21- Slave

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Il cellulare di Samuel vibrò per un messaggio in arrivo, allungò una mano verso il comodino e sbloccò il telefono: era Gabriele. Sistemò meglio i tre cuscini di piume sotto la schiena.

«Ciao tesoruccio com'è andata la visita? Torni oggi?»

Allungò il collo verso la porta del bagno, era chiusa e l'acqua della doccia continuava a scorrere.

«Tutto bene per fortuna. Dovrei tornare stasera sì. Però sono un po' stanco magari ci vediamo-»
Domani? O era meglio stare larghi?
«nei prossimi giorni ok?»

Samuel scorse i messaggi del giorno prima. Gabriele gli chiedeva se il viaggio fosse andato bene, gli raccontava di un problema con un cliente. Che merdaccia che era, ma Kay gli aveva sequestrato il telefono fino a quando non erano usciti e aveva risposto solo la sera, di fretta. E la telefonata, che vergogna ad aver buttato giù senza nemmeno un saluto. Fece partire il vocale che gli aveva mandato per scusarsi.

«Oddio scusa ma non c'è linea ci sentiamo domani.» Era affannato, Kay gli stava mordendo il collo e strizzando i capezzoli. Al ricordo, le palle si strinsero e il membro fremette, infilò una mano sotto al lenzuolo di cotone bianco e se lo strinse. La mente vagò su quello che avevano fatto in seguito, nel bagno del ristorante: avevano lasciato la porta socchiusa ed era stato quasi certo che qualcuno fosse entrato e li avesse visti. Continuò a sfregarselo con movimenti lenti, si inturgidì sotto il suo tocco.

La vibrazione per l'arrivo di un nuovo messaggio lo riportarono alla realtà. Era Gabriele.«Salutamelo, almeno.»

Una vertigine fece sprofondare la stanza in un abisso nero. Samuel fissò la scritta, come... per caso Kay gli aveva scritto qualcosa? Il martellamento dei battiti cardiaci nei timpani faceva il paio con le vertigini che gli scorrevano ancora lungo la schiena e gli avvinghiavano la testa.«Chi?»

Ogni secondo erano dieci, venti battiti, non passavano mai, perché non rispondeva?«Non so chi sia ma non sono stupido. Ho capito che sei andato a trovare qualcuno»

Merda, era ovvio. Avrebbe dovuto scusarsi? Tecnicamente, non gli aveva mentito. Quando ci si appigliava al tecnicamente, si era già totalmente nella cacca.

«È vero, è un mio vecchio amico che mi ha ospitato per la visita. Non sapevo se parlartene o meno»

Si sarebbe incazzato, Samuel si torturò il labbro inferiore.

«Un accenno sarebbe stato carino. Almeno è più brutto di me?»

Sogghignò appena, Gabriele era fantastico.

«Certo che sì-»Non inviò, un lampo di consapevolezza gli accese il cervello: da quanto tempo lo scroscio della doccia si era fermato?

«Su, rispondi, non mi arrabbio.» La voce gelida del master di fianco al letto gli fece rizzare tutti i peli del corpo e irrigidire i muscoli. Kay si stagliava nella stanza nudo, aveva solo un microscopico asciugamano bianco attorno ai fianchi, un altro gli avvolgeva i capelli in un turbante.

Gli uscì un bisbiglio. «Non è come pensi.»

«Non ti stai messaggiando con il tuo ragazzo, a cui hai mentito, e non gli stai dicendo che sono più brutto di lui?» Il sarcasmo, maligno e divertito, nel tono del master si poteva affettare con una mannaia, tanto era spesso.

«Tecnicamente-»

«Samuel, tranquillo, rispondigli pure. Mi è venuta un'idea.» Kay si avviò verso la Croce di Sant'Andrea, i battiti del cuore raddoppiarono di nuovo.

«Certo che sì, non ci sono paragoni!» Samuel inviò il messaggio e riportò il viso su di lui. «Fatto.»Kay aveva aperto lo scomparto freezer del frigorifero, unico residuo rimasto della cucina.

«Ok», il master lo chiuse e tornò verso il letto, nella mano stretta a pugno nascondeva qualcosa, «ora voglio che fai un video in cui lecchi e succhi questo.» Kay aprì la mano e gli mostrò uno di quei ghiaccioli colorati che si mangiano l'estate, fucsia, all'amarena?


Samuel si tirò su con la schiena e allungò una mano verso di esso. «Ok», esitò, era davvero tutto lì?Il master lo scartò dalla plastica. «Nel video, che invierai a come si chiama, dovrai dire che stai pensando a lui. Tieni.» Gli porse il ghiacciolo con due dita.

«Ma, master...» non avrebbe dovuto protestare, era un pessimo sub. Samuel prese il ghiacciolo e sprofondò sui cuscini. «Non... non mi sembra che...»

«Se lo meriti?» Kay salì sul letto con le ginocchia, il materasso si infossò. «Avresti dovuto pensarci prima di mentirgli. È la tua punizione, visto che lui non può somministrartela.» Fece scivolare via il lenzuolo che copriva il pube e una gamba di Samuel, gli posò le mani sulle ginocchia e gliele allargò.Oddio, cosa gli avrebbe fatto?

«Inizia, puttanella, e bada di non fargli capire cosa sta succedendo» Kay gli accarezzò le cosce, un guizzo perverso gli illuminava gli occhi grigi.


Samuel aprì la telecamera del cellulare e fece partire il video. «Ehi, dolcezza», si leccò le labbra in un movimento lento, osceno, «guarda cosa ho trovato che mi ha fatto pensare a te», inquadrò il ghiacciolo, alcune goccioline rosate iniziarono a colargli sulla mano. Si passò la lingua sulle dita impiastricciate e le raccolse, risalendo lungo lo stecco. Era amarena.

Kay gli massaggiò l'interno coscia, si era messo in ginocchio tra le sue gambe e si era liberato degli asciugamani.

«Mi manchi.» Samu socchiuse le palpebre, percorse con la punta della lingua il ghiacciolo fino in cima. Una mano gli avvolse il membro, ancora barzotto, Samuel gemette e continuò a leccare il ghiacciolo. «Gabriele», succhiò la punta e lo infilò in bocca fino a metà, lo tirò fuori di nuovo, «è dolce come te.»

Kay passò ad accarezzargli le palle, flemmatico, non aveva fretta. Samuel lasciò che le goccioline gli colassero ai lati della bocca, sfiorava appena con la lingua la superfice del ghiacciolo, come se volesse stuzzicarlo. Il master tornò ad accarezzargli le cosce e risalì sul ventre, sui fianchi. La mano di Samuel che reggeva il cellulare tremò dallo sforzo di mantenere la posizione.

Socchiuse gli occhi e riprese a leccare il ghiacciolo con più lena. Le mani del master gli massaggiarono il petto e l'aureola attorno ai capezzoli. L'eccitazione dell'anticipazione che a breve glieli avrebbe toccati gli percorse la schiena, la pelle d'oca si rincorse fino in cima alla testa. Non era mai stato così sensibile alla minima sollecitazione. Kay gli pungolò i capezzoli, Samuel emise un respiro fremente. Riaprì gli occhi, il suo viso ripreso dalla telecamera gli rimandava l'immagine che si sarebbe aspettato: occhi lucidi, labbra rosse dal colorante, rivoli rosa lungo il mento e il collo. Lambì il ghiacciolo con le labbra, in un bacio pigro. Il master iniziò a sfregarsi contro di lui, gli fece sentire il membro eretto contro una coscia.

Lo voleva dentro di sé, di nuovo. Era una droga, stava bene solo quando veniva riempito da lui. Samuel mugolò e mosse le gambe fingendo di volerle chiudere. Doveva fargli capire che era ora di terminare il video e di farsi scopare. Kay gli premette sulle ginocchia e gli allargò le gambe fino al copriletto, Samuel gemette e inarcò la schiena. Il materasso si sollevò, il master era sceso? Non avrebbe potuto guardare, doveva continuare a succhiare il ghiacciolo e far finta di niente. Due dita, a forbice, apparirono sopra al telefono, era il master che gli indicava di tagliare.

«Spero che ti sia piaciuto, amore mio» Samuel avvicinò la telecamera fino alle labbra, arricciate in un bacio, e spense tutto.

Kay era in piedi accanto al comodino e si stava finendo di infilare il preservativo. Lo aveva ascoltato, alla fine. Peccato che avessero passato trenta ore a farlo senza.

«Contento, puttanella? Ti lascio prendere il treno senza farti colare sui sedili», Kay fece lampeggiare i denti, «mi sento generoso. Ora invia il video al tuo amore e preparati a prendere tutto il mio.»

Il basso ventre si contorse, il corpo e la stanza si fecero bollenti. «Oh, sì, per favore» gracchiò, rauco.

***La macchina di Kay scivolava nel traffico serale del venerdì, tra meno di quaranta minuti Samu avrebbe lasciato Bologna e con essa la sua esperienza da sottomesso. «Kay», mormorò, la città scorreva fuori dal finestrino, le luci dei lampioni la illuminavano a chiazze.

«Mh.»

Certo che avrebbe potuto sforzarsi un po' di più nella risposta. Ma forse non gli importava più di lui, ormai che la loro breve avventura si stava concludendo.

«Ho mica fatto un video in cui ciucciavo un ghiacciolo, per caso?»

«Già e lo hai inviato a Gabriele, credo che si chiami così il tuo amoruccio caro.»

«Oddio», Samuel soffocò un lamento e afferrò il cellulare. Gabriele aveva risposto con un cuore e un selfie allo specchio: nudo, seduto, la testa all'indietro e un braccio piegato appoggiato sulla fronte, un minuscolo asciugamano grigio a coprire un certo rigonfiamento tra le gambe. Ma quanto era sexy? Comunque, era andata bene. «Ho la memoria che mi fa un po' cilecca. Ieri sera siamo stati in un ristorante, giusto?»

«Sì, da Darcy.»

«Mi hai davvero fatto mangiare solo un'insalata di pollo, mentre tu ti sei strafogato di tortelli e costolette di maiale? E mi hai fatto pure pagare.»

Kay sogghignò.

Samuel scosse la testa, la luce del semaforo passò al verde. «A pranzo oggi mi hai dato una barretta energetica, ieri lo stesso. Poi l'insalata e basta, è tutto quello che ho mangiato in due giorni?»

«Non è tutto quello che hai mangiato.» Kay svoltò in una strada più grande, sulle labbra quell'irritante ghigno arrogante. «Dimentichi il piatto principale. Me.»

«Cristo, Kay.» Non ci poteva credere, come aveva potuto farlo accadere, senza protestare? E non aveva nemmeno fame. «Perché? Solo per tenermi sgombro?»

«Hai notato qualcosa di diverso, rispetto al solito?» Si fermarono di nuovo a un semaforo, Kay aveva un sopracciglio alzato.

«Che ero fuori di me?»

«Già. Ti volevo debole, manipolabile, sensibile all'estremo. La privazione del cibo è il modo più veloce per farlo.» Kay si strinse nelle spalle e ripartì.

Samuel si grattò la testa, i pensieri erano sconnessi. «Non è stata una relazione dominante e sottomesso, ma master e slave.» Voltò il viso verso di lui. «Vero?»

«Che ti devo dire, mi diverto di più così. E non mi è sembrato che ti dispiacesse.»

Samuel saltò sul sedile e tirò la cintura per sporgersi verso il sedile di lui. «Non erano così gli accordi! Ne hai approfittato!»

Kay si strinse nelle spalle. «S., non sei un giovincello sprovveduto che non è mai entrato in un dungeon. Ora non farmi la predica, per favore.» Accelerò e passò con l'arancione. «Non ero io stamattina quello che appena sveglio ha iniziato a strusciarsi e mi è salito sopra, manco ho avuto il tempo di aprire gli occhi.»

Non lo ricordava per niente. «Credo di essere stato un po' dissociato...»

«Un po'?» Kay ridacchiò e si immise in una stradina. «Hai a malapena detto qualcosa quando ti sei accorto, dopo ore, che ti chiamavo S.»

Samuel si portò una mano a coprirsi la bocca e bisbigliò: «Cazzo, è vero.»

Kay fermò la macchina in un parcheggio, file di alberi coprivano la luce dei lampioni, poco lontano una LAN rossa ripartì carica di persone. Più in fondo, svettava una M gialla. «Siamo arrivati, non sei più ufficialmente il mio sottomesso.»

«Ottimo.» S. si slacciò la cintura di sicurezza e si girò con il corpo verso di lui. «Una cosa però la ricordo bene. E ricordo anche che fosse scritta nel contratto.» Lasciò che gli occhi si svuotassero da ogni emozione e catturò quelli di Kay. La puttanella non c'era più, era rimasto solo il Dom. Allargò e serrò le dita delle mani più volte, per far circolare bene il sangue.

Il Pomo d'Adamo di Kay si agitò. Bravo, era il momento di iniziare a sudare. «Che cosa?»

«L'uso imprescindibile del preservativo.» S. scagliò il pugno e lo prese nell'occhio e sul naso, la testa di Kay scattò all'indietro contro il poggiatesta.

Kay si portò le mani sulla faccia, dalla bocca gli sfuggiva un lamento soffocato e continuo. «Merda, S., guarda che sono pulito.»

«Questo è niente. Ti va bene che il mio unico pensiero, in questo momento, è un hamburger con le patatine, o ti avrei ridotto davvero male.» S. scrollò la mano. «E sei ANCHE fortunato che non ho forza, grazie a te.»

«Se ce l'avevi, mi avresti trapassato la testa? Minchia, oh.» Kay allontanò le mani dal volto, il naso gli sanguinava.

«Come ho detto, ritieniti fortunato.» S. spalancò la portiera della Polo e mise un piede fuori.

«Sai che in due giorni non ti è venuto duro nemmeno una volta?»

Gli passarono davanti agli occhi immagini slegate di loro due in varie posizioni che facevano sesso, mormorò: «Ma sono venuto un sacco di volte.»

«Già, per la prostata.»

Era la verità? Che cosa diavolo gli stava succedendo?

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