L'uomo della panchina.

Màu nền
Font chữ
Font size
Chiều cao dòng

Seduto su una panchina qualunque, di una stazione qualunque, aspettando un treno qualunque, sta un uomo.

Sta seduto e aspetta.

Ogni tanto osserva qualcosa con una curiosità smorta e annoiata.

Il suo sguardo segue pigramente i treni che gli si sostano dinnanzi, treni che hanno percorso anni nel tempo, e bruciato strada sulle rotaie con motori che sbuffano stanchi.

Uno sciame interrotto di persone continua a spostarsi dall'uscita della stazione ai treni, e dai treni all'entrata della stazione.

Vanno e salgono.

Scendono e vengono.

Mentre quell'uomo seduto sulla panchina, continua ad aspettare.

Un'attesa che diventa lancinante di minuto in minuto.

Nessuno sembra accorgersi di lui forse perché sono tutti talmente presi dalla propria fretta che non hanno tempo da sprecare per una persona qualunque.

Chissà dov'è diretta tutta questa gente.

Chissà a cosa serve correre dietro al tempo. Questa sensazione di star correndo interrottamente dietro a qualcosa di inafferrabile. Forse da anni.

Fino a poco fa l'uomo della panchina era come quella gente, affinché non ha deciso di sedersi e guardarsi dentro.

Rincorreva qualcosa di imprecisato da anni, mentre annegava lentamente nella fretta e un vuoto sempre più vuoto aveva cominciato ad inghiottirlo senza pietà.

Fu in quel momento che decise di togliersi le maschere e spogliarsi di quelle vesti che non erano sue.

Si tolse giacca e cravatta e si sedette ad aspettare, divenendo quell'uomo qualunque seduto sulla panchina che ora fissava assente un treno partire, battendo le gare contro la velocità su un paio di rotaie fredde che di parallelo non avevano niente.

Il pensiero dell'uomo saltellava velocemente via, sempre più lontano.

Il senno dal canto suo era impegnato a fare a pugni contro il cervello, voleva darsela a gambe pure lui.

L'animo cominciava a farsi sempre più piccolo, stava affogando sempre più in profondità da qualche parte dentro di lui.

Con le mani in grembo e uno sguardo freddo perso da qualche parte lungo l'orizzonte, l'uomo osservava.

Un vocio che sembrava venire da un'altra realtà gli arrivava frastornato alle orecchie, anche se ormai nulla sarebbe riuscito a riportarlo alla realtà.

«Mi scusi...» un signora docile e strana si sedette al lato di una panchina qualunque di una stazione qualunque vicino ad un uomo che aveva appena affogato il suo animo da qualche parte dentro di sé.

Non ricevette nessuna risposta da parte di quest'ultimo.

«Signore?» lei cercò di attirare l'attenzione di lui che sembrava impegnato ad osservare i binari ora vuoti che gli strisciavano davanti, osservava la solitudine dopo una partenza.

«Posso... un attimo?» la signora si avvicinò di poco all'uomo.

«Levati dal cazzo.» sibilò lui in tono rude.

Lei rimase in silenzio.

Ma il silenzio incapace di restare racchiuso vicino a quei due se ne volle andare per la sua strada.

«È da un po' di tempo che la osservo nella sua immobilità, da troppo tempo. Sta bene?» chiese infine con un fil di coraggio.

«Mi lasci in pace.» disse l'uomo voltandosi. L'animo ormai completamente morto e gonfio di tristezza.

«Vorrei riuscire ad aiutarti.» la signora che fino ad allora nascondeva il viso calato dietro a un velo, lo scoprì mostrando i suoi lineamenti fini e dolci. Ciò nonostante anche sul suo viso aleggiava un qualcosa di triste e malinconico.

La pelle intorno alle gote era pallida.

Il viso scavato forse dalla stanchezza e profonde occhiaie si estendevano sotto i suoi occhi vitrei.

«Dov'eri quando avevo bisogno di te?» Il tono freddo dell'uomo squarciò come una lama l'aria.

«Ti avevo perso. Ma ora dopo tanto che ti ho ritrovato e non voglio credere che sia troppo tardi.»

L'uomo chiuse gli occhi.«È già troppo tardi. Vattene e lasciami morire in pace.» 

«Non potrei. Lasciati curare, lasciati salvare. Almeno questa volta non chiudermi fuori, ti prego.»

L'esile signora non era più una signora qualunque perché dai loro discorsi si capiva che avevano condiviso un passato insieme. Erano legati in qualcosa di molto profondo.

Si erano conosciuti fin troppo bene, affinché lei non lo aveva abbandonato.

«Vai via. Non mi venire a rompere i coglioni mai più! Se ti ritrovo tra i piedi, ti ammazzo. Giuro che ti ammazzo una volta per tutte!» Aveva alzato al voce fino a urlare.

Urlava rivolto al vuoto, le persone in silenzio lo guardavano impazzire contro il nulla.

«Ritorna, ti prego. Sono sempre stata lì per te mentre tu non c 'eri mai. Non hai mai dato valore alla mia presenza. Ti perdono per tutto. Ritorna, ti prego» la signora ormai lo stava supplicando, cercava inutilmente di salvare un uomo sul bilico di un precipizio più grande della loro stessa esistenza.

Lui non l'ascoltava più, forse perché per ascoltare serviva un animo e lui non ce l'aveva, perché aveva appena finito di annegarlo da qualche parte.

«Lo stato in cui sono, quello che sono, è solamente colpa tua. Te ne sei andata lasciandomi solo.» Disse infine, la sua voce si fece di nuovo tagliente.

Un ennesimo treno della giornata sta sfrecciando a tutta velocità nella loro direzione, l'uomo della panchina lo guarda, forse per la prima volta in quella giornata grigia.

Improvvisamente quell'uomo qualunque prende per il braccio la sua Felicità perduta e ritrovata dopo anni, e dondolandole un bacio veloce quanto un battito di ciglia, la scaraventa con violenza sui binari mandandola in pasto a quel treno feroce.

Qualche istante dopo la Felicità dell'uomo si ritrova ridotta in pezzi, lacerata a brandelli dopo essere calpestata brutalmente.

L'uomo qualunque seduto su una panchina qualunque ormai morto completamente dentro, si alza e sale sul treno.

Pronto per un'altra corsa senza ritorno.          

Bạn đang đọc truyện trên: Truyen2U.Pro