Centotrentasette. Non può succedere davvero. 
«Penso di sapere anche da chi.»
Aggancio senza dargli la possibilità di aggiungere altro o di fare domande. Non ho mai raccontato a Roan quello che Dax mi faceva da bambino. Non c'era mai stato motivo di farlo e Roan non aveva mai incontrato il fratello di Maggy, poiché se n'era andato in un'altra scuola molto tempo fa e il rosso era arrivato in città da poco.

«Non è pericoloso, secondo voi, che torni ora?»
Pericoloso per chi? Per me? Non capisco a cosa si stia riferendo Margot.
«No tesoro, la scuola che ha frequentato lo ha aiutato tanto. Andrà tutto bene. È ora che Dax torni a casa.» Cerca di convincerla e di convincere quasi anche se stessa mentre prende le mani di Margot e le stringe caldamente.
«Tieni, è la chiave del suo armadietto, ho chiesto che fosse vicino a voi, per quanto si è potuto. Domani vi accompagno io a scuola così puoi prendere anche i suoi libri e lasciarli lì.»
Maggy sorride e fa cenno con il mento indicandomi il pezzo di ferro penzolante.
«Quando torna?» Domando con voce insicura.
«Dopodomani, dovrebbe arrivare di mattina, quindi probabilmente verrà direttamente a scuola, motivo per cui voglio che abbia già le sue cose a posto. Dopo, Alma, sei invitata anche tu a cena. Sarà bello riavervi qui tutti e tre come ai vecchi tempi.»
Sì, proprio bello...

La notizia e la domanda di Margot mi provocano un brivido che mi percorre la schiena.
Provo a giustificare i suoi atteggiamenti. 'Era solo un bambino, Alma.'. Ed è vero, era solo un bulletto di undici anni. Edith mi diceva che, quando un ragazzo si comporta così con una ragazza, è sicuramente perché ne è innamorato. Io non so se gli piacessi, ma credo che si divertisse a prendermi in giro e a indispettirmi, perché ero una bambina abbastanza fragile.
Siamo cresciuti entrambi, non siamo più dei bambini e la fragilità non mi appartiene più.
Guardo la famiglia di Margot, sono così uniti, si abbracciano e si sostengono, gioiscono perché la loro famiglia si riunisce dopo sette lunghi anni. Chissà cosa l'avrà portato così lontano e per così tanto tempo. Non ho una sorella o un fratello, non riesco a immedesimarmi nella loro sofferenza e nella loro gioia. Una lacrima riga i lineamenti tenui di Margot fino ad arrivare vicino alla bocca. Passa la lingua sulle labbra per asciugarla.

James mi fa segno con la mano di unirmi nell'abbraccio. Avvolgo il braccio intorno a Margot fino a toccare il collo di Susan e con l'altro stringo forte James.
Non sono felice di vedere Dax, ma sono felice perché lo sono loro.

Saliamo in camera e mi stendo sul letto di Margot con gambe e braccia a stella marina.
«Fammi posto!» Si siede sulla mia gamba con noncuranza. «Ahi!» Caccio un urlo stridulo e mi sposto.
Le sue labbra si incurvano all'insù per la soddisfazione e i suoi occhi azzurri si allungano. La sua espressione buffa fa sorridere anche me.

«Cosa intendevi con "pericoloso" quando parlavi di tuo fratello prima?» Interrompo quel momento e il suo viso cambia espressione. È pensierosa, abbassa lo sguardo, le tremano le mani e giocherella con le unghie. Mi alzo e mi metto seduta di fronte a lei, una gamba piegata sul letto e l'altra a penzoloni. Le afferro la mano per farla smettere. Lei alza la testa e mi guarda. Ha le pupille dilatate e lucide, le sue iridi appaiono ancora più chiare.
Serra le labbra come se non volesse parlare. Alzo le sopracciglia e le sorrido, cerco di trasmetterle sicurezza. 'Ti puoi fidare di me, lo sai.'

«Non è niente, è solo che è andato via bambino e ora torna adulto. Ho paura che l'abbia cambiato troppo la lontananza, che non sarà più il fratello amorevole che ho avuto, so che non lo è mai stato con te, ma con me era diverso. Parliamo spesso al telefono, ma questo non mi dà la garanzia che avrò di nuovo Dax, il mio Dax. Ho paura sia un'altra persona con le sue sembianze.»

Adagio i palmi sulle sue spalle. «Tuo fratello sarà sempre tuo fratello. Forse la distanza può averlo cambiato un po', forse l'ha solo fatto crescere. Nemmeno tu sei la stessa di sette anni fa. Non so cosa l'abbia spinto a prendere questa decisione, di stare lontano dalla famiglia e soprattutto lontano da te. Ma qualsiasi cosa sia stata o qualsiasi cosa sia successa, per quanto sia stato sgradevole, perfido e arrogante nei miei confronti, io so che Dax ti ama, esattamente come prima e lo farà sempre. Sarete sempre connessi in qualche modo perché siete fratello e sorella. Perciò smettila di farti queste paranoie.»

Le lacrime le bagnano il volto e scendono veloci. Sembra che ci sia altro che non vuole dire, ma non voglio insistere oltre, perché quando si sentirà di dire ciò che le provoca dolore, lo farà.
Annuisce. «Hai ragione, credo che io non possa fare altro che aspettare e convincermi in cosa sia cambiato e in cosa sia rimasto uguale.»
La mia attenzione si sposta sull'orologio e mi rendo conto che sono in ritardo, di nuovo.

L'appuntamento con Roan, cazzo.
Mi metto le scarpe e mi infilo la giacca mentre secondo i gradini a due a due. Saluto e ringrazio i Duval, esco dalla porta e corro a casa.
La casa di Margot è a poche centinaia di metri dalla mia.
Cerco le chiavi buttando a destra e a sinistra ogni oggetto che c'è nello zaino, ma la porta si apre prima che io riesca a trovarle.

«Alma, ciao tesoro.» Zia Edith mi lascia un bacio sulla guancia e mi accoglie con un braccio intorno alle spalle.
Quei capelli rossi abbinati alle labbra carnose attirano la mia attenzione. Seduto sul divano con in mano il suo caffè, mi sorride. Roan.

«Mi dispiace.» Prendo fiato mentre non so come scusarmi: «Ero da Margot e il tempo è passato e non mi sono resa...» Mi interrompe appoggiando le sue labbra sulle mie. Il mio volto diventa rosso. Mi accarezza i capelli spostandomi le ciocche dietro l'orecchio. «Non fa niente, preparati, ti aspetto qui.»

***

I suoi occhi verdi sono puntati sui miei, non distoglie mai lo sguardo da me, mi fissa e mi sento la persona più bella e fortunata su questo pianeta. Le farfalle non smettono di muoversi nel mio stomaco e nonostante sia già qualche mese che io e Roan ci frequentiamo, ogni volta che siamo insieme non riesco a smettere di essere agitata.

Il ristorante è particolare. Le coperte stese sull'erba umida mi fanno rivivere ancora per un po' l'estate appena passata, le goccioline di rugiada mi bagnano le caviglie. Un piccolo bancale di pallet mi separa da Roan.

Le sue lentiggini coprono il suo volto pallido, le sue labbra rosee mi incantano mentre si muovono. Non riesco a rimanere concentrata su ciò che dice. Non ho mai avuto un ragazzo prima di lui, certo, mi sono piaciuti altri ragazzi, ma non ho mai avuto il coraggio di parlare con nessuno di loro, Roan, invece, mi ha messo a mio agio sin dal primo giorno, mi ha vista e poi guardata come nessuno l'ha mai fatto.

La mia attenzione in un attimo viene catturata da un ragazzo che continua a sventolare la mano verso di noi. Lo guardo attentamente, ma non riconosco i suo volto, non l'ho mai visto a scuola e nemmeno in città. Si avvicina a passo lento mentre si scompiglia i capelli muovendo la testa prima a sinistra e poi a destra. I capelli neri vengono travolti dal vento che li muove ripetutamente. Gli occhi scuri sono fissi su di noi mentre abbozza un sorriso sfrontato.

Prendo una pizzetta dal tavolino che ci divide e la spingo in bocca senza curarmi delle buone maniere.
Mentre mastico alzo le sopracciglia verso Roan nell'attesa che mi dica chi è il suo nuovo amico. Le sue labbra si incurvano in su, ma non sembra il suo solito sorriso sincero.

Il moro continua ad avanzare strafottente, fino ad arrivare così vicino da potergli notare ogni dettaglio. Si piega in avanti porgendo la mano al rosso e insieme stringono forte fino ad avere entrambi le nocche tendenti al bianco. Sul braccio, dalla camicia nera con le maniche rialzate, gli sbucano delle linee nere tatuate, che finiscono sul polso colmo di braccialetti. Un piccolo orecchino a forma di cerchio gli illumina il volto cupo.

«Roan! Che piacere vederti dopo tanto tempo.» Gli sorride malizioso.
Il volto del rosso cambia, trasformandosi del colore dei suoi capelli, sembra quasi infastidito e arrabbiato.

«Che dire, la città è piccola, i posti sono pochi.»
Il moro sorride senza smettere mentre posta i suoi occhi neri su di me.

«La mia ragazza.» Sottolinea l'ultima parola come se fossi di sua proprietà, come se il pacco fosse già stato preso e non si potesse più cambiare. «Alma.»

Allungo la mano per presentarmi, ma lui non sembra interessato. «Non mi dire.» Scoppia a ridere. Si infila la giacca di pelle e il casco che gli schiaccia i capelli spettinati.
'Davvero? Nemmeno ti presenti?'

«Beh, vi saluto, Roan e... come hai detto? Ah. Alma.» I suoi occhi si allungano e delle piccole rughe si formano vicino alle tempie.

Lo guardo allontanarsi e i suoi movimenti è come se tenessero ancorati i miei occhi.

«Chi è?» La sua figura ormai è talmente lontana che non riesco più a metterla a fuoco. «Nessuno di importante.» Mi risponde Roan guardando nella mia stessa direzione.

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