23 - Vanilla

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Interstellar era il film più adatto da ignorare in una pigra domenica pomeriggio sul divano. Samuel accarezzò indolente il maglioncino azzurro che copriva la pancia di Gabriele. Aveva gli addominali appena definiti ed erano piacevoli da accarezzare. Voluttuosi. Reclamavano di essere toccati e lui si prestava volentieri ad accontentarli.

Gabriele gli passò una mano tra i capelli, la testa di Samuel riposava sul suo petto. «Allora, com’è andata la visita?»

La visita medica, giusto? Magari chiedere conferma non sarebbe stata un’idea geniale.

Samuel si schiarì la gola. «Tutto bene, il medico non ha trovato niente… cioè niente che non andasse bene.»

«Capito, bene, meno male», le unghie del ragazzo iniziarono a grattargli la testa e Samuel fu sopraffatto da una scarica di brividi, che lo lasciarono boccheggiante.

Gabriele mormorò «Come siamo sensibili…» e continuò a fargli sentire le unghie, passando dalla nuca fino alla fronte.

Samuel si ricoprì di pelle d’oca, aveva gli occhi chiusi e dalla gola gli sfuggivano dei sospiri rochi. Adorava la pressione leggera delle unghie sulla pelle, i formicolii gli ricoprirono la colonna vertebrale e le braccia.

«Se fai questi suoni, però, mi fai venire in mente pensieri sconci», la mano di Gabriele scese lungo il collo e si intrufolò nel colletto della maglia, Samuel ansimò. I fremiti si rincorrevano a ondate sotto la pelle, Gabriele gli tirò su la maglia dal fondo della schiena e gli premette le unghie sulla schiena, Samuel gemette e la inarcò.

Gabri stava per scoprirgli alcuni punti deboli, e se li avesse trovati… Samuel aveva il fiato corto e affannato.

«Ti sto solo accarezzando la schiena, cosa succederebbe se dovessi toccarti l’uccello?» Gabriele fece scivolare le unghie lungo il fianco. Era sempre più vicino. «Che cosa buffa», i polpastrelli presero il posto delle unghie e Samuel poté tornare a respirare, «pensaci, non te l’ho mai toccato. In effetti, credo di non averti mai nemmeno toccato il culo.»

Samuel socchiuse le palpebre e mugolò «Non è strano», Dio che voglia che aveva di baciarlo, «non ti ho dato mai modo di…», di nuovo le unghie gli premettero sulla schiena e una nuova ondata di brividi gli mozzò il respiro in gola, «di prendere l’iniziativa.»

Gabriele scivolò fino al bordo dei pantaloni della tuta. «Tranne una volta e mi hai subito fermato. Ricordi?» Le dita dispettose dell’indice e del medio si insinuarono sotto all’elastico, proprio nella fessura che divideva le chiappe.

Non ricordava nemmeno che giorno era, in quel momento, sopraffatto da un’altra scarica di fremiti, ansimò ancora.

«Chissà cosa c’è qui…», Gabriele continuò a scivolare lungo la fessura e raggiunse il bordo del suo buchetto ancora arrossato dall’avventura con Kay.

Samuel si aggrappò al maglioncino e inarcò la schiena. «N…»

Avrebbe dovuto fermarlo, ma i muscoli si erano fatti di gelatina e non rispondevano ai suoi comandi.

Il polpastrello di Gabriele lo stuzzicò e tornò subito indietro. «Sono più interessato a un’altra cosa», mormorò, «già che sei così arrendevole.» Sfilò la mano dai pantaloni e lo fece girare sulla schiena, posizionandosi tra le sue gambe, in ginocchio. Si stese su di lui e iniziò a baciarlo, una mano si infilò di nuovo sotto la maglia e prese ad accarezzargli l’addome.

Samuel gli tracciò le labbra con la lingua e gli circondò i fianchi con una gamba. Sapeva di biscotti alla cannella, era caldo e pesante sopra di lui. E l’odore della sua pelle, che soggiaceva al profumo di spezie e di fiori, era confortante come una coperta dentro cui avvolgersi per fuggire alle brutture del mondo.

Gabriele sfregò il bacino su di lui, gli premeva il rigonfiamento della sua erezione contro il ventre. «Ho voglia di te», gli sussurrò a fior di labbra, «niente ruoli, niente scena, solo noi due.»

Niente ruoli. Solo Samuel? Aprì la bocca e accolse la sua lingua, lasciò che il compagno gli esplorasse la bocca, lo riempisse. La mano di Gabriele si insinuò nei pantaloni della tuta, le nocche gli sfiorarono la pelle del pube, liscia e glabra, e scivolarono più in basso.

Il compagno sollevò il bacino e gli avvolse la mano attorno al membro, che pendeva floscio e incurante della situazione. Era fredda.

«Gabriele, n…», Samuel aprì gli occhi, un’inquietudine angosciosa si fece largo nello stomaco. Avrebbe dovuto fermarlo. Perché non aveva forze?

L’uomo gli divorò la bocca, la mano gli sfregava il cazzo, inerte tra le sue dita. Samuel premette sulle sue spalle, le braccia gli tremarono e si afflosciarono.

«Samuel», Gabriele gemette, iniziò a leccargli la linea della mandibola, risalendo verso l’orecchio, «ti voglio.»

La mente di Samuel fu trafitta dal ricordo del Tenente che gli sussurrava le stesse parole, nel suo ufficio, smaneggiandogli il pene. Moscio. E freddo per via del ghiaccio. Gli occhi si inumidirono e la nausea gli risalì la gola. Strinse le mani attorno al maglioncino di Gabriele, non riusciva a respirare.

Perché non si fermava?

 «Non…», le parole gli morirono in gola, la lingua di Gabriele gli lambì il lobo e si insinuò nell’orecchio. Una scarica di brividi lo attraversò, serrò le palpebre, alcune lacrime sfuggirono oltre la linea delle ciglia.

Non aveva la forza di fermarlo, era un debole, un inetto. Chiunque poteva approfittarsi di lui. Kay gli aveva fatto ciò che aveva voluto per due giorni, il carabiniere lo stesso. Era il turno di Gabriele. Dalle labbra dischiuse gli scappò un singhiozzo. Gabriele non sapeva che aveva ancora dolore al retto, se ne sarebbe fregato e lo avrebbe preso, lì, sul divano, e poi ancora nel letto. «Ti prego», mormorò, «fermati…»

Forse avrebbe dovuto stare buono e zitto, era quello che tutti volevano. A chi importava davvero di Samuel? Era un giocattolino da usare a piacimento, nel letto o fuori. Che importava ciò che pensava? Ciò che desiderava? L’essenziale era la maschera. Certo, era divertente sbirciare cosa nascondeva, ma senza esagerare.

Portò una mano sopra a quella di Gabriele che continuava a massaggiarlo, senza risultato, e la strinse. Le lacrime erano sparite, la voce lagnosa pure: «Basta.» Quello era un ordine perentorio. L’ordine di Dom S.

Il compagno si irrigidì e sollevò il bacino, la mano scivolò via. «Ch… Samuel, che succede?»

S. lo spinse via, Gabriele atterrò con la schiena sulla seduta del divano. «Vorrei che tu la smettessi di ignorare, continuamente, il mio consenso.» S. si tirò su a sedere, digrignò i denti. «Quante volte ho dovuto dirti di no e fermarti? Quanto oltre saresti andato?»

«Io…» Gabriele aveva le palpebre sgranate e scuoteva la testa, «te lo giuro che non avevo capito. Non avrei mai…»

«Non è la prima volta, ma l’ennesima.» S. si tirò su in piedi, la voce gli tremava dalla rabbia. «Per l’ennesima volta te ne sei fregato», storse le labbra in una smorfia di disgusto, «dimmi, amore mio, è così che intrattieni di solito i rapporti vanilla? Fottendotene del consenso? Perché tanto chi non vorrebbe venire a letto con te, giusto?»

Gabriele si portò le mani al petto, aveva gli occhi lucidi. «Mi devi credere, non avrei mai-»

«Ma taci.» S. si sistemò i pantaloni e puntò verso la porta.

«Samuel, ti prego, non andare! Mi dispiace!» Gabriele lo inseguì e gli afferrò il polso.

S. si bloccò, allargò le narici, l’irritazione gli infiammava le viscere. «Adesso vuoi anche impedirmi di andarmene? Vuoi finire il lavoro, per caso?»

Gabriele gli mollò il polso e arretrò di un passo, aveva la fronte aggrottata e la mascella stretta, si passò una mano sui capelli castano scuro e li lisciò all’indietro, i muscoli del braccio guizzarono -nella manica del maglioncino azzurro.

S. sbuffò dal naso e arrivò alla porta. L’avrebbe pagata lui al posto di tutti. Posò una mano sulla maniglia e si voltò di nuovo verso di lui. «Cancella il mio numero.»

«È per questo che ti chiamano intoccabile», l’espressione di Gabriele si indurì, «non perché nessuno è degno di te, ma perché nessuno vuole starti vicino.»

I muscoli delle spalle e delle braccia di S. si irrigidirono.

«Sfrutti le persone finché ti fanno comodo», un sorriso amaro rabbuiò lo sguardo di Gabriele, «o finché fanno quello che vuoi e poi le getti via, come se fossero oggetti.»

«Stai attento a quello che dici.» Samuel assottigliò le palpebre, iniziava a stancarsi delle sue lamentele.

«Oppure cosa fai», Gabriele fece un passo verso di lui, «mi prendi a ceffoni? La violenza è l’unico linguaggio che capisci. Sai qual è la cosa veramente triste?»

Samuel non poté fare a meno di sorridere, quel cretino pensava davvero che le sue parole avrebbero avuto qualche effetto su di lui? Avrebbero solo confermato la sua decisione di farla finita. «Immagino che lo stia per scoprire.»

«Nasconditi pure dietro il sarcasmo, invece di parlare come una persona adulta.» Gabriele scosse la testa. «La cosa triste è che per te la parte di dominante non è un ruolo, ma la scusa che usi per giustificare il tuo comportamento di merda. Non sei un dominante, sei solo un violento che gode a fare del male.»

«Grazie per l’arringa, avvocato. Hai finito?»

«No. Sono stato uno sciocco a pensare che fosse divertente sottostare ai tuoi cambiamenti di umore», la voce di Gabriele si accalorò, aveva le mani strette a pugno e tremava, «e che fosse sexy, perché non credevi veramente a quello che mi dicevi.»

«Ti avevo detto di informarti su quello che mi piaceva.» Samuel afferrò il cappotto e lo indossò.

Gabriele aveva la mascella contratta e la vena sulla fronte pulsante, sul punto di scoppiare, ma la voce gli uscì ferma. «Non serviva reagire a quel modo, prima. Non l’ho fatto apposta.»

Samuel roteò gli occhi verso il soffitto. «Continua a fare il sottomesso, tesò, perché altrimenti potresti fare dei danni seri», mimò le virgolette con le dita, «“senza rendertene conto”.»

«Vaffanculo.»

«Che classe.» S. aprì la porta e uscì, la richiuse con cura. Sarebbe stato più appagante sbatterla, ma non voleva dargli la soddisfazione. Che imbecille era stato a pensare che quella volta sarebbe stato diverso.

Gabriele si era accorto anche troppo in fretta di che persona di merda fosse davvero. Almeno non gli aveva rovinato troppo la vita, Gabriele si sarebbe ripreso e avrebbe dimenticato di aver mai avuto a che fare con quel bastardo intoccabile, inavvicinabile, di Dom S.

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