17. Ridere insieme

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Il vapore all'interno della piscina è quasi confortante rispetto alla frescura dell'esterno. I pochi raggi che penetrano dalle pareti vetrate riescono a stento a illuminare la corsia più vicina; fortuna che le lampade pendenti a soffitto sono già accese nonostante sia pieno giorno.

Mi volto verso Melissa, seduta accanto a me, e la scruto mentre osserva il programma di gare come se fosse scritto in aramaico. Il suo sopracciglio destro è così inarcato che enfatizza ancor di più la forma ad ali di gabbiano.

«È italiano, Mel, puoi riuscire a leggerlo.»

Abbassa i fogli e sbuffa. «Non ho mai assistito a una gara di nuoto in vita mia. Non capisco cosa sono le batterie e non trovo la logica della suddivisione degli atleti.»

Scuoto la testa e afferro il programma. «Le batterie servono per dividere gli atleti in più gruppi. Quelli che hanno il tempo più basso, cioè i migliori, stanno in prima batteria e gareggiano per ultimi.»

«Ok, sì, adesso ha un senso. Dovrebbero mettere una bella legenda.»

Ridacchio e porto la mia attenzione sui miei genitori che sono seduti nella gradinata sotto di noi. Mia mamma chiacchiera animatamente con una signora che presumo sia la madre di un compagno di squadra di mio fratello, mentre mio padre digita sulla tastiera del cellulare con aria corrucciata come di norma.

Mancano solo dieci minuti all'inizio del trofeo natalizio. Non è una manifestazione importante e io non sono mai venuta a guardare questa competizione minore, ma la curiosità degli ultimi giorni ha battuto di netto la mia razionalità. Quando ieri sera ho annunciato che volevo assistere alla gara, Mattia ha accolto la notizia con un'alzata di spalle, mentre mia madre gongolava in disparte come se avesse vinto la lotteria. Mio padre si è limitato ad annuire solo dopo che gli ho giurato di non stare prendendo sottogamba l'esame.

Mi guardo attorno ansiosa, battendo ritmicamente il piede destro sul pavimento senza tregua, però non posso dare la colpa del mio nervosismo a nessuno. Come dice il proverbio: chi è causa del suo mal pianga se stesso.

Ho trascinato con me Mel senza spiegarle il vero motivo per cui è qui, ma ho bisogno di un'ancora di salvezza se le cose dovessero degenerare. Cerco di richiamare in me tutto il mio autocontrollo, ma faccio davvero fatica a non lanciare diverse occhiate nella zona degli atleti, dove i due ragazzi che popolano la mia mente da giorni stanno ultimando il riscaldamento. Non è stato così difficile individuarli in mezzo ai cento atleti presenti perché sapevo di doverli cercare tra la squadra di mio fratello, la cui postazione è segnata dalla bandiera blu con il logo.

«Devi invitarmi più spesso. Non ho mai visto tutta questa mercanzia in bella vista in una sola volta!» afferma la mia amica con gli occhi che le brillano mentre scruta i bellimbusti a bordo piscina.

«Sei tu che non sei mai voluta venire. Noa viene sempre per le gare regionali e oggi non è venuto solo perché ha un impegno con sua madre» le dico sorridendo, mentre cerco con lo sguardo mio fratello. Lo trovo vicino alla camera di chiamata, intento a saltellare e ruotare le braccia per sciogliere i muscoli rigidi.

«Non ti preoccupare, da oggi in poi sarò sempre in prima fila. Guarda quello, ha degli addominali da urlo. E quello? Quel costumino dovrebbe essere illegale.» Indica velocemente diverse figure, ma capire a chi dei tanti si riferisce è impossibile.

Ascoltiamo lo speaker annunciare la prima gara della manifestazione: i cento stile libero, una delle gare di punta di Mattia. C'è solo una batteria per questa gara oggi, ossia quella dei migliori.

Lo osservo sfilare in fila indiana con i suoi sfidanti e ognuno di loro si ferma davanti al trampolino della propria corsia. È una piscina da cinquanta metri, quindi eseguiranno due vasche.

Il giudice arbitro fischia due volte e mio fratello sale sul trampolino numero cinque, sistemandosi con un gesto meccanico gli occhialini per farli aderire meglio al viso. Al secondo fischio si accovaccia per afferrare il bordo di plastica e il ritmo del mio cuore accelera per la tensione; chissà come batte il suo.

Al terzo fischio tutti si tuffano in acqua e grida di incitamento si propagano attorno a me. Ognuno dei presenti tifa per qualcuno e con la coda dell'occhio vedo Melissa alzarsi.

«Forza, Mattia!» urla con tutto il fiato che ha nei polmoni sotto il mio sguardo sbigottito.

Lei si volta verso di me e alza le spalle. «Che c'è? Sto entrando in sintonia con l'atmosfera caotica. Tifa anche tu!»

Sorrido e osservo mio fratello che è testa a testa con l'atleta della corsia numero quattro, colui che ha il tempo migliore della batteria. Insieme effettuano la virata e io mi alzo in piedi quando vedo Mattia uscire più avanti del suo avversario dopo la subacquea.

«Vai, Mattia!» grido, portandomi le mani a coppa davanti alla bocca.

Effettua le ultime bracciate con più vigore e arriva prima dei suoi sfidanti. Inizio a saltellare e abbraccio Mel che è contenta quanto me della vittoria. Mia madre batte le mani e mio padre si limita a stento a guardare con aria soddisfatta. Mi risiedo, trascinando la mia amica con me.

«Davvero entusiasmante. Alle volte mi pento di non aver praticato nessuno sport. Tu no?»

Sposto lo sguardo verso l'acqua azzurra della piscina con un magone in gola. «No, magari in un'altra vita.»

Le gare si susseguono e mi ritrovo a commentare con Melissa di ogni atleta, uomo o donna, che sia degno di nota. Richiamata da una forza magnetica, riporto l'attenzione sulla zona atleti e non vedo i due ragazzi che sto facendo finta di non guardare da quando sono arrivata. La psiche umana è davvero strana.

«Mamma, puoi passarmi un attimo il programma?»

Lei si volta verso di me e alza un sopracciglio prima che il suo sguardo si illumini. «È nella prossima batteria, insieme al fratello» mi spiega con voce divertita mentre mi indica la pagina che io faccio finta di non leggere.

«Sapevi che ha un fratello?» le chiedo con voce tenue per non attirare l'attenzione di mio padre.

«Sì, certo.»

«Di chi state parlando?» si intromette la mia collega che fiuta i pettegolezzi come un cane da tartufo.

Le indico i nomi sul programma, anche se di controvoglia, ma tanto prima o poi lo sarebbe venuta a sapere.

«Oh, bontà divina, ma è Elia, Elia?»

Annuisco, anche se non ha notato il cognome di Enea uguale sotto quello del gemello. Meglio così.

Gli atleti si spostano dalla zona di chiamata e li osservo attentamente mentre si fermano di fronte al blocco di partenza.

«Corsia quattro e cinque» mi sussurra mia madre mentre io la zittisco con lo sguardo.

Non ho bisogno delle sue direttive: spiccano in mezzo agli altri, e questo è tutto dire. La loro somiglianza fisica mi spiazza ancora. È quasi snervante. La loro corporatura tonica e asciutta mette in evidenza gli addominali definiti e le spalle ampie rendono la loro fisicità più possente. Salgono sul trampolino e voltano il capo all'unisono per guardarsi prima di tuffarsi in acqua dopo il fischio del giudice arbitro.

Sembrano volare come libellule mentre eseguono i cento delfino. Si sfidano in un testa a testa, lasciando la concorrenza alle spalle. Ho letto le corsie sul programma, ma avrei riconosciuto Enea dalla cuffia nera con il teschio bianco. Sono a pochi centimetri dall'arrivo e quando toccano il bordo sono costretta a guardare il tabellone per capire chi è arrivato prima. È Elia a vincere.

Lo vedo deridere il fratello mentre si toglie gli occhialini e l'altro di rimando lo affonda con un sorriso ampio sulle labbra che non gli ho mai visto. Si vede che gli vuole bene... ma allora perché ha combinato tutto questo casino?

La giornata trascorre in fretta, grazie all'entusiasmo della mia amica che è sempre contagioso. Alla fine del trofeo, dopo aver salutato i miei genitori, io e Mel aspettiamo mio fratello davanti agli spogliatoi per tornare a casa insieme a lui.

«Allora, novità con Elia?» mi chiede la mia amica mentre si poggia al muro del fabbricato alle sue spalle.

«No» ribatto in modo secco. La situazione è così confusa che non saprei come spiegargliela senza sembrare pazza.

«Dai retta a me e ascolta i miei consigli. Tu pensi troppo, devi agire. Dopo il mondo ti apparirà in modo diverso» afferma con un sorrisino scaltro.

La porta dello spogliatoio si apre ed esce mio fratello con le sue tre medaglie in bella mostra e con un sorriso a trentadue denti. «Mettetevi in fila donzelle. Sono pronto per gli autografi» dice con un tono a modo suo serio.

Mi precipito tra le sue braccia e lui mi afferra al volo.

«Sei stato incredibile» gli sussurro nell'orecchio, trasmettendogli tutto il mio orgoglio. Lui mi stringe con più forza prima di lasciarmi andare.

La porta si apre nuovamente e mi ritrovo davanti due pozze marroni. Gli occhi di Enea si fissano nei miei soltanto per un breve istante. Mette gli auricolari e passa oltre come se non esistessi.

«I ragazzi vanno a mangiare un panino per festeggiare. Andiamo con loro?» domanda Mattia mentre osserva me e la mia amica.

Non ho il tempo di articolare una risposta che sento la voce di Melissa. «Sì, certo!»

Mi giro nella sua direzione con uno sguardo perplesso e lei mi fa l'occhiolino che può significare solo una cosa: guai in vista.

*

Ho in mano un panino con porchetta e formaggio più grande della mia faccia. Le patatine fritte sono così tante che non riesco a vedere gli altri condimenti.

Siamo insieme a una porzione consistente della squadra di Mattia, ma io e Mel sediamo su un muretto un po' in disparte rispetto al gruppo. Continua a guardare allibita Elia ed Enea da quando mi ha sommerso di domande appena se li è ritrovati davanti insieme.

«Come è possibile che esistano al mondo due esemplari di tale calibro?» mormora con occhi languidi prima di addentare una crocchetta di patate.

Mi volto malvolentieri e guardo i gemelli che mangiano i loro panini mentre parlano con gli altri.

«Lo conosci Enea?»

«No» mento sbrigativa, riabbassando lo sguardo. Siamo qui da venti minuti, ma nessuno di loro due mi ha degnato della loro attenzione. Non che mi aspettassi qualcosa da parte di Enea, ma Elia è come se mi avesse invitata a venire oggi alle gare.

«Beh, che dici se vado a sondare un po' il terreno?»

Non ho il tempo di risponderle che già si è avvicinata al gruppo con il suo passo deciso e i capelli rossi che le ondeggiano sulla schiena. Guardo la mia amica iniziare una conversazione con i ragazzi e una sensazione strana mi attorciglia lo stomaco.

Distolgo lo sguardo e stritolo il mio panino come se fosse lui l'artefice dei miei mali.

«Ciao, Carla.» La voce di Elia mi coglie di sorpresa, tanto che alcune patatine ricadono sull'asfalto. Alzo gli occhi dalla mia cena e lo osservo sedersi sul muretto accanto a me.

«Adesso mi parli?» borbotto con un tono più corrucciato di quanto vorrei.

Sul suo viso compare un sorriso divertito che mi fa innervosire ancora di più. «Qualcuno è di malumore» afferma mentre continua a ridacchiare.

«Io non ci trovo nulla di divertente.»

«Sei ancora più bella quando ti arrabbi.»

Lo scruto stranita con le guance che si colorano leggermente.

«Per la cronaca, stavo solo aspettando che tuo fratello si allontanasse prima di avvicinarmi.» Fa un cenno del capo verso destra e seguo la sua indicazione per vedere Mattia in lontananza che parla al telefono.

Porto lo sguardo sulla mia cena e mangio le patatine rimanenti con più concentrazione del necessario. Non ho intenzione di governare io le redini della nostra conversazione.

Lo sento sospirare. «Vorrei che fosse stato questo il nostro primo incontro» mi confida dopo un po', guardandomi con occhi sinceri. Si alza e si posiziona davanti a me con in volto un'espressione decisa. «Piacere, mi chiamo Elia.»

Mi porge la mano destra e io la guardo indecisa, mordendomi il labbro inferiore con un'intensità eccessiva. Dopo il venticinque dicembre mi ha mandato un'infinità di messaggi a cui non ho dato risposta, ma lui non si è mai arreso. Ieri mi ha chiesto se sarei venuta alle gare e, in un attimo di cedimento, ho scritto di sì. I suoi messaggi entusiasti mi hanno accompagnato durante tutta la serata, anche se non ho risposto più. Devo ammettere che è davvero bravo a creare monologhi.

Sollevo lo sguardo per osservare i suoi occhi color caramello che mi spingono a provarci. «Piacere, Carla.»

Gli sto dando la possibilità di riiniziare con il piede giusto, ma dentro di me so che ci vorrà ancora molto tempo prima che inizi a fidarmi di lui.

Poggio il panino sul lato sinistro del muretto e con la mano destra gli stringo la sua. Sul volto gli compare il suo bellissimo sorriso con la fossetta e la sua felicità rasserena il mio animo inquieto. Guardo le nostre mani ancora unite e lascio la presa con un po' di imbarazzo.

Scosto la sciarpa per ripararmi dal freddo e sento la collana che ho al collo ruotare leggermente. È il momento giusto per chiedergli se sia lui il mittente, anche se non ho dubbi.

«Senti...» diciamo in simultanea.

Ci fissiamo negli occhi e scoppiamo a ridere. Sono giorni che non sorrido così. La sua capacità di farmi cambiare umore così velocemente mi destabilizza non poco.

«Prima tu» affermo ancora con un sorriso enorme sulle labbra.

Lui si accovaccia ed estrae una busta rossa all'interno del suo borsone.

«Lo so che sarebbe strano dare un regalo al primo incontro, ma i fiori che ti ho regalato a Natale non mi sembravano abbastanza, così ti ho preso questo.»

Mi porge il sacchetto che io afferro con mani tremanti e il cuore che mi batte assordante nel petto. È come se qualcuno mi avesse gettato un secchio d'acqua gelido, svegliandomi all'improvviso.

Se non è stato lui c'è solo un'altra persona che può avermi fatto quel regalo. Solo un'altra persona mia nonna avrebbe potuto confondere con Elia.

«Carla, tutto bene?»

«S-sì, sì, certo.»

Archivio l'informazione nella mia mente e mi concentro sulla confezione davanti a me. Apro la busta e dentro trovo una splendida sciarpa verde petrolio. Prendo un profondo respiro e mi concentro sul ragazzo di fronte a me.

«Grazie, ma non eri tenuto a farlo. Io non ti ho regalato niente.»

«Non è vero, mi hai regalato una seconda possibilità.»

Scruto i suoi occhi nocciola mentre penso a come riesca a dire sempre la cosa giusta al momento giusto per farmi sentire speciale. Mi tendo verso di lui e gli do un bacio sulla guancia per ringraziarlo.

Lui mi guarda con occhi sorpresi e le mie guance si colorano di rosso. Per me era un bacio privo di malizia, un modo per dire grazie, ma dal suo sguardo capisco che possa essere un gesto fraintendibile.

«Era solo per ringraziarti.»

«Certo, continua a ripetertelo. Magari riesci a convincerti.»

Lo spintono con la spalla. «Sei sempre così sicuro di te?»

«La maggior parte delle volte, ma mai quando si tratta di te.»

Un sorriso timido compare sulle mie labbra e abbasso il capo per non farglielo vedere.

«Comunque, se per ringraziarmi mi darei sempre baci, ti comprerò molti più regali.»

«Cosa credi. Era solo il bonus omaggio dopo i primi due.»

Elia inizia a ridere e la sua risata è così contagiosa e calorosa che coinvolge anche me, eliminando il caos incessante che avvolge il mio cuore.
È bello ridere insieme.

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