Capitolo 10 - La scommessa

Màu nền
Font chữ
Font size
Chiều cao dòng

La fotografa sollevò un pollice e nascose il volto dietro la macchina fotografica. «Più intenso. Azione.»

Glielo avrebbe dato lui il più intenso.

Dom S. si sedette sul bordo del materasso e scivolò con le chiappe all'indietro sul lenzuolo di raso borgogna. Piegò una gamba, posò lo stivale sul letto, lasciando l'altra a terra, e strattonò il guinzaglio a catena legato al collare di Coso. Ringhiò: «Muoviti.»

Coso, a testa bassa, si accucciò ai suoi piedi. La fotografa mosse una mano e S. aggiustò la posizione della schiena. Seguirono una serie di flash, S. si piegò verso Coso e tirò la catena verso l'alto, obbligandolo ad allungare il collo e rubandogli gemiti sommessi. S. premette la bocca su quella di Coso e gli addentò il labbro inferiore, i flash si fermarono, la fotografa cambiò posizione e gli avvicinò la lente a un palmo dalla faccia. S. mollò il labbro di Coso, posò il palmo a coprire parte dell'obiettivo e spinse all'indietro. Freddezza e disprezzo nello sguardo, la fotografa arretrò fino al muro e si abbassò.

S. allontanò la mano. «Com'era?»

Alex annuì e controllò la lente della macchina fotografica. «Ottimo, ma non toccare l'obiettivo, per favore.»

«Ok», S. tornò a sedersi sul letto. Coso si grattò una guancia, coperta dal cappuccio di latex che gli avvolgeva la testa.

La luce di uno dei faretti venne attenuata e un altro venne spento, Alex posò la Canon nella custodia e prese il telefono. «Ora facciamo un po' di reel, ok?»

S. fece un cenno di assenso e Alex sfiorò lo schermo del cellulare. «Vai.»

Dom S. si alzò in piedi, afferrò il collare di Coso e lo trascinò verso di sè. Sollevò il labbro superiore e arricciò il naso, mostrando i denti. Lo mollò e Coso cadde sulle ginocchia, con un lamento, S. lanciò la catena per terra e gli piazzò uno stivale sul petto. «Fai schifo», sibilò, spinse la gamba e lo fece rotolare all'indietro, sulla schiena.

Una risata gorgogliante si formò in fondo alla gola di S., puntò il viso verso il cellulare, dritto sulle lentine della telecamera, e si leccò le labbra: un movimento lento, sporco e osceno.

Alex sollevò l'altra mano, palmo aperto. «Stop. Perfetto. Vai ancora.»

S. si accarezzò le cinghie della corta giacca di pelle sul petto, scivolando verso l'addome, stretto da altre cinghie di cuoio e da un corpetto, chiuse gli occhi e si morse il labbro inferiore. Emise un gemito e spalancò le palpebre, rilasciando il labbro un millimetro alla volta. Si lasciò cadere sul letto e girò il viso di lato, Alex schioccò le dita.

«Non nascondere il viso, dai.»

«Hai rotto stasera», S. sbuffò dalle narici, «non ti va bene niente.»

«Dammi qualcosa che faccia andare la gente fuori di testa, ok?»

S. roteò gli occhi verso l'alto. «Eh, perché finora era roba leggera...»

«Vai, azione.»

Se quella piccola, lurida larva gli avesse detto un'altra cosa sulla sua performance, l'avrebbe stritolata e ridotta a brandelli. Le avrebbe staccato le braccia dal corpo e gliele avrebbe fatte mangiare. S. si sollevò in piedi e avanzò verso la fotografa. Abbassò il tono della voce, lo caricò di tensione. «Avrai il coraggio di attraversare la porta rossa?»

Alex allargò il sorriso e gli strizzò l'occhio. «Brividi. Brividi di paura lungo la schiena», trafficò con le dita sullo schermo, «pensavo che volessi uccidermi veramente.»

S. sogghignò e tornò a sedersi sul letto. «Stavo immaginando di ridurti in poltiglia, in effetti.»

«Ok, l'ultimo.» Alex tornò a puntargli il cellulare addosso.

L'ultimo?

S. si sdraiò, posò le suole degli stivali sul letto, gambe larghe. Si allungò all'indietro e accarezzò il lenzuolo di raso. Alex si avvicinò al letto, lo riprendeva dall'alto. Esistevano solo le lenti della telecamera, dalle quali centinaia di persone, migliaia, lo avrebbero guardato e adorato. Chiuse gli occhi e fece scivolare le mani sul ventre, più giù lungo le cosce, sulle cinghie che dal corpetto si infilavano tra le gambe e si riunivano sulla schiena. Inarcò la schiena, piegò la testa all'indietro e lasciò che le mani scorressero sulla cerniera della patta dei jeans.

«Ok, ok, basta. Che poi ci bannano.»

S. si abbandonò sulle lenzuola, a braccia aperte. «Contenuto per adulti?»

«Fatti un OnlyFans e mettici tutto quello che vuoi.» La fotografa gli diede le spalle e si mise a occuparsi dell'attrezzatura. Anni che collaboravano e non era mai riuscito a scalfirla nella sua omosessualità ostinata, monogama e noiosa.

S. si tirò su e si appoggiò sui gomiti. «Abbiamo finito?»

Alex mugugnò qualcosa, lo ignorava, sì, avevano finito. Che il play party avesse inizio, Dom S. era libero!

***

Sabato sera: festa kinky. Tema: decadenza. Dresscode: gotico vittoriano, elegante. Aperto a tutti. O quasi. La sala principale del Confessionale era stipata di gente vestita più o meno in tema e il doppio premeva contro le porte, fuori nel freddo della notte, sperando di entrare. La musica esplodeva dalle case con la canzone dei Nothing But Thieves Is Everybody Going Crazy? remixata.

Poco oltre l'entrata dalle le tende blu, appoggiato con una spalla alla parete, S. faceva scorrere le foto in cui erano stati taggati, lesse i commenti, un sorrisino compiaciuto gli affiorò sulle labbra.

Due unghie lunghe laccate di rosso sangue, gli sfiorò la mano che reggeva il cellulare. All'altezza dei suoi occhi c'era un enorme cappello rotondo, nero, scendeva a grata a coprire metà viso, di cui erano visibili solo le labbra, rosse come le unghie. «Dom.»

La donna si accarezzò il colletto a retina scarlatto che le copriva anche le spalle fino ai polsi, e scivolò giù fino al seno, racchiuso da un corsetto babydoll di raso rosso e bordini neri. «Non mi riconosci?»

S. abbassò e piegò la testa, chi era quella donna così alta e così strafiga?

Il babydoll finiva in una sottogonna a gabbia doppia in crinolina, nera, da cui scendeva uno strascico di tessuto a rete dello stesso colore.

La donna sollevò il viso. Era Lù. S. spalancò la bocca e arretrò di un passo. «Mio Dio, sei stupenda.»

Lù coprì la risata con una mano. «Non essere così sconvolto, sai?»

S. le girò attorno, la maglia a retina le copriva anche la schiena e i suoi intricati tatuaggi erano in bella vista. Erano linee marcate e cerchi di un rosso intenso che le macchiavano la pelle e continuavano sul braccio. «Sei sempre splendida, ma questa sera sei... alta.»

Un paio di stivali rossi laccati le arrivavano fino a metà coscia, le calze a rete completavano la meraviglia di abbigliamento. Il plateau e i tacchi dovevano essere alti almeno venti centimetri.

«Non ti ammazzi su quei trampoli?»

La Domme schioccò le dita e alle sue spalle comparì una portantina, aperta, foderata di velluto rosso e bordi dorati. Era retta da due membri dello staff, in corpetti a gabbia e pantaloni di pelle. «Sì.»

«Anche la portantina? Non ci posso credere...» S. scosse la testa, non riusciva a smettere di sorridere. «Adesso mi sento inadeguato, avrei dovuto sforzarmi di più.»

«Soprattutto, sei troppo vestito.» Lù si accomodò sulla portantina e fu sollevata da terra.

«Lo credo anch'io.»

La voce, profonda, veniva da dietro le spalle di S. Si voltò, era Master Kay. I lunghi capelli neri si perdevano nel collo alto del mantello di pelle, unito al cappotto in velluto goffrato.

«Parli tu? Sei coperto dalla testa ai piedi.»

«Ah, ma c'è il trucco», Kay fece lampeggiare i denti in un sorriso e tirò giù la cerniera del cappotto, rivelando che sotto di esso non portava niente. A parte l'harness e l'intimo. C'era qualcosa di incredibilmente sexy in un uomo in mutande e anfibi, il ventre di S. si rimescolò.

«Capisco» mormorò S. Le ombre e le luci dei faretti della discoteca giocavano con i muscoli del torace e dell'addome di Kay, ne delineavano le forme scolpite. Il master si passò la punta dell'indice sul petto e giù lungo la pancia seguendo le linee del tatuaggio, un cerchio sfumato attorno a cui volavano due corvi. Dalle loro zampe colavano gocce di inchiostro fino all'inguine. E dopo?

«... video», Kay richiuse il cappotto, S. sbatté le palpebre un paio di volte. Aveva detto qualcosa? Dov'era finita Lù?

«Cosa?»

Le labbra di Kay si incurvarono in un ghigno. «Ho detto che ho visto il video che avete pubblicato e mi è piaciuto. Ma c'è un problema.»

«Un problema?» S. sollevò il cellulare e lo sbloccò. No, non potevano esserci problemi. Non quella sera.

Kay posò una mano sullo schermo. «C'è un grosso problema. È sempre il solito, sei troppo vestito.»

Oh. Oh!

S. abbassò di nuovo il telefono. «È davvero un», calcò sulla parola, «grosso problema.» Si avvicinò di un passo. «In fondo, però, non è bello lasciare qualcosa all'immaginazione?»

«È bello lasciare», Master Kay aprì un lembo del cappotto, si soffermò sulla parola, «qualcosa all'immaginazione.» Allungò una mano verso il braccio di S., ma si fermò prima di toccarlo. «Posso?»

S. fece un cenno di assenso con la testa, Kay gli strinse il polso e gli guidò la mano fino all'addome. Era caldo e sodo. «Qualcosa, ma non tutto. C'è ancora molto da scoprire.»

La mano di S. percorse ogni addominale, uno per uno, e si fermò sotto l'ombelico, il mignolo gli sfiorava il bordo dell'intimo. «Molto?» S. fece un altro passo, ormai era a contatto con il corpo dell'altro.

Kay avvicinò il viso al suo orecchio. «Moltissimo.»

Il respiro di Kay gli fece rizzare i peli della nuca e gli provocò una scarica di brividi lungo tutto il fianco. S mormorò. «Sai cosa vorrei fare, in questo momento?»

«Mh... cosa»

S. si morse il labbro inferiore e gli accarezzò la pancia fino al fianco. «Vorrei vederti inginocchiato davanti a me, implorante, con gli occhi gonfi di lacrime», gli sfiorò il lobo delle orecchie con i denti, «che non sai se chiedermi di fermarmi o di continuare. Ma non puoi parlare, perché ti sto fottendo la gola.»

Master Kay emise un suono inarticolato, sospirò e gli posò una mano sulla sua. «È questo a cui stai pensando?»

S. spostò il viso e incontrò i suoi occhi. «Incessantemente.»

Kay si schiarì la gola e accennò un sorrisetto. «Vuoi sapere a cosa sto pensando io?»

«Più di ogni altra cosa al mondo», S. gli fece scivolare la mano lungo il fianco, verso l'alto. Avrebbe voluto piantargli le unghie nella pelle e graffiarlo a sangue. Il membro gli pulsò nei pantaloni.

«Quello che vorrei io», Kay lo spinse contro la parete, vi appoggiò le mani e gli premette il bacino addosso, «è sentirti urlare. Urlare il mio nome e tirare giù tutti i santi del Paradiso.» Insinuò una gamba in mezzo alle sue e si strusciò contro l'inguine. L'intimo non nascondeva l'erezione del Maestro. «Legato alla cavallina, mentre ti scopo così forte», Kay gli sfiorò le labbra, «così forte da sentire la punta del mio cazzo nel cervello.»

S. chiuse gli occhi, aveva il respiro bloccato in gola e la bocca asciutta. «Interessante» mormorò.

«Vero?» Kay abbassò una mano e gliela posò sulla patta dei pantaloni.

S. serrò la mascella e gliela afferrò. «Ehi», gliela guidò sul petto.

«Perdonami, Duca, Vostra Intoccabilità», Kay giocherellò con la cinghia sopra al pettorale.

«Odio quel soprannome.»

«Eppure è così... adatto», Master Kay allontanò il corpo dal suo e gli catturò lo sguardo. «Che ne dici di una scommessa?»

Le iridi del Maestro erano scure, nel buio del locale, altrimenti il loro grigiore gelato lo avrebbe trafitto, se lo sentiva addosso.

«Che scommessa?»

«Vediamo chi riesce a sedurre l'altro e a sottometterlo.»

«Senza che nessun altro se ne accorga.»

«Chi perde, deve mettersi al servizio del vincitore per una notte e due giorni.»

«Nella casa del vincitore.»

«Rimango in zona solo fino a domani, pensi che riuscirai a resistermi almeno fino ad allora?»

S. sogghignò e gli spinse il petto. «E tu? Ci riuscirai?»

«Considerando la posizione compromettente in cui mi hai messo-»

«Hai fatto tutto da solo.»

Kay si leccò le labbra. «Dio, quanto vorrei baciarti.» Scosse la testa e si schiarì la gola. «Tu, caro mio, sei già riuscito a farmi perdere il controllo senza fare niente.»

«Sei così debole?» S. gli posò le unghie sul petto e calcò appena contro la pelle. «Così... debole...»

Master Kay gli premette il bacino contro il suo e nascose il viso nell'incavo del collo di S. «Accetti?»

S. fece pressione con le unghie e strappò un gemito dalle labbra di Kay. «Accetto. Non vedo l'ora di farti sanguinare...»

Bạn đang đọc truyện trên: Truyen2U.Pro