Capitolo XXIII - Coma

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Dax

Con gli occhi chiedo ai ragazzi di avere un po' di intimità e Lucien mi propone di portare Alma in camera sua per parlare. Loro, intanto, escono sul balcone a fumare qualche sigaretta.

I suoi occhi sono tristi, ma sembrano avere qualcosa di diverso, mi guardano come se mi avessero perdonato ancora prima di parlare. Lo stomaco mi si chiude, perché so che questo perdono si trasformerà di nuovo in rabbia. Mi tocco il petto e nonostante quel cuore non pulsi affatto, le emozioni sono solo aumentate da quando sono diventato questa creatura.

Lei sembra accorgersi che ci sia qualcosa che non va, e mi chiede gentilmente di dire qualcosa.

«Non ho molto da dire, puoi odiarmi, puoi non perdonarmi, ma Margot non ti ha tradita, non ha avuto scelta. Se ti avesse detto qualcosa, avrebbe scatenato un pandemonio e tu lo sai questo.»
Dalla sua espressione capisco che non si aspettava questo discorso.

«Ti ha mandato lei qui?» La domanda arriva gelida.

«No, non sa nemmeno che sono qui, non sa nemmeno che Bernard è qui. Io voglio dirtelo perché non posso capacitarmi che un'amicizia così possa finire per questo. Lei non ha avuto scelta, ti ha protetto come ha potuto. Lo abbiamo fatto tutti.»

Sono sfinito senza aver detto quasi niente. Non sono bravo a fare discorsi e Alma non ne sembra sorpresa.
Si sposta i capelli dietro l'orecchio mentre alza lo sguardo da terra e mi guarda. Si tortura le dita come se queste potessero offrirle consigli su cosa fare. I suoi occhi pieni di lacrime esaminano la stanza, finché non si fermano su un punto fisso.

Guarda una foto appoggiata sul comò di Lucien. Ritrae lui, Bernard, Eva, Maya e me. Si avvicina alla foto e la sfiora delicatamente. «È lei.» Sussurra.
Forse Lucien le ha raccontato qualcosa, ma ora non mi importa. Maya è morta. Lei è qui.

Afferro la sua mano, ma una scossa passa attraverso i nostri corpi. Riesco a catturare la sua attenzione e ora mentre la tiro verso di me, la tengo stretta per i fianchi coperti dai vestiti.
«Perché sei riuscita a perdonare lui?» Le chiedo riferendomi a Roan. «Perché con noi è così difficile?»

Mi siedo sul letto, mantenendo le mani saldamente su di lei. Divarico le gambe, permettendo al suo corpo di incastrarsi perfettamente con il mio. Alma rimane in piedi, avvolta dalle mie dita.
«Secondo te Dax, perché è così difficile con voi?»
La sua domanda mi lascia senza parole, bloccato.
«Forse perché Margot è come la mia famiglia, come una sorella, probabilmente la persona più importante della mi vita.»
«Anche per lei è così, te lo giuro. Lo dimostra quanto ha cercato di proteggerti, nonostante sapesse che se l'avessi scoperto, sarebbe successo questo.» La interrompo per farle capire quanto Margot le possa voler bene.

Lei annuisce come se iniziasse a capire.
«E io? Perché lui sì e io no?»
Si abbassa sulle ginocchia per guardarmi negli occhi. Vederla così sicura di sé, come non l'avevo mai vista, mi spaventa. Qualcosa in lei è cambiato.
«Ti facevo più intelligente.»

Di nuovo una pugnalata, di nuovo il suo tono sarcastico, di nuovo quello sguardo freddo e ghiacciato.

«Non sono venuto qui per litigare, quindi è meglio se me ne vado.» Non voglio che si prenda gioco di mia sorella o di me, quindi preferisco interrompere questa conversazione prima di rovinare quel poco che sono riuscito a ottenere in questi pochi minuti.

Mi alzo dal letto spostandola piano e mi dirigo verso la porta della camera per uscire. E proprio quello che speravo. Sento la sua voce debole. «Aspetta.»
Mi volto verso di lei e so che la conversazione non è ancora finita, ma purtroppo mi guarda senza dire niente.

«Alma, sono qui per te, per avere un chiarimento, ti ho implorato di perdonaci, cosa devo fare di più?» Il mio tono di voce si alza involontariamente.
Lei fa un passo indietro.
«Dax, io non ho perdonato Roan. E la cosa per cui faccio davvero fatica perdonarti è che tu sai cosa vuol dire essere abbandonati e cercare i propri genitori, vero? Tu sapevi che mio padre potrebbe essere vivo e pure, non hai detto niente.» La sua voce trema, ma le sue parole sono decise.
«E Margot? È stata lei ad aiutarmi a uscire da quel periodo. Perché nascondermelo? Sì, giusto, per proteggermi.»

Non voglio contraddirla, ma la verità è che chiunque le sia stato intorno ha provato a proteggerla.

«Alma, io lo so che sei ferita. Non avresti trovato tuo padre se l'avessi saputo, saresti morta prima. Credimi, so di cosa parlo.» Annuisce.

«D'accordo Dax. Mi ci vorrà un po' di tempo per abituarmi a questa nuova vita e a tutto quello che sta succedendo, però so che avervi intorno sarà più facile.»

Mi lancio verso di lei in un abbraccio talmente forte che emette un suono stridulo per la stretta. E finalmente anche le sue braccia mi avvolgono sincere.

«Grazie, grazie davvero. Anche se mi hai mentito sul fatto di non aver perdonato Roan. Vi ho visto in corridoio baciarvi.»

Lei ride come se fosse soddisfatta di essersi fatta vedere. «Mi segui per caso?»
«No, è capitato che passassi di là...»

Improvvisamente si stacca da me e il suo sguardo diventa di nuovo triste.

«Io... Io lo so che è brutto da dire, ma non so se ho mai amato Roan. Lui era nuovo, mi è stato vicino e non so, un giorno mi sono sentita legata a lui più di quanto mi sarei aspettata. Roan non mi calcolava e io ho insistito. Poi quando ci siamo messi insieme ero davvero felice, ma non sono mai riuscita a sentirmi davvero coinvolta, ma sono rimasta, come lui è rimasto per me. E oggi, mentre mi diceva che mi amava, io non provavo lo stesso. Ma, voglio scoprire se mio padre è ancora vivo e Roan credo che lo sappia, anche se non me lo vuole dire. Ho bisogno di lui, per questo l'ho perdonato, perché ne ho bisogno.»

Le parole escono come un fiume in piena e questa volta mi rendo conto che mi ha davvero perdonato, perché si è confidata con me.
Avvolgo di nuovo le mie braccia intorno a lei, stringendola il più possibile a me.
«A proposito di Roan, devo raccontarti una cosa e non so se ti piacerà.»

Un rumore cattura la nostra attenzione: qualcuno sta bussando alla porta. Questa si apre lentamente e vedo due occhi blu spuntare, gli occhi di Margot.
«Posso?» Chiede ancora prima di entrare nella stanza.
Alma annuisce senza proferire parola. Decido di uscire dalla camera, allontanandomi dalla stanza.
Portò dirle il resto dopo che avrà chiarito con mia sorella.

Resto comunque vicino alla stanza per captare la conversazione che capisco stia procedendo bene. Alma ha finalmente perdonato Maggy. Le cose torneranno alla normalità, subito dopo averle detto quello che è successo in corridoio. Questa volta non è colpa mia, non ho iniziato io, mi sono solo difeso.

Non credo ci sia più bisogno di origliare, così mi dirigo sul balcone con gli altri e mi accendo una sigaretta.
I due mi guardano con aria curiosa, ma faccio finta di non accorgermene, mentre poggio i gomiti sulla ringhiera. Mi diverte vederli attendere che io inizi a raccontare. Tiro e il fumo mi va dritto nei polmoni, poi butto fuori tutto il fumo dalla bocca facendo dei piccoli cerchi.

«Pronto? Ci vuoi dire cosa è successo in quella stanza?» Chiede per primo Lucien.
«Tranquillo,» ribatte Bernard, «Dax ha la velocità di un vampiro anche a letto.»
«Il mio letto, cazzo.» Replica Lucien.
«Smettetela» Mi avvicino verso di loro minaccioso.

Inizia una lotta come ai vecchi tempi: Lucien cade per primo a terra, io e Bernard continuiamo a spingerci mentre Lucien ci punzecchia con la sua magia. Alla fine ci ritroviamo tutti e tre a terra, sfiniti. Il biondo si alza e mi sgancia un destro bello mirato allo zigomo.

«Ahia! Ma che cazzo fai?» Chiedo mentre mi sfrego la ferita che guarisce più in fretta di quanto mi aspettassi.
«Questo è per quello che hai fatto oggi a scuola. Bernard me l'ha raccontato.»
«Che amico che sei...» Guardo Bernard seduto vicino a me.

Dalla sua stanza, si dirige verso di noi anche Eve.
«Quando crescerete?»
Ci domanda mentre ci guarda dall'alto.
«Dai Eve, vieni qua vicino a noi.» Le allungo il braccio.

E lei mi da la sua mano, la tiro e verso di me e mi cade fra le gambe. Così, l'abbiamo attirata nella trappola. Sappiamo tutti e tre il suo punto debole: la tengo stretta impedendole di muovere le braccia, mentre Lucien e Bernard iniziano a farle il solletico.
Eve urla senza sosta. «Fermatevi, fermatevi!» Tra un grido e l'altro si riesce a svincolare dalla mia presa, colpendo me e Bernard e prendendo Lucien per la maglietta. Eve lo solleva come se non pesasse affatto, lo guarda negli occhi senza paura e il biondo sorride malizioso.

«Non ti faccio quello che ho fatto a loro solo perché se ti rompo il naso, non guarisce senza cure mediche, e non voglio che tu sia costretto ad andare in ospedale e dire che è stata un ragazza a picchiarti.»
«Sei un vampiro, Eve, non una "ragazza".» Mima le virgolette con le dita.
«Sempre donna sono.» Ribatte. «Dai su, alzatevi, femminucce.» E molla il corpo di Lucien, facendolo finire a terra.

Allungo di nuovo il braccio verso Eve, ma questa volta volendo essere un gesto affettuoso.
«Non ci casco di nuovo, bello.» Mi risponde e si gira dall'altro lato.
Così mi alzo velocemente e buttandomi addosso a lei, le lascio un bacio sulla guancia.
«Quindi non se più arrabbiato con me? Per la Rossa intendo...»
«No, se non provi più a ucciderla.»
Eve sorride soddisfatta. «Non prometto nulla.»

Ma l'atmosfera di pace e tranquillità che si è appena creata, viene interrotta dalle urla di Alma, che corre verso di noi con il telefono in mano.
Le lacrime le rigano il viso e continua a tirare su con il naso mentre singhiozza disperatamente.
I suoi occhi sono terrorizzati e la sua fronte è talmente corrugata che la sua faccia sembra un'altra.

«Roan... è in coma.» E cadde a terra sulle ginocchia mentre ci prega di portarla in ospedale.

Piange a dirotto, versando tutte le lacrime che ha in corpo. Le sue mani, strette a pugno, colpiscono ripetutamente il pavimento. Le urla sovrastano ogni pensiero, e niente sembra poterla calmare. Il suo cuore si è appena frantumato in una miriade di piccoli frammenti, impossibili da rimettere insieme.

Non sa cosa sia successo e io non ho fatto in tempo a dirglielo. Mi precipito verso di lei e la stringo forte, sussurrandole che tutto andrà bene.

«Adesso andiamo da lui.» La rassicuro mentre la sorreggo, facendola appoggiare a me.

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