27 - Confessione

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Buona lettura.
Baci.
Noy.

Samuel buttò in lavatrice anche i pantaloni grigi della tuta, umidi di sudore dopo l'allenamento, e fece partire il programma. La cappa di panni da lavare si era un po' abbassata, ma era comunque ancora impressionante.

Il trillo del citofono gli fece irrigidire i muscoli della schiena, chi era alle sette di sera che rompeva le palle? Forse uno degli inquilini che aveva dimenticato le chiavi o un corriere in ritardo.

Schiacciò il pulsante e aprì la porta dell'ingresso del condominio. Avrebbe dovuto chiedere chi fosse. Si strinse nelle spalle e sperò che non fosse un ladro o un assassino. Magari era un serial killer.

Sarebbe stato complice del crimine, dal momento che aveva aperto la porta?

Stavolta fu il campanello della porta dell'appartamento a suonare. Beh, almeno l'assassino era per lui e non avrebbe potuto essere accusato di complicità, al massimo di stupidità per averlo fatto entrare.

«Chi è?»

Per tutta risposta bussarono, senza dire niente. Che assassino maleducato. Girò la chiave e aprì la porta: Gabriele accennò un sorriso leggero e attraversò l'uscio.

Il cuore saltò un battito. Samuel si fece da parte e lo lasciò passare. «Prego, entra pure, eh» sarcastio.

L'ex si tolse il cappotto cammello e lo appese all'attaccapanni, come se fosse a casa sua. Si sfilò i mocassini di cuoio marrone scuro senza sganciare le fibbie e si diresse in salotto.

La giacca del completo marrone gli copriva la vista del culo del ragazzo e Samuel non poté nemmeno rifarsi gli occhi per compensare la visita inaspettata/la sorpresa. Lo seguì, infilò le mani nelle tasche dei pantaloni blu smorto della tuta, larghi e sformati, che usava in casa quando non aveva ospiti. «Sei passato per ripetermi quanto faccio schifo o accusarmi di qualche altro reato?»

«No.» Gabriele si appoggiò con le chiappe allo schienale del divano. «Sono venuto a chiederti scusa.»

Le sopracciglia di Samuel scattarono verso l'alto e spalancò gli occhi. «A chiedermi scusa?»

«Per quello che ti ho detto e per il mio comportamento.» Gabriele intrecciò le dita e le lasciò morbide sul basso ventre. «Non voglio giustificare quello che ho fatto, per cui ti chiedo scusa per non aver colto i segnali e per aver dato per scontato che anche a te andasse di fare sesso.» Deglutì e distolse lo sguardo, per un attimo. «Sappi che non era mia intenzione forzarti, in nessun modo, non mi era nemmeno... non mi sono proprio posto il problema.»

Samuel incrociò le braccia sul petto e aggrottò le sopracciglia. Chi andava da qualcuno che conosceva a malapena e con cui aveva avuto solo qualche momento di intimità e ci aveva litigato per scusarsi?

Gabriele continuò. «E non ho reagito nel migliore dei modi, dopo. Invece di cercare di comprendere perché tu fossi così sconvolto-»

Samuel borbottò a mezza voce «Non ero così sconvolto...»

«Credimi, avresti dovuto vedere la tua faccia. Comunque, avrei dovuto cercare di essere più comprensivo.» Gabri si diede una pacca sulle cosce e curvò a malapena le labbra. «Ecco, ho finito.»

«Ti avevo detto di cancellare il mio numero.» Bravo, Samuel, questa sì che è una risposta intelligente.

«Non ti sto mica chiamando, infatti.»

Samuel sbuffò e prese a camminare per la stanza. «Ok, e io come dovrei rispondere a una... a un discorso così serio da persona adulta?»

Gabri nascose un sorrisino, che gli illuminò lo stesso gli occhi. «Ad esempio, potresti accettare le mie scuse e magari porgermi le tue. Anche tu non ti sei comportato nel migliore dei modi.»

Questa era bella. Samuel sbuffò dal naso. «E se non lo facessi?»

«Beh, se tu non lo facessi», Gabriele si scostò dallo schienale del divano con un colpo di reni, «non scopriresti mai che cosa ho in serbo per te, sotto ai vestiti.»

Giocava sporco, però.

No, non gli interessava più! Non era più attratto da lui.

Gabriele fece scivolare la giacca sulle braccia fino a terra, rimanendo solo con la camicia azzurro scuro e arretrò verso la camera da letto.

Non che gli importasse, era solo curioso. Samuel si mordicchiò l'interno delle guance e appoggiò le mani sullo schienale di una delle sedie attorno al tavolo da pranzo, accanto al divano.

L'uomo crudele iniziò a sbottonare la camicia, lo sguardo era l'unico elemento mobile del viso, altrimenti impassibile: lo sfidava, era malizioso. La aprì e rivelò l'intreccio di una corda rossa da shibari attorno all'addome e al torace.

Quella era cattiveria pura, però. Samuel si aggrappò allo schienale e piegò la schiena, chiudendo gli occhi. Perché quel bastardo del suo pisello non voleva saperne di svegliarsi? Perché?

«Non vuoi sapere come continua, più in basso?»

Samuel sbatté la sedia per terra un paio di volte e la mollò, arretrando. Le mani aperte e rivolte con i palmi all'insù si avvicinarono al pube. «Credi che non voglia? Non posso. Lo vedi? Lo vedi che qui non succede niente?» Sollevò le braccia al cielo e serrò i pugni. «Non riesco più ad avere un'erezione, ok? Sei contento ora?»

«Contento che tu l'abbia finalmente ammesso, sì.» Gabriele si avvicinò, ma rimase a un paio di metri da lui.

«Lo sapevi?»

«Ho una certa esperienza e, di solito, quando tocco qualcuno come ho toccato te domenica scorsa ottengo una precisa reazione fisica.» Fece scivolare anche la camicia a terra. «E non è nemmeno la prima volta che ti succede, giusto?»

Samuel scosse la testa e serrò la mandibola. «No.»

«In effetti, hai reagito male mandandomi via praticamente ogni volta che ho provato a toccarti e ogni volta ho preso l'iniziativa.»

Samuel si strinse nelle spalle. Che poteva dire? Che stava male anche solo al pensiero, ormai, di fare sesso con qualcuno?

«Che cosa ti è successo?»

Perché tutti gli facevano/ponevano quella domanda?

Samuel si voltò e riprese a camminare in mezzo alla stanza. «Niente. Accidenti, non mi è successo niente. È una cosa stupida!»

Gabriele si avvicinò ancora, di un passo. «Quindi una cosa è successa.»

«No, non ho... sono esagerato. È stata una cosa da niente e io l'ho resa enorme, per qualche stupido motivo.» Samuel ci avrebbe fatto il buco, sul tappeto, a forza di girarci attorno.

Gabriele era arrivato ai bordi del tappeto. «Va bene, se è una cosa da niente, perché non me ne parli?»

Samuel si fermò e aggrottò le sopracciglia. «Vorrei solo essere lasciato in pace. Ok? Grazie.»

«Ok», l'uomo malvagio si strinse nelle spalle e si avviò verso il divano. Gli avrebbe dato ascolto davvero? No. Si accomodò e accavallò le gambe. «Vorrà dire che rimarrò qui finché non ti deciderai.» Allungò una mano per prendere il telecomando sul tavolino da caffè e accese il televisore.

Era senza parole. Aveva un uomo affascinante e mezzo nudo – e pure stretto da corde – che non se ne voleva andare da casa sua e che non era nemmeno in grado di portarsi a letto.

«Senti, vattene oppure-»

Gabriele sogghignò. «Oppure cosa? Mi insulti? Mi picchi?» Girò la testa verso di lui, un sorriso cupo e malizioso gli illuminava il volto. «Sai che mi piace, quindi fai pure...»

Cazzo. «Ma sarebbe diverso...»

L'essere malvagio tornò a voltarsi verso la tv. «Non per me. Sai essere molto credibile e non credo che mi faresti davvero male, non più di quanto potrei sopportare, almeno.»

Samuel incrociò le braccia al petto. «Potrei non fermarmi, invece. Magari mi sfogherei davvero, come faccio con il sacco da boxe.»

Gabriele fece scorrere i vari canali. «Ok, fai come credi, caro.»

«Sei irritante e fastidioso! Fucking brat!» Samuel diede un calcio allo schienale del divano, un dolore acuto al mignolo gli mozzò il respiro in gola. Aveva beccato il legno del piedino!

Cazzo, cazzo cazzo.

Si prese il piede in mano e strinse le dita attorno al mignolo. Il dolore diminuì abbastanza da riprendere a respirare. Zoppicò fino a raggiungere il bordo della seduta e si lasciò cadere tra i cuscini del divano. «Allora», era senza fiato, poteva essere senza fiato? «metti che qualcosa forse potrebbe essere successo. Parlarne a che servirebbe?»

Gabriele tolse il volume, ma continuò a scorrere tra i canali. «Già, a che serve parlare? Non che ci siano interi corsi universitari e specializzazioni che si focalizzano su questo.» Si fermò sul telegiornale regionale. «Non intendo dire che sono un esperto, ma parlare aiuta.»

Gne, gne, gne. Sarebbe stato troppo infantile rispondere così, forse. Samuel tirò su le gambe e se le abbracciò, stringendole al petto. «Ricordi quel venerdì famoso del drop?»

Gabri si girò con la schiena verso di lui e piegò una gamba sulla seduta. «Certo. La prima volta che sono venuto a casa tua.»

«Esatto. Beh...», Samuel abbassò la testa, «due carabinieri erano venuti al Confessionale a fare una visita a sorpresa, chiamandolo controllo per delle segnalazioni. Vengono spesso, vorrebbero mettere le mani sui nostri registri soci, secondo me.»

Il compagno inclinò la testa di lato, lo sguardo attento.

«O forse gli stiamo sul cazzo e basta. Ad ogni modo, uno di questi due, il Tenente, si è...» Samuel si leccò le labbra e si morse il labbro inferiore. «Ci ha chiusi dentro al mio ufficio, noi due da soli.» Non riusciva a trovare le parole giuste da usare eppure bastava descrivere cos'era successo. Il suono della serratura che si chiudeva gli rimbombò nella mente. Era stato in quel momento che l'inquietudine aveva iniziato a farsi strada nei suoi pensieri. «Ma, voglio dire, sono un tipo grande e grosso, come si dice, no? Posso... in un qualsiasi combattimento, scommetterei su di me. Nessuno, guardandomi, penserebbe: oh, ora vado proprio a dargli fastidio.»

«Samu, mi sono perso. Hai saltato qualche passaggio, mi sa. Eri rimasto al Tenente che ha chiuso la porta.»

«Ah, giusto. Ha chiuso la porta a chiave. A chiave, capisci? Cosa gli è passato per la testa? Che non avrei reagito male?»

Gabriele abbassò lo sguardo sulla mano che Samuel si era ferito e lo riportò sul suo viso. «Lo hai preso a pugni?»

«No, ho preso a pugni la porta. Ma dopo che se n'è andato.» Samuel rilasciò un lungo sospiro. «Avrei dovuto, invece. Mi sarei fatto la notte in cella, qualche ora di servizio socialmente utile e via.»

Gabriele si schiarì la gola. «La pena è dai tre ai cinque anni, ma poi dipende da cosa ha fatto lui, se ti ha provocato in qualche modo.» Gli posò una mano sul braccio. «Cosa è successo dopo che ha chiuso la porta?»

Samuel si mordicchiò di nuovo il labbro inferiore. Avrebbe potuto invocare una specie di legittima difesa? Ecco cosa succedeva a studiare filosofia invece di giurisprudenza. «Beh, dopo...», le labbra si aprirono in un sorriso che non riuscì a reprimere, «mi ha bloccato contro la scrivania con il corpo e ha iniziato ad accarezzarmi sotto la maglia.» Un macigno pesante iniziò a opprimergli il petto. Quel bastardo gli aveva stuzzicato i capezzoli e lo aveva fatto gemere di piacere. Faceva fatica a respirare. «Mi diceva che voleva che lo scopassi sulla scrivania.» Perché non riusciva a respirare? Buttò giù i piedi dal divano e si scosse la felpa. «E poi-»

E poi aveva iniziato a toccarlo.

«Gabri, non l'ho fermato. Mi ha...» la stanza era sempre stata così calda? Si soffocava. «Ha iniziato a farmi una sega. Io ho provato a fermarlo, ma mi ha strizzato l'uccello e mi ha fatto male.» Si era rotta la diga e le parole iniziarono a scorrere, inarrestabili. «L'unica cosa che avrei potuto fare sarebbe stato prenderlo a pugni, no? Mi ha detto che mi stava sottomettendo, che avrei dovuto reagire, voleva testare il mio autocontrollo! Mi ha detto», riprese fiato, aveva le palpebre sgranate, «mi ha detto "ti voglio, dom".» Samuel saltò su in piedi. «L'ho lasciato fare! Gli ripetevo di smettere, ma non ho reagito. Mi sono convinto che non ho reagito di proposito, che me lo sono imposto-», sbatté le palpebre e trattenne il respiro.

Qual era la sua prima, e a volte unica, reazione, quando era sopraffatto da emozioni discordanti che non riusciva a contenere? La rabbia. Quella era l'unica emozione che riusciva a comprendere e a esprimere: esplodeva e la situazione cambiava, la poteva gestire come voleva, perché (Samuel) faceva paura/incuteva timore. Era un violento e un bastardo e a nessuna persona sana di mente sarebbe venuto in mente di provocarlo di proposito e sperare di farla franca.

«Mi sono sentito impotente.» La parola gli scottò la gola. «Non è vero che non ho reagito perché non volevo farmi arrestare. Non ho reagito perché non potevo farlo. Perché nonostante le mie... suppliche... il bastardo non si fermava.» Il cuore gli martellava nel petto come se battesse su un gong enorme e con la stessa lentezza. Sussurrò. «Non riuscivo a muovermi.»

Gabri aveva abbracciato un cuscino, lo fissava con gli occhi lucidi. «Mi dispiace» mormorò.

«E nessuno», la voce di Samuel uscì strozzata, «nessuno è intervenuto, nessuno è... ci sono una ventina di persone che lavorano al Confessionale, ogni volta che sono in ufficio bussano continuamente, perché nessuno ci ha interrotti? Perché?»

Gabriele mosse appena la testa. «Non lo so.»

Samuel crollò in ginocchio e si coprì il volto con le mani. «Perché non ho reagito?»

«Avevi paura.» Un fruscio di vestiti sulla stoffa del divano e la mano di Gabri gli accarezzò la schiena. «Avevi paura delle conseguenze, è una reazione normale, in quelle circostanze.»

Era molto ragionevole, certo. Lo sapeva anche lui. Non c'è solo combattere o scappare, c'è anche la terza opzione, quella che lui non prende mai. In effetti, sceglie solo/sempre la prima, contrattaccare senza nemmeno pensarci.

Samuel sollevò la testa e cercò il suo viso. «Sembra stupido, ma non ho mai paura. Anche in situazioni in cui farei meglio a stare buono e zitto, me ne frego e parto all'attacco.»

Perché riflettere e rimanere in una situazione scomoda, quando si poteva ribaltare il tavolino? Adorava ribaltare i tavolini. Creare il caos e godere delle conseguenze inaspettate che provocava.

Tanto qualcuno avrebbe rimesso a posto.

«Hai intenzione di denunciarlo?»

Un sorriso ironico incurvò le labbra di Samuel. «Oh, certo. Credo che domani andrò in Questura a denunciare un ufficiale dei Carabinieri cattivo perché mi ha toccato il pisellino, magari vestito di pelle e con una frusta in mano.» Si alzò in piedi e scosse la testa. «Sentiresti le risate anche dal tuo studio.»

Gabriele gli posò una mano sul braccio e vi fece forza per tirarsi su. «E quindi?»

«E quindi niente, caro mio. Ho cancellato la registrazione ed è finita lì.»

«Scusa?» Gabriele gli strizzò il braccio. «Che registrazione?»

«Ah, non te l'ho detto.» Samuel scrollò il braccio che gli stava stritolando. «Sono riuscito a», mimò le virgolette con le dita, «"salvarmi" perché gli ho detto che la telecamera di sorveglianza aveva ripreso tutto.»

La voce di Gabriele salì di un'ottava e uscì strozzata. «E tu l'hai cancellata?»

Samuel si strinse nelle spalle. «Certo. Non voglio avere in giro prove della mia debolezza.»

«Sei impossibile» Gabri sospirò e cadde sul divano.

«Avevi ragione, però, mi sento meglio.» Samuel si massaggiò il petto, il macigno era sparito. Peccato che la vista di Gabriele abbandonato sul divano e a malapena vestito non gli suscitasse ancora nessun effetto.

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