Diciotto

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Quando schiusi le palpebre avevo ancora i sensi intorpiditi, un grosso cerchio alla testa e i pensieri mi si accavallavano uno su un altro non permettendomi di distinguerli fra loro, e lasciandomi totalmente in balia del caos.

La vista appannata poi non mi permetteva di mettere a fuoco l'ambiente circostante.

Le orecchie mi fischiavano e un'improvvisa nausea mi bloccò la bocca dello stomaco. Dovevano essere gli effetti del cloroformio.

Cloroformio... LOGAN!

Ero stata catturata!

Il filo dei pensieri si raggomitolò nella mia mente frastornata.

L'improvvisa consapevolezza violenta mi assalii e mi fece spalancare gli occhi. Li sbattei più volte freneticamente e li abitui al nuovo ambiente.

Sopra di me il soffitto ingiallito e coperto da piccole macchie di muffa, una piccola lampadina appesa senza troppa accortezza illuminava l'ambiente.

Mi alzai di scatto. Mi ritrovai seduta su di una brandina con un materasso sottile, le lenzuola consumate da frequenti lavaggi, al tatto risultavano ruvide e logore. La testata del letto era semplice, con due tubi orizzontali e paralleli in ferro battuto. Alzando lo sguardo e seguendo la linea della carta da parati sbiadita mi ritrovai davanti ad un crocefisso di legno.

La carta era in più parti scollata e lasciava nudo il muro sottostante, mostrando crepe e tracce di vecchie infiltrazioni d'acqua.

La puzza di stantio mi fece tossire e chiudere lo stomaco.

Di fronte a me una piccola finestra sbarrata dall'esterno. Tra le travi qualche timido raggio di sole filtrava dando alla stanza un aspetto tetro.

Data la luce aranciata tipica del tramonto, intuii di aver perso i sensi per diverse ore. La sera incombeva. La notte l'avrei passata in quel tugurio.

Alla mia destra, una porta a doppia anta colorata di un rosa antico ormai perso nel tempo, era appannata. Il legno che la costituiva era secco e raggrinzito. Vicino alla porta una piccola scrivania con una sedia di legno. Sulla scrivania vi erano appoggiati un vassoio con un bicchiere d'acqua e una ciotola. Mi alzai e corsi verso la porta sperando ci fosse una possibile uscita alle sue spalle.

La schiusi e un lieve cigolio mi fece sobbalzare.

Era buia la stanza che si celava dietro di essa. Aprii entrambe le ante della porta e lasciai che la luce tenue della stanza principale la illuminasse.

Nascondeva alle sue spalle in minuscolo bagno, nessuna doccia o vasca solo i servizi essenziali e uno specchio malconcio.

Mi voltai quindi verso l'unica parete che ancora non avevo ispezionato.

Vi era una porta in ferro, come quella di un carcere, che stonava con il resto della stanza.

Su di essa un piccolo rettangolo all'altezza degli occhi, il che dedussi dovesse permettere loro di spiarmi e tenermi d'occhio.

Avanzai verso la porta in ferro lasciando che il parquet scomposto del pavimento si lamentasse al mio passaggio. Iniziai a bussare.

«C'è nessuno?»

«Hey!»

«Logan!»

Silenzio.

Cominciai allora a battere insistentemente contro quella gelida porta.

Continuai a chiamare.

Vidi qualcuno affacciarsi dallo spioncino e allontanarsi di nuovo.

«Fatemi uscire!»

«Stai buona ragazzina se non vuoi farti male» m'intimò l'uomo dall'altra parte.

«Che altro volete farmi? Non basta già quello che--»

«Stai zitta» ringhiò l'uomo perdendo la pazienza.

Quella voce non mi era nuova. Un brivido gelido mi rizzò i peli delle braccia. Quella voce apparteneva all'uomo che a casa di Joy si era finto un poliziotto.

Tornai verso il letto.

Che scelta avevo in quel momento? Potevo solo sperare di non farlo innervosire di più, di non cercare ulteriori rogne.

Mi accomodai sulla brandina e guardai la stanza in cerca di idee migliori.

Ma loro non erano stati così stolti. Chissà da quanto tempo covavano quella malsana idea del rapimento. Chissà da quanto mi seguivano e pedinavano.

Il solo pensiero mi fece rabbrividire di nuovo.

La fioca luce della lampadina era rimasta l'unica fonte di luce presente nella stanza. Chiamarla luce era un eufemismo, rendeva la camera ancora più cupa, allungava le ombre a dismisura sulle pareti e i numerosi spifferi la facevano oscillare rendendo animate le varie ombre createsi. Sembravano i mostri dai quali mi nascondevo da bambina.

Il gelo mi aveva reso quasi insensibili gli arti così mi arresi e mi coprii con il vecchio plaid di lana poggiato sulla brandina.

Avevo lo stomaco che reclamava cibo. Ma non avevo intenzione di dargliela vinta. Non avrei toccato quella ciotola. Potevano averci messo di tutto, e di certo non mi fidavo di loro. Poi non mi ero ancora abituata alla puzza di muffa della stanza.

Alzai il collo della camicia di Sebastian, e mi ci tuffai con il naso dentro. Lasciai che il suo profumo mi coccolasse e consolasse.

Mi sentivo sola e abbandonata.

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Perdonate eventuali errori o refusi, non ho avuto tempo di ricontrollare per bene il capitolo...

Capitolo molto descrittivo... Non è il massimo lo so... Ma diamo modo a Shana di "respirare"... L'azione non mancherà... Ma forse adesso bisognerà attenderla un po'...

Buona notte miei avventurosi lettori. Siete i migliori!

Angela

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