25 - Moulin rouge secondo tempo

Màu nền
Font chữ
Font size
Chiều cao dòng

Buona sera bellissime persone che leggete.
Lo so che questa storia vi piace da morire, correte a leggerla, perchè fra poco sparirà. In tempi brevissimi verrà pubblicata, quindi lasceremo su Wattpad solo i primi capitoli. Ma non temete, ben presto ricomincerò a pubblicare altre storie sempre più belle, sempre più coinvolgenti!
Per ora avete ancora un po' di tempo per leggere Dom S. Affrettatevi!

Kay bramava avere un accesso totale e totalizzante su di lui ed era ciò che S. gli avrebbe negato. Sarebbe andato di nuovo fuori di testa, lo avrebbe attaccato e S. lo avrebbe sottomesso. Niente scuse, nessuna pietà. Era un ottimo piano, ma rischiava di essere lento e lui aveva solo quella serata per vincere. E avrebbe anche dovuto attirarlo in una zona nascosta, Kay non avrebbe mai perso le staffe in pubblico.

S. era appoggiato a una colonna della sala principale, la musica sparata dagli altoparlanti era ispirata alle atmosfere del Moulin Rouge, soprattutto del film, ma non si poteva pretendere troppa accuratezza storica da un DJ di diciannove anni. Appoggiò una mano sulla tasca della giacca, il telefono aveva vibrato? Magari era un messaggio di Ga-

Spirali di inquietudine gli risalirono la gola e gliela chiusero. Non gli avrebbe mai più scritto. Era passata una settimana, avrebbe dovuto smettere di pensarci. Di sperarci.

E poi cosa gli avrebbe dovuto-potuto dire? Non si erano lasciati proprio bene. Strinse la mano sul pomello del bastone e serrò l’altra a pugno. Avrebbe dovuto dimenticarlo e basta. Era andata, un altro fallimento da aggiungere alla lista.

Una ragazza paffutella dai capelli rosa, per via delle luci, e con una piuma in testa, gli si appoggiò al petto e si issò sulle punte dei piedi per farsi sentire, arrivò a sfiorargli il naso con la montatura nera degli occhiali a pochi centimetri. «Ciao, Dom.» Sorrideva, era ubriaca? C’era gente che era morta per molto meno.

«Ehi», S. la prese per i fianchi generosi e la allontanò, «ci conosciamo?»

La ragazza annuì e abbassò lo sguardo. «Ti ricordi, sono la tua bambolina, Claudia.»

Come facevano a non capire che non avrebbe potuto ricordarsi di tutte le persone che incontrava? Ogni serata, a decine, si presentavano o cercavano di attirare la sua attenzione, in qualunque modo.

«Mi dispiace, ma non ho presente.»

«Ci siamo baciati, nell’ingresso, poche settimane fa.» Claudia fece scorrere le nocche delle dita sulla scollatura profonda del vestito scuro e aderente, seguendo il ciondolo della collana che si perdeva tra i seni prosperosi.

Certo che ricordava! L’aveva usata per punire Gabri. «Ah, sì», S. allargò il sorriso, «avevi un vestito blu, giusto?» Ricordava anche che il bacio era stato interessante.

Sarebbe stato troppo perfido sfruttarla di nuovo, ma per stuzzicare Kay? Anche se, forse, la ragazza non avrebbe fatto obiezioni.

Claudia annuì e batté le mani. «Ti ricordi davvero, non ci credo! Le mie amiche», indicò un paio di ragazze vicine a un’altra colonna, con i drink in mano, «mi hanno sfidato a venire a disturbarti, hanno scommesso che mi avresti cacciata!» Scoppiò in una risata nervosa.

«Non sia mai che perdiamo una scommessa, bambolina» S. appoggiò il bastone alla colonna e le posò le mani dietro la schiena, i guanti bianchi non trovarono la stoffa ruvida del vestito, ma qualcosa di liscio. La sua pelle nuda? Fece scorrere le dita lungo la colonna vertebrale e la ragazza si mosse languida contro il suo petto. Kay non era più seduto sui divanetti riservati, dov’era sparito? «Guardami.»

Claudia sollevò il viso, aveva le palpebre socchiuse così come le labbra. Le avrebbe rovinato di nuovo il rossetto.

S. le lambì le labbra con la punta della lingua, ne seguì il contorno, stuzzicandola finché anche lei non rispose al bacio ed esitante gli sfiorò la lingua. S. sigillò le labbra sulle sue e la attirò a sé, le esplorò la bocca. Claudia era morbida e fresca, sapeva di menta e rum. Ed era semplice lasciarsi andare, da lei non voleva altro che un bacio.

La ragazza gli posò le mani sul petto e glielo accarezzò, seguì i contorni dei muscoli dell’addome e scese lungo i fianchi. Arrivò a palpargli il culo, i movimenti delle labbra e della lingua divennero più intensi, insinuò una gamba tra quelle di lui e iniziò a strusciarsi.

Avrebbe dovuto fermarla, allontanarsi, infrangere le sue speranze. Fanculo. La fece girare su sé stessa e la spinse contro la colonna. «Ti ricordi che mi avevi detto che avrei potuto rubarti l’anima, oltre a un bacio?»

Claudia annuì e ritrasse le mani, aveva gli occhi spalancati.

Faceva davvero così paura? Le sollevò una coscia e premette il bacino contro il suo, si abbassò a sussurrarle all’orecchio: «Ho voglia di strapparti il vestito e fotterti qui, davanti a tutti», le prese il labbro inferiore tra i denti e lo succhiò, «nessuno mi fermerebbe.» Con l’altra mano le percorse il fianco, la pancia, risalì fino al seno. «Se anche urlassi, nessuno ti sentirebbe», glielo strinse.

La ragazza gemette contro la sua bocca e gli afferrò i bordi della giacca, attirandolo a sé.

S. le lasciò andare la gamba e arretrò di un passo. «Vattene, ragazzina.» Si strofinò la bocca, sporcando i guanti bianchi di rossetto. «Non te l’hanno detto che sono cattivo?»

«No, ti prego, non mandarmi via!»

Lo avrebbe lasciato fare, davvero. Avrebbe potuto approfittarsi di lei, mezza ubriaca, infatuata da un’idea. Come poteva essere così ingenua?

S. riprese il bastone e le diede le spalle, andò a sbattere contro qualcuno. In smoking.

Le labbra di Kay erano incurvate in un ghigno malizioso. «Sei cattivo davvero, ad averla sedotta e abbandonata.»

Come da previsioni, eccolo lì. S. lo superò, senza rispondere. Kay sarebbe sclerato.

Il master gli si affiancò. «Senti, ma mi hai fatto venire da Bologna per ignorarmi tutta la sera, mentre ti limoni tipe a caso?»

«Non rivolgerti a me con quel tono, ricorda che sei a casa mia. Porta rispetto.» S. teneva la testa dritta davanti a sé. In tre, due, uno…

Kay gli afferrò un braccio. S. seguì il movimento verso l’interno e lo colpì nello stomaco, il master si piegò in due, S. gli afferrò la giacca e lo fece appoggiare contro di sé. «Povero caro, te l’ho detto che ho passato la settimana in palestra e mi sono imbottito di proteine e integratori?»

Kay si tirò su, aveva la mascella tirata e gli occhi grigi erano cupi per l’ego ferito. «Credi che il mio punto debole sia farmi ingelosire?»

«No. Ma ignorarti ti fa perdere la testa e io ci godo nel farlo.» S. gli regalò un sorriso compiaciuto. «Se vuoi sapere il tuo punto debole, seguimi. Ti dimostrerò che sono sempre stato in grado di sottometterti, mi sono bastati i saluti per capirlo.»

***

S. aprì la porta della Stanza Gialla e lasciò che Kay lo precedesse al suo interno. Lanciò il cilindro sulla scrivania, appoggiò il bastone alla porta e si infilò due dita nel colletto stretto della camicia chiuso da un papillon nero. Sfilò la spilla con il finto rubino e la andò a posare sul tavolino accanto al cappello.

Kay si era liberato solo dal bastone da passeggio e lo guardava, con le braccia incrociate sul petto. «Hai finito?»

S. gli diede le spalle e, con molta calma, tirò le punte di tutte le dita e iniziò a sfilarsi uno dei guanti bianchi. Lo voleva livido. Sfilò anche l’altro, li scosse per aria e poi li appoggiò sulla scrivania. «Oh, ecco fatto.» Infilò una mano nella tasca della giacca, rossa come l’ira che voleva far nascere nel cuore di Kay, e tirò fuori il cellulare. Quante volte gli aveva detto che odiava quando stava al telefono in sua presenza?

«Non funzionerà.» Kay andò a sedersi sul letto, si tolse il cilindro e se lo appoggiò sulle ginocchia. «Sai perché? Perché ora so quanto mi desideri, quanto ti piaccia farti sottomettere da me e che non puoi starmi lontano.»

Con un sospiro, S. posò il telefono e si accostò al letto, passò la punta del polpastrello sulla cupola del cappello. «Dici?» mormorò. Se c’era una cosa che faceva davvero andare il master fuori di sé era pensare di avere in pugno qualcuno. S. si leccò un angolo delle labbra, come se Kay fosse stato un pasticcino goloso. La giacca dello smoking aperta, lasciava libera alla vista la camicia bianca, unico misero indumento che lo separava dal contatto con la sua pelle.

Kay spostò il cilindro e gli posò le mani sul culo per farlo avvicinare a sé, tra le sue gambe. «Dico. Fai il bravo e fammi capire quanto ti sono mancato.» Mosse la testa verso il basso, come a invitarlo a mettersi in ginocchio.

S. allargò il sorriso e abbassò la testa, il piano stava funzionando. Gli posò le mani sulle spalle. «Come sei teso», il tono ricordava un po’ quello che aveva usato da puttanella, non proprio un miagolio, ma certo non era da Dom. Da fuori doveva essere patetico. Gli premette i muscoli delle spalle tra i polpastrelli, improvvisando un massaggio e avvicinò il petto a quello del master. «Pensi che ormai abbia perso?»

Kay gli palpeggiò le chiappe, sopra la stoffa dei pantaloni a righe di velluto bordeaux e di pelle. «Tu no? Non c’è niente di male ad ammetterlo. Non sai quanto mi manchi il tuo bel culetto…» Gli occhi grigi erano ardenti, attraversati da ombre cupe di desiderio.

«Mh» con movimenti languidi S. gli percorse la stoffa della giacca fino al colletto, gli slacciò il papillon e lo fece cadere sul letto. «Sai, non è mai una buona idea lasciare il collo scoperto davanti a un predatore.»  

«Che paura» Kay scese con le mani sulle cosce e lo attirò a sé, per farlo salire sul letto a cavalcioni. «Non vedo l’ora di farti urlare il mio nome qui nel tuo dungeon.»

«Non mi dire», S. sogghignò e seguì il suo movimento, sollevò un ginocchio e lo posò sulla sua coscia, «in effetti, è un desiderio che ho anch’io.» Gli serrò una mano attorno al collo, indice e pollice sulle carotidi.

La sorpresa e lo sgomento si rincorsero sul viso di Kay, gli afferrò il polso con una mano, l’altra gli agguantò la giacca. «Che cazzo-» la voce gli usciva a fatica.

«Volevo dire che è anche un mio desiderio sentirti urlare il mio nome qui nel mio dungeon.» Serrò la presa al collo, l’altra mano gli abbrancò il braccio sulla giacca e glielo rigirò dietro la schiena. «Hai una ventina di secondi prima di svenire. Te lo ricordi questo giochino?»

«Sì… ma…» respirava a fatica «così non è trovare un mio punto debole.»

«Sicuro, Kay? Vogliamo fare un controllo su come sia la tua situazione in basso?» S. fece ancora più pressione sulle arterie, l’altro ormai boccheggiava. S. gli strusciò la gamba a terra, tra quelle di lui, contro il pacco: incontrò una protuberanza palpitante. «Se ce l’hai duro, ho vinto.»

Un’ondata di furore attraversò lo sguardo del master, fece forza sul polso in un ultimo disperato tentativo.

«Ti mancano forse una decina di secondi. Se svieni, farò io un controllo», S. allargò il ghigno, «e ti risveglierai legato come un salame.» Fece forza sul braccio di Kay che gli aveva piegato dietro la schiena.

Il volto del master era paonazzo. «Hai…» gli occhi luccicavano di lacrime trattenute, gli artigliava ancora il polso, ma ormai non aveva più forza. «Hai vinto.»

«Già.» S. continuò a stringere finché la mano di Kay non gli lasciò il polso e non si afflosciò. Gli lasciò anche l’altro braccio e lo guidò all’indietro sul materasso.

Eccolo lì, il grande meraviglioso fantastico Master Kay. Svenuto come un qualsiasi altro poveretto che gli capitava tra le grinfie con l’intento di fare il grande.

«Non avresti mai dovuto farti sottomettere così facilmente da Lù, hai scoperto le carte», S. si pulì le mani sulla giacca dell’uomo, «sei caduto come una pera cotta. E non è stata galanteria, ci sei rimasto male, tanto che hai subito voluto rifarti con me.»

S. arretrò e si sistemò i pantaloni. Sotto a quelli neri dello smoking di Kay si notava senza alcun dubbio la protuberanza della sua erezione. Quanto a lui, niente. Era stato divertente strozzarlo? Sì. Era stato divertente mostrargli la sua superiorità? Sì.

Era stato sessualmente eccitante? No. E avrebbe dovuto esserlo, invece.

Si accomodò sulla sedia e prese il cellulare in mano, gli scattò alcune foto-ricordo, nell’attesa che si risvegliasse. Se la scommessa non fosse stata segreta, sarebbe stato divertente postarle da tutte le parti. Forse era così che si era sentito Kay, quando lo aveva avuto a sua disposizione per due giorni: tentato dalla voglia irrefrenabile di sputtanarlo. Si morse l’interno delle guance e le inviò al numero di Kay, chissà se a riguardarle, nei giorni successivi, avrebbe avuto i suoi stessi pensieri di smarrimento e di incredulità?

Bạn đang đọc truyện trên: Truyen2U.Pro