Capitolo ventinove

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"Sei solo mia, tutta mia!"


Quando nasce un amore,
non è mai troppo tardi.
-ANNA OXA




Grindelwald, Svizzera.
Ore 02:50.

Cime maestose, si stagliavano contro il cielo
notturno, come guardiani silenziosi di un regno incantato, bagnate dalla luce argentea della luna. La strada serpeggiava attraverso valli e colline, circondata da fitte foreste di abeti, addobbati con uno stravagante gioco di luci di natale, come piccoli brillanti disseminati tra gli alberi. Baite di legno dai tetti innevati punteggiavano il paesaggio, emanando un'accogliente luce dorata dalle finestre. L'aria era fresca e cristallina, il suono tranquillo del ruscello, alimentato dalle acque spumose che discendevano dalle cime, si univa al trotto regolare dei cavalli, creando una sinfonia notturna che avvolgeva l'atmosfera.

Isabel, affacciata al finestrino dell'auto, non poteva fare a meno di perdere lo sguardo tra le meraviglie che si svelavano davanti ai suoi occhi: era come essere immersa in una specie di sogno invernale. Non aveva mai avuto l'opportunità di viaggiare: dopo venticinque anni di vita, stava affrontando la sua prima avventura. Era felice ed eccitata ma al contempo nervosa. Non sapeva cosa aspettarsi da quella fuga precipitosa, né se avrebbe fatto mai ritorno a casa.

Fortunatamente erano riusciti a partire in tempo, lasciando l'aeroporto senza alcuna complicazione. Il volo era stato tranquillo; l'assenza di turbolenze aveva permesso a Isabel di riposare, lasciandosi andare a un sonno sereno, cullata dalla pace momentanea. Ma non era solo la quiete a darle conforto: si era addormentata tra le braccia di Elijah.

Nonostante ci fossero molti posti vuoti, Elijah aveva insistito affinché lei si sistemasse accanto a lui, o meglio, sulle sue ginocchia. Entrambi avevano un disperato bisogno di quel momento di tregua, di ritrovare un po' di intimità dopo tutto ciò che avevano passato. Isabel non aveva esitato. Si era abbandonata alle sue carezze, all'abbraccio caldo e protettivo che la circondava, mentre le sue labbra le sfioravano la fronte con un tremito delicato. Era troppo esausta per lasciarsi sopraffare da pensieri pesanti o dubbi. Per una volta, aveva scelto di mettere da parte la rabbia e di concedersi il lusso di quella dolcezza.

Se ne fregò di tutto.

Voleva provare sollievo, sentire l'angoscia scivolarle via, anche se solo per un po'. Eppure, non riusciva a liberarsi dalle immagini che la perseguitavano: Parker a terra, la sparatoria, lo sguardo di Matthias all'aeroporto, pieno di amarezza e rimorso. La morte di Parker era stata ingiusta, un sacrificio insopportabile.

E lei non si sarebbe mai perdonata per questo!

«Va tutto bene, fata?» la voce bassa e roca di Elijah la liberò dai suoi pensieri. Isabel si voltò, incrociando i magnifici occhi del suo accompagnatore: Elijah la stava osservando, alternando lo sguardo tra lei e la strada. Tacitamente si chiese cosa avesse cambiato il suo umore: l'aria sognante che aveva prima sembrava essersi dissolta, lasciando spazio a un'ombra di tristezza. Non sopportava di vederla così. 

«Sì, va tutto bene» rispose Isabel, abbozzando un sorriso.

«Sicura?» insistette Elijah; con la mano libera si allungò per afferrare la sua, intrecciando le dita. Ogni pretesto era buono per toccarla, ormai.

«Sì, non preoccuparti. Sono solo un po' scossa e...agitata, a dire il vero.»

Elijah annuì, evitando accuratamente il suo sguardo.
«Perché saremo soli?» chiese, anche se non era sicuro di voler sentire la risposta: il desiderio di avere Isabel tutta per sé bruciava in lui. Non avrebbe sopportato l'idea di tenerla a distanza.

Isabel scosse la testa con decisione. «No!» esclamò, ma subito dopo il tono si fece più sommesso, quasi a correggersi. «Non è questo che mi turba...»

Elijah la benedisse in silenzio.
«E allora dimmi, cos'è che ti preoccupa? Parlami, voglio che tu ti apra con me» mormorò, portando la sua mano alle labbra e baciandola con una tale fervore che Isabel sentì le gambe tremare.

«Non lo so...non mi aspettavo che qualcuno morisse a causa mia, per esempio.»

Elijah la guardò di sbieco. E non certo in maniera positiva.
«Isabel, nessuno è morto per colpa tua! Ti riferisci a Parker?»

«Sì» confermò lei, tornando a rimirare il paesaggio all'esterno. «Mi dispiace profondamente, e anche per Matthias. Spero che stia bene.»

«Lo supererà, fata. Matthias è un uomo forte, e poi non è da solo: c'è Ethan con lui, per fortuna mi viene da dire. Mio fratello è un festaiolo, non lo lascerà a crogiolarsi nel dolore», la rassicurò.

Isabel annuì lentamente, provando in qualche modo a convincersene. «Dove sono diretti loro? E soprattutto, dove siamo noi? Non ho mai visto un posto così incantevole.» Ed era sincera mentre lo diceva: quel luogo era un incanto, era impossibile non riconoscerlo.

Elijah sorrise, intenerito dall'emozione che le brillava negli occhi. «Siamo a Grindelwald, fatina. È una splendida località nelle Alpi Bernesi, a più di mille metri di altitudine. Una delle stazioni sciistiche più grandi della regione della Jungfrau, lo sapevi?»

«Wow, no, non lo sapevo» rispose lei, come se la cosa la stupisse per davvero: Per lei era difficile confessare quanto poco conoscesse del mondo.
«Questa la prima volta che viaggio» aggiunse subito dopo, tradendo un velo di tristezza nel tono.

Quell'ammissione colse Elijah alla sprovvista.
«Non sei mai partita? Neanche una volta?»

«Neanche una volta» Isabel chinò lo sguardo, nel patetico tentativo di sfuggire alla vergogna: Il volto stupito di Elijah non faceva che acuire quella sensazione.

«Rimedieremo!» le assicurò lui, dopo un attimo di silenzio. Elijah fissava la strada, senza voltarsi, ma la durezza dell'espressione sul suo volto non sfuggì a Isabel. Persino nella sua voce, pur mantenendo un certo controllo, traspariva fermezza.

All'improvviso era in collera con il mondo intero, con il destino che era toccato a quella giovane, meravigliosa donna al suo fianco: Isabel non meritava alcun male, nessuna sofferenza, neanche il più insignificante dei crucci. Il suo cuore esplodeva di gioia quando lei gli regalava uno dei suoi incantevoli sorrisi, avrebbe ucciso pur di mantenere intatto quel brio. L'avrebbe resa felice, o avrebbe dedicato la sua vita intera a provarci: i viaggi gli sembravano comunque un buon inizio.

Isabel lasciò che quella breve pausa tra loro chiudesse naturalmente l'argomento, preferendo concentrarsi su qualcosa di più rassicurante. Quasi ipnotizzata, fece scivolare le dita lungo il dorso della mano di Elijah, seguendo con attenzione il percorso di una vena sporgente che risaliva fino al suo avambraccio. La sua pelle era tesa su muscoli scolpiti come acciaio, solidi e potenti. Elijah era concentrato sulla strada, del tutto ignaro del fatto che il suo fascino selvaggio l'avesse catturata completamente, come una forza magnetica impossibile da ignorare.

Lei non riusciva a distogliere lo sguardo dal suo corpo: il petto scolpito, perfettamente messo in risalto dalla t-shirt aderente che indossava, sembrava disegnato su di lui. Durante il volo si erano cambiati, scegliendo abiti più comodi, e quel look rilassato, così semplice e casual, non faceva che esaltare la sua virilità. Elijah sprigionava una sensualità naturale, irresistibile, che sembrava scuoterla fino alla viscere. C'era qualcosa di pericoloso in quell'uomo, una bellezza oscura che la teneva prigioniera, senza via di scampo.

Elijah si sforzò di controllare il respiro, già febbricitante; il tocco delicato della sua fata risvegliava in lui istinti fin troppo arditi, irrefrenabili come poche cose. Una sottile corrente di desiderio prese a ribollirgli nelle vene: era sempre più difficile resistere alla tentazione di sbatterla sui sedili posteriori e strapparle i vestiti di dosso.

Ma doveva trattenersi, non era il momento.
Non ancora.
Quasi.

«In realtà c'è un'altra cosa che mi turba» aggiunse Isabel, sommessamente.

Elijah idolatrò il suo tempismo per una volta. «Che cosa?»

Indecisa, Isabel si mordicchiò il labbro inferiore: non sapeva se confessare così tante cose fosse una buona idea. Ma quello che stava per dire meritava di essere ascoltato da Elijah. In fondo avevano fatto un accordo: prima o poi sarebbe toccato anche a lei confessare i propri sentimenti, e forse era meglio farlo adesso, senza rimandare ulteriormente. Ne aveva bisogno. Elijah doveva sapere cosa le passava per la testa, perché quel pensiero la tormentava sin da quando l'aveva visto mettere a rischio la propria vita per salvare la sua.

«Ho paura che ti facciano del male, che ti portino via da me. Ho paura di rimanere di nuovo sola, Elijah.» Le parole le uscirono di bocca senza controllo, come se avessero preso vita propria, incapaci di restare soffocate.

Elijah scosse la testa «Isabel, non ci pensare neanche!»l'interruppe lui, sciogliendo le loro mani per svoltare meglio a un incrocio. Accelerò leggermente, dirigendosi verso una baita di legno alla fine della strada. Il balcone era incorniciato da piccole luci dorate, e un grande fiocco rosso decorava la porta d'ingresso. Non era una struttura imponente, ma aveva un fascino accogliente e intimo, perfetta per loro e per contenere l'ansia della fuga.

Con sicurezza, Elijah manovrò lo sterzo, parcheggiando accanto alla struttura. Erano finalmente arrivati a destinazione. Slacciando la cintura, si inclinò verso Isabel, catturando il suo viso fra le mani. Avrebbe preferito accostarsi prima, ma non c'erano angoli abbastanza appartati per i suoi gusti. Nè per soddisfare ogni fantasia erotica che gli scoppiava la mente.

«Isabel, tu non sai quanto io abbia atteso il tuo arrivo; non lo sai» sussurrò, carezzandole le guance con il pollice. «Non devi temere per me, perché io non ho paura. Quello che mi spaventa davvero sei tu: io non potrei sopportare la tua assenza, non vivrei sapendoti lontana, chissà dove, in mano a quei bastardi» e lì, prese un lungo respiro, come se il semplice atto di dare voce alle sue paure potesse renderle reali.

«Devi credermi» continuò. «Te lo giuro sulla mia vita: non ti lascerò mai, mai! Non permetterò a quegli uomini di farci del male. Te l'ho detto cento volte, ma lo ripeterò ancora se serve a tranquillizzarti.»

Isabel poggiò la fronte sulla sua, annuendo; le preoccupazioni dipinte sul suo viso la rattristarono, ma la dolcezza della sua voce la rassicurò. Non voleva che Elijah soffrisse a causa delle sue angosce, non era per questo che aveva deciso di confessargliele.
«Ti credo,» sussurrò.

Elijah non riuscì a farne a meno: averla così vicina, così dolce e arrendevole lo incendiò. Ancora una volta.
«E tu?»

«Io cosa?»

«Tu mi abbandoneresti?» le chiese; senza preavviso si sporse a lasciarle baci lungo tutto il viso, sulle guance, sulla fronte, sulla punta del naso.

Isabel era senza fiato: non riusciva a parlare con lui che la sfiorava così intensamente.
«Abbandonarti? Perché dovrei...abbandonarti?» chiese in un flebile sussurro. In realtà, aveva così tante ragioni per farlo, ma all'improvviso, senza sapere bene il perché, le sembrarono tutte così insensate. Vacue, insignificanti.

Elijah interruppe la sua dolce scalata, perdendosi nei suoi profondi occhi verdi. «Era proprio questo che volevo sentire, fata» le disse, mentre si appoggiava su un gomito per poterla osservare meglio. Ogni volta che lei era al suo fianco, percepiva una pace interiore difficile da spiegare. Non importava dove fossero, persino la stanza più anonima e insignificante si trasformava in un rifugio sicuro grazie alla sua sola presenza. Isabel era pura magia, il suo semplice esistere bastava a donargli sollievo.

«Sei tutto quello che voglio, fata. E anche di più.»
Lui si chinò ad assaporare le sue labbra, senza fretta, gustandosi ogni scintilla che gli scoppiava nel petto. Quella donna lo faceva impazzire, lo portava a compiere gesti irresponsabili, senza logica o razionalità. Perché di fatto doveva essere un folle, o non avrebbe osato farsi più ardito di così: con la mano libera, sollevò di poco il tessuto leggero della sua camicia, volendo toccare la pelle morbida, rovente.

Isabel sentì un leggero capogiro, abbandonandosi completamente alle carezze di Elijah. Le sue dita, con una dolcezza quasi languida, risalivano lentamente lungo il suo fianco, affondando nella carne. Un gemito incoerente le sfuggì dalle labbra, ancora unite a quelle di Elijah, che la stringeva a sé con un'enfasi quasi protettiva, come se volesse trattenerla in un abbraccio senza fine.

Doveva averla.
Doveva prenderla lì, sui sedili, spogliarla e dominarla come aveva sempre sognato di fare.
Doveva, anzi, voleva farlo.

Ma una luce tenue proveniente dall'interno della baita, gli ricordò perché era essenziale attendere prima di dare sfogo alle sue fantasie più ardenti. Quasi aveva dimenticato la sorpresa che aveva fatto preparare per lei: era così significativa che non poteva permettere che se la perdesse.

Cristo Santo, lasciare che l'aria riprendesse a circolare fra loro, fu la cosa più difficile che avesse mai fatto. Isabel, ancora stordita e con le mani affondante tra i suoi capelli, corrugò di poco la fronte.

Perché si era fermato?

«Non ora fata, non ora...» sussurrò al suo orecchio, spostandole una ciocca dal viso.
«Prima ho bisogno che tu faccia una cosa per me » le disse, tracciando un percorso immaginario sulle sue cosce.

Isabel udì appena le sue parole; era imprigionata in una trance troppo piacevole per volerne uscire.
«Che cosa?» chiese, col fiato corto. 

Elijah le sorrise: «chiudi gli occhi, fata.»

Isabel lo guardò dal basso verso l'alto, sorpresa.
«Perché?»

«Tu fallo e basta.» Elijah le posò un ultimo bacio sulla fronte prima di sporgersi a recuperare i borsoni dietro i sedili. Nell'atto, l'orlo della t-shirt si sollevò di poco, svelando la leggera peluria che punteggiava la sua pancia scolpita. Isabel, senza pensare, perché francamente non le andava proprio di farlo, volle toccarla; ma Elijah, con sua stessa incredulità, non le permise di altre oltre.

Perché voleva andare oltre.
Voleva toccarlo.
Dappertutto.
E voleva che anche lui toccasse lei.
Dappertutto.

«Ti prego Isabel» gemette, catturandole i polsi, «non farlo.»

«Perché no?» protestò lei; non si aspettava quella reazione.

«Perché poi non riuscirei a fermarmi» Elijah si portò le sue dita alla labbra, stuzzicandole la punta con la lingua.
«E prima c'è una cosa che vorrei mostrarti, tanto di cui parlarti,» proseguì. «Rischieremmo di mandare tutto a monte, capisci? Tu sei come una droga per me: non posso controllare quello che provo, e neanche il mio corpo può.»

Isabel era così assorta nel guardare i suoi muscoli guizzare, che quasi non riusciva a prestargli attenzione. Non voleva che quel momento finisse, desiderava prolungarlo ancora un po'. Tuttavia, Elijah allontanò le sue mani, facendole capire che voleva essere ascoltato. Con dolcezza, intrecciò le dita alle sue, pretendendo la sua completa attenzione.
«Promettimi che terrai gli occhi chiusi, fata. Promettimelo.»

«Te lo prometto,» Isabel accentuò appena il suo sorriso, facendo sì con la testa. Era frustrante dover reprimere quel fuoco ardente; ora che anche lei lo ricambiava, cominciava a capire l'urgenza con cui spesso bramava il suo corpo.
«Ma poi basta promesse!» ridacchiò.

«Va bene, ancora una e poi basta,» acconsentì Elijah. Senza darle il tempo di farlo desistere, scese dall'auto e si caricò gli zaini sulle spalle.

Cristo, si gelava!
Indossare solo una t-shirt in mezzo alle alpi non era stata la scelta più saggia, ma c'era solo un cappotto caldo in macchina, e preferiva che lo indossasse Isabel. Non avrebbe permesso che la sua fata si beccasse un malanno. Lui era sacrificabile.

Con un gesto galante, fece il giro dell'auto e le aprì lo sportello. «Madame...» le disse, porgendole il giaccone, «potrei gentilmente chiederle di indossarlo al più presto? Il suo cavaliere rischia di trasformarsi in un ghiacciolo!»

Isabel lo guardò con aria incredula, scuotendo la testa. «Elijah, sei impazzito? Mettilo tu!»

«Isabel, ti prego, indossa questo maledetto cappotto e scendi!» ribatté lui, aggrottando le sopracciglia. «Non mi muovo di qui finché non lo fai, e non credo tu voglia vedermi congelare sul posto.»

«Stai già congelando!» insistette lei. «Passami gli zaini, e mettiti quel cappotto, subito!»

«Sul serio? Tu vuoi discutere di questo, adesso?» Elijah le offrì ancora una volta la giacca che teneva in mano.
«Non te lo ripeterò ancora» sibilò.

Isabel sbuffò, irritata: cielo, quell'uomo era insopportabile! Sapeva che non avrebbe mai acconsentito alla sua richiesta; preferiva addirittura affrontare la morte piuttosto che cedere. Non riusciva a decidere se lo trovava ancora più sexy per questo, oppure semplicemente pazzo e incosciente.

Nel dubbio, considerò entrambe le cose.

Senza aspettare ulteriori chiacchiere, poiché proprio non aveva voglia di sentirlo blaterare, avvolse il cappotto attorno alle spalle e scese dalla Jeep che avevano affittato. Elijah, vagamente soddisfatto, allungò il passo conducendola di fronte al portone della baita. «Così mi piaci, fata» sorrise, tirando fuori un mazzo di chiavi dalla tasca.

Isabel incrociò le braccia, gettandogli un'occhiata torva. «Sei un'idiota!» lo insultò, ma senza troppa enfasi. Anzi, il suo tono era stranamente dolce mentre lo diceva, come se volesse mascherare l'offesa con un velo di affetto.

Elijah trattenne una debole risata mentre, con destrezza, inseriva la chiave nella toppa.
"E tu così bella e arrapante," avrebbe voluto dire. Eppure, in nome di chissà quale stupido onore, decise di tacere. Nel frattempo, la porta si aprì con un leggero scricchiolio, svelando l'interno della stanza: un calore avvolgente proveniva dall'ambiente, il crepitio del fuoco indicava che il camino era acceso. Ma ciò che colse l'attenzione di Isabel, fu una luce dorata che si diffondeva dalla stanza adiacente all'uscio.

«Cos'è quella...»

«Ah no! Chiudi gli occhi» l'ammoni Elijah, prima che potesse indagare oltre.

«Ma...»

«Hai promesso!» le ricordò, categorico. Poi, aprendo appena la porta, la invitò tacitamente a entrare. «Chiudi gli occhi, fata» ripeté, ma stavolta con un tono meno austero.

Isabel si arrese, consapevole che le sue proteste sarebbero state inutili, proprio come prima. Accettò, quindi, la richiesta di Elijah e chiuse gli occhi.

Elijah entrò per primo, sistemando i bagagli di fronte alla base delle scale che si snodavano verso il piano superiore. Poi ritornò da Isabel, cingendole una mano attorno al fianco. Con una leggera pressione, la incoraggiò a seguirlo, muovendo insieme i primi passi. Isabel si mosse nel buio, lasciando che lui la guidasse: la sua presa era forte ma gentile, come se volesse tenerla stretta e al contempo proteggerla da una minaccia inesistente.

«Non sbirciare...» mormorò, sfilandole il montone con un gesto delicato.

«Non sbircio» assicurò, mantenendo gli occhi ben chiusi. Il suo respiro si fece pesante quando lo sentì avvicinarsi a lei, ma alle spalle: Elijah premette il corpo contro il suo, forte e caldo. Isabel non poteva guardarlo ma riusciva a percepire la sua stazza imponente torreggiare su di lei. Le sue mani, seppur fredde, si posarono sul suo bacino, stringendo appena la presa.

«Brava fata» sussurrò Elijah, scostandole i capelli. Isabel sentì il fiato solleticarle la pelle, prima che lui si chinasse a lasciare baci lungo la linea morbida e sottile del collo.

Isabel fu sul punto di svenire.

«Muovi un passo avanti» le disse poi, senza allontanarsi.

«C-cosa?» balbetto: avrebbe voluto apparire più attenta, ma si sentiva così confusa in quel momento. Stordita da passione e desiderio.

Elijah si lasciò sfuggire un sorriso, consapevole dell'effetto che suscitava alla sua fata: la cosa era reciproca, suo malgrado.
«Fai un passo avanti» la incitò ancora.

Isabel si mosse, e lui con lei.

Un passo.
Due passi.
Tre passi.

Le assi del pavimento scricchiolavano ad ogni movimento, anche il più impercettibile. Mentre procedeva, Isabel fu avvolta da un calore insolito, come una fiamma intensa che si propagava lentamente. Incapace di comprendere cosa generasse quel piacere, restava lì immersa, cullata dall'atmosfera incantevole. Ma poi, all'improvviso, giunse un'ulteriore percezione: un aroma familiare e zuccherino, dalle note di vaniglia, disperso nell'aria.

Isabel aveva già sentito quell'odore in passato, ma in quel momento non riuscì a collegarlo ad alcunché.

«D'accordo, ferma qui», disse Elijah, interrompendo il passo. Era così agitata che sentiva il cuore pulsare persino sulle guance.
«Adesso, apri gli occhi» cominciò a dire lui, «dopodiché voltati e baciami. Sto morendo dalla voglia di farlo, Isabel. Ma desidero che tu veda prima...»

«Vedere cosa?» domandò lei, col fiato leggermente ansante.

Elijah sorrise ancora, lasciandole un bacio dolce sulla testa.
«Guarda.»

Isabel lo fece.
E quello che vide la lasciò interdetta un istante: non riusciva a credere ai suoi occhi.

La stanza era un'esplosione di petali di rosa e candele profumate, distribuiti con cura lungo tutto il pavimento. Le loro fiamme danzanti si muovevano con grazia e delicatezza, proiettando sui muri l'ombra di rami verdi, piccoli ramoscelli adornati da fiori ancora vibranti di colore, che pendevano elegantemente dal soffitto. Sopra, in un'armoniosa composizione, fotografie ritraevano una giovane, piccola Isabel, abbracciata alla zia Clorinda. Erano tante, ognuna contenente un ricordo diverso: in una, sorrideva tenendo in mano un palloncino colorato; in un'altra, lei e Clorinda mostravano con orgoglio una crostata, la stessa che ora occupava il centro del tavolo, cosparsa di numerose candeline.

Ecco da dove proveniva l'odore familiare di prima: dall'ultimo dolce che lei e la zia avevano preparato insieme, prima che Clorinda venisse ricoverata.
Isabel sentì il petto esploderle, lacrime incontrollate rigarle il viso: non riusciva a muoversi, a proferire parola. Tutti i momenti che aveva vissuto e di cui aveva memoria erano ora racchiusi in quella stanza calorosa. Ogni candela, ogni petalo sembrava raccontare una storia, un frammento del passato che ritornava vivo, come una carezza al cuore.

Elijah si avvicinò a lei, contemplando la magia che si rifletteva nei suoi occhi.
«Buon compleanno, fata» sussurrò dolcemente all'orecchio.
«Credi che ora potrò avere il mio bacio?»

Isabel ebbe appena la forza di girarsi: la sua vista era appannata, gli occhi scintillavano lacrime di gioia. Si sentiva così sopraffatta da non riuscire a respirare.
Elijah la guardava con una tale intensità, come rapito, assorbito completamente dalla sua figura vibrante.
Era così bella, così bella ed eterea che gli sembrava di vivere un sogno.

«Come, come hai fatto?»
Isabel prese il viso di Elijah fra le mani, cercando disperatamente di trattenere altre lacrime, ma queste sfuggirono ancora, bagnando il tessuto della sua maglietta.

Elijah non esitò; la tirò a sé, accarezzandole i capelli soffici, mentre l'avvolgeva in un tenero abbraccio, uno che sapeva d'amore e profondo desiderio.
«Non ha importanza, fatina», sussurrò. «Volevo solo trovare il modo giusto per confessarti ciò che sento, quello che tu sei per me.»

«Quello che sono...per te?»

«Sì fata, quello che sei per me» annuì, dischiudendo le labbra, pronto a catturare le sue.
Tuttavia qualcosa lo fermò, o meglio una scoperta assurda, che lo sconvolse.

All'improvviso, Elijah sentì il cuore venir meno, poiché tutto divenne incredibilmente più chiaro ai suoi occhi: amava quella donna. Ciò che provava era amore, una maledizione di emozioni che non poteva più negare. Non riusciva a comprendere quando o come fosse accaduto, ma era consapevole che quel sentimento aveva preso il controllo e che non c'era modo di sfuggirgli. Dopo Lily credeva che niente avrebbe più potuto colorare il suo animo, ma si sbagliava. Isabel aveva cambiato tutto, aveva cambiato lui, dissipato l'oscurità che lo teneva prigioniero.

E sebbene, in parte, ancora lo fosse, ora finalmente aveva una speranza, un sogno a cui aggrapparsi per non sprofondare, per non rimanere incatenato al passato.

Isabel doveva saperlo.
La sua fata meritava più di questo!
Doveva sapere che Rosalind aveva torto, che lui non era un mostro ma soltanto un uomo spaventato, bisognoso del suo amore.
Uno che l'avrebbe amata con tutto ciò restava del suo misero, insignificante, cuore.

La fissò, cercando di dar voce ai sentimenti, di trovare parole che lo aiutassero a rendere chiaro il suo amore.
Eppure, presto si rese conto che nessuna sillaba poteva descrivere la sua fata. Nessuna parola sembrava alla sua altezza, ma ci provò comunque, consapevole che tanto non sarebbero bastate.

«Tu sei il paradiso per me» cominciò, chinandosi a baciarle le orecchie, «il tuo cuore la luce» proseguì, passando poi alle guance bagnate, «i tuoi occhi il mio rifugio.» e lì le baciò la fronte, il naso, il mento, gli angoli della bocca. E lo fece tenendola stretta, così stretta che Isabel sentì che non era più il pavimento a tenerla in piedi, ma le sue braccia forti e possenti.
«Voglio che tu sia mia, mia, solo mia!»

Isabel sentì il cuore pulsare a tutta forza, con una potenza che sembrava riverberare in ogni fibra del suo essere. Non si sentiva solo felice, ma desiderata, amata in modo così profondo da rimanerne estasiata, quasi stordita! Era un momento che temeva di sognare ma che, al tempo stesso, sperava non finisse mai: che lui non la lasciasse mai, proprio come aveva promesso.

«Io sono già tua...» mormorò, nel suo ultimo istante di razionalità: desiderava ardentemente un contatto. Voleva che Elijah la spogliasse, che la prendesse lì sul pavimento!

Ne aveva bisogno.
Ora.
Ma non glielo disse, usò un modo più efficace per ottenere ciò che voleva: con una lentezza quasi snervante, prese la mano che Elijah le teneva sul viso,
e la fece scorrere lungo il suo petto.

Elijah sentì un'onda di piacere travolgerlo, il fuoco che aveva così a lungo trattenuto esplodere in maniera incontenibile in lui. Ma quella sensazione andò peggiorando, lo consumò con violenza, quando Isabel, con delicatezza, posò la mano sul suo seno, stringendolo.
«Ho bisogno di te, Elijah, ho bisogno di te. Lo senti?»

Elijah avvertì una leggera pressione nella testa, uno strano ronzio nelle orecchie.
Non riuscì più a ragionare: in un impeto di rabbiosa passione, le afferrò la vita invadendole la bocca.

E quello era solo l'inizio.

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