Capitolo 2

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Era la mattina del mio primo giorno di scuola alle medie.
Per strada, quaranta minuti prima dell'inizio della scuola, non c'era nessuno.
C'ero solo io con il mio vecchio cane a cui feci indossare la museruola.
Quel giorno non volevo sentire niente e nessuno, nemmeno il mio cane abbaiare.
Mollai il cane in casa e mi incamminai verso la mia nuova scuola.
Entrai in classe e mi sistemai in fondo, da sola.
Avevo l'impressione che tutti si conoscessero già.
L'unico che conoscevo io era un bambino che andava alle elementari con me.
Mentre la professoressa elencava l'orario della settimana corrente notai alcune caratteristiche nei miei compagni.
Eravamo in ventisei.
Tredici femmine e tredici maschi.
Le femmine, esclusa me, erano tutte vestite con magliette scollate, pantaloni strettissimi e scarpe di una marca molto conosciuta.
I maschi avevano tutti il ciuffo tra le mani, erano vestiti di felpe pesanti e nere, pantaloni jeans e le stesse scarpe delle ragazze, solo ideate per il sesso maschile.
Erano tutti uguali, come usciti in serie da una fabbrica.
Per mia sfortuna ero posizionata dietro due ragazzine che criticavano ogni persona in classe e tendevano a ridere su tutto.
Fecero un giro di critiche, esaminando ogni individuo nella nostra classe.
Arrivò il mio turno.
Una delle due si girò verso di me e fece una risatina acuta e fastidiosa, per poi sparlare di me con la compagna di banco.
Sentii il loro discorso per un po', parlavano del mio fisico.
Inizialmente non notai che tutte le ragazze nella mia classe, tranne me ovviamente, erano tutte magre e con un fisico stupendo.
Dal loro discorso offensivo dedicato a me e al mio fisico capii che forse era l'ora di smetterla con torte enormi ogni settimana, con lasagne in teglia e con la pigrizia nel muoversi.
Avevo il bisogno urgente di dimagrire e tenermi in forma, per me e per la mia salute sarebbe stato molto positivo.
Non mi era mai interessato del mio fisico ma dopo tutte quelle critiche era ovvio il da farsi.
Seguire una dieta rigida.
Quel pomeriggio tornai a casa e mi fermai a riflettere.
Mia madre mi porse un gran bel piatto abbondante di fusilli al pomodoro.
Avevo fame, ma rifiutai.
"Se voglio dimagrire, devo smetterla di mangiare" continuavo a ripetere nella mia mente.
Inventai una scusa per non mangiare.
Aprii la porta e decisi di andare a correre.
Deciso il percorso da intraprendere schizzai come un razzo.
L'unica cosa che mi reggeva ancora in piedi era la paura dei giudizi altrui.
Mi fermai dopo quasi dieci minuti di corsa continua.
Ero troppo stanca.
Ricominciai a correre piangendo, ascoltando le critiche dei passanti.
Mi accasciai per terra dopo aver corso per tutto il percorso precedentemente fissato.
Ricominciai a piangere con insistenza e rientrai in casa.
Feci le scale silenziosamente, nascondendo le lacrime con un sorriso.
Non volevo far preoccupare i miei genitori.
Camminai verso la mia stanza e mi chiusi dentro a chiave.
Mia madre bussò chiedendo cosa io volessi per cena.
Risposi con un silenzio breve, interrotto da un urlo improvviso.
Risposi con calma di non voler nulla.
Sentii mia madre scendere le scale.
Mi prese un attacco isterico.
Sapevo quanto sia dannoso non mangiare, ma avevo bisogno di zittire i giudizi.
Silenzio per ore, l'unico suono che si udiva era la televisione nell'altra stanza.
Parlare è inutile quando si può piangere.

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