Capitolo 4

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Il tempo passò e le cose non cambiarono.
Nulla cambiò fino al giorno in cui mi guardai allo specchio.
Ero un mostro.
D'un tratto comparì un omino alato sulla mia spalla.
"Sei bellissima, Leyla. Ma non abbastanza" disse.
Ero sicura fosse un'allucinazione.
Provai a dargli uno schiaffo.
La mia mano lo trapassava, come un fantasma.
Continuavo a cercare di colpirlo mentre lui mi insultava.
Smisi di colpirlo.
Era tardi, dovevo correre in studio.
Acceleravo sempre più ma l'omino mi seguiva volando.
Correvo per strada, scappando.
Attraversai la strada guardandomi le spalle, correndo, sperando di correr via dall'omino.
D'un tratto una luce accecante mi penetra negli occhi, mi giro e chiudo gli occhi.
L'omino scompare e con lui il mio respiro.
Ero distesa per terra, sanguinante, con le ossa ben esposte e priva di sensi.
Ma almeno ero magra.
Aprii gli occhi.
Ero su un lettino.
Vicino a me una flebo.
Non ero in ospedale ma su una superficie bianca, aperta al cielo e alle stelle.
Appoggiai un piede per terra e poi l'altro.
Il pavimento era soffice.
Che sia stato il paradiso?
Staccai con violenza la flebo dal braccio e cominciai a correre piangendo.
Mi mancava essere grassa, mi mancavano gli insulti, mi mancava la vita, mi mancava tutto, anche l'omino che altro non era se non la mia coscienza.

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