28. Incontri inaspettati

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Percepisco qualcosa di pesante schiacciarmi la pancia e lentamente apro gli occhi. Rimango per un attimo perplessa, osservando la parete rosso scuro della camera di mio fratello. Ha un'ossessione per questo colore.

Sollevo le coperte della medesima tonalità e vedo il suo piede destro sul mio stomaco. Sono quasi convinta che nella sua vita precedente fosse un contorsionista, nonostante il suo fisico possente.

Sospiro e scruto la sveglia sul comodino: sono le sei. Potrei benissimo rimanere a dormire un altro po' tra il calore confortante delle lenzuola, ma mi sento ancora nervosa per quello che è successo ieri sera.

Sposto delicatamente la gamba di Mattia sul materasso per non svegliarlo e scendo dal letto. Raccolgo i miei vestiti e il cellulare dal pavimento e mi dirigo verso la porta.

A metà stanza però mi blocco, attirata da un oggetto sulla scrivania, illuminato dalla poca luce del mattino che filtra dalla persiana. È una busta bianca che di solito si usa per spedire le lettere, ma è stata la scritta blu su di essa a catturare la mia attenzione: La fortuna sia sempre con te.

Guardo quelle parole con un'espressione corrucciata e mi volto verso il letto dove ancora mio fratello dorme beato. Negli ultimi giorni mi sembra più sereno, tuttavia continua a uscire quasi tutte le sere e le occhiaie non hanno abbandonato il suo volto.

Spinta da un senso di inquietudine e dalla curiosità, mi dirigo verso la scrivania e afferro la busta tra le mani. Fortunatamente è già stata aperta così posso vedere il contenuto senza lasciare tracce. La schiudo e rimango destabilizzata quando focalizzo il contenuto: soldi. Molti soldi.

Sfioro le banconote verdi con il pollice prima di voltarmi verso Mattia. Dove diavolo ha preso tutto questo denaro?

Ha lavorato come un matto quest'estate, tuttavia so per certa che ha speso tutto il suo guadagno per andare in Spagna a settembre. Ripongo la busta nella posizione in cui l'ho trovata prima di uscire dalla stanza, richiudendo piano la porta alle spalle. Non avrebbe senso svegliarlo adesso e interrogarlo visto che, conoscendolo, si inventerebbe una scusa soltanto per tranquillizzarmi e io non tollero più le sue bugie.

Alla prima occasione lo seguirò di nascosto per vedere con i miei occhi in che guaio si è cacciato perché sento che non ha ottenuto tutti quei soldi con un guadagno onesto, altrimenti sarei stata la prima a sapere che aveva trovato un nuovo lavoro.

Entro in camera mia e prendo tutto l'occorrente per andare a correre; ho bisogno di riflettere su tante cose e sbollire l'adrenalina che sento nel petto. Non mi bastavano solo le mie sbandate mentali. No, anche mio fratello deve aggiungere carne sul fuoco.

Mi precipito giù per le scale e inizio a correre nelle piccole viuzze del mio paese a un ritmo più sostenuto. Preferisco insinuarmi nei meandri dei monti, ma a quest'ora è tutto ancora immerso nella quiete. Soltanto pochi lavoratori vedo dirigersi con passo lento verso le loro autovetture.

Svolto a sinistra e mi immetto in una delle strade principali che conduce alla piccola piazza, aumentando l'andatura. Non riesco a trovare pace, neanche la voce suadente di Calum Scott nelle orecchie riesce a rilassarmi.

La situazione con i gemelli è un vero disastro, ma è mio fratello al momento a preoccuparmi di più. Non viviamo nella lussuria, però i nostri genitori non ci hanno mai fatto mancare nulla. Perché volere tutti quei soldi?

Sto per raggiungere la piazza quando il mio piede sinistro cede e finisco a terra, graffiandomi le mani che utilizzo per ammortizzare la caduta. «Merda...»

Il dolore lancinante che sento provenire dal piede mi invade tutto il corpo. Mi volto in posizione supina per alzarmi, ma il colore limpido del cielo privo di nuvole cattura la mia attenzione e rimango stesa sul marciapiede.

I ricordi prendono il sopravvento. Vedo due occhi azzurri aggressivi e le urla mi rimbombano nelle orecchie. Ancora oggi la sensazione di smarrimento e paura che provai quel giorno mi invade, tanto che rimango immobile con il fiato spezzato, incapace di reagire a un ricordo che mi tiene ancora imprigionata.

«Ehi, stai bene?»

Sento una voce maschile e mi costringo a chiudere gli occhi per riacquistare un minimo di lucidità. L'ultima cosa che voglio è che un estraneo mi veda in queste condizioni.

Quando percepisco il suo corpo vicino al mio, sollevo lentamente le palpebre e miei occhi incontrano due iridi verde scuro che riconosco in pochi secondi. Vedo nel suo sguardo la scintilla che lo attraversa nell'attimo in cui capisce chi sono.

«Carla... sei tu, vero?»

Prendo un profondo respiro e tento di sollevare il busto.

«Chiacchierona come sempre» afferma con tono un po' pungente ma scherzoso.

Sorrido spontaneamente e mi costringo a guardarlo. Ha i capelli cortissimi rispetto a come li portava qualche anno fa. Non credevo gli donassero, ma in realtà risaltano di più i lineamenti marcati del suo viso. Una piccola cicatrice, che prima non aveva, gli divide il sopracciglio sinistro. Le sue iridi, invece, hanno sempre lo stesso colore intenso. Solo questo dettaglio è rimasto immutato visto che anche la sua espressione fanciullesca adesso è più dura.

Mi osserva anche lui con meticolosità e una parte di me è curiosa di sapere cosa sta pensando. Forse un occhio esterno, che mi conosceva così bene, mi saprebbe dire oggi chi sono diventata.

«Ciao, Lorenzo» lo saluto, interrompendo il momento di silenzio. Cerco di sollevarmi, ma il dolore al piede sinistro è lancinante.

Lo vedo spostarsi dietro di me e mi afferra delicatamente per i fianchi, aiutandomi ad alzarmi. «Devi mettere del ghiaccio su quel piede se non vuoi avere problemi» sentenzia con voce roca, molto più profonda di quanto ricordassi.

«Non funziona più bene da un po', ma farò come mi hai detto.»

Lo osservo mentre si china a raccogliere il mio mp3 logoro che mi è scivolato dalla tasca quando sono caduta. Le movenze un po' goffe che aveva da adolescente sono sparite, sostituite da un atteggiamento fiero e sicuro.

L'orologio sul mio polso emette quel bip-bip fastidioso che indica l'inizio di una nuova ora: sono le sette. «Devo andare, grazie per avermi aiutato.» Tento di appoggiare il piede dolorante a terra, ma fa troppo male. Devo saltellare fino a casa. Fantastico.

Il corpo muscoloso di Lorenzo mi si piazza davanti e mi solleva il mento. «Non trattarmi come se fossi un estraneo, non mi piace. Continui a scappare da me da anni.»

Non so cosa ribattere, quindi decido di annuire con il capo. Lui mi fa un piccolo sorriso e si gira dandomi la schiena. «Salta su, ti porto a casa. Abiti di nuovo dai tuoi, giusto?»

«Sì, abito lì, ma posso chiamare mio fratello e farmi venire a prendere. Non preoccuparti.»

«Tuo fratello starà ancora dormendo profondamente e non sentirebbe neanche il telefono. Non credo che crescendo le sue abitudini siano cambiate. Forza sali, servirà anche a me come allenamento.»

Vedendo la riluttanza nei miei occhi, mi afferra il polso e mi issa sulla sua schiena come se non pesassi nulla.

«Che intendi con allenamento?» chiedo mentre ci avviamo verso casa. Lo conosco così bene da sapere che opporsi alle sue decisioni è inutile.

«Ormai sono un militare da quasi cinque anni. Dopo i diversi spostamenti iniziali, adesso opero in pianta stabile a Pisa. Sono stato qui in licenza solo per pochi giorni e tra qualche ora ripartirò.» Sospira prima che una risata amara gli riecheggi nel petto. «È strano come due persone passino dal condividere tutto a non sapere più dove sia finito l'altro e che cosa stia facendo attualmente nella sua vita. Non sapevo neanche che fossi tornata.»

Mi mordo il labbro inferiore a disagio. «In realtà sono tornata da Roma già da cinque anni» ammetto con un sussurro, sentendomi in colpa.

Sento i muscoli della sua schiena irrigidirsi sotto il mio corpo. «Wow, questo sì che è un colpo basso. Ti perdono solo perché in quel periodo sono andato via io.»

Continuiamo ad avanzare restando in silenzio, tuttavia non è uno di quei silenzi pesanti. Lui è uno tra le poche persone con cui non ho mai sentito il bisogno di scambiare convenevoli per tenere in vita una conversazione ed eliminare l'imbarazzo.

Arriviamo di fronte casa mia in tempi record; è davvero abituato a trasportare carichi pesati sulla schiena. «Ti ringrazio per il passaggio, davvero» dico mentre scendo dal suo corpo.

Saltello e mi posiziono davanti a lui. Lo guardo per un lungo momento, mentre rimorso e nostalgia si mescolano insieme. «Perdonami» affermo di getto, sperando che capisca i miei sentimenti.

Scuote la testa e sulle sue labbra compare un sorriso stanco ma sincero. «Non è stata colpa tua. Eravamo troppo piccoli per affrontare una relazione a distanza.» Esita, ma alla fine decide di proseguire. «Custodisco gelosamente i ricordi di quegli anni. Ricordo ancora come ci siamo incontrati. Eri una tipetta così taciturna che in classe non si percepiva neanche la tua presenza, ma quando permettevi a qualcuno di avvicinarti lo riempivi di attenzioni e premure. Mi sono sentito onorato quando mi hai permesso di entrare nel tuo mondo. Mi consideravo speciale.»

Le sui iridi puntano dritte verso le mie. «Riesco ancora a intravedere la ragazzina che ho amato dentro i tuoi occhi profondi, però qualcosa in te è cambiato. Sembri... fragile.»

Mi mordo il labbro inferiore per paura che le mie emozioni prendano il sopravvento. Non voglio piangere di fronte a lui. Sono successe parecchie cose dall'ultima volta che ci siamo visti.

Qualcosa nel mio sguardo gli rivela il mio turbamento, tanto che lui si avvicina e mi afferra la mano per rassicurarmi come faceva un tempo. «Ehi, tranquilla, si sistemerà tutto. Qualunque cosa essa sia.»

Una lacrima solitaria mi scende lungo il viso. È ufficiale: sono diventata una piagnucolona.

Lorenzo mi sfiora la guancia con la sua mano ruvida e la cattura. Questa scena mi sembra paradossale. Mi sto facendo confortare dal mio primo ragazzo, nonostante sia io quella che lo ha abbandonato. Non è vero che la nostra relazione non sarebbe sopravvissuta se fosse dipeso tutto da lui. Sono stata io ad aver mollato.

«Riuscirai ad affrontarla a testa alta con la determinazione che ti contraddistingue, come sempre.»

Annuisco, anche se non credo alle sue parole. Mi sono trasformata nella persona più insicura del pianeta, una persona che non sa quello che vuole.

«Adesso devo andare. Ho un aereo che mi aspetta.» Appoggia le sue morbide labbra sulla mia fronte ed è come se in quest'unico tocco ci stessimo comunicando l'addio che in passato non ci eravamo concessi.

Va via e io rimango a osservarlo fino a quando svolta l'angolo per poi rientrare in casa. Mi dirigo in cucina per prendere dal freezer un po' di ghiaccio, mentre sento già la caviglia gonfiarsi.

Apro la porta e mi ritrovo davanti il viso di mia madre che mi guarda mentre beve una tazza fumante di caffè. «Buongiorno, tesoro... ma che ti è successo!» esclama, vedendomi zoppicare per raggiungere la mia meta.

«Nulla di preoccupante. È solo una leggera storta.»

«Non dovresti andare a correre. Tutti i dottori te lo hanno severamente vietato. Perché devi essere così cocciuta?»

«Mamma, è inutile. Continuerò a correre, che tutti voi lo vogliate o no. Fine della discussione.»

Senza darle il tempo di controbattere, saltello fuori dalla cucina in direzione della mia stanza. Le scale si rivelano un grandissimo ostacolo da superare, tuttavia riesco ad arrivare in camera. Una volta sul letto, slaccio la scarpa e provo a toglierla delicatamente insieme al calzino.

La pelle è leggermente arrossata e la caviglia è già gonfia come sospettavo. Non potrò correre o camminare come si deve per un po'.

Appoggio il ghiaccio su di essa e accendo il cellulare. Ci sono alcuni messaggi da parte della mia migliore amica e uno di Elia. Noto anche un'e-mail dal mio relatore e mi affretto ad aprirla.

Gentile Signorina Amato. La prego di recarsi nel mio studio oggi alle ore 15:00 per discutere sulle ultime novità riguardanti la sessione di laurea. La informo già che riceverà una notizia non molto a Lei gradita.
Distinti saluti

Quanto è vero il proverbio: Piove sempre sul bagnato.

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