Parte 1 - PROLOGO

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CAP. 1 – PROLOGO

Ricordo benissimo quella sera del 20 maggio. Passeggiavo nervoso in salotto percorrendo sempre il solito semicerchio, e dando fugaci occhiate ai quadri dov'erano immortalate le trionfanti formazioni del passato più o meno recente. In loro cercavo una risposta, il coraggio di affrontare quella sfida epocale che mi stava devastando l'anima. In questi casi, la fatidica e inevitabile attesa, era il momento di sofferenza maggiore.

Demoliva, come una tempesta fuori stagione, ciò che rimaneva della mia psiche e mandava in tilt i pochi neuroni rimasti, facendoli vagabondare come tanti zombie senza meta, all'interno della scatola cranica. Aspettavo i miei amici osservando il lento e costante incedere delle lancette dell'orologio appeso al muro.

Come sempre, in queste occasioni, guardavo con una punta di sdegno e delusione l'arredo del salotto. Dovevo rivoluzionare disposizione e mobilie. Era inammissibile che il televisore si dovesse "piegare", come dimensioni, alle limitate possibilità spaziali e metriche del mobile principale, nell'accoglierlo al suo interno. La sua struttura doveva dipendere dalla TV, e non il contrario. Stessa cosa dicasi per i divani. Troppo piccoli e maldisposti. Dovevano ricreare, come atmosfera, gli spalti dello stadio, a costo di doverli comprare a baldacchino! E quel misero tavolino... ogni volta che lo osservavo mi veniva da piangere.

Mi ripromisi, una volta per tutte, che se fosse finita bene avrei cambiato radicalmente la struttura di quell'angolo fondamentale della casa, a costo di scontrarmi contro la mia compagna.

Ines, il mio amore... al di là dell'arco che divideva parzialmente sala da cucina, sentivo che mi osservava sorniona e ironica. Percepivo il suo sguardo su di me, pesante e accusatorio, mentre la immaginavo scuotere la testa in segno di disapprovazione.

<< Un coglione... ho sposato un coglione! >>

Questo era il suo pensiero, il solo pensiero quando si presentavano queste occasioni. Se ne avesse avuto la possibilità, in questi momenti, avrebbe ingaggiato le frecce tricolori per farlo apparire in cielo, colorato e in 3D.

Ma c'era un maligno sorriso che spuntava da dietro la mossa dei capelli castani. La perfidia di chi già pregustava l'inevitabile vendetta. Si godeva quei momenti in cui mi lasciava nel dubbio atavico di ciò che mi sarebbe successo, e a cui preferivo non pensare. Già a noi maschietti risulta difficile a condizioni normali, costringere le sinapsi a elaborare una qualsiasi argomentazione logica, figurarsi in quei momenti di affanno psico-emozionale.

  Puntuali, i miei amici arrivarono alle 20:00 e, dietro di loro, pur senza alcun invito, entrarono le rispettive consorti. Appena varcata la porta mi salutarono in coro:

<< Ciao, Paolo! >>

<< Appunto... >> Risposi ironico, indicando la cucina con lo sguardo.

Mauro roteò gli occhi verso il soffitto, ben consapevole di quello che stava per succedere. La voce squillante della sua fidanzata Matilde, prese il sopravvento sui sommessi brontolii di protesta delle altre.

<< Appunto cosa? >>

Un lampo di terrore attraversò lo sguardo degli altri ragazzi. Era come nuotare sanguinante davanti a uno squalo a digiuno da una settimana. I suoi occhi si socchiusero leggermente e già mi preparavo a contare tutti i sinonimi di "scemo" che era pronta a mitragliare fuori dalle labbra.

<< Sei un d... >>

Per fortuna intervenne Ines, che si era affacciata divertita, gustandosi la scenetta.

<< Per lui ogni offesa è un complimento, Matilde. Non lo considerare, e lasciamo soli i quattro scienziati >>

<< Secondo te, voleva dire dentice? >> sussurrai ad Alessandro, che nel frattempo, nonostante la notevole stazza fisica, si era posizionato a distanza di sicurezza dalle tre fiere inferocite. Dalla cucina, partì un oggetto non identificato che passò sopra la mia testa di circa tre millimetri e si schiantò sul muro.

A questo seguirono gli sguardi sdegnosi delle altre ragazze che uscirono, sbattendo così violentemente la porta da creare un movimento sussultorio poco rassicurante, e creando sismiche oscillazioni che si propagarono per tutta la casa. Più che per la porta le mie preoccupazioni erano rivolte al fatto che, tutte quelle vibrazioni, non andassero a disturbare la ricezione dell'antenna satellitare.

Era arrivato il momento di accendere quel malefico oggetto parlante, portatore sia di sventure che di ineguagliabili gioie. Collocai il telecomando lontano dalle mani di Guido. L'ultima volta lo lanciò così distante da fargli cambiare residenza. Diedi un'ultima occhiata speranzosa all'Aperol e al prosecco dentro al frigo. Solo in un caso potevano essere aperti, ma non volevo pronunciare quella parola che iniziava con "vit" e finiva con "toria".

Mauro si tolse la catenina con il crocifisso e la pose dentro l'ultimo cassetto del mobile, sistemandola tra la bambagia che ormai mi ero rassegnato a tenere lì. Guido lo osservava con espressione rassegnata.

<< Non per essere ripetitivo Mauro, ma il gesto non ti renderà meno colpevole di fronte al Signore. >>

Mauro aveva una smodata fantasia quando iniziava ad appellarsi al "potere divino". Terminati i nomi comuni di cosa e quelli degli animali tutt'ora viventi, era passato, dopo un attento studio, ai nomi in latino dei dinosauri.

Dopo dieci minuti di raccoglimento spirituale, scoccarono le fatidiche 20.45 che decretarono l'inizio della finale di Coppa dei Campioni: Milan – Juventus.

Sopra le nostre teste i santini di Baresi e Van Basten dominavano la scena come illuminati da luce divina. Il fischio d'inizio risuonò nelle nostre orecchie come l'urlo di una locomotiva a vapore in avvicinamento, mentre il nostro cuore perdeva di ritmo e deragliava verso lo stomaco. Al quindicesimo minuto un palo della Juventus me lo fece deragliare verso il culo. Il silenzio sepolcrale di quel momento era interrotto solo dai commenti del telecronista.

L'apoteosi esplose al 43° minuto del primo tempo, sul goal del Milan. Un urlo animalesco risalì dalle nostre gole, e fuoriuscì come un fiume in piena che straripa dagli argini travolgendo tutto ciò che incontra per la propria strada. Le zanzariere scattarono verso l'alto emettendo il loro caratteristico schiocco secco, tipico di quando ti scappano, bastarde, dalla mano. Gli allarmi delle case vicine iniziarono a suonare mischiando i loro lamenti con l'abbaiare dei cani. L'impeto del nostro urlo scatenò un'onda d'urto tale da provocare improvvise mareggiate su tutta la costa tirrenica.

Stavo felicemente copulando con il pavimento, schiacciato dalla incontenibile gioia dei miei amici che si erano tuffati sopra di me. Fu in quel momento che avvenne l'imprevedibile.

Un tonfo sordo, il buio che mi avvolgeva, isolandomi improvviso dai rumori, dai commenti della Tv, dal peso dei miei compagni che festeggiavano sopra la mia schiena.

<< Maremma orca... >>

Da qui, inizia il mio racconto.

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