Capitolo cinquantasette

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"L'inevitabile si era compiuto!"






Amami anche se mi odierai,
anche quando saremo alla deriva,
anche quando la vita cercherà di separarci.
Tu continua ad amarmi,
solo così saprò che il bene esiste.
- DARK FLOWER


Isabel impiegò meno di dieci minuti per raggiungere la baita, il cuore le martellava in gola mentre un costante senso di terrore la pervadeva.
Perché Lily l'aveva avvertita in quel modo?
Cosa poteva esserci di così aberrante?

Riflettendo, si chiese con insistenza se l'incontro con quella donna fosse stato reale o solo frutto della sua mente devastata. Aveva bisogno di aiuto?
Cominciava ad avere allucinazioni?
O forse, Lily...
Le era veramente apparsa? Non avrebbe mai avuto una risposta definitiva; quello sarebbe rimasto un mistero.

Era strano pensare che era arrivata in suo aiuto proprio nel momento in cui lo aveva tanto desiderato. Non credeva che i morti potessero ascoltarla, ma ora cominciava a pensare di non essere poi così sola, di avere un angelo custode che vegliasse su di lei e sulle sue peripezie. Possibile che fosse lo stesso che proteggesse Elijah? Possibile che fosse Lily?

Era una teoria che non collimava con il suo razionale modo di essere: Isabel era una donna legata alla logica, le era difficile accettare che quanto stava vivendo negli ultimi mesi avesse un senso. Tuttavia, poteva temporaneamente mettere da parte le sue convinzioni e lasciarsi trasportare dall'infausta idea che c'erano forze che andavano al di là del suo controllo. Prima avrebbe accettato quel concetto, e prima avrebbe potuto perdonare Elijah; perché non era certamente colpa sua se quell'uomo era entrato nella sua vita. La vera colpa era stata innamorarsi di lui.

Accostò l'auto di fronte al vialetto, sorpresa di vedere così tante macchine parcheggiate, le stesse che aveva notato il giorno della sua scomparsa. Che ci facevano lì? Si accostò un po' più avanti dalla baita, dato che lo spazio era occupato, e uscì di corsa dall'auto, dirigendosi verso casa.

L'odio e la rabbia che covava, che nutriva nei confronti di Elijah, non erano sufficienti a prevalere sull'amore sconfinato che invece ora si ritrovava a tenere a bada.
Era proprio quello il motore che la spingeva a correre con più fretta, con più velocità, con più sangue che pompava nelle vene, fino a sbattere la porta d'ingresso e invadere il salotto, dentro il quale una marmaglia di uomini analizzava in cerchio alcune cartine geografiche.

Isabel non ci mise molto a riconoscere uno dei presenti: Matthias, anche lui girato di spalle, sembrava così concentrato da non essersi nemmeno accorto di lei.
Al suo lato c'era lui, c'era Elijah, che a differenza di tutti gli altri, si girò non appena il rumore del portone invase la stanza.

Come Elijah, anche il resto del gruppo si voltò poco dopo, ma Isabel si focalizzò solo su Elijah: aveva un aspetto orribile, i suoi vestiti erano sgualciti come se avesse provato a dormire ma non ci fosse riuscito. Le occhiaie leggermente marcate confermavano la notte insonne, mentre gli occhi, solitamente vivaci e luminosi, apparivano stanchi, arrabbiati, delusi e sofferenti in maniera non poi così velata. Mostrava una fragilità e una vulnerabilità che Isabel non aveva mai visto prima. Era evidente che qualcosa lo tormentasse.

Anzi, non qualcosa.
Lei.
Il fatto che fosse scomparsa per una manciata d'ore aveva trasformato Elijah in un cadavere ambulante. Isabel venne invasa da un senso di colpa inquantificabile: era colpa sua se l'amore della sua vita si trovava in quello stato?
Fece un passo avanti, indecisa su cosa dire.
Si torturava le dita, mentre nella stanza nessuno osava proferire parola, anche respirare sembrava di troppo.

Elijah indurì la mascella, quasi fosse invaso da un profondo male fisico. La squadrò dalla testa ai piedi, soffermandosi brevemente sul suo cappotto sporco di terra: per un attimo, l'ombra del terrore gli sfiorò la vista, ma si trattò di un momento, poiché subito dopo esplose in una reazione incontrollata.

«Fuori, tutti quanti!» gridò. La sua voce era da far raggelare il sangue. Isabel sobbalzò, abbassando lo sguardo a terra quando, uno per uno, gli uomini al servizio di Elijah cominciarono, con fretta, ad abbandonare la stanza.

Matthias, a passo più lento, le sussurrò prima di uscire: «non posso più aiutarti adesso!» poi la sorpassò lasciando lei ed Elijah da soli.

Aveva superato ogni limite scomparendo in quel modo, la famiglia Brown le aveva concesso la sua prima ora d'aria da quando era arrivata a Grindelwald e lei se ne era approfittata nel modo più crudele possibile; prendendosi gioco di Elijah, facendolo quasi impazzire!

E probabilmente anche Matthias condivideva il suo stesso pensiero; motivo per cui, purtroppo, si era tirato indietro. Lui l'aveva sempre difesa difronte a Elijah, aveva sempre preso le sue parti, arrivando persino a sfidare il fratello maggiore per proteggerla, pur di far prevalere il suo benessere sugli insulsi capricci di Elijah.

«Merda...» sussurrò contro se stessa. Non riuscì più a sopportare quel silenzio; doveva dire qualcosa, o almeno cercare di aggiustare le cose con Elijah.

Era così strano il suo atteggiamento: solitamente le sarebbe corso incontro, l'avrebbe abbracciata e stretta fino a non lasciarle più aria nei polmoni. Ma ora, appoggiato com'era al bordo del tavolo, sembrava così distante, così freddo, così distaccato. Teneva gli occhi fissi su di lei, la schiena dritta, le braccia incrociate, le stesse nelle quali si sentiva al sicuro, e che ora non accennavano a raggiungerla.
Isabel lo maledì per questo.

«Ti prego, lasciami spiegare...» supplicò Isabel, ma Elijah non le concesse il tempo di finire la frase: sembrava non vedesse l'ora di sputarle addosso tutti i suoi pensieri.

«Quindi è così che sarà?» la interruppe bruscamente. «Fuggirai ogni volta che ci sarà un problema?»

«Elijah, ti prego...»
Isabel cercò di replicare, ma Elijah continuò senza darle tregua.

«E quando proverò ad aiutarti, mi accuserai di essere un peso del cazzo per te? Mi ferirai pur di tenermi a distanza? Mi umilierai? Mi lascerai da solo?» la frustrazione di Elijah era palpabile nell'intonazione delle sue parole. Non aveva intenzione di farla parlare, non prima di riuscire a sfogarsi.

Isabel fu afferrata da una stretta alla gola. «Io non volevo ferirti! Ma, cerca di capire: ero sconvolta, e lo sono ancora. Clorinda è morta...»

«Anche mia madre è morta, anche Lily è morta. Ma io non ho abbandonato chi amavo, non ho mai voltato le spalle alla mia famiglia, cazzo!»
Sbatté un pugno sul tavolo, poi si portò le mani sui fianchi, spostando il peso del corpo da un piede all'altro.

Per Isabel fu come se un pezzo del suo cuore si fosse spezzato; il suo dolore si amplificò sotto l'urto delle sue accuse.

«Tutti in questa fottuta casa hanno perso qualcuno che amavano, cose preziose che non riavranno mai più indietro: Matthias ha perso la sua serenità, Ethan è cresciuto in mezzo alla perversione e al sangue, Thòmas ha dovuto sopportare la scomparsa di sua madre, Virginia le violenze di mio padre. Io ho dovuto sopportare il peso della morte, della solitudine, di una sofferenza che tu non potrai mai, e dico mai, minimamente immaginare. Ma nessuno qui va via, nessuno molla, nessuno sparisce: Matthias non sparisce, Ethan non sparisce, io non sparisco, io non scappo, io non allontano nessuno, né mi sognerei mai di allontanare te!» le puntò un dito contro, cercando di riprendere fiato.

«Sei l'unica persona al mondo, l'unica con la quale vorrei condividere le mie sofferenze, perché solo tu saresti in grado di acquietarle. Ma evidentemente io non sono altrettanto importante per te» e quella conclusione lo fece sembrare ancora più angosciato, ancora più incazzato di prima.
«Non puoi allontanarmi così, Isabel. Io non riesco a sopportarlo!»

Isabel non smise di torturarsi le dita.
Serrò le palpebre con forza per difendersi dal dolore di quel momento. Avrebbe voluto confessargli che non poteva immaginare la vita senza di lui, che nonostante tutte le difficoltà, il suo amore restava intatto, immutato.
Ma qualcosa dentro di lei la trattenne, le fece cambiare idea. Di solito avrebbe ignorato le emozioni che provava quand'era arrabbiata, ma questa volta sentiva di dover essere sincera. Non poteva nascondergli la verità, neanche se avrebbe potuto proteggerlo da ulteriori sofferenze.

Lei era andata via perché voleva sparire.
Ma non voleva certo che sparisse anche lui, che il suo affetto per lei evaporasse!

«Non volevo farti del male...» tentò di iniziare, ma le parole morirono sulla sua lingua. Non riusciva a parlare con lui che la guardava così intensamente. Riusciva solo a pensare a quanto volesse baciarlo. Aveva trascorso la notte a piangere tra le fredde strade di Grindelwald, e tutto quello che sognava ora era riscaldarsi col suo corpo.

Eppure, chissà perché, credeva che stavolta le carezze o il sesso non sarebbero bastati a placarlo.
E il che era peggio di una litigata.

«Quello che avevi in mente di fare non corrisponde a ciò che hai effettivamente fatto. Hai idea di quanto fossi preoccupato? Stavo per venire a cercarti con una squadra d'assalto, Isabel. Una cazzo di squadra che dovrebbe stare qui a proteggerci, anziché venire a recuperarti chissà dove!»

«Lo so...ma...»

«Ma un cazzo! È pericoloso, non puoi scomparire così, non te lo permetto. Siamo nel bel mezzo di una guerra, di una fottuta guerra, come ti viene in mente di tagliarmi fuori in questo modo? Lo hai detto tu stessa: dovevamo essere una squadra, giusto? Noi tre? O erano solo fandonie? Tutte stronzate per illudermi e tenermi buono?»

Isabel sembrò sul punto di urlare: non gradì affatto le sue insinuazioni. Quella determinazione, quel fuoco che la faceva scattare in ogni situazione, tornò presto a divampare in lei, facendola esplodere.

«Se dici una cosa del genere, allora vuol dire che forse non ti fidi di me. E non fidarti vuol dire non amarmi abbastanza da capire che prendermi del tempo, ritagliarmi il mio spazio, non dipende dall'amore che provo per te, ma dal valore che do a me stessa come essere umano, come singolo individuo. E questo mi delude molto, anzi moltissimo.»

Non metteva in dubbio che l'azzardo di quella notte fosse stato pericoloso, e che scomparire senza neanche telefonare avesse ferito Elijah. Ma aveva bisogno di ricordare a se stessa che poteva ancora respirare da sola, che Elijah non aveva inglobato ogni sfaccettatura della sua personalità.
Che lei era ancora Isabel Turner, con tutti i suoi pregi e difetti, anche quando lui non le stava accanto.
Peccato che il suo uomo sembrasse non capirlo.

Elijah fece di tutto per rimanere impassibile, per nascondere il suo stupore, il suo profondo disappunto. Non poteva credere alle sue orecchie. Era impazzita, la pioggia, la tempesta, i lampi, dovevano averle dato alla testa.
Non c'era altra spiegazione, non poteva esserci, santo cielo!

Per la prima volta -da quand'era entrata nella stanza-, mosse alcuni passi verso di lei. Passi pesanti che portarono Isabel a incollare la schiena al muro. Il suo istinto, come sempre, fu quello di abbracciarla, di catturarle le labbra in uno dei suoi baci perversi, e far cessare lì quell'inutile diatriba. Ma ebbe la lucidità di realizzare che era assurdo dargliela vinta in quel modo, di perdonarla così, su due piedi.

Doveva prima schiaffarle in faccia tutto il terrore che lo aveva distrutto quella notte, che lo aveva quasi portato a infrangere ogni regola di pudore e a uscire a cercarla.
Non era stato capace di chiudere occhio, aveva continuato a struggersi per lei, a disperarsi, a monitorare la strada sperando di vederla tornare da lui. Si era maledetto, e con lui aveva maledetto suo padre, la sua vita, i suoi nemici, la desolazione infinita a cui il fato sembrava averlo condannato. Lo aveva già fatto centinaia di volte, ma sentiva che non fosse abbastanza.

Isabel era stata la sua salvezza, ma ora cominciava a credere che fosse quasi la sua condanna, la sua ulteriore rovina.
Solo lei era capace di ridurlo in quelle condizioni, di angustiarlo con una tale frequenza: aveva già perso l'amore con Lily, ma ora era diverso. Sentiva di essere una persona completamente diversa da quando stava con Isabel e con lui lo era anche il suo modo di affrontare le avversità quando queste coinvolgevano anche lei: sembrava quasi un bambino che per la prima volta si sbucciava le ginocchia e scopriva il vero significato della parola "sofferenza".

Il legame con quella donna smantellava tutti i suoi scudi emotivi.
Non era soltanto lui ad essere tutte le prime volte di Isabel; anche lei rappresentava tutte le prime volte per Elijah.

L'uomo interruppe il suo passo solo quando furono abbastanza vicini da potersi sfiorare. Osservò di nuovo il suo aspetto e dovette resistere all'impulso di farle il terzo grado: cosa diavolo le era successo? Moriva dalla voglia di saperlo.

Invece, decise di mantenere intatta la sua risolutezza e di portare avanti la sua crociata. Isabel era stata capace di ferirlo anche adesso, mettendo in dubbio persino la profonda fiducia che lui riponeva in lei.

«Stai scherzando, spero», esordì. «Perché se non lo stai facendo, giuro su Dio che ti sbatto fuori da questa stanza!».

Isabel faticò a mantenere intatto il suo essere spavalda.
Voleva solo toccarlo, voleva che lui lo facesse.
«Mi dispiace tanto che tu ti sia sentito escluso, Elijah, non volevo ferirti...» rispose con sincerità.

«Ma è quello che hai fatto!»

«Ti prego, fammi finire!» l'implorò Isabel.

Elijah serrò le labbra, visibilmente agitato. «Non voglio farlo!» esclamò, lasciando trasparire la sua irritazione.

«Ho detto ti prego...»

«Ed io devo forse devo ribadirti dove me le infilo le tue suppliche?» era quasi esasperante discutere con quell'adorabile testarda, ma ancora di più lo era parlarle con una tale arroganza. Isabel stava affrontando un lutto, avrebbe dovuto sostenerla, offrirle il suo appoggio, condividere il suo dolore anziché aggravarlo.

E lo avrebbe certamente fatto, senz'ombra di dubbio, ma solo quando la bile irrazionale che lo privava della capacità di ragionare si sarebbe dileguata.

Isabel si morse il labbro per evitare che tremasse.
Era sull'orlo delle lacrime, quelle dannate testimoni di sconforto e vulnerabilità.
«Sei ingiusto, sei davvero ingiusto! Ti ho chiesto solo di lasciarmi parlare, di lasciarmi spiegare, perché diavolo non vuoi lasciarmelo fare!»

Elijah stavolta le afferrò la mascella e la sollevò, brusco, volutamente indelicato, costringendola a guardarlo negli occhi; profondi come pozzanghere blu, agitati come una tempesta in arrivo. Non era più un sé.
«Perché se lo faccio arriverei a credere alle tue cazzate. Ti bacerei, ti perdonerei, mi sforzerei di dimenticare questa notte e poi cederei al desiderio incontrollabile che ho di portarti nella doccia e scoparti contro il muro. E non è quello che voglio fare, non adesso, perché sono arrabbiato, sono molto arrabbiato e non ti piacerebbe scopare con me mentre sono arrabbiato. Te lo assicuro.»

La bocca di Isabel si mosse leggermente, ma non ne uscì alcuna sillaba. Rimase muta, cercando di sopportare il peso di quella schiacciante confessione.

L'aria intorno a loro sembrò congelarsi, come se il tempo stesso si fosse piegato alla loro volontà. Si guardarono per un attimo infinitamente lungo, quasi eterno, dilatato oltre ogni misura, come se il mondo intero si fosse fermato per ammirare lo spettacolo di due anime che si scontrano. Loro due erano fatti così, come poli magnetici, irresistibilmente attratti da una forza invisibile. Nonostante le loro differenze, erano legati da un'intesa profonda, come se fossero parte della stessa essenza vitale, unica e indissolubile.

Era destino che si incontrassero, e forse anche che si innamorassero. Nella loro complessa diversità, trovavano una strana somiglianza nel continuo rincorrersi, nella loro passione e costante sfrenatezza, persino durante i litigi.

Si amavano così intensamente che l'equilibrio sfuggiva al loro controllo. Quel sentimento era così schiacciante, così immenso, che faceva impazzire entrambi. Peccato che stavolta non fosse sufficiente a placarli. A placare Elijah, soprattutto; lui più di Isabel, sembrava una fiamma incapace di spegnersi.

La lasciò andare solo quando si rese conto della forza che esercitava sulla presa, ma anche quando notò il bagliore nei suoi occhi color muschio, verdi come le acque di un lago di montagna.

Non voleva che piangesse, o avrebbe ceduto immediatamente.

Ammorbidì la stretta, fino a lasciarla andare.
Le diede le spalle avanzando verso la finestra; si appoggiò sugli avambracci, fissando il paesaggio all'esterno.
Non voleva guardarla, non poteva.
Non senza tornare da lei.

«Che c'è? Tu puoi fare quello che ti pare mentre io dovrei sempre assecondare le tue richieste?» sentì il bisogno di colmare quel silenzio, e senza volerlo lo fece nel modo peggiore possibile; portando avanti la loro discussione.

Isabel inspirò profondamente, lottando per mantenere la sua compostezza. Quell'uomo era esasperante, sconvolgente sotto ogni aspetto. Era sempre in grado di confonderla, di farle perdere la testa, anche in momenti come quello, quando la logica era l'unica ancora a cui doveva aggrapparsi.

«Perché quando mai le avresti assecondate? Sentiamo?» alla fine riuscì a farsi coraggio e pronunciare qualcosa che non fossero insulsi balbettii.
«Se non sbaglio, fin dall'inizio, quella che è scesa a compromessi sono sempre stata io!»

«Solo perché io te l'ho lasciato fare!» insorse Elijah, quasi sfidandola.

Isabel scrollò appena le spalle.
«No, perché non mi hai lasciato alternative, Elijah. E quella che ho deciso di prendere stanotte è l'unica che non abbia comportato il tuo permesso. Mi hai "assecondata" solo perché ti sei sentito obbligato: se Matthias non mi avesse detto dove trovare le chiavi, non mi avresti mai lasciata andare, dico bene?»

«Già Matthias e la sua boccaccia; avrebbe fatto meglio a non intromettersi, non erano affari suoi.» Elijah scosse la testa, cupo per un pensiero che presto si ritrovò a esprimere ad alta voce: «A volte temo di essere troppo protettivo nei tuoi confronti, anche quando non è necessario...»

«E te ne rendi conto solo adesso?» Isabel ricacciò indietro le lacrime. «Tu sei sempre protettivo, protettivo fino all'eccesso, oserei dire.»

Solo allora, Elijah, si voltò, guardandola da sopra la spalla.
«Sì, e puoi biasimarmi per questo? Dimmi che non faccio bene, Isabel. Con la vita che viviamo, non è forse giusto essere eccessivamente protettivo con te?»

«No, non fino a questo punto!» Isabel fece presto a ribellarsi, a contestare la sua snervante apprensione.
«Non puoi proteggermi da tutto, e lo sai.»

«Ma posso provarci...» Elijah si girò completamente, appoggiando anch'esso le spalle al muro. Incrociò le braccia, flettendo i muscoli del torso, che emergevano attraverso la tessitura aderente della camicia.
I capelli spettinati, la barba leggermente folta...
Emanava una bellezza oscura e selvaggia, come se fosse stato plasmato dalle forze della natura stessa.
«Posso provarci, se smetti di impedirmelo! Non capisci?
Mi fai solo del male quando respingi il mio aiuto.»

«E tu mi ferisci quanto cerchi di sopraffarmi, quando non mi lasci prendere le mie decisioni da sola!»

«Questo caso era diverso, Isabel, potevi uscire, non te lo avrei mai impedito volevo soltanto venire con te!»

«Appunto, e perché?»

«Perché era pericoloso, cazzo! Come fai a non capirlo?»

«No, non è vero. Lo hai detto tu stesso: qui non ci troveranno mai, dico bene?»
Questa volta, spinta da un coraggio che faticò a riemergere, fu Isabel a camminare verso di lui. Non era in vena di essere gentile o di assecondare le sue paure in quell'istante.
Neanche un po'.

«Sta ferma lì!» Elijah protestò quasi immediatamente, anche se la sua voce era esitante. Se l'avesse avuta di nuovo davanti avrebbe perso il controllo, non sarebbe più riuscito a mantenere le distanze da lei. Sarebbe stato pervaso dalla libido, dalla necessità di portarla in camera da letto e di spogliarla, di fare il bagno insieme mentre si riappacificavano, di lavarle via la terra che imbrattava i suoi capelli di fata. Era bellissima, una vera tentazione, anche così, sporca del suo dolore. Quella donna era stata creata apposta per lui, per tentarlo, per disintegrare ogni fibra del suo essere.
Ne era sempre più certo.

Tuttavia, com'era prevedibile che facesse, Isabel ignorò il suo futile comando. La sua avanzata si fermò a un passo dal baciarlo. «Avevi paura che me ne andassi, che non riuscissi a sopportare la morte di Clorinda, per questo volevi seguirmi. Dì la verità, dimmela, così io potrò dirti la mia, potrò spiegarti perché me ne sono andata senza portarti via con me...»

«Isabel, torna dov'eri, allontanati!»

Isabel lo ignorò, ancora una volta. «Non vuoi dirmelo?»

«Non voglio averti vicina!»

«Perché?»

«Perché sono incazzato con te!»

«Sì, questo lo hai già detto.» Isabel alzò un sopracciglio, scrutandolo con espressione sfidante.

«E allora perché non capisci?» gridò lui.

«E tu perché non rispondi?» ribatté Isabel, piuttosto seccata.

«Perché non è così...»

«Ah no? E allora com'è?» chiese lei, tagliente.
Il suo sguardo non lasciava spazio a scuse.

Elijah si convinse che forse Isabel aveva ragione.
Quello che insinuava era vero: lui voleva seguirla per avere il controllo, per assicurarsi che lei non lo avrebbe abbandonato dopo la morte di Clorinda. Soprattutto a causa della persona che l'aveva uccisa: Clorinda era morta per colpa sua, i suoi nemici volevano colpire lui e, facendolo, avevano deciso di colpire anche Isabel.

Voleva seguirla perché temeva che lei non sarebbe stata in grado di sopportare o accettare quel pensiero. Che non gli avrebbe permesso di farsi perdonare, di vendicare la morte della madre. Ma l'orgoglio lo trattenne dall'ammetterlo, e detestava il fatto che Isabel fosse riuscita a cogliere così bene la sua debolezza.

«Dimmi che ti è successo», decise infine di cambiare argomento, di parlare d'altro finalmente. Ad esempio, di come aveva fatto Isabel a sporcarsi di terra. Tentò di estorcerle quella risposta, ma tutto ciò che ottenne fu una carezza.

Isabel gli posò entrambe le mani sulle guance, gli occhi scintillanti di sincero amore. «Io non lo avrei mai fatto. Io non ti avrei mai lasciato, Elijah...» dichiarò, conscia che quelle parole avrebbero zittito ogni ulteriore discussione. Sapeva che Elijah avrebbe evitato quell'argomento a tutti i costi, cercando di eludere la questione per timore di affrontarla.

Forse anche lui era riuscito a scrutare nell'animo di Isabel e a comprendere il vero motivo per cui se ne era andata, uno che non le faceva onore. Aveva preso una serie decisioni sbagliate, delle scelte che l'avevano portata dove si trovava adesso.

Ma...com'era quel detto?
A volte, le decisioni sbagliate si rivelano essere quelle più giuste. E questa volta, Isabel era convinta di aver fatto la scelta migliore: aveva trovato il coraggio di tornare da lui. Come sempre.

Elijah si costrinse a rimanere immobile e in silenzio, anche se dentro di sé desiderava solo distruggere qualsiasi mobilio arredasse la stanza. Non poteva muoversi, né permettersi di ricambiare le sue carezze. Conosceva bene il finale di quella situazione, ma ancor di più voleva ascoltarla, sperando che avrebbe finalmente capito...

«Non volevo che mi seguissi, solo perché avevo bisogno di ritagliarmi il mio spazio, di prendermi del tempo», riprese a dire Isabel, quando vide che Elijah era disposto a collaborare.

«Non ho mai avuto l'intenzione di escluderti dalla mia vita o di tenerti al di fuori dei miei problemi», continuò. «Stavo semplicemente cercando di ritrovare me stessa, di ricordare chi ero prima di incrociare il tuo cammino. Mi sento smarrita, come se avessi perso pezzi di me lungo il percorso. Non riesco più a rammentare la persona che ero prima di innamorarmi di te!»

Forse poteva sembrare ripetitiva, ma Isabel non poteva non sottolineare quanto fosse diversa adesso, e che quel cambiamento fosse esclusivamente colpa di Elijah e delle sue azioni. Non aveva impedito ai suoi nemici di portarle via sua madre, non era stato in grado di mantenere la promessa che le aveva fatto soltanto qualche giorno prima: proteggere lei e la sua famiglia...

Non voleva ferirlo, pero sentiva comunque il bisogno di confessargli quella profonda verità. Elijah doveva sapere, perché solo ritrovando se stessa avrebbe avuto il coraggio di accettare veramente la vita che lui le stava imponendo.

L'aveva già accettata, sia chiaro, ma forse non completamente; era come se gli ultimi mesi li avesse vissuti con il pilota automatico. Provava emozioni così contrastanti, come se fosse stata sballottata da una parte all'altra, come se il suo destino fosse stato governato da una forza maggiore contro cui non riusciva a lottare.

E adesso era persino incinta. La situazione non faceva bene al bambino, quella dolce, piccola creatura che giorno dopo giorno cresceva nel suo ventre; meritava la pace.
E lei avrebbe fatto di tutto per assicurargliela.

Elijah stava per rispondere.
Stava per dirle che aveva tutta l'intenzione di rimediare ai suoi sbagli, di riparare i suoi errori. Di portarla via, lontano da tutti e tutto, e iniziare una nuova vita, solo loro tre insieme. Stava per dirle che l'amava più della sua vita, e che mai avrebbe permesso che versasse ulteriori lacrime, o che patisse ulteriori sofferenze.

Ma dovette esimersi dal farlo.

Ci fu un boato, seguito da un'esplosione. Entrambi, chissà come, si ritrovarono a terra. Le orecchie di Isabel fischiavano incessantemente, gli occhi erano annebbiati a causa del fumo che prese ad invadere lo spazio.
Poi, il rumore di spari in lontananza.

Isabel non riuscì a mettere a fuoco la vista intorno a lei; il suo impulso fu di toccarsi la pancia, le faceva male. Nel buio, sentì delle mani che la tirarono in piedi. Si reggeva a malapena, a causa della ferita alla sua gamba. Anche Elijah sanguinava, ma dalla spalla destra.

«Isabel! Isabel!» la voce di Elijah sembrava arrivare da lontano, come un suono ovattato. Isabel si aggrappò a lui con forza, ed Elijah la tenne stretta, forse come non aveva mai fatto prima.

L'inevitabile era accaduto: Rick li aveva trovati e ora li stava attaccando.

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