Capitolo dieci

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"L'inizio o la fine?"


Ragazza mia, sei bella e giovane,
Ma pagherai ogni cosa che otterrai.
Devi esser forte, ma forte perché
Dipenderà da te.
Tu sei l'amore, il calore che avrà
La vita che vivrai...
-MINA


Un quarto d'ora dopo, Elijah stava in piedi di fronte a uno dei sofà dell'ufficio, lo sguardo puntato sulla donna che l'occupava. Una figura dalla pelle diafana, in contrasto con il dolce rossore che le tingeva le guance: un disagio evidente, manifestato dal suo continuo mordicchiarsi le labbra. Quelle labbra. Una visione senz'altro, un richiamo che lo inquietava, che lo portava a battere la punta dei piedi, nervoso, impaziente. Fra loro, un tavolino bianco; al suo centro, un foglio e una penna.

La condanna e il suo martello.

«È da più di mezz'ora che vi sto cercando!» la incalzò.
«Avete una vaga idea del disagio che mi avete provocato? Della fatica che ho fatto per trovarvi? Del caos che ho scatenato? Ce l'avete o no? Uhm?!» le domandò ancora.

La sua corporatura robusta e mascolina amplificava l'aura minacciosa che emanava in quel momento: sembrava una bestia inquieta, selvaggia, e pronta a esplodere.

L'aveva trascinata nel suo ufficio senza darle modo di parlare o rifiutarsi. Anzi, se l'era persino caricata sulle spalle quando aveva iniziato a desistere come una selvaggia. Avrebbe potuto comportarsi da gentiluomo e lasciarla tornare in stanza a cambiarsi, invece di costringerla a seguirlo in maniera così mortificante.

Ma poi, fra la rabbia e l'ansia di stringerla ancora, pensò, non poté fare a meno di interrogarsi:

A lei era importato di sparire così?
Si era premurata di avvertirlo?
Di uscire solo dopo un suo ordine?
La risposta era chiara e soltanto una.
Perciò, per quale motivo avrebbe dovuto concederle una simile cortesia?

No, che se ne andasse pure al diavolo!

Aveva ignorato gli sguardi truci dei domestici, i colpi incessanti di lei, i rimproveri di Matthias, che, con una certa apprensione, lo aveva persino rincorso fra i corridoi nel vano tentativo di appellarsi alla sua inumana razionalità.
Ma lui lo aveva liquidato con un'occhiata assassina. Stupidamente doveva aver pensato che l'avrebbe punita in qualche modo. Rinchiusa all'interno di chissà quale gabbia d'acciaio e gettato la chiave, ma...

No, nessuno di quei timori insulsi aveva niente a che fare con le sue vere intenzioni!

"Farò più che punirla, sciocco fratello, ruberò la sua anima!" Pensò, una volta raggiunto l'ufficio.
Si sarebbe impadronito della sua giovane essenza, della sua dannata irruenza, della freschezza che sprigionava e che lo dissetava ogni volta che incrociava i suoi occhi fatati. Due gemme verdissime e scintillanti, come se un bosco si fosse radicato al suo interno.

Rinunciare a lei sarebbe stata una follia, non avrebbe potuto lasciarla andare. Quella piccola fata preziosa era dotata di una luce che avrebbe potuto rischiare il tunnel dentro al quale era smarrito. Gli serviva una via d'uscita, una porta d'emergenza, qualcosa che gli impedisse di impazzire, che lo liberasse da quel dannato tormento!

Isabel alzò lo sguardo, superstite del suo attacco avvampò dalla rabbia; strinse i lembi della vestaglia che indossava, tentando di mostrarsi sicura e agguerrita. Malgrado di sicurezza non ne avesse affatto.
«Non vi permettete! Non è certo mia la colpa se il vostro comportamento rispecchia quello di uno psicopatico!» gridò.

«Oh...» Elijah affilò la vista «state affermando che ignorare, di proposito, un'intera brigata che vi cerca sia un comportamento migliore del mio?!» sbraitò.

Isabel strinse spalle con sfacciata noncuranza. «Decisamente lo trovo meno grave, sì, soprattutto alla luce dei fatti...»

«Quali fatti?!»

«Oh non saprei, il fatto che mi abbiate rinchiusa come una dannata prigioniera vi è familiare?!» sbottò, alzandosi in piedi con vistoso imbarazzo.
«E non azzardatevi mai più a toccarmi! La prossima volta che oserete trascinarmi come un sacco ve la farò pagare!»

Elijah la fissò, agguerrito.
«Quindi i miei sospetti erano veri! Volevate scappare!»

«Non provate a cambiare discorso! Quello che vi sto dicendo non ha niente a che fare con i vostri stupidi dubbi...»

«Oh, io temo che ce l'abbia invece!»

«No, non ce l'ha!» Isabel trattenne il respiro per una manciata di secondi, poi disse qualcosa, qualcosa che le scatenò un profondo senso di angoscia e repulsione.
«E che sia chiaro, il mio non è un avvertimento privo di intenzioni signor Brown: non toccatemi mai più!»

Elijah sogghignò, poi si alzò dalla sedia.
Mosse un passo avanti, lento e guardingo, lo sguardo aguzzo e felino. «Oh anche il mio lo è, Isabel. Le mie intenzioni sono certezze assolute, così come il fatto che voi rimarrete qui, che lo vogliate o meno, perciò vi consiglio di tenere a bada quest'inutile arroganza. Non è una qualità che apprezzo!»

Isabel mandò giù un groppo di spine oltre che alla saliva.
«Vi piacerebbe, non è così? Mi vorreste arrendevole per potermi manipolare con più facilità, per rendermi indifesa, vulnerabile, umiliata e vostra, ma questo non accadrà mai! Vi renderò la vita un inferno, mi assicurerò personalmente che tutta la vostra esistenza lo sia!»

Elijah si ammutolì, immerso in chissà quale riflessione fugace, poi rise. Una risata profonda, che la sbeffeggiò con arroganza. «Arrivate tardi, cara Isabel. La mia vita è già un inferno, la vostra presenza non potrà che migliorarla, in realtà.»

Isabel aggrottò la fronte, il cuore le martellava nel petto. I suoi piedi si mossero con esitazione, avvicinandosi lentamente a quel diavolo immobile che la fissava con occhi colmi di rabbia e minaccia. Una figura oscura, eppure irresistibilmente seducente e affascinante, un paradosso di bellezza e frustrazione.
«Vorrei tanto uccidervi, sapete? Se solo la mia vita non dipendesse dalla vostra miserabile esistenza, l'avrei già fatto!»

«Bene, fate pure...» Elijah si mosse a sua volta.
«Ma temo che dobbiate rispettare la fila: ho già chi pretende la mia testa!»

«Chiedetevi il perché allora!»

«Non m'interessa il perché...» la interruppe lui.
«A me interessate voi

Isabel si rifiutò di credergli. «No non è vero, l'unica cosa alla quale siete interessato è il vostro stupido ego!»

«Come fate a dirlo?» Elijah inclinò il capo. «Non mi conoscete, perché già mi giudicate?»

Isabel rimase a bocca aperta, sbigottita.
«Me lo state domandando sul serio? Oh mio Dio!»

«Sì, ve lo sto domandando, sul serio!» Elijah avanzò ancora.
«Sto tentando di proteggervi, perché vi ostinate a non capirlo?» Quella frase gli uscì imperiosa e frustrata al tempo stesso: il suo sguardo divenne stranamente opaco, la mascella si contrasse, la rabbia lo infiammò.
«Non vi permetterò di andarvene in giro così, non esiste! Avete idea di quanto mi abbiate fatto preoccupare?!» Elijah le afferrò il mento, rialzandole il viso per guardarla negli occhi. «Ma sono abbastanza sicuro che per voi tutto questo sia un gioco, un capriccio capitanato dalla vostra stupida insolenza, non è così?» domandò, socchiudendo le palpebre.

Isabel schiaffò via la sua mano, indietreggiando. All'improvviso si sentì sopraffatta da un profondo senso di angoscia. Da un insopportabile voglia di prenderlo a schiaffi. Non riusciva a digerire la sua arroganza, non la tollerava in alcun modo!

«Non dovete toccarmi ho detto!» esclamò, stringendo i pugni con rabbia. Sentì i suoi occhi pizzicare, minacciare un pianto che tentò disperatamente di arginare.
«Non sapete far altro che dare ordini o sbraitare come un pazzo! Avete rovinato la mia vita e ora vi aspettate che vi ubbidisca, che vi compiaccia, che mi trasformi in una marionetta che possiate manovrare, ma no! Questo non accadrà mai, in nessun modo! Dovete portami rispetto, non vi permetto di trattarmi così, mi avete capito?!» 

Lei fece per andarsene, decisa persino a scappare, ma Elijah l'afferrò per un polso, dandole lo strattone finale per stringerla a sé. Isabel desistette, eppure il divario fra i loro copri risultò cruciale ancora una volta: lui la intrappolò fra le sue braccia robuste, la tenne stretta mentre lei si divincolava. Indifesa, morbida, terrorizzata.

Si detestava, maledizione! Non voleva che andasse così. Lui voleva proteggerla, voleva averla, voleva baciarla. Voleva scusarsi. Voleva che lei lo desiderasse. Ma le parole gli morivano in gola, soffocate dall'abitudine di comandare. Ogni tentativo di aprir bocca si tramutava in un ordine.

E così accadde anche stavolta.
«Non fatelo mai più!» ringhiò, più duro di quanto intendesse essere.

«Cosa?! Non ho fatto un bel niente!» ribatté Isabel, con una rabbia gemella alla sua.

«Sì, invece! Vi siete allontanata senza permesso!» esclamò lui, le vene sul collo che pulsavano di collera.

Isabel scosse la testa, furiosa, e piantò i piedi a terra, inamovibile, nonostante le braccia che circondavano. «Ah, ora devo chiedervi il permesso?!» lo schernì.

«Sì, Isabel! Qualunque cosa tu faccia, ovunque tu vada, è di mio interesse! Dovrai imparare a comunicarmi ogni singolo spostamento!» C'era una disperazione nascosta nel modo in cui la teneva avvinta a sé, come se avesse paura di lasciarla andare.

«E perché mai?» Isabel lo guardò con occhi di ghiaccio, sfidandolo.

Elijah serrò la mascella, combattendo con se stesso. «Perché ho deciso così» mormorò, il respiro pesante, come se ogni parola gli costasse uno sforzo immenso.

«Quello che decidete voi non è affar mio!»

«Da adesso lo è, Isabel!»

«No!»

«Sì, invece!» ringhiò, stanco e spazientito. «Vi comportate come una sciocca ragazzina, maledizione!»

«E voi come un dannato psicopatico!» replicò Isabel, aggrottando la fronte mentre continuava a divincolarsi con forza. Sapeva che sfuggirgli era impossibile, ma non aveva intenzione di arrendersi. Non avrebbe mai permesso a Elijah di avere l'ultima parola.
«Manipolate la gente con il vostro finto altruismo, vi insinuate nelle vite altrui, le contaminiate e poi le distruggete convinto di farlo in nome di chissà quale idiozia che voi spacciate per buonismo! Siete finto, come tutto ciò che dite!»

Elijah si ritrasse leggermente, aumentando la stretta in modo che non potesse sfuggirgli.
"Che piccola arrogante" pensò.
Ma lui sapeva bene come distruggerla.

«Avete ragione» riprese a dire.
«Ma su una cosa vi sbagliate, temo...»
I suoi occhi magnetici, di un blu intenso, risplendevano abbagliati dalla luce oltre le sue spalle: due diamanti freddi e penetranti che sembravano sfiorarle l'anima, lasciandola nuda.

«Ieri sera vi ho confessato una cosa? La ricordate?» domandò severo.

Isabel lo fissò agguerrita: pur non tollerando il fatto che l'abbracciasse come se fosse un uomo invece che una bestia, si arrese alla sua stretta, incapace di liberarsi.
«Non so di cosa diavolo state parlando!»

«Sì che lo sapete, pensateci bene.»

Isabel batté le palpebre, confusa. Chinò lo sguardo tentando di fare appello alla memoria.
«Quello che mi avete conf...oh!» la sua pelle le si infiammò, consumata dall'imbarazzo e l'umiliazione. Cominciò persino a tremare tra le sue braccia.

"Ti voglio Isabel."
Come avrebbe potuto dimenticarlo?

Elijah sorrise continuando a fissarla con ardore.
Poi si chinò di un centimetro. Un altro, uno vicino abbastanza da poter quasi sfiorare le sue labbra dolci, sentire il suo respiro accelerato, avvertire la scarica di emozioni che febbricitava sulle loro pelli. Odio angosciante mischiato a rabbiosa passione. Lui le sfiorò la schiena, la seta avvolse quel tocco dolce, lento, gentile, che partì a frastornargli la ragione.

Voleva toccarla.
Dappertutto.
Ma non lo fece, non questa volta.

«Sarò anche un bugiardo Isabel, il peggiore, il cialtrone più vile di tutti, ma non vi ho mentito. Per quanto la mia sincerità sia merce scadente, questa volta dovrete darmene atto...» Lui tacque per un attimo, poi parlò.
«Io vi desidero, vorrei spogliarvi, anche adesso, nuda, tutta nuda e su di me!»

Di nuovo si guardarono, le labbra socchiuse, gli occhi intenti a studiarsi come se quello fosse un gioco o una sfida, una lotta contro oscuri desideri. Elijah risalì con il dito su per la sua guancia, fino ad accarezzarle le guance rosee, morbide come piume.
«Bella come un angelo...» le disse all'orecchio.

Isabel chiuse gli occhi, sopraffatta da uno strano senso di stordimento. Il cuore le batteva così forte da sentirlo in bocca. Con un gesto veloce approfittò della sua distrazione per divincolarsi dalla presa. Elijah la lasciò andare, con qualche remora, ma lo fece. L'ammirava in silenzio, stregato e soddisfatto, mentre lei a passo svelto si avvicinava alla scrivania. Teneva una mano sulla fronte bollente e l'altra sullo stomaco in subbuglio.

Lo odiava, maledizione.

Lo odiava con tutte le sue stupide forze.
Avrebbe voluto strangolarlo a morte, senza lasciargli più fiato! Eppure, in quell'istante colmo di desideri contorti, la sua carne pareva confabulare volontà diverse, complottarle contro spudoratamente. Travolgerla da un fuoco nuovo, temuto, ma non sconosciuto. No, le sue fiamme, purtroppo, l'avevano già scottata la notte precedente.

Isabel sospirò, un ansito colmo di frustrazione. Di spalle si appoggiò alla scrivania, l'unico peso a sorreggere tutta l'angoscia che la divorava. Si sentì una sciocca, una stupida ragazzina che bramava bisogni di cui poi si vergognava.
«Io me ne infischio di ciò che desiderate voi! Come vi permettete a dirmi cose del genere? Non vi vergognate? Non avete alcun tipo di rispetto per me!»

Elijah la guardò più attentamente. Ardentemente.
«Io gioco a carte scoperte Isabel, non saprei fare altrimenti. Confessarvi ciò che provo non mi rende un villano, fino a prova contraria, desiderare una donna non è uno scandalo.»

«Lo è farglielo sapere così

«Avreste preferito che lo facessi come ieri sera?»

Isabel scosse la testa.
«No, vorrei che non lo faceste e basta!» precisò.
«La cosa non m'interessa, voi non m'interessate, in alcun modo, quindi vi consiglio di tenervi alla larga da me. Non lo capite? Non fate altro che mettermi a disagio così!» lei lo guardò, esasperata, al limite di ciò che avrebbe potuto sopportare. «Io non vi voglio, non provo le stesse cose, non...non sono come voi!»

Elijah le si avvicinò, a passo lento, le mani in fondo alle tasche. Tasche colme di amarezza e... delusione, in qualche modo.
«Come me...» ripeté lui. Quella stupida ammissione gli lasciò un sapore amaro in bocca, un senso di insoddisfazione che dal petto gli scivolò fino alla bocca dello stomaco. In quel momento, la detestò. Lo aveva offeso, e molto. Avrebbe voluto fargliela pagare, farle ingoiare quelle stupide parole a suon di baci irruenti e carezze perverse! Ma rimase a fissarla, muto e...ferito nel profondo del suo orgoglio. Lo stesso orgoglio che ora gli impartiva ordini non richiesti, che lo obbligava ad agire.

Lanciò un rapido sguardo al foglio sul tavolo e sorrise, un ghigno appena accennato.
Se la sarebbe presa in ogni caso, maledizione!

«Perché non ci sediamo?» chiese, indicandole il divano.
Sta calmo, calmo.
«Abbiamo molto di cui parlare.» Elijah raggiunse il sofà oltre le sue spalle, accomodandosi con nonchalance. Poi si voltò, incitandola a raggiungerlo. Sembrava celare una bizzarra trepidazione oltre un velo di finta indifferenza.

Isabel deglutì. Temeva quel momento come la morte.
Forse perché in fondo, forse, lo era davvero.
«Avete sentito cos'ho detto?»

«Forte e chiaro,» annuì lui.

«Mi prendete in giro, non è così?» Isabel incrociò le braccia.

«Vorrei prendervi in tutt'altro modo, in realtà,» sogghignò lui, furbo e malevolo. Aveva tutta l'intenzione di metterla a disagio. Esatto, di proposito. Lo rifiutava? Bene, che si beccasse le conseguenze allora!

Isabel avvampò, peggio di prima.
«Ma insomma volete piantarla!»

«Quando vi siederete la smetterò,» rispose Elijah con calma.
«Altrimenti posso elencarvi in quanti modi mi piacerebbe scoparvi. Sono tanti sapete?»

Isabel sentì i muscoli delle guance serrarsi, peggio dell'acciaio. Come poteva quell'uomo essere così orribile e...affascinante al tempo stesso?
«Siete uno schifoso pervertito!»

«Oh non sapete quanto...» Elijah accavallò le gambe con sfacciata arroganza.
«A proposito, ora che mi ci fate pensare, avrei molte fantasie di cui parlarvi e tutte su di voi. Da quale inizio...» lui fece finta di pensarci, gettandole un'occhiata che non lasciava dubbi: avrebbe continuato all'infinito non se gli avesse dato ascolto.

Isabel emise un ringhio frustrato. Non aveva molta scelta, era costretta ad assecondarlo. Senza far fronte alla conseguenze raggiunse il sofà. Si sedette controvoglia, rimanendo a debita distanza da lui.
«Soddisfatto?»

«Molto» sorrise Elijah ammiccante.
«Così mi piacete, non sapete quanto.»

Lei gli lanciò un'occhiataccia. «Devo rialzarmi?»

«Fate pure. Poi però sarò costretto a baciarvi, e non so se vi convenga vestita così.»

Isabel si irrigidì. Qualcosa in lei vibrò, non seppe dire se di vergogna o di stupido compiacimento. In vita sua non aveva mai ricevuto avance così sfrontate e indecenti, niente che l'avesse mai fatta sentire speciale. Era una donna in carne e ossa, eppure per tutta la sua stupida vita non aveva fatto altro che sentirsi un fantasma. L'amore e il desiderio le erano sempre apparsi dei sogni allettante, la realizzazione dei suoi immaginari più romantici. Desiderava solo questo in realtà, sentirsi finalmente appagata, viva, piena di sogni ai quali dare una voce.

Ma non con lui.
No, non poteva lasciare spazio a un uomo del genere.
Era bello, molto bello, ma il suo fascino era nullo, una maschera che celava la sua vera natura. Quella di un mostro senz'anima, di un diavolo oscuro e imprevedibile.

Se solo non fosse così...
Orribile e indisponente...
Forse...
No forse niente, non poteva e basta!

Deglutì, nervosa e oppressa dalla tensione fra loro.
Elijah l'ammirava in silenzio, quasi fosse una statua in un santuario. Batté la punta dei piedi, a ritmo, un suono lento e ponderato, per nulla sufficiente a scaricare la tensione che minacciava di sopraffarlo. Era bizzarro osservare il modo in cui si guardavano. Si poteva pensare a uno scontro, ma con armi silenziose, una guerra capitanata dalla finta discrezione che aleggiava attorno alla camera. Un confronto duro e tagliente, alimentato dall'odio di lei mischiato al misero autocontrollo di lui. Un armistizio dettato dalla voglia reciproca di trovare un accordo.

Un patto che non li condannasse entrambi!

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