19 - Puttanella

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Samuel marciò fino al bagno e sbatté la porta, faceva fatica a respirare. Che cazzo gli era preso? Si passò le nocche sulle ciglia, erano bagnate. Stava piangendo? Afferrò due strappi di carta igienica e si soffiò il naso. «Devi darti una regolata», mormorò. «Devi calmarti.»

Buttò nel cesso la carta igienica e si strofinò gli occhi. «Non gli interessa davvero conoscerti, vuole un sottomesso.» Appoggiò le mani sul lavandino e fissò la propria immagine riflessa. «Devi essere la sua puttanella, tutto qui. Non devi pensare, non devi essere te. Devi sorridere, essere carino e...», deglutì, «dolce. Esegui gli ordini e basta. Non devi essere te stesso.»

Agguantò il maglioncino e lo infilò. Non doveva essere altro che il suo sottomesso. Era quello che interessava a Kay, alla fine. E, come sottomesso, lo avrebbe compiaciuto in tutto e per tutto. Non avrebbe dato rispostacce. Infilò anche i jeans. Non avrebbe disobbedito. Accidenti se aveva fame. Si tamponò le ciglia e sbatté le palpebre fino a farle asciugare. Aveva lo sguardo languido, addolorato. Era un bel bocconcino da scopare.

La puttanella tornò nella camera e si avvicinò al letto, teneva la testa bassa. «Ti chiedo perdono, master.» Posò le mani sul copriletto e scivolò verso di lui. «Mi sono rivestito, proprio come avresti voluto tu fin da subito», il tono era carezzevole, salì sul letto anche con le ginocchia.

«Sei perdonato», Kay gli accarezzò il viso. «Però devo dire che mi piaceva guardarti nudo e ti avrei fatto svestire comunque.»

«Oh, no, ho sbagliato di nuovo?» La puttanella si strinse nelle spalle. Non ne faceva una giusta. «Vuoi che mi spogli?»

«Sì, fammi vedere come ti muovi.» Il master gli posò le mani sui fianchi. «Solo il maglione, per ora.»

Samu si prese il labbro inferiore tra i denti e accennò un sorriso, lo avrebbe compiaciuto in tutto. Piantò le ginocchia sul letto e sollevò il maglioncino bordeaux, muoveva il torace e l'addome seguendo una musica che non esisteva. Doveva essere lento e sensuale per lui. Lui era così perfetto, così attento, gli occhi grigi non perdevano un movimento. Lo ipnotizzavano. La puttanella lasciò cadere il maglioncino sul letto e mollò il labbro inferiore, schiudendo la bocca.

Il master lo trascinò giù e Samu gli crollò sul petto, con un gridolino. Kay lo fece girare e lo sistemò nella stessa posizione di prima, sdraiato sul suo petto, tra le sue gambe, con la testa posata sul torace. «Così mi piaci, Samuel.»

«Samu.» Sbarrò le palpebre, non doveva contraddirlo! Se il master avesse voluto chiamarlo Samuel, lo avrebbe chiamato Samuel. Stupido.

«Va bene, Samu. Puttanella.» Kay gli circondò l'addome con un braccio, l'altra mano raggiunse la fronte. «Chiudi gli occhi.»

Obbedire era facile come respirare, non c'erano più pesi che lo opprimessero. Samu chiuse gli occhi, obbedire lo faceva stare bene.

Kay gli percorse con il polpastrello il profilo del naso, delle labbra, del mento. «Sei la mia puttanella», scese lungo la gola e sullo sterno, «preferita», scese ancora sulla pancia, che brontolò.

La puttanella pigolò. «Ho fame, master.» Lo avrebbe fatto arrabbiare con le sue richieste sciocche.

Il master passò oltre il proprio braccio e continuò ad accarezzarlo sul basso ventre fino al bordo dei jeans. «Tra poco ti faccio mangiare qualcosa.» Kay gli sbottonò i pantaloni e tirò giù la cerniera. «Sono un po' attillati.»

«Mi dispiace.» Era possibile sbagliare tutto a quel modo? Perché li aveva scelti? Solo perché gli risaltavano il culo?

«Non c'è niente di cui dispiacersi. Ti stanno divinamente, vorrà dire che ora faticherò un po'.» Kay si aiutò con entrambe le mani e gli fece scivolare i jeans lungo i fianchi e oltre il culo, gli circondò di nuovo l'addome con il braccio. «Toglili, ma senza alzarti.»

Come avrebbe fatto? Il master lo stringeva. Samu iniziò a muovere la schiena e il bacino, flesse le ginocchia e, aiutandosi con le mani, fece scivolare i jeans fino a metà coscia.

«Come sei agile, dolcezza. Lasciali così per ora» Kay spostò il braccio dall'addome al torace e iniziò a massaggiargli i muscoli. L'altra mano gli accarezzò la pancia e scese fino al basso ventre, dove una volta iniziavano i peli del pube. «E come sei liscio. Senti la mia mano come scorre bene?»

La puttanella rispose con un suono rauco di gola e si strusciò con la schiena su di lui.

«Ti piace, quando ti accarezzo così?» Il master scese ancora ad accarezzargli il pube e virò sull'inguine, arrivando alla coscia.

Samu sollevò il bacino e piegò le ginocchia. «Sì, master, mi piace.» Le carezze e le parole di Kay gli fecero aumentare i battiti, il sangue gli fluiva sempre più caldo e sempre più impetuoso nelle vene.

«Non chiudere le gambe» Kay scivolò lungo la coscia, fino al bordo dei jeans, che impedivano alla puttanella alcuni movimenti, risalì il fianco; era una carezza volitiva, le dita gli affondavano nella pelle glabra, gli sarebbero rimasti i segni sul pallore.

Samu continuò a strusciarsi su di lui, la ruvidezza dei jeans del master gli grattava la schiena, ma sotto c'era qualcos'altro che lo puntellava e che stava crescendo. Cosa non avrebbe dato per poterlo toccare.

La mano del master ritornò sul pube, non premeva più così tanto, e scivolò lungo il membro di Samu, che riposava ancora senza vita appoggiato sull'inguine dell'altra gamba. «Cosa abbiamo qui...»

La puttanella mosse l'anca verso la sua mano, per seguire i movimenti del massaggio, i battiti aumentarono. Si aggrappò alla stoffa del copriletto e puntellò i calcagni, dalle labbra socchiuse uscivano ansiti sommessi.

La mano a coppa lo accarezzava piano, con movimenti lenti e misurati. «Buono, fermo.» Gli sussurrò nei capelli. «Non ti muovere.»

Samu inarcò la schiena e roteò il bacino, continuando a seguire i movimenti della mano. «Non... posso...» ansimò. Voleva sentire più pressione, aveva bisogno di qualcosa di più.

«Cerca di stare fermo, rilassati sotto al mio tocco.» Il master gli posò le labbra sulla fronte, Samu spinse sui calcagni e gliele lambì con le proprie.

Kay allontanò il viso. «No, no», mormorò, «devi concentrarti su quello che ti dico. Prova a non muoverti e lascia fare a me.»

La puttanella scosse la testa e mugugnò un rimprovero a bocca chiusa. Come poteva stare fermo, quando qualcuno lo toccava a quel modo? Fece un profondo respiro e irrigidì i muscoli delle gambe e della schiena. Affondò i denti nel labbro inferiore e serrò le palpebre, rallentò il movimento del bacino fino a fermarsi.

«Bravo, puttanella.» Kay gli percorse con i polpastrelli tutta la lunghezza del pene, fino ai testicoli, e si soffermò a giocare con quelli. «Dimmi, quando è stata l'ultima volta che hai fatto il passivo?»

Era difficilissimo rimanere immobili, strizzava la stoffa del copriletto nel pugno, aveva la smania di seguire i suoi movimenti. «Non lo so...» sputò fuori «un paio d'anni, credo.»

«Povero il tuo top, se ti muovevi così...», Kay fece scivolare le dita sulla pelle sensibile, Samu soffocò un guaito. I polpastrelli raggiunsero il bordo grinzoso del buchetto e glielo stuzzicarono, «l'avrai fatto venire subito.»

Samu non aveva mai posto così tanta attenzione a quella parte del corpo come negli ultimi giorni, le carezze del master pur delicate, gli provocarono un'ondata infuocata che lo lasciò senza fiato. Si abbandonò sul suo petto, non aveva più la smania di muoversi.

Il master gli tastò la pelle delicata e premette sull'apertura con la punta del medio. «Sei ancora così stretto...», ritrasse la mano e tornò ad accarezzargli le palle, «ti sei allenato, vero?»

«Sì, master», sussurrò la puttanella in un sospiro, «ieri il plug da cinque centimetri entrava e usciva senza problemi.» Ci aveva giocato tutta la sera.

«Molto bene, molto bene. Hai ancora paura che ti rovini?» Kay aveva ripreso ad accarezzargli il membro con la mano a coppa, flemmatico.

Samu mosse appena il capo. «No, avevi ragione tu.» Aveva sempre ragione, avrebbe dovuto ricordarselo.

«Hai fame?»

Una domanda importante. Aveva fame? Sì, ma non voleva smettere di essere coccolato. Non poteva certo mentirgli, però, che razza di sub voleva essere? Indegno della fiducia del miglior dominatore mai esistito?

La voce gli uscì in un sussurro. «Sì, mi dispiace.»

«Bene, ti avevo detto che ti avrei fatto mangiare qualcosa, no?» Kay gli strinse le spalle e lo spinse per farlo mettere seduto. «Girati, puttanella, siccome sei stato molto bravo, meriti un premio.» Si slacciò il bottone dei jeans e tirò giù la cerniera, erano talmente tirati che sarebbero esplosi.

Samuel si mise a quattro zampe, il pene del master si ergeva maestoso e libero dalle costrizioni, appena incurvato, era una visione meravigliosa. Lo stomaco fece una giravolta e il ventre si contrasse. Lo voleva dentro di sé.

Kay lo impugnò e lo puntò verso di lui. «Mostrami quanta fame hai, S.»

Era tutto suo? Davvero? Samu allungò una mano, finalmente poteva toccarlo. Lo massaggiò, era spesso e reale, liberò la punta ed esso si erse con ancora più fierezza. Lo leccò, il sapore salato gli fece salire l'acquolina, si abbassò e lo lambì con le labbra; dovette spalancare la bocca per prenderlo tutto, non aveva mai avuto un partner così grosso. Era a malapena a metà e già gli cozzava contro la gola.

«Forza, S.» Kay gli posò una mano sulla testa, gli insinuò le mani tra i capelli e premette i polpastrelli fino a fargli sentire le unghie corte sulla pelle.

Samu chiuse gli occhi e rilassò i muscoli della gola, il membro pulsava, lo soffocò. Gli occhi si riempirono di lacrime, ma spinse ancora fino a sfiorare con il naso i peli neri del pube del suo padrone.

«Bravo, così...» Kay iniziò a muovere le anche, gli afferrò una ciocca di capelli sulla nuca e lo bloccò in quella posizione.

A ogni spinta, la vista di Samuel si offuscava, respirava a tratti, quando la gola si liberava per un istante. Il mondo era una spirale di rossi e di neri, fremiti di eccitazione gli fluivano lungo tutto il corpo.

Kay tirò fuori il cazzo e infilò al suo posto tre dita, gli scavò nella gola.

Aveva la vista velata, Samuel rimase con la bocca spalancata, perché aveva smesso? Gli succhiò le dita, ma Kay gli tirò i capelli all'indietro e gli fece incurvare il collo. Le dita e la posizione lo strozzarono, la gola si contrasse per un conato condizionato, gli occhi si inumidirono. Strinse il copriletto e si costrinse a rilassare la gola.

«Buono, cazzo, stai fermo un secondo», il master aveva la voce roca, soffocata dall'eccitazione, le tirò fuori e gli abbassò la testa.

Samuel aspirò l'aria in un rantolo affannato. Ne voleva ancora e ancora!

I movimenti di Kay erano frenetici, gli ficcò di nuovo il pene in gola, le dita umide trovarono il contorno grinzoso del buco e vi si insinuarono, senza una pausa, due insieme. Tre. Scivolarono dentro, lo riempirono; Samu lasciò andare la stretta al copriletto e si abbandonò a lui, come un pezzo di carne senza volontà.

Le spinte dei fianchi aumentarono di ritmo, le dita gli arrivarono in profondità e si arricciarono, massaggiandogli la prostata. Le gambe gli divennero molli e il mondo si trasformò in una voragine di piacere in cui precipitare, senza fine.

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