13. Dolore

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Non è possibile.

Non è possibile.

«Carla, che ti prende?»

La voce di Elia mi riscuote, ma, allo stesso tempo, mi produce dei brividi lungo la spina dorsale.

Stringo i pugni per scaricare la tensione e cerco di mettere in funzione il cervello: c'è sempre una risposta logica. Una che possa calmare il mio battito accelerato. Magari sono arrivata alla conclusione sbagliata e, forse, Elia e suo fratello sono soliti scambiarsi i profumi.

Chiudo le palpebre per eliminare la figura di Enea che mi sta osservando con uno sguardo impenetrabile e tento di rammentare le volte che ho incontrato il suo gemello.

Ricordo perfettamente l'incontro all'università, la serata del concerto, a casa mia e l'escursione in montagna di pochi giorni fa. Cerco in particolare un dettaglio che lo distingua dal fratello e mi ritorna in mente il tatuaggio sul braccio sinistro, lo stesso che aveva il ragazzo che ieri sera era con me, lo stesso che ho visto al ragazzo sul palco mentre effettuava il suo assolo. A meno che...

Il mio cuore inizia a pompare in modo forsennato e mi giro verso Elia come una furia, socchiudendo i miei occhi che spero risultino minacciosi come il fuoco ardente che sento nello stomaco.

«Tu suoni in una band?» domando con una voce tagliente e sottile.

Vedo il panico farsi strada sul suo bellissimo viso prima di spostare lo sguardo su suo fratello alle mie spalle. Percepisco un dolore sordo alla bocca dello stomaco e le mani riprendono a tremare. Il suo tentennamento è già una risposta, ma voglio sentirla dalla sua voce.

«Ti ho chiesto se suoni in una band!» esclamo, incapace di mantenere il controllo sulle mie emozioni.

Le persone nella stanza si ammutoliscono di colpo e si voltano verso di noi. Noto anche con la coda dell'occhio che qualcuno si precipita qui dal soggiorno per vedere cosa sia successo. Odio attirare l'attenzione su di me, ma al momento non me ne importa.

Elia abbassa nuovamente il suo sguardo su di me e nelle sue iridi leggo il panico che lo avvolge.

«Andiamo a parlarne fuori. Posso spiegarti» mi sussurra teso e con voce leggermente tremante. Mi afferra il polso destro e inizia a trascinarmi in mezzo alla folla, però in qualche modo riesco a fargli perdere la presa.

«No, non vado da nessuna parte con te. Voglio la verità. Adesso!»

Tutti ci stanno fissando e avere un pubblico che assista alla mia umiliazione mi fa venire la nausea, ma non andrò a parlare da sola con lui, dove potrebbe mentirmi ancora.

Si volta verso di me e mi guarda con un'espressione cupa e triste. Il suo sguardo è così sincero che mi fa vacillare per un secondo, ma mordo il mio labbro inferiore per non cedere.

Scruta incerto il suo gruppo di amici che ci sta osservando e prende un profondo respiro prima di dire: «No, non suono in una band.»

Spalanco le palpebre e trattengo il respiro mentre le sue parole mi giungono come una pugnalata sul petto. Faccio un passo indietro e mi avvolgo le braccia attorno allo stomaco per diminuire la tensione che sento nelle costole. Il ronzio nelle orecchie aumenta e non riesco a respirare regolarmente; se non reagisco avrò un attacco di panico davanti a tutti.

Sono così scossa che quando Elia ricomincia a parlare sono costretta a guardare le sue labbra per capire costa sta dicendo. «Vieni, andiamo fuori.»

Allunga il braccio e sfiora il mio, ma mi ritraggo guardandolo con disprezzo.

Si morde il labbro, esitante, prima di far ricadere il suo arto lungo il fianco. «Io e mio fratello ci siamo scambiati di ruolo per una stupida scommessa. Volevamo vedere in quanto tempo ci avresti scoperti» afferma con voce piatta e il volto inclinato verso il basso. «La prima volta nel corridoio dell'università hai visto Enea e la sera, dopo il tuo esame, ero io. La serata in discoteca non era programmata e il giorno dopo sono venuto io a casa tua.» Usa un tono insicuro, tanto che credo non sappia nemmeno lui cosa stia dichiarando.

Alza lentamente il viso e porta i suoi occhi lucidi sui miei. «Il giorno in cui sono venuto a casa tua, ho avuto la possibilità di conoscerti davvero e ho capito che potevi piacermi sul serio. Ho chiesto a mio fratello se potessi andare io con te in montagna, e sono sempre io quello che è venuto a casa del tuo amico Noa. Quella sera sono andato via prima proprio per parlare con Enea e annullare la scommessa.» Compie un passo verso di me. «Tu mi piaci sul serio, Carla, credimi.»

Le sue iridi brillano di tristezza e rimorso, ma non riesco a provare niente. Mi sento vuota. Giro il capo e incrocio gli occhi freddi di Enea che ci osserva con le braccia conserte e il fianco appoggiato al ripiano della cucina. Non sono l'unica ad essere stata presa in giro. Se Elia gli aveva chiesto di non vedermi più, perché ieri è venuto a casa mia e mi ha persino baciata? Passo l'indice sul mio labbro inferiore, come se potesse cancellare il fatto che la mia bocca è stata in contatto con la sua.
Mi sento disgustata.

Nonostante lo stia scrutando in modo sprezzante, lui rimane impassibile, come se quello che sta succedendo non lo riguardasse.

Guardo il suo abbigliamento in nero e inizio a maledirmi mentalmente. È un dettaglio sottile, ma se fossi stata più attenta avrei notato che Enea si veste sempre così, in netto contrasto con i colori vivi che usa il fratello.

Riporto l'attenzione su Elia e sulla sua mano protesa verso di me. Impongo ai miei piedi di staccarsi dal suolo e mi precipito fuori, spintonando tutti coloro che mi ritrovo davanti.

Scendo le scale, senza degnare di uno sguardo l'ascensore al centro, e quando apro il portone principale inizio a correre con tutto il fiato che ho nei polmoni verso la mia macchina. Sento dei passi alle mie spalle avvicinarsi sempre di più e, voltandomi, vedo Elia a pochi metri da me. Aumento l'andatura, ma riesce a raggiungermi, afferrandomi la spalla per farmi fermare.

«Ti prego, mi devi credere. Non avevo cattive intenzioni» afferma con fiato spezzato.

Non riesco a girarmi, non riesco a guardarlo in faccia. Osservo il marciapiede lurido ai miei piedi mentre desidero solo andarmene via da qui e lasciarmi tutto alle spalle. Richiudere di nuovo i miei sentimenti in un cassetto per non riaprirli più.

Sono stata una sciocca a pensare di potermi fidare ancora di qualcuno.
Che stupida.

Prima o poi tutti ti deludono. È solo questione di tempo.

Mi libero dalla sua presa, strattonando il braccio, ed estraggo le chiavi dal giubbotto per entrare in macchina. Salgo sul lato del guidatore e mi accingo a chiudere lo sportello, ma la mano di Elia me lo impedisce.

«Carla, devi credermi» sussurra con voce incrinata, mentre i suoi occhi mi implorano di fermarmi ad ascoltare le sue parole.

Mi volto verso il parabrezza dell'auto con un'espressione impassibile. «Potrei anche crederti, ma non mi fiderò mai più di te.»

Lo sento prendere un profondo respiro, quasi come se le mie parole lo avessero ferito, ma l'unica ad essere rimasta scottata da questa situazione sono io.

«Dammi un'altra possibilità» enuncia quasi supplicando.

Evito di guardarlo in volto per paura che la mia determinazione possa vacillare. Ha avuto molte occasioni per dirmi la verità; è colpa sua se ci troviamo in questa situazione.

Metto in moto la macchina. «Addio, Elia.»

Senza degnarlo di uno sguardo, afferro il bracciolo della portiera e, dopo un secondo di indecisione, lui lascia la presa sullo sportello che si chiude. Schiaccio l'acceleratore e mi immergo nel viale deserto.

Dallo specchietto retrovisore vedo Elia sul marciapiede, con le braccia distese lungo il corpo, che mi guarda andare via. Sento gli occhi iniziarmi a pizzicare e le emozioni che prima tentavo di racchiudere esplodono come una bomba. Svolto verso sinistra e quando sono sicura di essermi allontanata abbastanza accosto la macchina in un piccolo slargo.

Appoggio la testa sul volante e avvolgo il mio corpo con le braccia per sentirmi meglio.

Come sono finita in questa situazione?

«Merda!» urlo nell'abitacolo silenzioso, sbattendo i pugni sullo sterzo.

Lacrime silenziose mi scendono sulla guancia e maledico me stessa con tutto il cuore per essermi fatta coinvolgere.

«Sei un'idiota, Carla, un'idiota!» grido con la speranza che urlare mi possa placare almeno un po'.

Mi considero una persona intelligente, ma a quanto pare non lo sono così tanto. Sono caduta nel loro tranello senza accorgermi di niente. Eppure, c'erano diversi segnali che avrei potuto cogliere se solo fossi stata con la guardia alzata come mio solito.

Invece no, mi sono fatta imbambolare come un'illusa che sperava che, almeno una volta, le stesse capitando qualcosa di positivo nella vita.

Asciugo gli occhi con il dorso delle mani, guardando le lacrime con ribrezzo. Mi ero ripromessa che non avrei più pianto per qualcuno che non fosse della mia famiglia, invece, eccomi qui, a farlo per un ragazzo che mi ha mentito fin dall'inizio.

Le attenzioni che Elia mi ha rivolto derivavano solo dalla scommessa, altrimenti non si sarebbe mai avvicinato a me.

Mi mordo il labbro inferiore e sollevo lo sguardo verso il tettuccio per trattenere altre lacrime, mentre penso che tutte le mie emozioni sono frutto di una finzione.

Nella mia mente appare il volto indecifrabile di Enea e una rabbia insormontabile si espande in ogni centimetro del mio corpo. Non ho letto neanche un briciolo di colpevolezza nei suoi occhi freddi. Eppure, è proprio lui il ragazzo che ieri era seduto accanto a me a mangiare una pizza mentre vedevamo un film stupido. Era lui quello che mi aveva sussurrato che non mi avrebbe mai fatto del male prima che le sue labbra si posassero sulle mie.

Se non fosse accaduto, magari adesso non sarei così in collera. Quel bacio è la dimostrazione del mio coinvolgimento, della mia speranza... Sono un'idiota.

Stringo il volante e riavvio il motore, senza prestare davvero attenzione alla strada da percorrere, ma è come se il mio subconscio mi guidasse verso casa. Quando arrivo, parcheggio l'auto dietro quella di mio fratello che stranamente è già rientrato e spero che non sia sveglio; avrebbe subito notato la mia sclera arrossata. Mi accorgo che nessuna luce filtra dalle finestre del soggiorno e mi rilasso un po': sono già andati tutti a letto.

Apro la porta e la richiudo silenziosamente. Tolgo il giubbotto e poi le scarpe per non fare rumore. Supero il soggiorno, cercando di evitare di soffermare il mio sguardo sul pavimento in cui io ed Enea eravamo seduti ieri sera. È strano come tutto possa cambiare nella frazione di un istante.

Entro in cucina e apro il frigo per cercare la scorta di vino rosso di mia madre. Prendo un calice dalla credenza e verso il liquido porpora mentre mi siedo sulla sedia più vicina alla portafinestra.

Sorseggio il liquido un po' aspro mentre guardo l'altalena del giardino oscillare nel vento della sera e cerco di rilassarmi e non pensare, tuttavia le emozioni che percepisco sono così tante da non lasciarmi scampo. Mi sento arrabbiata, inquieta, delusa, amareggiata, triste...

La suoneria del mio cellulare si propaga nella stanza e non mi meraviglio quando leggo il nome di Elia sullo schermo. Mi richiama altre tre volte prima di inviarmi un messaggio in cui mi chiede di dirgli almeno se sono arrivata a casa.

Blocco lo schermo e mi alzo per andare verso la portafinestra. La apro e l'aria invernale mi investe, ma il mio corpo non riesce a percepire il freddo come dovrebbe.

Esco e cammino sul prato per arrivare alla seduta del dondolo, non curante della brina che bagna i miei calzini. Alzo il capo e ammiro le stelle della volta celeste, mentre una piccola parte di me spera che la serata di stasera sia solo un incubo.

Bevo un altro sorso di vino e inizio a ondeggiare, spingendomi con i talloni. Ed è qui, proprio in questo momento, che capisco cosa mi scombussola davvero.

Non so quale dei due gemelli si è insinuato sotto la mia pelle. 

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