Capitolo sessanta

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"Che cos'ho fatto?"






L'amore non è una cosa che si può insegnare,
ma è l'unica cosa che può salvarti.
-DARK FLOWER


Che accade quando tutto sembra perduto?
Quando ogni speranza, ogni flebile fiammella di gioia viene spazzata via dal dolore?
Quale destino ci attende quando perdiamo l'unica cosa capace di farci sentire ancora vivi, ancora umani?
Ancora reali?

Elijah non lo sapeva. Credeva di sapere tutto, che niente gli fosse sconosciuto, ma ai piedi di Matthias, morente e ferito, non poteva che rivalutare ogni sua convinzione. Era questo che provava pensando a Isabel lontana da lui; si sentiva spacciato, addirittura perso.

Con una mano debole cercava di tamponare la ferita, mentre con occhi assenti osservava lo scenario davanti a sé: Matthias, rosso in volto, urlava parole che lui non riusciva a sentire. Le esplosioni vicine erano l'unico appiglio rimasto per mantenersi lucido. Avvertiva un fastidio lancinante sotto il costato, sul lato destro del corpo. Per fortuna, la pallottola non aveva colpito il lato sinistro del torace, c'era già qualcos'altro che gli doleva da quella parte: il cuore.
E non era sicuro che avrebbe potuto sopravvivere con due dolori così ravvicinati.

Voleva bene a suo fratello, a tutti i suoi fratelli, persino a quella megera di Brooke. Ma in quel momento non aveva bisogno di Matthias per sentirsi meglio. Solo una persona avrebbe potuto aiutarlo, una che purtroppo non era lì con lui.

"Isabel..." provò a dire.
La sua fata bella e cocciuta.
Dov'era?
Stava bene?
Lo stava ancora aspettando?

Chiuse gli occhi e, quando li riaprì, vide di nuovo il suo volto. Le labbra rosse e piene, le pagliuzze dorate che esplodevano come fuochi d'artificio nei suoi occhi, verdi come il riflesso di un prato in un fiume cristallino. Le aveva detto addio, anche se non era ancora pronto a farlo del tutto. Sapeva che sarebbe morto o forse lo sospettava, ma pregava che la morte fosse abbastanza clemente da ritardare la sua ascesa all'inferno.

Aveva ancora molti baci da darle, non voleva che nessuno andasse sprecato. O forse non voleva semplicemente correre il rischio che qualcuno glieli desse al posto suo.

Era una cosa impensabile. E bastò quell'unico pensiero a risvegliarlo dalla trance che lo teneva sospeso, in bilico tra la vita e la falce del tristo mietitore.

«Matthias...» lo chiamò, con la gola arida dallo sforzo. «Trova Isabel, trovala, tro-va-la...»
Era così stanco, stanco di lottare. Era da tutta la vita che cercava di sopravvivere al mondo in cui suo padre lo aveva rinchiuso, ma ora sentiva di non avere più forze.
Di non riuscire più a resistere.

Il suo unico desiderio nella vita era di costruirsi una famiglia, di trovare un piccolo isolotto dimenticato da Dio dove trascorrere il resto dei suoi giorni con la donna che amava e con la prole che avrebbero generato.

Aveva tentato di concretizzarlo con Lily, nonostante la loro giovane età, ma era stato vano. Ed ora, anche se Isabel aveva sconvolto ogni parte di lui, rinfocolando sogni e passioni che credeva di aver perso per sempre, sentiva che nulla sarebbe cambiato. Anche restando con lei, il marciume che insozzava la sua anima non sarebbe scivolato via. Doveva fare qualcosa di più concreto, di più efficiente, se voleva avere la possibilità di ricominciare e battere Rick, nonché tutti i suoi nemici.

Matthias lo scosse con forza per non farlo addormentare: era assolutamente necessario che restasse sveglio. Perdere i sensi nelle sue condizioni sarebbe stato fatale. «La troverò, te lo giuro! Ma devi restare sveglio, capito? Non dormire, cazzo, rimani sveglio!» gridò.

«Ethan, mi senti? Devi alzarti, dobbiamo andare!» disse poi al fratello minore, sperando in una sua ripresa. Ma a causa degli spari non riusciva a capire la sua risposta.

Dio santo!

«Non dovevi farlo!»
Benjamin, nascosto nel fortino, continuava a imprecare contro Rick. Da quando l'attacco era ripreso con rinnovata ferocia, sembrava che non riuscissero a fare altro che litigare.

Rick mantenne alto il suo atteggiamento di sfida.
«Era il nostro obiettivo fin dal principio, sai benissimo che dovevamo eliminarlo. Avevamo un patto! Io prendevo il suo posto e tu ottenevi la tua vendetta. Ce l'avevamo sotto il naso, cazzo, sotto il naso! Non potevo lasciarmi sfuggire un'occasione del genere, sarebbe stato da sciocchi. Perché non lo capisci?»

«Perché lui deve soffrire!» Benjamin palesò una rabbia senza eguali. Sembrava così esasperato, così furioso. Per la prima volta nella vita, quell'uomo solitamente composto incarnava dei sentimenti reali, che lo facevano sembrare in carne e ossa. Peccato che fossero i peggiori possibili.

«Sta già soffrendo, agonizzante dietro l'auto, colpito dalla pallottola che io stesso ho sparato. Perché credi che abbia assecondato tutte queste sciocchezze legate al tuo risentimento? Non certo per farti un favore, ma per spedirlo sotto terra! Senza di lui a governare su Franciville, il trono sarebbe vuoto, e nessuno sarebbe tanto sciocco da lasciarselo scappare. Sei stato tu a dirmelo, no? Matthias non prenderebbe mai il suo posto; è troppo corretto e magnanimo per darsi alla malavita. Ethan è ancora un ragazzino, Isabel è semplicemente una vittima, e Brooke... beh, quella è una causa persa. Nessuno si metterebbe in affari con lei. L'unico da eliminare è lui, Elijah. Lui è sempre stato il mio unico ostacolo, e non lascerò che tu mi soffi dalle mani l'occasione di vederlo strisciare come immondizia. Mi è già sfuggito in passato, ma non ripeterò lo stesso errore, non una seconda volta, cazzo! Quindi ti conviene stare dalla mia parte, vecchio, se tieni alla tua vita. Considerati avvertito!»

Benjamin si sforzò di non dire nulla, non subito. Cominciava a non sopportarlo più, quell'uomo. Stava mandando all'aria un piano che aveva progettato dal giorno della morte di Lily. Era un progetto minuzioso che andava portato a termine con altrettanta precisione. Non poteva permettere che quel folle psicopatico distruggesse tutto.

«Non ti conviene parlarmi così» lo rimproverò, quando lo vide fare dietrofront per tornare alle finestre. «I tuoi recenti successi sono solo merito mio, Rick. Dovresti ricordarlo bene, temo che il tuo buon senso si stia annebbiando.»

«Che cos'hai detto?» Rick si voltò lentamente, il volto teso. Non sembrava proprio in vena di paternali.

«Che dovresti stare attento. Non amo i caratteri così violenti. Coloro che si dimostrano incoscienti non hanno vita lunga con me, temo.» Benjamin avanzò pericolosamente fino a trovarsi faccia a faccia con Rick. «L'unico che deve prestare maggior cautela, qui, sei tu. La mia pazienza è appesa a un filo, e questo non è un bene, soprattutto per te.»
Sorrise pacato, come se le sue non fossero intimidazioni vere e proprie, ma quasi stupidi biasimi materni.

Lo sguardo torvo di Rick era fisso su Benjamin, ma quando parlò c'era autorità nella sua voce. «Mi stai minacciando?»

Benjamin sogghignò. «Oh no, non è una minaccia, solo un avvertimento. Un semplice ammonito che spero prenderai in considerazione, per la tua vita, senz'altro, più che per la mia.»

«Per la mia vita?» Rick sollevò le sopracciglia, indicandosi.

Benjamin sembrò pensare a qualcosa, poi rispose con freddezza: «Sì. Se tieni alla tua vita insignificante, farai come dico. Altrimenti, dimostrerai di non servirmi a nulla, di essere una risorsa inutile. E sai a cosa servono le nullità? Lo dice il termine stesso: a niente.»

Rick non poteva credere alle sue orecchie. Sapeva che quel maggiordomo sarebbe diventato un problema, che prima o poi avrebbe dovuto eliminarlo. Ma non immaginava che quel giorno sarebbe arrivato proprio ora, nel momento in cui avrebbero dovuto uccidere i Brown. Che assurda contraddizione. Era grato a Benjamin per il suo aiuto; senza di lui sarebbe ancora a dannarsi, cercando informazioni sul nascondiglio di Elijah. Ma non avrebbe permesso a quel vecchio rugoso, a quel vecchio stupido bavoso, di umiliarlo in modo così spudorato. Non lo avrebbe permesso a nessuno.

«D'accordo, mi hai stancato, vecchio del cazzo...» mormorò Rick. Si girò di scatto ed estrasse la pistola dalla fondina con una velocità che avrebbe potuto sembrare letale. Ma Benjamin, attento e sorprendentemente preciso, fu più veloce. Premette il grilletto, uccidendolo prima che Rick potesse fare altrimenti.

Il colpo lo colse di sorpresa, spezzando il suo slancio.
La sua pistola scivolò dalle mani, cadendo a terra con un tonfo sordo. Rick rimase immobile, gli occhi spalancati, increduli. Le ginocchia cedettero per prime, facendolo crollare lentamente. Il mondo intorno a lui si offuscava, le figure si trasformavano in ombre indistinte. Cadde pesantemente a terra, il corpo che si afflosciava come un burattino senza fili.

Il sangue cominciò a diffondersi rapidamente sotto di lui, formando una pozza scura che si allargava sul pavimento. Rick cercò di inspirare, ma il respiro si faceva sempre più difficile, ogni boccata d'aria si trasformava in un rantolo disperato. Il suo sguardo, ormai privo di vita, fissava il vuoto. Rick era morto.

Benjamin l'osservava con una calma glaciale, impassibile.
«Sconfitto dalla stessa astuzia che hai cercato di stidare...» sorrise il maggiordomo. «Te lo avevo detto che ti sarebbe costato caro, ragazzo.»

Rick aveva gravemente sottovalutato la forza della vendetta che bruciava dentro Benjamin. Nulla poteva eguagliare quell'odio, nemmeno la sua insignificante scalata al potere. Fin dall'inizio, quella battaglia non era mai stata di Rick; non era lui a guidarla. Sebbene avesse fornito la forza necessaria per perseguire i propri obiettivi, non era stato il boss a dirigere le fila. Benjamin aveva sempre avuto il controllo. Era lui il principale nemico di Elijah, lui e i nobili che i Brown avevano scioccamente beffato al ballo.

Avevano finanziato aerei, armi, uomini per uccidere la stirpe dei Brown, anche se neanche un quarto della loro armata era presente quel giorno. Benjamin aveva agito con prudenza, colpendoli di sorpresa, senza però rivelare tutte le risorse a sua disposizione. Era stato astuto: voleva che sapessero di essere stati scoperti, e che, anche se si fossero nascosti, sarebbero stati rintracciati. Ma non voleva annientarli troppo rapidamente; sarebbe stato patetico, persino ingiusto concedere loro una fine indolore.
No, non era quello il suo obiettivo.

Li avrebbe uccisi uno per uno, ma senza rivelare loro i suoi piani, non troppo presto. La resa dei conti si stava ancora svolgendo nei recessi della sua mente.

Con passo deciso, si avvicinò alle finestre, dalle quali gli uomini reclutati dai Lord, continuavano a sparare. Alcuni si rifugiavano cercando di schivare i colpi brutali provenienti dalle macchine, mentre altri, senza timore, ricambiavano il fuoco.

Matthias era ancora accucciato accanto ad Elijah.
Era riuscito ad arginare l'emorragia per il momento, ma non gli restava molto tempo; doveva essere operato, subito, altrimenti non ce l'avrebbe fatta. «Resisti!» continuava a urlare Matthias. «Ce la farai, ce la farai, non dormire!»

Elijah era sfinito. Non sapeva per quanto ancora sarebbe riuscito a tenere gli occhi aperti. «Isabel, Isabel...dove sei, dove sei...» continuava a invocare il suo nome come se fosse aria salvifica, come un naufrago aggrappato all'ultima tavola di legno in mezzo all'oceano.

Stava scivolando verso la follia; sentiva la ragione sfuggirgli di mano. Tale era l'effetto devastante che l'assenza di Isabel sortiva su di lui. Non sapeva dove fosse, né come stesse, e questa incertezza cominciava a mandarlo in bestia.

In quel momento però, quando tutto sembrava perduto, accadde qualcosa di inaspettato, qualcosa che neanche Benjamin aveva previsto. Da lontano, il rombo prepotente di una schiera d'auto fece irruzione nello scontro. Le jeep sfrecciarono con una potenza devastante, le gomme stridettero contro l'asfalto, sollevando nuvole di polvere e detriti, mentre i motori ruggivano come belve affamate. Benjamin si girò di scatto, affacciandosi alle finestre senza però farsi vedere troppo.

Chi erano? Amici o nemici?
La risposta non si fece attendere.

Dal primo veicolo, un robusto suv nero, scese una figura inconfondibile. Era Brooke. Si era cambiata: indossava una tuta mimetica e un giubbotto antiproiettile, spesso abbastanza da proteggere i punti più vulnerabili del suo corpo.

«Ehi, brutti figli di puttana!» esclamò, feroce come una valchiria. «Chi vuole giocare con me?»

Senza attendere una risposta, tornò in auto, un po' per difendersi dalla raffica di colpi che rimbombava sulla carrozzeria, un po' perché doveva ancora sfoderare la sua carta vincente. Quando sbucò fuori dall'auto con un piede ancora nel suv, imbracciava uno strumento molto pericoloso e molto, molto distruttivo: un bazooka.

«Che vogliamo fare? Mh? Cessiamo il fuoco o no?» gridò, tentando di sovrastare i rumori.

Dietro di lei, uomini e donne armati, ben addestrati, si dispiegarono rapidamente. Con colpi precisi e coordinati, iniziarono a contrattaccare, centrando gli avversari con una precisione spietata.

Brooke si mosse con agilità, cercando copertura dietro il suv mentre preparava il bazooka. La milizia di Rick, colta di sorpresa, cercava di riorganizzarsi ma l'offensiva era troppo veloce e violenta. Benjamin studiava la scena, il cervello in piena attività strategica. Doveva prendere una decisione rapidamente. Le nuove forze alleate stavano ribaltando le sorti dello scontro, ma l'esito era ancora incerto. Si voltò verso la sua milizia, urlando ordini per riorganizzare le linee di difesa.

«Mollate tutto, andiamo via! Ora!» gridò con un tono che non ammetteva repliche.

Se c'era una cosa che Benjamin aveva imparato in tutti quegli anni di "doppio operato", era che non potevi competere contro la follia di Brooke. Quando Brooke decideva che eri il nemico, riusciva a darti la caccia e a distruggerti, ad annientarti, peggio di come avrebbe fatto Elijah. Era spietata, non si faceva scrupoli, proprio come lui.

Erano così simili, due maledette gocce d'acqua.

Benjamin lo sapeva bene. Se avesse cercato di resistere, avrebbe perso tutto. «Ritirata! Andiamo via! Ora!» continuò a sbraitare, mentre i suoi uomini iniziavano a muoversi velocemente, pronti a lasciare il campo di battaglia. I cecchini smisero di sparare e, rapidi come frecce, corsero giù per le scale nel futile tentativo di sfuggire alla mattanza.

Il che si rivelò un'ottima occasione per Matthias.
Nascosto dietro il riparo, notò le finestre vuote. L'intervento di Brooke aveva salvato loro la vita. Non perse altro tempo. Con cautela, si avvicinò a Elijah: lo sollevò con delicatezza, cercando di non aggravare ulteriormente le sue condizioni.

«D'accordo, andiamo via di qui! Reggiti a me!» disse lui, afferrando il braccio di Elijah e passandoselo attorno al collo per sostenerlo meglio.

«Isabel, non me ne andrò senza di lei...mh!» Elijah gemette, il dolore della ferita continuava a stordirlo.

Con grande sforzo, riuscì finalmente a mettersi in piedi, ma lo squarcio del colpo lo fece zoppicare vistosamente. Matthias si sforzò di sorreggerlo, il peso di fratello gravava su di lui, ma questo non gli impedì di trasportarlo. Con movimenti lenti e calcolati, iniziarono a dirigersi verso la macchina di Brooke, cercando di mantenere l'equilibrio.

«Dov'è, dov'è lei...»

«Ci penserà Brooke, a te serve un medico!»

«Ho bisogno di lei» riuscì solo a mormorare Elijah, «ho bisogno di lei...»

«Lo so, la troveremo, sta tranquillo!» rassicurò Matthias.

Finalmente raggiunsero la macchina. Matthias aiutò Elijah a entrare con cautela, facendo attenzione alla ferita. L'uomo si accasciò sul sedile, il viso contorto dalla sofferenza, ma determinato a rimanere cosciente.

«Resisti, ce la faremo!» Matthias chiuse la portiera con un gesto deciso.

«Cristo santo!» esclamò Brooke quando vide Elijah in quelle condizioni. Gli lanciò una breve occhiata, allarmata, ma non si lasciò distrarre. Con il bazooka ancora puntato verso l'edificio, urlò: «Prendi Ethan e fuggiamo da qui, presto!»

«Trova Isabel!» ordinò Matthias, senza fornire ulteriori spiegazioni. Prima che anche Brooke fuggisse, doveva portarla al nuovo rifugio. Se Elijah avesse perso i sensi e, al risveglio, non l'avesse trovata accanto a sé, avrebbe dato di matto.

«Ma non era con voi?» domandò Brooke, perplessa.

Matthias scosse la testa e, avvicinandosi a lei, si abbassò all'altezza dello sportello per cambiare rapidamente le bende al taglio che aveva sul braccio. Strappò un secondo lembo della camicia e lo avvolse attorno alla ferita sanguinante. «Elijah l'ha fatta scappare nel bosco prima dell'attacco. Probabilmente si nasconde ancora lì, nella casetta di legno in cui giocavamo da piccoli. La ricordi?» spiegò senza aspettare risposta. «Quando l'avrai trovata presta assistenza a Isabel, e accertati che stia bene.»

Brooke annuì, risoluta. «D'accordo, ci penso io.»

Una volta che Matthias ebbe finito con la medicazione, corse verso la baita, protetto dai rinforzi. All'interno trovò Ethan ancora a terra, visibilmente affaticato.

Si inginocchiò al suo fianco, osservandolo con più accuratezza.
«Ce la fai a camminare?», non sembrava perdere sangue, ma il modo in cui teneva il fianco indicava probabilmente una contusione alle costole.

Ethan annuì e si aggrappò alle sue spalle per evitare di cadere. Con uno sforzo congiunto, riuscirono a farlo alzare e lo sostenne fino all'auto. Una volta che Elijah, Ethan e Clodette – ancora priva di sensi – furono caricati sulla macchina, la famiglia Brown era pronta a partire.

Matthias si assicurò che tutti fossero al sicuro prima di dare l'ordine di muoversi. Di Benjamin e della sua truppa non c'era più traccia, ma non potevano permettersi di perdere tempo. Anche se fossero riusciti a inseguirlo e a catturarlo, non avrebbero potuto trattenerlo senza rischiare che fuggisse di nuovo. Erano a corto di uomini, purtroppo.

La loro unica possibilità restavano i VanderWoodsen.
Una volta accertatosi delle condizioni di Elijah, sarebbe andato a chiedere il loro aiuto. Strano che non fossero ancora arrivati.

Brooke gli cedette il posto di guida, portando con sé il bazooka. «Riesci a guidare? Una scorta verrà con te, mentre l'altra resterà con me per ritrovare Isabel, d'accordo?»

Matthias annuì, sedendosi al volante, pronto a partire.
Si allacciò la cintura e chiuse lo sportello.

«Isabel...Isabel» Elijah, stremato e disorientato, continuava a mormorare il suo nome come se lei fosse lì con lui e potesse confortarlo in qualche modo.

Brooke si avvicinò alla portiera, rassicurandolo malgrado non fosse del tutto cosciente. «Andrà tutto bene, non preoccuparti» gli sussurrò con dolcezza.

Era in forte apprensione per lui e anche per Ethan, a dire il vero, ma Elijah sembrava essere messo peggio di tutti.
Pregò silenziosamente che suo fratello riuscisse a riprendersi. Elijah era tutto per lei; anzi no, tutti i suoi fratelli erano importanti per lei, anche se purtroppo non gliel'aveva dimostrato abbastanza.

Brooke spostò poi la sua attenzione al gruppo che l'aveva aiutata. «Tom, Alizèe», li richiamò , «portate a casa la mia famiglia. Seguite la strada principale e non fermatevi per nessun motivo al mondo. Una volta lì, fate in modo che ricevano assistenza medica.»

Tom annuì deciso, e Alizèe rispose con un semplice: «ricevuto, capo.»

«Io e il resto di voi rimarremo qui», continuò Brooke, «dobbiamo ancora recuperare una superstite. La sua vita è nelle nostre mani.»

L'ultimo commando, composto da quattro membri fidati, annuì all'unisono. La devozione che avevano per Brooke era evidente.
Chi erano?

«Siamo pronti,» esordì uno di loro, stringendo il fucile.

Tom e Alizée si avviarono con il primo gruppo verso le jeep parcheggiate poco distanti. Il rombo dei motori riempì l'aria mentre le auto partivano, sgommando verso la nuova destinazione. A Matthias bastava seguire le vetture che si erano mosse per prime per fare loro da guida.

L'uomo si rivolse un'ultima volta alla sorella, prima di allontanarsi.
«Tieni gli occhi aperti e state pronti a qualsiasi cosa.»

Brooke confermò con un cenno. «Fate attenzione, sbrigatevi.»

Matthias annuì, poi senza perdere altro tempo, si misero in marcia.

Brooke fissò il grosso palazzo davanti a sé. Sapeva che Benjamin se l'era data a gambe, e Rick con lui, ma insistette per fare un sopralluogo veloce prima di mettersi alla ricerca di Isabel. Probabilmente stava bene, magari era spaventata, ma tutto sommato se la sarebbe cavata.

A passo deciso, si avvicinò alla porta, seguita dalla piccola milizia, le armi spianate. Con un calcio sfondò la porta, puntando la pistola verso un potenziale nemico nascosto. Quando vide che non c'era nessuno, l'abbassò leggermente. L'edificio era una struttura abbandonata, una casa vecchia che era lì da almeno un paio d'anni. Mantenendo la concentrazione, si diresse al piano superiore, facendo attenzione a non fare rumore. Le scale erano deserte, rafforzando l'impressione che l'abitazione fosse davvero abbandonata. Quando raggiunse il piano con le finestre, quelle da cui avevano sparato i nemici, trovò la conferma di ciò che sospettava.

Erano scappati tutti.
Codardi!

Era convinta di trovare dei cadaveri, e di fatto qualcuno c'era, ma quello che vide adagiato ai piedi di una finestra, immobile e ricoperto di sangue, le procurò una gioia immensa, una sensazione di trionfo mai sperimentata prima.
Non poteva credere ai suoi occhi: Rick era ancora lì, nell'esatto punto in cui era stato tradito.

Brooke si chinò a guardarlo meglio. Era incredibile.
«Che giornate di merda, non è vero?» ridacchiò, con un misto di ironia e sollievo.

Erano anni che i Brown gli davano la caccia, anni che pretendevano la loro vendetta. Era buffo e quasi incredibile che a mettere fine alla corsa di quel parassita fosse stato proprio il loro maggiordomo. Rick era troppo lontano per essere stato colpito dagli uomini dei Brown, doveva essere stata opera di Benjamin. Quel pensiero le strappò un sogghigno amaro: aveva sempre sognato di essere lei quella che avrebbe consegnato la testa di quell'arrampicatore sociale su un piatto d'argento a Elijah.

Era un peccato che avesse perso una simile occasione.
Ma poteva comunque mostrarlo ai suoi fratelli. Perlomeno avrebbero avuto una magra consolazione nel sapere che il loro nemico era finalmente alla loro mercé.
Morto e sconfitto.

Brooke si rialzò. «Prendetelo», ordinò ai suoi uomini. «Abbiamo ancora un lavoro da finire.»

I soldati si scambiarono un'occhiata rapida, poi due di loro si avvicinarono a Rick. Lo sollevarono con un certo sforzo e lo caricarono sulle spalle, trasportandolo giù per le scale con attenzione. Quando raggiunsero l'esterno, lo adagiarono nella jeep e chiusero con cura il bagagliaio.
Si voltarono verso Brooke, aspettando ulteriori comandi.

Brooke, tuttavia, sembrava assente. Aveva così tanti pensieri per la testa. Il fatto di essere riuscita a fuggire per prima le aveva dato un grande vantaggio: era potuta tornare a casa e chiamare i pochi rinforzi rimasti. Ma questo non le dava comunque sollievo.

Quando sarebbe finita tutta quella merda?

Rick era morto, almeno di un traguardo potevano gioire.
L'unico bersaglio rimasto era Benjamin, forse il più pericoloso di tutti. Brooke non sapeva ancora che Benjamin era il padre di Lily. Se lo avesse saputo, avrebbe capito che vincere quella battaglia sarebbe stato impossibile, alquanto improbabile, soprattutto con i lord dalla sua parte.

Impossibile, senza dubbio.

Dopo aver raggiunto la jeep su cui avevano caricato il corpo di Rick, Brooke si girò. Il suo sguardo era fisso sul bazooka rimasto sui sedili posteriori. Lo prese di nuovo tra le mani, accarezzandone la struttura opaca con un sorriso amaro. Pensava che fosse un peccato non aver avuto l'occasione di utilizzarlo.

Osservò la baita, mezza distrutta, poi si rivolse alla casa e infine al bosco.

"O forse posso ancora utilizzarlo..." mormorò tra sé e sé.

Senza esitazione, Brooke imbracciò il bazooka e sparò. L'esplosione fu devastante: l'onda d'urto scosse il terreno e la casa- dentro cui si nascondevano i rivali- esplose in una palla di fuoco, crollando addirittura su se stessa.
La donna si coprì il viso dai detriti, che volarono come coriandoli roventi sparpagliandosi a terra.

Se quei mascalzoni potevano distruggere la loro casa, lei poteva annientare il loro fortino, per diamine!

In realtà, era stata solo una scusa per usarlo, ma ignorò ogni riflessione in merito. Il gruppo che era con lei si astenne dal commentare, ma i loro volti erano eloquenti: la credevano una pazza scatenata. E forse, in tutta franchezza, lo era davvero.

Brooke tornò a concentrarsi sul bosco, senza però posare il bazooka. Ora sì che potevano andare. Se lo sistemò sulle spalle e, senza fretta, cominciò ad addentrarsi tra gli alberi.

«Vengo a prenderti, fatina!», esclamò, convinta che Isabel avrebbe potuto sentirla.

Peccato che di Isabel non ne restava neanche l'ombra.

***

Ci vollero esattamente quattro persone per immobilizzare Elijah e convincerlo a operarsi prima che la pallottola lo uccidesse. Quattro. E tutte, alla fine dell'impresa, riportarono almeno un occhio nero e qualche livido su parti indefinite del corpo.

Elijah non voleva assolutamente addormentarsi senza prima sapere come stesse Isabel. Era arrivato in ospedale quasi privo di sensi, ma quando sentì la parola "operazione" sembrò che una scarica di adrenalina lo avesse rianimato. Si agitava come un forsennato, determinato a non essere sedato fino a quando non avesse avuto notizie della fidanzata.

Aveva colpito persino il chirurgo che doveva operarlo. Matthias fece del suo meglio per tenerlo fermo, bloccandogli i polsi prima che potesse ferire addirittura l'infermiera. La situazione era surreale.

«Sta' fermo!» gridò Matthias, lottando per mantenere la presa.

«No!»

«Elijah!» intervenne un'altra voce, cercando di calmarlo.

«Mollami!» rispose lui, con occhi selvaggi.

«Non se ne parla, cazzo!»

Alla fine, dopo una lotta quasi comica in cui rischiarono tutti di perdere la pazienza e qualche altro dente, riuscirono a immobilizzarlo abbastanza a lungo da fargli l'anestesia, grazie alla prontezza di spirito dell'infermiera che, approfittando di un momento di distrazione, riuscì a somministrargli il farmaco con un'iniezione precisa e veloce.

Elijah emise un ultimo, furioso grido prima di crollare, finalmente sedato. Matthias, sudato e con una mano sul fianco dolorante, scosse la testa incredulo.

«Se riesce a fare tutto questo quando è ferito, non voglio nemmeno immaginare cosa farebbe in condizioni normali,» borbottò, scambiandosi un'occhiata con il chirurgo che si massaggiava la mascella colpita.

La sala operatoria si calmò finalmente, e tutti presero un respiro di sollievo. «Adesso possiamo procedere,» mormorò il chirurgo, raccogliendo i suoi strumenti.

Mentre Elijah veniva preparato per l'operazione, Matthias si accasciò su una sedia fuori dalla sala, massaggiandosi le tempie con mani tremanti. Pregò fervidamente affinché Brooke riuscisse a trovare Isabel; altrimenti, al suo risveglio, Elijah avrebbe ridotto a brandelli ogni cosa in quella stanza.

La villa in cui Brooke si era apparentemente nascosta per tutto quel tempo si ergeva ai piedi di una montagna. Sarebbe stato impossibile trovarla senza sapere con esattezza quale strada intraprendere. Il percorso per arrivare all'abitazione era coperto da un finto muro di foglie che, al loro arrivo, era stato spostato dai domestici di guardia. Inizialmente, avevano optato per operare Elijah a casa, ma il chirurgo, estremamente discreto, che era stato incaricato, si era rifiutato. Non aveva con sé le sue attrezzature e, in più, sarebbe stato pericoloso operarlo in un ambiente non sterilizzato. Fu allora che scoprirono che poco più avanti, dalla deliziosa villa rinascimentale della sorella, un piccolo ambulatorio era pronto a ospitare i feriti.

Già, Brooke possedeva un dannato ambulatorio privato, probabilmente per evitare di andare in ospedale in caso di emergenza. Avrebbe avuto più privacy e minor possibilità di essere trovata.

"Che stronza furba", pensò.

Dopo essere stato anche lui medicato, Matthias si rese conto di dover concentrarsi sulla propria ripresa, ma la rabbia gli impediva di focalizzarsi su se stesso. Ethan aveva riportato varie contusioni e un brutto strappo muscolare, ma niente di preoccupante; con qualche giorno di riposo sarebbe tornato come nuovo. Clodette, malgrado lo stato comatoso in cui riversava, era ancora viva. Anche per lei prognosi non troppo allarmanti. Erano belle notizie, doveva esserne contento.

Eppure questo non bastava a placarlo. Matthias era furioso, assolutamente furioso con Brooke. Avevano trascorso un anno intero a cercarla come dei dannati, e lei era sempre stata lì, nascosta in Svizzera per tutto quel tempo infinito...

Si appoggiò allo schienale della sedia, gemendo per il dolore. Si teneva una sacca di ghiaccio sulla testa fasciata, cercando di ridurre il gonfiore di un grosso bernoccolo. Aveva sbattuto violentemente la testa e riportato diverse contusioni, ma nel complesso stava bene. Una tac avrebbe confermato il tutto, ne era certo. Seduto com'era, guardava insistentemente la porta, aspettandosi di vedere Isabel o Brooke entrare da un momento all'altro.

Tuttavia, più il tempo passava, più l'ansia cresceva.
Dove diavolo erano finite?

Controllò l'orologio al polso: le 15:39.
Ethan si era addormentato, ed Elijah era ancora in sala operatoria. Benchè fosse in apprensione per entrambi, sapeva che non c'era nulla che potesse fare per loro, non in quel frangente. Decise, quindi, di indagare sulla famiglia VanderWoodsen. Il fatto che non fossero intervenuti durante la battaglia lo aveva insospettito. La loro casa non era lontana; distava solo qualche isolato dalla baita. In una zona così tranquilla, un attacco di quelle proporzioni non sarebbe passato inosservato, ed era impensabile che non l'avessero sentito.

Doveva saperne di più.

Con i vestiti ancora sporchi di sangue, Matthias si fece consegnare le chiavi della jeep con cui erano arrivati.
Uno degli uomini che li avevano aiutati, Tom, si offrì di accompagnarlo: la zona in cui abitava Brooke non era distante, ma senza una guida sarebbe stato facile perdersi.
Tornarono in macchina, quindi: in fretta, e seguendo le istruzioni di Tom, il braccio destro di Brooke- nonché l'esecutore materiale del rapimento di Isabel...- riuscirono a raggiungere la proprietà dei VanderWoodsen in meno di mezz'ora.

«Aspetta qui», ordinò Matthias scendendo dall'auto e lasciando la sacca di ghiaccio sul sedile. Aveva un brutto presentimento, anche se non sapeva spiegarsi il perché.

Blackely House era solenne e maestosa, un edificio che dominava il paesaggio con la sua architettura gotica.
Alte guglie si stagliavano contro il cielo grigio, mentre le vetrate istoriate riflettevano la luce del giorno con colori vividi. Un lungo viale lastricato di pietre scure conduceva all'ingresso principale, fiancheggiato da siepi curate e alberi secolari che aggiungevano un'aria di mistero. Al centro del cortile, una fontana di marmo bianco troneggiava con eleganza. L'acqua zampillava da una scultura raffigurante un drago, le cui ali spiegate sembravano pronte a spiccare il volo...

Insomma, era bella ma piuttosto cupa; metteva i brividi.

Matthias si fermò davanti alla massiccia porta di legno intarsiato, con borchie di ferro che ne rinforzavano la struttura. Bussò con forza, poi accostò l'orecchio alla porta per captare ogni minimo rumore proveniente dall'interno.

Non trascorse molto tempo prima che il maggiordomo aprisse la porta. Era un uomo anziano, dall'aspetto austero, vestito con un impeccabile abito nero. Si affacciò per scrutare meglio Matthias, gli occhi penetranti e inquisitori.

«Posso aiutarla?» chiese il maggiordomo con voce cauta.

Matthias fece presto a presentarsi. «Sono Matthias Brown. Avevo un appuntamento con Frederick. È in casa?»

Non era vero, ma scelse di dirlo comunque, sperando di ottenere un incontro senza ulteriori complicazioni.

Il maggiordomo lo guardò con un'espressione di sufficienza, poi si fece da parte.
«Prego, entri.»

Matthias indugiò per qualche secondo, poi attraversò la soglia, trovandosi in un vasto atrio decorato con antichi arazzi e candelabri di bronzo. Al centro della stanza, una scalinata monumentale si diramava verso i piani superiori, mentre il soffitto era colmo di affreschi intricati.

«Attenda qui», il maggiordomo indicò una poltrona di velluto vicino alla parete. «Vado a chiamare il signor Frederick. Ci vorrà solo qualche minuto.»

Ma Matthias non poteva permettersi di perdere nemmeno un minuto di più. «Non abbiamo tempo!»

Il maggiordomo alzò un sopracciglio, indifferente.
«Le ho detto di aspettare», replicò, più duro. «Il signor Frederick sarà subito da lei.»

Matthias serrò i pugni, combattuto tra l'impazienza e la necessità di non creare ulteriori problemi. Alla fine, si sedette sulla poltrona, cercando di calmarsi. Sperava che Frederick non tardasse troppo: la situazione era troppo critica perché potesse permettersi ulteriori ritardi.

E francamente, non aveva voglia di trascorrere un minuto di più in quella casa. Aveva un che di spettrale.

Senza sapere il perché, gli tornò in mente la ragazza misteriosa che aveva incontrato alla baita qualche giorno prima: Clara Herrera. Non avrebbe potuto dimenticare il suo nome. In quegli ultimi giorni, prima dello scontro, l'aveva pensata costantemente.

Stava bene?
Avrebbe resistito?
Lo avrebbe aspettato?

Non poteva uccidere Fred finché la battaglia non fosse conclusa; avevano bisogno di lui per vincerla. Ma di certo sarebbe tornato a prenderla. Non poteva abbandonarla, qualcosa lo spingeva a volerla salvare. Forse era il suo complesso di Robin Hood, chi lo sa. Ma avrebbe mantenuto la parola che le aveva dato!

Si guardò attorno quasi con la speranza di vederla comparire. Si alzò dalla sedia, affondando le mani nelle tasche, battendo la punta del piede per l'impazienza.
Non sapeva spiegarsi come o perché, ma quando le aveva parlato, anche se lo aveva fatto per appena pochi istanti, gli era parso di conoscerla da sempre. Aveva provato una breve, molto breve, ma istantanea connessione.

E la cosa lo tormentava. Non gli era mai capitato con nessun'altra donna, mai, neanche con quelle più avvenenti. Le aveva sempre trovate scialbe e prive di contenuti malgrado fossero una gioia per gli occhi.

Ma Clara, Clara sembrava così...
Così...

«Matthias!» Frederick comparve dal fondo del salotto. Si era cambiato, ma Matthias non poteva saperlo. Indossava un completo elegante con un motivo scozzese. Orrendo.
«Che gioia vederti, mio caro amico!»

«Altrettanto» rispose Matthias, stringendogli la mano con una stretta decisa. Prima di affrontare la questione principale, Matthias voleva capire come Fred avesse potuto non accorgersi dell'attacco. Nondimeno, fu Fred stesso, con astuzia, a introdurre l'argomento.

«Cosa cazzo ti è successo? Sembri stato linciato da un animale! Va tutto bene?» chiese Frederick. Cercava di sembrare preoccupato ma tradiva del leggero sarcasmo.

«No», Matthias aggrottò la fronte, fissandolo più intensamente. «Davvero non sai cos'è successo?»

Frederick inclinò la testa di lato, pensieroso. «Dovrei?»

Matthias strinse le labbra. «Sì, dovresti.»

Frederick sollevò le sopracciglia in un'espressione di finta sorpresa. «E perché mai, se non eravamo insieme?»

Matthias fece un passo avanti. «Perché casa tua dista appena qualche chilometro di camminata dalla baita. Non puoi non aver sentito che ci stavano attaccando!»

Frederick si portò una mano sul cuore, millantando sincerità. «Attaccando? Non ne avevo idea, Matthias. Questa mattina sono uscito per affari. Sono rientrato poco fa, da cinque minuti appena.»

Matthias lo studiò con aria severa, cercando tracce di menzogna nel suo volto. «Dove sei stato?»

Frederick rispose con un'alzata di spalla. «Perché ti interessa?»

«Perché non rispondi?»

«Non parlo dei miei affari con te, Matthias.»

«Davvero? A quanto mi risulta, in questa contrada, gli unici affari che intrattieni sono con i Brown, ossia noi.» Matthias decise di essere diretto.
«È singolare. Non avrei mai immaginato che altre famiglie fossero disposte a collaborare con un mercenario. Se la memoria non m'inganna, le rare attività criminose di cui si vocifera a Grindelwald sono le nostre. Non abbiamo rivali in Svizzera.»

Frederick non si lasciò minimamente intimidire, sollevando il mento in segno di sfida. «Non siete gli unici che necessitano di assistenza. E poi, non puoi conoscere le finanze di ogni individuo in questo territorio. Il tuo atteggiamento mi appare alquanto ostile, Matthias. Mi stai accusando di qualcosa?»

Matthias si avvicinò ulteriormente, il viso a pochi centimetri da quello di Frederick. «Dovrei

Frederick indietreggiò di un passo, cercando di mantenersi composto. «Che intendi?»

«Dovrei accusarti di qualcosa?»

Frederick si chiese quale fosse il motivo di quell'interrogatorio, anche se nel profondo conosceva già la risposta. Poteva forse ingannare Elijah, soprattutto se riusciva a sembrare convincente.
Ma Matthias...
Matthias era un'altra storia. Non si lasciava persuadere facilmente, lo conosceva bene: era un osso duro. Affascinante, scaltro e terribilmente astuto.
Più astuto di chiunque altro nel loro ambiente.

«Assolutamente no, stiamo solo conversando» fece Fred,  colloquiale. 

Matthias sorrise, manifestando un certo scetticismo.
«Bene, allora no, non ti sto accusando. Trovo soltanto curioso che nessuno ti abbia informato dei fatti. Anzi, trovo surreale e poco credibile che, nel tornare a Blackely House, tu non sia transitato per la nostra via, considerando che l'unico percorso disponibile passa proprio di lì.»

«No, c'è un sentiero nel bosco, Matthias», Frederick si difese con più decisione. «Quello è raggiungibile anche in motocicletta.»

Matthias alzò un sopracciglio.
«Ma è più pericoloso.»

«Sono uno a cui piace il rischio» sorrise Fred.

A Matthias, per qualche strano motivo, venne da ridere.
«Sì, è senza dubbio così.»

Fred asserì con un cenno, ma qualcosa in lui era cambiato.
Sembrava sulla difensiva, il che fece insospettire ancor di più Matthias. Ciononostante, comprendeva che senza una prova tangibile, c'era ben poco che potesse dire o fare per incriminarlo.

Anche se...
La sua storia non stava in piedi.

«Ebbene?» Fred riprese a parlare, riportandolo al presente. «Se non erro, sei venuto a chiedermi aiuto.»

«Mi servono i tuoi uomini, Fred!» esplose Matthias, senza sapere esattamente il perché. Forse era il troppo nervosismo, o forse perché sapeva che quella di Fred fosse solo una facciata. I dubbi continuavano ad assillarlo.
«Non abbiamo più tempo, cazzo! Ci hanno attaccati...abbiamo feriti e morti dappertutto. Rischiamo di finire sotto terra prima che tramonti il sole!»

Si passò una mano tra i capelli, stirando indietro i ciuffi dorati. La sua stazza ampia e vigorosa trasudava tensione, il petto aderiva al tessuto sgualcito, evidenziando diversi tagli che sembravano sanguinare, ma che in realtà erano già rinsecchiti. Il suo viso pallido era segnato da lividi, mentre strani segni violacei spiccavano su mani e polsi.

Frederick si prese qualche secondo per osservarli, poi tornò a concentrarsi su Matthias.
«Le mie migliori risorse vi raggiungeranno tra una manciata di minuti, non dovete preoccuparvi, Matthias, gli faremo il culo!» assicurò, chiamando a raccolta alcuni uomini della sua truppa.
«Vi hanno colpito alla baita?»

«Sì, è stata una carneficina, ma siamo riusciti a seminarli, almeno per ora. Non ci hanno seguiti fin qui...» spiegò Matthias.

Frederick imprecò, fingendosi agitato.
«Merda! Come hanno fatto a trovarvi? Hai detto che la Svizzera era un luogo sicuro!»

Matthias inspirò, visibilmente nervoso. «Lo credevo sì...» iniziò con voce flebile. Poi, con un'improvvisa esplosione di rabbia, aggiunse: «Ma Benjamin è riuscito comunque a rintracciarci, non so come diavolo ci sia riuscito!»

Il sudore gli imperlava il viso e la spina dorsale. Tentò di calmarsi, ma senza successo. Era così furente che non riusciva neanche a ragionare con lucidità. Gettò uno sguardo all'orologio appeso al muro: dannazione, si stava facendo tardi. Doveva rientrare prima che Elijah si risvegliasse, e soprattutto, sapere com'era andato l'intervento.

Ma cosa più importante: Brooke era riuscita a trovare Isabel?

Per quanto detestasse darla vinta a Fred, questa volta doveva accettare la resa. Solo per ora. Non avrebbe perso l'occasione di indagare su di lui.

«Devo tornare dai miei fratelli, si staranno chiedendo che fine abbia fatto.»

Frederick annuì.
«Vai pure Matthias, ci vediamo alla baita. E stai attento. Non possiamo permetterci di perdere nessun altro.»

Matthias fece un cenno di ringraziamento con la testa, poi si voltò e si diresse verso l'uscita. «Non siamo più alla baita,» specificò, «ti manderò le nuove coordinate quanto prima, sta tranquillo. Le riceverai stasera.»

Non voleva rivelargli il nascondiglio di Brooke senza prima averne parlato con lei. Per quanto odiasse il fatto che non avesse condiviso la sua fuga con loro, c'era un motivo se non voleva farsi trovare.
E lui avrebbe continuato a proteggerla.

Fred si congedò senza degnarlo di una risposta; aveva fretta, molta fretta. Il suo ospite lo stava aspettando. Era crudele da parte sua comportarsi in maniera così subdola, ingannare così i suoi unici amici...
"Che razza di ciarlano, sono" scherzò,

I Brown non potevano saperlo, ma era alle prese con un evento speciale. Doveva organizzare una cena, una che con certezza, gli sarebbe costata la vita. Una cena con Isabel. Solo il pensiero gli procurava le vertigini.

Matthias si avviò verso il portone d'ingresso.
Stava per aprirlo quando da sopra la balaustra sentì una voce familiare urlare: «Sta' attento!»

Matthias si girò di scatto, e...
La vide.
Era lei.
Era Clara.

Rimase ammutolito, fissandola con malcelata ammirazione.
I suoi occhi percorsero la sua intera figura, dalla testa ai piedi, soffermandosi con particolare insistenza sulla sostanza scarlatta che macchiava anche i suoi di vestiti.
Era ferita? Non sembrava, ma avrebbe trovato il modo di appurarlo con più accuratezza. Non poteva restare ora, anche se desiderava ardentemente avvicinarsi a lei.
Lo desiderava così tanto!

Era bella.
Sempre così bella, di una bellezza decisa, quasi arrogante.

Non riuscì a parlare, non sapeva cosa dire.
Era troppo sconvolto, o forse troppo preso da lei per rispondere. Tuttavia, annuì. Clara non poteva immaginarlo, ma prima che le desse le spalle per tornare alla macchina, si giurò che un giorno l'avrebbe sposata.

Chissà perché lo pensò davvero.

***

Erano le 19 in punto quando Elijah, dopo una giornata trascorsa a dormire, si risvegliò. Le palpebre pesanti si sollevarono con fatica, rivelando occhi ancora offuscati dal torpore. La stanza intorno a lui sembrava avvolta in un alone di irrealtà; le ombre degli alberi all'esterno danzavano lungo le pareti come se fossero animate da una volontà propria.

Il suo corpo era rigido, ogni movimento sembrava richiedere un enorme sforzo. Sentiva la mente annebbiata, come se fosse immerso in una foschia densa e impenetrabile. Cercò di sollevarsi, ma un'ondata di vertigini lo ricacciò indietro sul cuscino. Il cuore batteva forte nel petto, un tamburo impazzito che rimbombava nelle sue orecchie.

Dove diavolo era? Non ricordava cosa fosse successo prima di perdere i sensi. Certo, ricordava la battaglia e tutto il resto, ma non come fosse finito su quel lettino. Per capire meglio il suo stato, cominciò a tastarsi: aveva il busto fasciato e sotto avvertiva la presenza di una grossa garza zuppa di liquido.

"Ovvio, mi hanno sparato. Merda."

Tentò ancora una volta di rimettersi in piedi, ma si arrese, cercando di evitare qualsiasi movimento che potesse compromettere la sutura. Stava per tornare a riposare, il sonno lo reclamava senza sosta, quando all'improvviso un'ondata di ansia lo travolse, così intensa da portarlo al limite della sopportazione.

Perché?
Si sforzò di pensare, di ricordare...
Ma certo!

«Isabel!» gridò con voce roca. «Isabel, dove sei, dove sei!»

Fu in procinto di staccarsi dai macchinari, ma qualcuno aprì la porta, bloccandolo. «Che stai facendo?»

Elijah batté le palpebre cercando di mettere a fuoco la vista ancora scarsa, e quando finalmente ci riuscì, gioì di felicità. Isabel era lì, accanto al letto, che lo guardava con fastidio. Per qualche ragione, ne fu comunque lieto; almeno stava bene.

«Che hai da urlare?» gli chiese.

Non capiva perché sembrasse arrabbiata, ma non gli importava. Certo che era arrabbiata, dopo tutto quello che era successo come poteva non esserlo?

«Stai bene? Stai bene, fata?» balbettò, tendendo il braccio come se potesse afferrarla. «Vieni qui, ti prego.»

Isabel rimase dov'era dapprima, poi con un sorrisino si chiuse la porta alle spalle. «Vuoi davvero che venga lì?»

«Sì! Vieni qui!» biascicò lui. Non riusciva ancora a parlare chiaramente, maledizione!

Elijah continuava a tenderle la mano, disperatamente. Doveva averla di nuovo vicino, avere la sicurezza che lei era davvero lì e che non se ne sarebbe più andata.

Isabel si portò una mano alla bocca trattenendo un risolino, poi fece come gli chiese: si sdraiò accanto a lui, posandogli una mano sul petto. Elijah si strinse a lei, anzi, la strinse così forte che si procurò dolore.

Ma se ne infischiò. L'importante era che lei fosse in salute e che potesse trovare il conforto che gli mancava stando al suo fianco. Aveva un disperato bisogno di lei, delle sue carezze, delle sue labbra...

Oh sì, le sue labbra. Doveva baciarle di nuovo!

«Baciami!» le ordinò. Gli girava la testa, tutto era confuso, faticava a concentrarsi su di lei.
«Baciami», ripeté, questa volta più supplicante.

Isabel si chinò verso di lui, ma c'era un'esitazione evidente nei suoi movimenti. Piegò la testa di lato, accarezzandogli i capelli con delicatezza. Elijah sentì una scarica di sollievo, strofinando la testa contro il palmo della donna.

«Vuoi davvero che ti baci? Ne sei sicuro?» chiese Isabel, la sua voce era un sussurro carico di dubbi.

Perché diavolo glielo stava chiedendo? Certo che lo voleva!

«Isabel!» gridò improvvisamente. «Baciami!»

Isabel arretrò di scatto, sorpresa dalla sua reazione.
Ma poi, come se avesse preso una decisione, tornò ad avvicinarsi, poco alla volta. I suoi occhi erano fissi sul viso di Elijah, sembrava meditare su qualcosa di importante.
Infine, si chinò verso di lui, il suo viso era così vicino che Elijah poteva sentirne il calore.

E così ne approfittò: Elijah le sfiorò le labbra con il più delicato, il più leggero, il più...insipido dei baci.

Ma che diavolo?

Più continuavano a baciarsi, più le loro labbra si strofinavano, più Elijah comprendeva che c'era qualcosa di terribilmente diverso in quel contatto. Non sentiva più quella magia, quel gusto salato e dolce insieme della sua bocca, la morbidezza delle sue carni rosate. Quelle che stava baciando ora erano ruvide, prive di qualsiasi sapore idilliaco.

Non sentiva niente, e quella differenza, così diversa da tutto il resto, lo spaventò, terrorizzandolo a morte.

Riaprì gli occhi di scatto e dovette sforzarsi di nuovo per mettere tutto a fuoco. Ma si pentì immediatamente di averlo fatto. Certo che non provava niente.
Quella non era Isabel, accidenti!

«Lo sapevo che non mi avevi dimenticata», Rosalind lo fissava con aria sognante, le sue dita vagavano in modo inappropriato sul suo corpo.

Con la poca forza che gli rimaneva, Elijah trovò la lucidità di spingerla via dal letto. Lo fece con tanta violenza che Rosalind si ritrovò col sedere per terra, sgomenta e rabbiosa.

Che schifo.
Era disgustato da se stesso!

«Ma che diavolo fai!» urlò la rossa, «sei impazzito, cazzo!»

«Tu che diavolo fai, razza di idiota!»

Merda.

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